Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Persefone26998    09/05/2021    2 recensioni
"La fermentazione è pura magia, perché sa trasformare un semplice grappolo d'uva in una pozione in grado di mutare il comportamento, sopprimere le inibizioni, annebbiare la vista e spalancare le porte di interi regni immaginari
_Felipe Fernandez-Armesto"
Benvenuti nella mia personalissima vigna
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Parola suggeritami da LilithInFiore
Parole: 1682 (sono un circo ambulante)
 
Con quelle calze nessuno ti fischia per strada? Incredibile che il tuo ragazzo ti faccia uscire così!
Quella era stata la prima volta che qualcuno aveva commentato le sue calze e per Mikasa era stato strano; aveva guardato per una decina di minuti quella signora alla fermata dell’autobus, incapace di replicare per la prima volta nella sua vita.
Con il tempo si era abituata ai commenti sul suo aspetto fisico, ai suoi vestiti neri perfino d’estate, al pizzo, le catene, ai piercing e le croci che facevano un rumore assordante per una persona silenziosa come lei, ma che erano suoi come nient’altro al mondo.
C’era abituata a sentirsi strana e matta, agli sguardi stralunati e giudicanti, ma mai nessuno aveva commentato le sue calze; più che calze il termine corretto sarebbe autoreggenti, ma in quel modo la chiusura del reggicalze che fa capolino da sotto i pantaloncini avrebbe ancora meno senso di quando sua madre li ha guardati quella mattina. Mikasa ha quindici anni e lo sa che quelle calze non dovrebbe metterle, perché sono troppo appariscenti, più di tutti i vestiti che indossa; ma le piacciono le maglie strette della rete, può agganciarci tutte le catenine e i ciondoli che vuole.
Le piacciono e le stanno bene, eppure sull’autobus sta zitta mentre si guarda le gambe.
***
La seconda volta che qualcuno commenta le sue calze, sempre in un modello a rete dalla maglia stretta e le catenine che le circondano la coscia, è durante un compito di matematica mentre ha la testa china sul foglio e si ripassa le formule tra le labbra, ridacchiando tra di sé a come Jean cerchi di allungare lo sguardo sui suoi appunti; ha il braccio poggiato sul banco, il corpo metà piegato all’indietro e sporge il foglio abbastanza perché lui riesca a vedere meglio, perché lui la veda meglio e quello sguardo nocciola si accorga di quanto le faccia tremare il cuore. La voce della professoressa irrompe nei suoi pensieri come un boato e le farfalle nel suo stomaco si poggiano duramente a terra.
Non la prenderanno mai sul serio se continua a vestirsi così! E poi con quelle calze crede di essere lungo la strada a battere, signorina?
I suoi compagni di classe ridacchiano dietro le sue spalle e Mikasa ringrazia che Eren abbia la febbre quel giorno, perché un altro richiamo dal preside è l’ultima cosa che serve al suo migliore amico; guarda la donna per qualche momento in quegli occhietti azzurri resi ancora più piccoli dalle spesse lenti da vista e, di nuovo, non riesce a capire il senso di quelle frasi sulle sue calze, un elemento tanto accessorio quanto funzionale del suo abbigliamento. Ancor meno riesce a capire come possano un paio di calze a rete e due catenine renderla una puttana.
Non è colpa mia se a lei non starebbero bene, professoressa
Quando la donna la sbatte fuori dall’aula e chiama i suoi genitori, un po’ sa di essersela cercata; anche se non se ne pente minimamente.
***
La terza volta che qualcuno commenta le sue calze è la peggiore, se la sente dentro per tutta la settimana mentre si prepara per l’esame di Stato, mentre esce con i suoi amici e mentre Jean la guarda come se sentisse che ci sia una nota stonata nel mondo; se la sente dentro e se la tiene dentro per mesi prima di confessarla al suo ragazzo, perché a dirlo le sembra che diventi talmente reale da schiacciarla.
Sta facendo l’ultima guida prima della prova pratica per la patente, ha appena imboccato l’uscita dell’autostrada e sta tornando all’agenzia mentre il suo istruttore tiene gli occhi fissi sulla strada; fa caldo quel diciassette maggio e ha infilato un vestitino davvero carino, con la gonna a balze in cotone spesso e il bustino che ricorda un corsetto per come si chiude sul dietro con tutti quei lacci di raso. Ovviamente è nero, ovviamente è corto e stando seduta si accorcia ancora; e, ovviamente, ha indossato le sue calze preferite, quelle a rete nera che le si fermano a mezza coscia e sono tenute su dall’intrico di lacci di cuoio nero e borchie del reggicalze che non si copre neanche da alzata.
Le piace come si è vestita, si sente davvero bellissima quel giorno e si è anche impegnata per truccarsi in modo decente, perché con Jean hanno programmato di fare l’amore per la prima volta e Mikasa ha bisogno di sentirsi bella per non cedere alle sue insicurezze; le pesa essere l’unica inesperta della sua comitiva, la fa sentire in difetto come se nell’età sui suoi documenti ci fosse scritto quanto si sia poco amata per permettere a qualcuno di vederla nuda. Quindi vuole vedersi bella quel giorno almeno la metà di quanto si veda bella ogni volta che Jean la guarda.
