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Autore: Evil Daughter    12/05/2021    4 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Capitolo XIV - Tre teste immerse nell'acido formico. È certamente capitato. 
 

 


Con perizia, Bulma aprì il rubinetto di regolazione. L’acetilene uscì soffiando dall’ugello. 
La scienziata avviò quindi la combustione e una lingua calda, luminosa, di fuoco giallo, si allungò per circa venti centimetri sputata fuori dal cannello che lei teneva in mano. Come la bocca di un drago fra le sue dita.
Mancava l’ossigeno.
Aprì la valvola e vide mutare la fiamma pian piano che le particelle di O2 venivano liberate in giusta dose, fino a raggiungere un bagno di purezza che cangiò il colore del fuoco: di toni freddi, di azzurro artico e trasparente che, in realtà, raggiungeva una temperatura di oltre tremila gradi. 
La fiamma, il dardo, si presentava adesso di corta gittata, ma era più pericolosa. Da sciogliere il metallo. Ed era quello che la scienziata stava per fare: saldare, una saldatura ossidoacetilenica. Tra le sue preferite. Perché le piaceva padroneggiare il fuoco e piegare la materia al suo volere.
Era chirurgica con quel sistema.
Lo era stata anche con Vegeta: era stata una piccola fiammella celeste, apparentemente innocua e bella, a cui lui si era avvicinato e con la quale aveva fuso il suo duro metallo.
Le piaceva pensare e riassumere l’esperienza in tal modo.

Avvicinata la fiamma, la fusione del materiale di apporto avvenne istantaneamente.
Come, immediatamente, loro s’erano trasformati da improbabili coinquilini in altrettanto più improbabili amanti.
Amanti. Riduttivo.
Era stato di più. 
Lei lo aveva sciolto, era entrata in profondità. Dove portasse quell’apertura, però, non lo sapeva. Quando si trattava di Vegeta, l’orgoglio era la variabile impura onnipresente con cui fare i conti e fallire il processo di ossidazione. 
E tante erano state le ipotesi che la scienziata aveva immaginato; ciononostante, non comprendeva ancora il motivo a causa del quale, tre giorni prima a quel momento, era rimasta sola sul pavimento del laboratorio… A guardare i minuti andarsene e le azioni da poco tempo compiute trasformarsi in ricordi. 

Vegeta se ne era andato e non aveva voluto più toccarla. 
Amante non era un termine da accostarglisi: un amante sarebbe rimasto un attimo ancora per godere del calore sprigionato dopo l’amplesso. Lui era scappato simile ad un pentito.
Tra loro era stato feroce. E Vegeta era sensibile in modo negativo al calore: lo fondeva, gli apriva dentro voragini, certo. Il risultato però era un ossitaglio. Niente veniva o restava saldato. 
Da quel giorno, Bulma aveva provato ogni sera, sfacciata, ad aprire la porta della camera accanto alla sua trovandola sempre chiusa a chiave. Vegeta era anche un guastafeste, oltre ad essere l’esperto della latitanza.
Per questo, per evitare di pensarci, il che non le riusciva, e per mantenere la promessa fatta, la scienziata si era buttata indefessa nei lavori necessari alla realizzazione della nuova gravity room. Ed erano trascorse già settantadue ore dal calcolo del suo compimento. Era a metà strada perché era brava come nessun altro al mondo.

Pensi veramente di poter tenere un drago in una gabbia per uccelli?
Non è una gabbia per uccelli. È dove potrà sprigionare le sue fiamme.
E tu la sai lunga sulle fiamme, non è vero?

Un altro pannello, che funzionava da esoscheletro per una seconda struttura interna, era stato saldato. Bulma aveva progettato l’impianto della nuova gravity room come una sorta di doppia calotta, un doppio guscio nel quale avrebbe attivato una barriera magnetica di protezione. A prova di esplosioni.
Dentro i guanti di cuoio le dita erano fradice e sotto la protezione della tuta ignifuga il suo corpo non era da meno. 
Una goccia di sudore nacque dalla cute, si fece spazio fra l’attaccatura dei capelli, all’inizio del collo fino, e scese gelida a bagnarle la schiena. 
Se c’era una cosa che la scienziata non sopportava del proprio lavoro era ridursi così, come cellulosa al macero.
Spense la fiamma gradualmente, diminuendo l’acetilene. Quando non ne uscì più, passò all’ossigeno e chiuse il rubinetto anche di quest’ultimo. Il dardo si estinse silenzioso senza scoppiettare e senza ritorni di fiamma. 
Erano altre le fiamme che lei anelava veder comparire. Ma non c’era da sperarci.

Dal trabattello su cui stava, a circa otto metri da terra, guardò giù: gli operai erano diligenti, lavoravano alacri.
Nessun incidente. Poi, là sotto, la scienziata vide anche suo padre, stava discutendo. Fumava una sigaretta. 
Non riuscì però a scorgere con chi ce l’avesse il suo vecchio. Una scala copriva l’identità di quella persona. Finché qualcuno, con ottima coincidenza, passò e la rimosse. E lei poté scoprire. Meravigliarsi.
Era lì, era venuto. 
Vegeta era tornato.
Parlava col dott. Brief, guardava l'opera in divenire e sembrava esserne ammirato.
Bulma s’aspettò di essere vista, ne pregava l’attenzione. Desiderava che Vegeta tornasse a cercarla.
Riaccese il cannello.

È la tua gabbia, non la mia.

Di ossigeno ne stava uscendo troppo e la fiamma ora produceva un sibilo insopportabile.
Quella fiamma non era buona per effettuare una saldatura.

Ho bisogno di parlargli. Ora.
Per chiedergli cosa?
Abbiamo fatto l’amore.
Era amore?
Eravamo coinvolti entrambi... 
Però lui era altrove.

«Vegeta!» gridò. Poco coraggio. 

Gli occhi del saiyan la raggiunsero lentamente. Vegeta l'aveva intercettata in mezzo a tutto quel bailamme sin da quando era arrivato. Di solito, il principe teneva sempre d’occhio i nemici e ciò che gli causava dissenso e collera; anche se la scienziata sembrava essere scappata da entrambe le categorie.
«Oh, ti sta chiamando mia figlia! – sottolineò l’ovvio il signor Brief – ti consiglio di andarci, Vegeta, è lei il genio qui, e saprà rispondere adeguatamente ad ogni tua domanda.»
Pur non avendo lo stesso tempismo della moglie, lo scienziato azzeccò la sequenza di parole. Ma sì. Conversare con lei. Se la terrestre aveva le risposte, poteva farlo. Quanto menoavrebbe dovuto maturarle da sola.

Il saiyan si mosse fra gli operai, passò evitando di pestare cavi a terra, pezzi di metallo, fiamme libere. Sembrava un campo di battaglia, della battaglia che Bulma stava portando avanti per lui. Più fedeltà di questa...
Con un salto che notò nessuno, Vegeta arrivò alla torre. Il trabattello vibrò appena. Sapeva essere invadente e conquistatore in ogni minimo o inutile gesto. Lo spazio era residuo per starci in due. Questo li costrinse ad avvicinarsi più di quanto avrebbero voluto in quel momento. Non c’era adeguato calore, però. Nessun bagno di fusione, non si sarebbero fusi. Dalle parti di lui si prevedevano grandine e gelate. Le braccia conserte, poi, erano lì a negare alla scienziata qualunque tentativo di abbraccio. Era bravo, aveva capito in che modo minare ogni intenzione di avvicinamento.
E ora ti sono estranea, immagino.
Il cannello era ancora acceso, continuava a produrre quel rumore irritante. Almeno, occupava il mutismo condiviso.
Ti rendi conto di quanto sia inutile aspettarsi da lui un comportamento normale?
E cosa era normale?
Le relazioni... In che modo si sviluppavano i rapporti in una coppia saiyan? Si sposavano, ad esempio? E se sì, erano monogami, poligami? Esisteva per loro il tradimento? Quando potevano definirsi una coppia? Se andavano a letto con qualcuno pretendevano di ritornarci?
Non stavi cercando un bambino.
Il loro non era stato un rapporto protetto.
Non volevi un nuovo guerriero da forgiare. È finita quella guerra, Vegeta. Di questo ne sono sicura.
Le altre domande, invece, si affastellavano sconclusionate nella testa della scienziata. Che voleva riconosciuti gli stessi diritti di una qualunque terrestre accoppiata. Una pretesa sciocca, con la quale fece presto i conti.

Perché una rondine non fa primavera. Averlo sentito dentro di te una volta non vi rende una coppia.

Vorrei rifarlo.

Se non spegni l'arnese che hai tra le mani, resti comunque lontana dall’obiettivo.

Tuttavia, la fiamma accesa la faceva sentire a proprio agio. Dimostrava quanto anche lei sapesse essere potente, con i suoi mezzi.

«Che cosa vuoi?»

Già spazientito?

È il suo "buongiorno" dopo tre giorni. Cerca di capirlo.

Per poter parlare meglio con lui, la scienziata diminuì progressivamente il dardo. Ma evitò di spegnerlo del tutto. Era importante che rimanesse acceso; come un monito, un’espressione di aggressività. Lo facevano gli animali per difendersi dai predatori, si fingevano pericolosi per non essere mangiati. 
Ma era comunque preciso intento della scienziata mostrarsi pericolosa e non fingere.
«Non ti ho più visto, sei sparito, perché?», azzardò.
«Da quando devo rendere conto a te della mia presenza?»
Ecco, diciamo che un saiyan allo stato selvatico come lui – era Goku quello in cattività – non prendeva e non dava garanzia di continuità di confidenza. Soprattutto, non dava.
Non siete sposati.
Non siete una coppia.
Non siete fidanzati.
Non siete innamorati.

Io sì.