Jean che ha la moto posteggiata nel parcheggio davanti alla scuola guida e le fa un cenno mentre posa la macchina nel box; è solo quando si gira per salutare che lo stomaco le sprofonda sotto i piedi e le sembra di non riuscire a muoversi, il suo istruttore che le si china un po’ più vicino e la patta stretta dei pantaloni di un uomo non le è mai sembrata così rivoltante.
Scusa, è che quelle calze ti fanno delle gambe da urlo, il mio corpo reagisce da solo
Quella sera Jean non capisce perché sia così silenziosa dopo averla vista fiondarsi fuori dall’auto della scuola, né perché gli chiede se la trovi esagerata per come si è vestita, ma Mikasa sa che lui percepisce che qualcosa non stia andando per il verso giusto, che ha guardato con sospetto il suo istruttore e che la settimana prossima chiederà una mezza giornata al ristorante di sua madre per assistere al suo esame; come sa che quando Jean la vede tremare spaventata e le si stende accanto, accarezzandole i capelli per tutta la sera, è il momento esatto in cui capisce di amarlo davvero.
Scusa
Abbiamo la vita davanti, Mika... io voglio che tu sia felice
***
Mikasa ricorda pochi e coincisi momenti in cui qualcuno ha commentato le calze che le piace indossare, che indossa abitualmente e che, nonostante tutto il disgusto gli altri le abbiano riversato addosso in quegli anni, continua a comprare e sfoggiare con ancora più arroganza; sa di dimostrarsi troppo orgogliosa in un certo senso, sa anche che è un capriccio e una rivalsa nei confronti di quel mondo fatto di spine avvelenate. Ma la cosa non la fa sentire minimente in colpa, le piace gridare più forte delle sue paure, la fa sentire viva.
“Amore hai fatto? Tuo fratello darà di matto se non siamo al comune tra mezz’ora, lo sai com’è ansioso”
“Un attimo, mi si sono sfilate le calze”
Jean la sta guardando interdetto, mentre rovista tra il comodino del suo letto in cerca di un paio di calze che sostituiscano d’urgenza quelle che ha rotto; era stato stupido da parte sua non comprare neanche un paio di calze da riserva, ma era così convinta che non le avrebbe mai più utilizzata dopo il matrimonio di Levi che le erano sembrati soldi inutili. A onor del vero, suo fratello le aveva detto di prenderne un altro paio perché sottili com’erano si sarebbero rotte in un niente, gliel’aveva ricordato perfino Eren quando l’aveva aiutato a scegliere il suo abito da sposo – e se Eren ricordava un dettaglio così insignificante, forse avrebbe dovuto pensarci veramente.
Ma lei le calze velate color carne le odia profondamente, non solo per l’estetica orrenda da nonnina la domenica a messa, ma soprattutto per la sensazione costringente che quel tipo di indumento le dava sulla carne; Mikasa odia le calze velate color carne e in questo momento sente di cuore di dover augurare le peggiori sciagure a chiunque le abbia inventate.
“Scusa, metti le tue solite, no? Con lo spacco del vestito sarai ancora più bella”
Jean si china accanto a lei, bloccandole le mani mentre tira fuori tutta la biancheria che possiede, inutilmente dato che non ha neanche un paio di calze che non siano a rete; lo scruta per qualche istante, i lunghi capelli biondi che gli scivolano davanti alle ciglia e velano le sue iridi nocciola. Approfitta di quei secondi per osservare la cura del suo pizzetto, le sue labbra carnose, lo smoking elegante sotto cui la camicia ruggine spicca come un papavero tra i campi di margherite; è bello Jean e certe volte si sente la donna più fortunata del mondo a essersi innamorata di lui.
 “Mamma mi ha chiesto di evitare almeno per il matrimonio, non sono eleganti, il mio vestito già è nero e...”
“E né Levi né Eren ti direbbero mai niente... comunque lo sappiamo entrambi che, tempo mezz’ora, e saranno troppo impegnati a cercarsi un posto dove infrattarsi per badare alle tue calze”
“A te non hanno mai dato fastidio?”
Jean aggrotta le sopracciglia confuso, eppure a Mikasa non serve guardarle per sapere quanto l’altro sia sincero, non le serve stare a pensare mentre il compagno d’una vita sceglie le sue calze preferite, quelle a rete nera sottilissima e intarsiata di decine di rose, quelle che le avvolgono la gamba e che hanno bisogno del reggicalze per tenersi su, quelle che hanno una piccola lama squadrata alla chiusura di quest’ultimo. Non le serve guardare Jean per sentirselo dentro l’anima, basta sentire la consistenza morbida di quelle calze tra le dita per innamorarsi di nuovo di lui.
Non le serve ricordarsi di quanto quella domanda sia stupida in quel momento, dove Jean la fa sedere sul letto e fa scivolare le calze lungo le sue gambe, mani calde e ruvide accarezzano la sua pelle diafana accompagnando la morbidezza della stoffa.
“Perché mai? A te piacciono e io non sono tanto piccolo da aver bisogno di schiacciarti per guardarmi allo specchio”
Mikasa ama le calze a rete sottile, le ama decorate e riempite di catenelle e di ciondoli, le ama sotto i jeans, sotto le gonne, sotto i vestiti semplici e sotto quelli eleganti; ma più di tutto, ama che sia Jean ad amarle addosso a lei.
  
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