Non le interessava che fosse un saiyan la persona con cui aveva a che fare. Da terrestre, ci teneva a rimarcare la linea attraversata la quale un uomo doveva capire che non poteva liberarsi di lei.
Uff, non perdiamo la pazienza.
Perché te ne sei andato senza dire una parola? Perché?
Era semplice da chiedere. Inopportuno da chiedere a Vegeta.
Tu cosa ti aspettavi? Che ti dicesse ti amo, sono pazzo di te, facciamo di nuovo l’amore? Non illuderti. Ancora. Risparmiati la fatica, Bulma. Risparmiala.
«Volevo solo aggiornarti sullo sviluppo del lavoro.», fu il suo limitarsi.
«Lo vedo, per i dettagli chiedo a tuo padre. Hai altro da dirmi?», massacrante come meglio sapeva dimostrarsi, Vegeta invece non si risparmiò. Soppiantandola.
Sì, che ce l’ho altro da dirti! Voglio sapere cos’hai provato. Ti sei sfogato. Ne avevi bisogno, me ne sono accorta.
... Glielo hai proposto tu. E non eri sempre tu quella che doveva guarire le sue ferite? Comportati da donna adulta. Sii coerente.
Rinunciò: «Ho progettato io questa gravity room, è completamente diversa dalla precedente, devi rivolgerti a me per-»
«Se avrò bisogno di conoscere di più te lo farò sapere.», zittita di nuovo. Il saiyan si mosse per andarsene.
«Aspetta, Vegeta!»
Implorare era sempre indice di un cattivo inizio. Ma riempirsi la bocca col nome del Principe dei Saiyan... Quanti nell’universo potevano vantare quella libertà? Vegeta. Altisonante e maledetto.
Lui fece finta di ubbidire, non se ne andò. Bulma cadde in trappola, lasciò il cannello appendendolo all’asta di sicurezza e si avvicinò al saiyan infischiandosene della tempesta e delle previsioni infauste che lui emanava per tenerla lontana. Si fermò ad una decina di centimetri dai pettorali d’acciaio e dal cuore nascosto che si fingeva morto dinnanzi all’umanità ma non davanti a lei.
«Non te ne andare, non voglio che tu te ne vada», gli si rivolse timida, provando a ritrovare con lui la fragile intimità che li aveva uniti; gli occhi avevano trovato riparo in basso a sinistra; le parole le aveva spinte fuori in un sussurro che solo Vegeta aveva la capacità di percepire. Se avesse voluto.
Dopo alcuni minuti di respiri silenziosi, lui le concedette un indizio: «La questione non riguarda ciò che vuoi tu... », aveva voluto. E lei credette di esserci riuscita. Anzi, era diventata vittima senza accorgersene.
«Ti ascolto, quale è il problema?», si sfilò i guanti di pelle e li poggiò sulla ringhiera di metallo. Gli occhiali di protezione li spostò sopra la chioma riccia.
«... Sei sporca e sudata.»
Non era quella la risposta al quesito ermeneutico chiaro a entrambi. E poi, una frase del genere avrebbe trasformato Bulma in una biscia. Non stava accadendo perché la scienziata super ingegnere si era accorta del camuffamento: non era più la sola a fingere aggressività. A parer suo.
Ma era stata l’unica ad aver abbassato le difese, aveva posato la fiamma e si era sfilata le protezioni.
«Sono sporca e sudata perché sto lavorando per te.», la disfatta.
«Bene, non smettere. Il resto non ha importanza.», la vittoria.
Non le piacque. E non poté nemmeno replicare perché il tetro invasore se ne andò reiterando le movenze invisibili con le quali era balzato sul trabattello.
Hai perso.
Ovviamente, la coscienza.

«Smetto. Io smetto, perché sono libera di decidere e me la voglio fare una doccia, me la merito.»

 

 

~ ~ ~

 

 

La città provinciale di Kumo distava dieci chilometri dai confini dalla più grande Città dell’Ovest.
Se si prendeva la strada principale, partendo dal centro di West City, ci si arrivava in meno di trenta minuti. Senza contare il traffico. Comunque, chi viveva lì lavorava certamente a West City; Kumo era un posto che non aveva molto da offrire e la grande metropoli che gli era vicina stava man mano fagocitandola come proprio distretto.
Chi, al contrario, viveva a West City andava a Kumo per passare il weekend, perché Kumo offriva dei soggiorni tranquilli, in villette singole, dove, quando ci si affacciava alla finestra, si poteva far viaggiare lo sguardo verso le montagne limitrofe, senza grattacieli ingombranti a nasconderne il panorama.
L’affitto di questa sorta di appartamenti disposti su due piani non era molto caro. Potevano permetterselo anche gli studenti che a West City non avrebbero avuto soldi sufficienti per prendere in affitto una stanza. Perché gli alberghi nella Città dell’Ovest erano molto cari. 
Uno tra i diversi motivi che avevano spinto Yamcha a scegliere Kumo e non West City come posto in cui nascondersi.
Nascondersi alla polizia. Se, eventualmente, lo stessero cercando.
Col suo stipendio di giocatore della World League, la pigione di un appartamento a Kumo non era un problema. Ma le ossa rotte della propria mano sinistra, sì. Ossa non guarite, non medicate, ci sarebbe voluto più di un intervento chirurgico per rimetterle tutte al loro posto. Yamcha si era limitato ad utilizzare delle bende: le aveva sistemate legandole molto strette da immobilizzare le dita e i movimenti del polso. Certo, non risolvevano il problema e il dolore. E la forma raccapricciante.
Per questo, lo spilungone era intento ad assumere un’altra dose di morfina via parenterale, iniettandosela direttamente nella coscia sinistra. La prendeva da un kit di emergenza messo in dotazione per i giocatori dei Titan e consegnato all’interno di una capsula ad ogni membro della squadra. Lui però s’era fatto aggiungere quella sostanza con vari sotterfugi, era necessaria la prescrizione medica per averla.  Ma in passato, aveva pensato potesse tornargli utile durante un altro tipo di duri allenamenti, uno come quello svolto prima dell’arrivo dei saiyan. 
Ci aveva visto lungo.
Tuttavia, di lì ad un giorno, le dosi sarebbero finite; e di conseguenza sarebbe tornato il dolore atroce. Questo era un altro problema.
Se non avesse tentato un assassinio sotto le videocamere, avrebbe potuto raggiungere un ospedale, uno qualunque, e farsi medicare senza correre il rischio di essere riconosciuto. Oppure, avrebbe potuto farsi curare direttamente dall’equipe medica della sua squadra di baseball. Ma gli avrebbero fatto domande e l’avrebbero messo in panchina.
Era stato stupido, aveva fatto una cazzata. Non era rimasto lucido e aveva anche fallito.
Il saiyan era vivo. Lo era eccome: durante i giorni trascorsi dalla bravata, Yamcha aveva percepito l’aura di Vegeta intensificarsi più volte non lontano da Kumo. Quindi, sicuramente a West City. E se non nell’ospedale, alla Capsule Corporation. A casa di Bulma. Con Bulma.

Aveva ancora le brache calate per essersi fatto l’iniezione, ed immerso nella penombra, con le serrande basse attraverso le quali il sole entrava spione creando affilati tagli di luce, Yamcha la immaginò fare l’amore con la scimmia mannara: immaginò la carne aprirsi, invitare l’alieno assassino, la bocca piccola formare un ovale socchiuso di goduria, immaginò sentirla gemere di piacere, probabilmente come mai aveva fatto con lui. E immaginò l’animale schifoso strizzarle i seni. E grufolare e venire dentro di lei.
Digrignò i denti, avrebbe perso il senno di nuovo. Batté il pugno sul bracciolo della poltrona su cui era seduto. L’impotenza lo legava alla sedia. Aveva perso un’occasione d’oro, per ammazzarlo. Avrebbe voluto vedere il saiyan soffrire come un cane, come meritava. Invece, ora, poteva solo starsene seduto a rodersi il fegato.
Doveva parlare con Bulma, insistere, provare nuovamente a convincerla.
Per questo altro motivo, Yamcha non si era allontanato troppo da West City e non era tornato nella Città del Nord.
Credeva ancora di potersi avvicinare tanto alla sua donna.
Il telefono squillò, la suoneria metallica sembrò rimbalzare su ogni masserizia che arredava anonimamente la camera.  Yamcha lo lasciò andare a vuoto, non rispose. Sapeva chi lo stava cercando, era almeno la cinquantesima chiamata persa tra quelle ricevute nel giro di una settimana. Il suo agente personale e il coach gli avevano probabilmente strappato il contratto. Lui li aveva avvisati che tornava a West City per un’emergenza. Ma non aveva specificato nulla di più. Aveva pensato che avrebbero potuto comprendere il resto da soli, guardando il telegiornale. Vedere la Capsule Corporation bruciare non era uno spettacolo di tutti i giorni.
Adesso, la priorità la aveva la salvezza di Bulma, la salvezza della propria vita, del suo futuro con lei e del bambino che Goku le aveva augurato in quel giorno di predizioni orribili. Un figlio che lui aveva provato a rendere realtà.
Forse, la presunta tresca col saiyan continuava ad essere una sua paranoia e il danno da risolvere invece era tra se stesso e Bulma. Doveva spiegarle l’equivoco accaduto in televisione. Sì, era semplice, quante volte si erano trovati in una simile situazione? Tante che nemmeno ricordava; e lui le aveva risolte tutte. Poteva farcela.

Non lascerò che qualcuno o qualcosa distrugga quello che insieme abbiamo costruito.
Tu sei ancora mia, Bulma.

E col sogno bello che aveva creato, però claudicante sulle stampelle dell'illusione, appena sentì la morfina ammorbidirgli le membra e scaldargli i muscoli; Yamcha si tirò su i pantaloni e uscì diretto a West City. 

 

 

~ ~ ~

 

 

Aveva impiegato venti minuti per farsi la doccia e asciugarsi i capelli. A differenza del dispetto che avrebbe voluto fare al saiyan. Pareva che il tempo fosse interamente da dedicarglisi. Anzi, lo era, e da giorni trascorsi al chiodo in laboratorio. 
La scienziata aveva temuto di rivivere il mese che l’aveva tenuta lontano da lui prima dell’incidente. Ma stavolta, era andata diversamente: non aveva perduto sangue, Vegeta le aveva rivolto la parola dopo tre giorni e poco importava se per ribadirle che, certamente, quanto accaduto tra loro era squisitamente dimenticabile. Lei se lo sarebbe inciso volentieri sulla pelle, usando un punteruolo o la fiamma del cannello che le piaceva tanto. Quasi, desiderava avere un segno del suo passaggio. Affinché tutti potessero vedere che lei gli apparteneva, che era la donna del Principe dei Saiyan. Non lo doveva nascondere a nessuno, non più.
Averlo visto salire sul trabattello per raggiungerla, poi, era stata una lieta sorpresa. Un miracolo.
Per questo c’era una festa, nella testa della scienziata. Avrebbe lanciato coriandoli ovunque, li avrebbe ficcati anche nella bocca di chi non sorrideva alla sua felicità e avrebbe soffiato lingue di Menelik a perdifiato, fino a sentire i polmoni scoppiare, rompendo i timpani a qualunque persona avesse negato l’esistenza del loro rapporto.
E venti minuti passati a rinfrescarsi erano stati eccessivi: sprecati, perché voleva trascorrere più tempo possibile in compagnia del saiyan, invitandolo a fare una passeggiata, portandolo a vedere dei posti carini – per lei – e mangiare insieme a lui fragole con tanta panna. Desiderava, con la bocca piena di zucchero, conoscere i suoi incubi, il passato, l’origine di ogni cicatrice. E fare l’amore. Ancora. In maniera diversa.
Non accetterà. È Vegeta, non il figlio dei vicini da presentare ai tuoi una domenica a pranzo. Né il fidanzatino da portare alle feste con gli amici.
Bulma indossò un maglione che le lasciava tatticamente scoperto l’addome, così da poter mettere in mostra l’ombelico, ricordo tenue dell’orifizio chiuso fra le sue gambe.
I jeans che infilò ne rimarcavano esistenza e collocazione, fermandosi appena sotto l’ombra del cerchietto di pelle raggrinzita, nonché, una volta, bocca per la sua se stessa immersa in una sacca di liquido amniotico.
Mise un cappotto lungo, a portafoglio, color cammello; acchiappò la borsa e portò con sé l’idea di incontrare Vegeta, il potere di parlargli e di invitarlo ad uscire. Sempre senza preservativi. Tardava ancora a farci caso.
Era caparbia e troppo convinta. C’era del quotidiano da costruire insieme a lui, che sarebbe stato diverso, lontano da qualunque normalità da lei e dagli altri finora intesa.

Quando la scienziata raggiunse il cortile della Capsule Corporation, aveva il batticuore. Era l’ultima possibilità che le era rimasta di incontrarlo: in casa e nei laboratori non le era capitato di vederlo, il dottor Brief le aveva riferito che, da quando anche lei se ne era andata, Vegeta non era più tornato. E ne era sicura: il bieco testardo non stava nemmeno nella camera con scritto “divieto d’accesso alle belle signorine di nome Bulma”.

Circumnavigò il perimetro ovale della CC e a passo svelto arrivò nella parte più interna e privata del giardino. Lì, venne folgorata dall’erba verde che scintillava fresca, in netto contrasto con delle sedie dipinte di bianco e disposte una di seguito all’altra. Ne poteva contare circa sessanta, un gruppo di trenta a destra e un altro a sinistra. In mezzo, un tappeto blu.
L’effetto comunque restava lo stesso che avrebbe avuto avvistando un campo verde infilzato di croci in marmo disposte tutte in fila, su più file, e tutte parallele, alla stessa distanza.
Davanti alle sedie c’era un palco, ed era alto da stare a mezzo metro da terra.
Due donne che Bulma non conosceva stavano preoccupandosi di adornare sedie e palco stesso.
Tanti fiori. Bianchi anche loro. Erano gigli e orchidee.
Che qualcuno avesse sentito il suo animo in festa e avesse allestito una suggestiva scenografia per lei?
Eppure, il presentimento che le trasmetteva quella scena non era piacevole. Al contrario, era sinistro e intollerabile. Sì, la scienziata stava arrabbiandosi prima ancora di capire la natura di quella pagliacciata. Non ebbe neanche il coraggio di chiedere ad una delle sconosciute – che continuavano a calpestare il giardino di casa sua senza notarla – il significato della loro presenza lì. L’incredulità raggiunse il picco quando Bulma scorse sua madre parlare con tre uomini. Sua madre, all’interno di un altare in legno, chiuso in alto da una cupola ottagonale e sorretta con otto colonne dipinte a spatola. Che alla luce del sole rilucevano come marmo, pure loro. Ma il sole stava sparendo veloce dietro le nubi. E quelle brillavano sempre meno. La scienziata sfilò tra le sedie e salì sul palco. Dove stava l’altare.
«Mamma... »
«Quindi, signori, cerchiamo di mettere le luci qui e appena parlerò con mia figlia vi dirò se adorneremo la cupola di gigli o di orchidee. O entrambi, ah ah ah!»
Era stata ignorata: «Mamma, sono qui.»
«Oh, che emozione! Chissà che faccia farà la mia Bulma quando vedrà quest–»
«Mamma, io sono qui!»
Gridò isterica, perché maggiormente la sua coscienza andava arricchendosi di dettagli a proposito della situazione e più il palco e le sedie la inquietavano.
«Ah, tesoro! Non mi ero accorta di te.»
«Spiegami, cos’è questa baracconata? Di chi è la festa?»
La signora Brief sorrise ad occhi chiusi: «Cara, avrei voluto fartelo vedere già sistemato, va’, fa niente, sono felice che tu sia venuta, così finiamo di scegliere insieme tantissime cose!»
Scegliere?
«Poiché l’abito è bianco, credo che rimanere su quella tinta e rispettarne la semplicità sia l’abbinamento migliore. Il bianco poi è il colore della fedeltà, della purezza. Sì, lo so, lo usano tutte, ma tu sarai speciale, unica! Ehi, voi laggiù, fate attenzione, quelle statue sono delicatissime! – disse la signora Brief, piroettando sulle proprie scarpe mentre si rivolgeva a quattro coppie di facchini arrivati a scaricare delle casse contenenti angeli scolpiti a grandezza naturale; li stavano sistemando ai lati dell’altare; e Bulma, intanto, sgranava gli occhi e impallidiva, più di ogni fiore bianco, più della vernice ripassata di fresco sulle sedie, più della pietra fredda delle figure alate – Le ho fatte arrivare da lontano, sono costate parecchio ma sono spettacolari. Insomma, tesoro, ti stavo dicendo... Preferisci i gigli o le orchidee bianche?»
Il palato asciutto diventò una superficie abrasiva su cui si mosse la lingua. Le fece male. La scienziata tentò di dosare furore e insofferenza: «Mamma, cosa stai combinando?»
«Tesoro, ma... Non capisci? Mi sto occupando del tuo matrimonio, so che adesso sei impegnata con Vegeta e che hai da fare in laboratorio, per questo la tua mamma si prenderà cura di ogni aspetto. Ho già parlato con alcuni bravissimi chef per il menu di nozze, e poi ho pensato alla musica, la avremo dal vivo. A proposito, tra poco arriverà la stampa, ci faranno un’intervista proprio sui preparativi, sarà il matrimonio dell’anno! Cara, non sei eccitata?!»
Una mosca impazzita la si poteva uccidere schiacciandola. Ma quella era sua madre.  
I facchini le passarono accanto, avevano spacchettato gli angeli. Lei avrebbe spiccato via la testa ad ognuno di loro col solo sguardo.
«Manda via queste persone.»
«Come?»
«Sì, manda via tutti, soprattutto la stampa.»
In televisione si parlava ancora dell’incendio che aveva colpito la Capsule Corp. e della gente rimasta coinvolta. Altre grane sarebbe stato saggio evitarle.
«Cara, io ho già preparato gli inviti e... Oh, ma ciao Vegeta! Buongiorno!»
Bulma tremò. Non trovò la forza di far ruotare le caviglie. Usò la coda dell’occhio, si voltò appena: il saiyan era in piedi, tra le sedie, affascinante come mai. Si era cambiato, indossava jeans e pelle nera. Sembrava una rockstar.
«Bulma, lo hai detto a Vegeta? Glielo hai detto che ti sposerai con Yamcha?»

No. Questo adesso no.

Era la sua, la bocca soffocata di coriandoli. Ed impiegò minuti prima di elaborare una frase che l’avrebbe scagionata.
«Mamma, no! Non c’è, non ci sarà alcun matrimonio! Io e Yamcha ci siamo lasciati! Lasciati, capito?! Manda via queste persone e fai smontare questa roba!»
E poco importava se la sua premurosa mamma la guardava incredula e dispiaciuta e i presenti la prendevano per un’invasata, Bulma stava parlando a Vegeta, sperava la stesse ascoltando. Perché il malinteso era immenso e le prove tutte contro di lei. Da sua madre che parlava senza sapere, sino all’ultimo petalo bianco che testimoniava contro la sua purezza.
«Bulma, io... Io pensavo fosse tutto a posto fra di voi... Perché non me ne hai parlato?»
Quando la scienziata tornò con gli occhi alle sedie, Vegeta non c’era più. E le ipotesi erano due: se ne era andato prima ancora di sentire la sua versione urlata al cielo, o aveva ascoltato, andandosene perché non ci aveva creduto.
Il risultato ugualmente non variava.

Si farà un’idea sbagliata.

Se non se l’è già fatta.

«Dove è andato?», chiese disperata, prima a sua madre, che scosse la testa senza sapere la risposta, poi si rivolse agli altri presenti: «Avete visto dove è andato? Quale direzione ha preso?»
Penserà che l’ho tradito.
Una delle donne si lasciò cadere i fiori dalle mani e le indicò un punto, Bulma ne seguì la traiettoria.
Avvistò Vegeta fuori dalla Capsule Corporation.
Doveva raggiungerlo. Spiegarsi.

 

 

~ ~ ~

 

Un’ora dopo.

 

Da Kumo a West City, volando, ci si impiegava quanto il battito d’ali di un colibrì. Yamcha era nella Città dell’Ovest. Camminava, adesso. Perché se avesse continuato a volare, qualcuno avrebbe potuto scoprirlo accorgendosi della sua aura. Qualcuno come il saiyan che, se disgraziatamente ricordava, poteva reclamare la sua testa come pegno per il disturbo arrecatogli durante il coma.
Yamcha aveva un paio di occhiali da sole scuri sopra il naso e teneva la mano offesa in una tasca della giacca che indossava. Il piano era quello di avvicinarsi a Bulma e parlare con lei. L’avrebbe fatto con calma, niente grida, niente mani alzate. Si sarebbe controllato. E se lui si controllava lei non avrebbe potuto dirgli no. Ne era assolutamente sicuro.
In dieci anni di relazione non era mai stato violento con lei. Era colpa del saiyan se aveva perduto la calma a tal punto. Lei avrebbe dovuto capirlo e avrebbe dovuto fidarsi nuovamente di lui. Era ancora il suo uomo, pure se Bulma gli aveva detto che tra loro era finita. Ed era così anche agli occhi dei genitori della scienziata: lui restava il promesso sposo.
Si sarebbe presentato in tal modo alla Capsule Corporation, il signore o la signora Brief gli avrebbero aperto la porta e lo avrebbero accolto.
Ma il sedicente sposo era ingenuo, non immaginava che la sposa agognata aveva svelato la verità proprio quella mattina; ed era talmente ignaro da non temere che lei potesse sapere del tentato omicidio.

Yamcha aveva preso la strada che l'avrebbe portato direttamente a scorgere la Capsule Corporation, avanzava sicuro, finché un evento, una presenza indistinguibile, lo sconvolse: ad un isolato da lui, avvertì un’aura, quella, fra tutte le conosciute, che avrebbe voluto sentire mai più. La percepì esplodere improvvisamente ed affievolirsi un attimo dopo. 
Non poté fare a meno di correre. 
Si diresse dove l’aura s’era manifestata e assistette: avrebbe preferito essere accecato con dell’acido formico: non si era sbagliato: l’aura apparteneva a Vegeta.
E l’orrore maggiore fu scoprire che non era solo: c’era Bulma. Non c’era la distanza. Il saiyan, la sua Bulma... vicini, troppo attaccati, e non v’era paura: gli occhi di lei luccicavano d’apprensione. Peggio: Bulma stava rivolgendosi a Vegeta come una serva al suo amato signore.
Li osservò prendere una direzione, li osservò camminare insieme, legati da chissà quale maleficio.
Era sempre stata colpa del saiyan.
La bocca si allagò di saliva amara, un reflusso potente gli avrebbe fatto vomitare l’anima seduta stante. Colpito dalla delusione annientante, Si sentì risucchiare le viscere dal disgusto.

Li seguì.

Perché la candela della speranza s’era spenta ma la cera bollente lo confondeva facendogli credere che stesse ancora bruciando.

 

 

Al bar.

 

 

Ti piace vivere di illusioni, quindi soffri.

«Hai visto tu stesso stamattina che la gravity room è incompleta. Ci sto ancora lavorando.»

Che ti serva da lezione.

Si puniva, Bulma. Credere che lui potesse sentirsi tradito, che potesse essere geloso di lei. Convincersi d’esser per lui la donna che gli apparteneva... A chi avrebbe potuto farlo credere se Vegeta stesso la rinnegava?
E quella corsa. Per ottenere cosa?
Scoppiarono tutti i palloncini nella sua testa e i coriandoli si trasformarono in pezzetti di carbone nero che caddero a neve sopra al suo carrozzone della gioia.
La festa era finita.
Avvicinò di più la sedia al tavolo del bar. S’aggrappò ad esso per non collassare alla scontentezza.
Io e Yamcha non stiamo più insieme.
Avrebbe voluto ribadire, ma che importanza avrebbe potuto avere? Vegeta era il ritratto fiero dello stoicismo più menefreghista.
«Non... Non ti interessa sapere se io-», proseguì, imitando un tono da psicologa. La aiutava a mostrarsi distaccata quasi quanto lui.
«Mi interessa sapere come sta andando la costruzione della gravity room», Vegeta affossò il tentativo.
«Io e te siamo stati... insieme», insieme uscì tremolante. 
«E allora?»

E allora che fine ha fatto il Vegeta di stamattina? La passione di tre giorni fa? Noi?

Vuoi un consiglio? Smettila di fargli indossare gli abiti del “principe azzurro”. Sei una donna, non una bambina.

Bulma bevve un altro sorso di tè. Era diventato freddo, non serviva a scaldarla. 
Scegliere un maglione corto era stato stupido, probabilmente lui non l’aveva notato.
È un saiyan, mettitelo in testa.
«Ho capito: se un altro uomo passa del tempo con me, o la notte con me, a te non frega niente», non era stata una domanda, ma un pensiero detto ad alta voce. Una considerazione. Tra i saiyan funzionava così: c’era libertà, la coppia era aperta e non esistevano vincoli.
È la coppia a non esistere nel tuo caso.
Vegeta, però, aggiunse parole non richieste: «Puoi passare giorno e notte con chi preferisci. Sei libera di fare quello che credi per quel che mi riguarda.»
Era un patto? Un compromesso?
Mi stai parlando come uno sconosciuto.
Capitava pure tra i terrestri: un uomo e una donna potevano trascorrere un momento di passione insieme e poi lasciarsi.
Non crollava il mondo.
È capitato, tra noi.
Sì, è capitato. Eri il saiyan che voleva ammazzare tutti per vendicarsi di Goku e conquistare la Terra.
Ed è capitato e che poi io ti abbia invitato in casa mia e che tu non abbia rifiutato l’invito.

Così ho cominciato ad interessarmi a te. Ti ho compreso, ti ho attaccato e tu m’hai guardato e ti sei difeso. Ma non volevi ferirmi davvero. Ed io sono pazza, quindi, ti ho portato via dall’ospedale dove ti avrebbero ucciso.
Tu sei venuto da me, non volevi ringraziarmi, e abbiamo fatto l’amore. 
Qualcosa del genere.

Sì.

È certamente capitato.

«D’accordo.»
Non aveva altro da dirgli. Il silenzio diventò imbarazzante unicamente per lei.
Vegeta ancora si lasciava occupare la bocca dall'ultimo pezzo di cheeseburger.
In qualche modo, osservarlo mangiare rappresentava un pezzetto di quel quotidiano che avrebbe voluto costruire con lui. Doveva imparare ad accontentarsi.
La cameriera tornò e iniziò a portar via i piatti vuoti. Fu costretta a farlo più di due volte, perché le portate erano state molte. Quando provò a togliere la tazza di tè finito, la scienziata non le permise di farlo: la tazza era buona per avere qualcosa da stringere tra le dita.
«Desiderate altro?», ancora la cameriera.
Fragole e panna.
Le avrebbe ordinate sotto forma di gelato o su di una fetta di torta, o nel modo più zozzo: affogate in una coppa grande ripiena di sola panna fresca. E le avrebbe gustate usando le dita. Che si sarebbe leccata davanti agli occhi del saiyan, magari sarebbe riuscita  a metterlo in imbarazzo.
Stava per decidersi. Non lo fece; perché di fronte a lei, alle spalle di Vegeta, fuori dalla vetrina del bar, comparve un fantasma, uno spettro a cui non aveva più pensato perché la sua vita era andata avanti, aveva galoppato per miglia ed era riuscita ben bene a nettare quella parte di esistenza condivisa con lui, Yamcha.

Aveva due occhi da stravolto che parevano voler infrangere il vetro che li separava per disintegrare lei, Vegeta e le persone presenti.
Se Vegeta lo vedesse...
«Se volete posso portarvi un caffè o un dolce... Abbiamo delle ottime crostate alla marmellata di visciole», la cameriera proseguiva col suo lavoro. Di clienti tanto strani non ne aveva mai avuti, sperava che almeno le lasciassero una lauta mancia.
Comportati normalmente, o se ne accorgerà.
Yamcha non se ne andava. Se lei e Vegeta si fossero alzati in quel momento, si sarebbero incontrati faccia a faccia con lui.
«Prendo volentieri la crostata che ha detto», le serviva tempo.
Però, se accadesse.... Mi ha appena fatto capire che sono libera, che non gliene frega nulla di me. 
Provocare la gelosia del saiyan si stava palesando come un interessante esperimento.
Chissà quale reazione avrebb- Non essere incosciente! Yamcha ha tentato di ucciderlo, lo hai dimenticato?
Sì, ma non può fargli nulla adesso. Vegeta lo metterebbe subito al tappeto.
Tu da che parte stai?
«Ci vuole anche della panna, signora?»
Sì, tanta. Da nascondermici.
«Molta, grazie.»
Doveva attuare una strategia. Se Yamcha avesse varcato la porta d’ingresso del bar, sarebbe potuto accadere il finimondo.
Non avresti la forza di fermare nessuno dei due.  
Ma non dovette sforzarsi: rimessi gli occhiali neri, lo spilungone andò via.
Bulma tirò un sospiro di sollievo.
«E lei, signore? Prende anche lei la crostata?»
«Ne faccio volentieri a meno della vostra crostata!», la risposta scortese, oltre a lasciare interdetta la cameriera, che se ne andò veloce ed impaurita, catturò l’attenzione di una Bulma rimasta a guardare e memorizzare la direzione che Yamcha aveva preso.
La scienziata tornò a rivolgersi a Vegeta. Il saiyan la stava fissando intensamente.
«Non ingrasserò con un pezzo di crostata, tranquillo.»
Nonchalance, gliene serviva a chili.
Vegeta sembrò tornare ad avere un’aria disinteressata. A lei, invece, tornarono alla mente le immagini che ancora stentava a prender per vere. E le parole dell’infermiere:

“Stia attenta a quell’uomo, quello del video, ha tentato davvero di uccidere suo marito.”

Proprio perché il pericolo era scampato e non si sarebbe più ripetuto, Bulma interpretò quell’incontro... non casuale, ma una preziosa possibilità per chiarire la situazione, sentirsi dire che c’era stato un equivoco. E voleva sentirselo dire dal diretto interessato. Ne aveva bisogno per chiudere una volta per tutte quella storia e perché credere di Yamcha un assassino le faceva male.
Non doveva farselo scappare, finché era in città. Doveva raggiungerlo prima ch'egli se ne andasse.
E per farlo, a malincuore, avrebbe dovuto lasciare Vegeta.


Fallo irritare, se ne andrà.
Come?

Conosci la risposta. Prova a tirare ciò che lui detesta affrontare. 

Era fin troppo facile. Prese fiato: «Stavo pensando, intanto che arriva la mia buonissima crostata, che sarebbe opportuno chiedere a... –  dio, l’ultima volta ci ho rimesso il ginocchio –  che sarebbe opportuno chiedere a Goku dei consigli per aiutarti a diventare un super saiyan. Che ne pensi?»

Andata. E non c’erano vie di fuga. 
Come s’aspettava: lo vide alzarsi lentamente, stringere il tavolino da entrambi i lati e piegarsi avanti, sopra di lei.
Le venne spontaneo chiudere le braccia ad ics. Un riflesso di autodifesa.
Lo sguardo di Vegeta era omicida, più omicida del solito.

Stavolta ho esagerato. Stupida, stupida, stupida! 


«Pensa ai fatti tuoi, Bulma. E. Restane. Fuori.»

Vegeta aveva ringhiato tra le fauci, corrosivo e spaventoso. Senza smettere di inchiodarla con lo sguardo, il saiyan afferrò uno dei bicchieri rimasti e che la cameriera non aveva portato via; lo spaccò sbriciolandolo fra le dita come fosse stato di gesso. 
Un gesto esplicativo della fine che avrebbero fatto le ossa delicate della scienziata, se lei avesse osato di nuovo provocarlo.
La gente intorno si voltò a guardarli richiamata dal rumore del vetro infranto.
Bulma, seppur terrorizzata, non smise di sostenere lo sguardo pericoloso del saiyan: occhi perniciosi e denti serrati. Per un fugace secondo, scorse la bestia nascosta in lui. L’avesse visto trasformarsi in quel mostro che pure Goku era stato, sarebbe morta dalla paura.
Vegeta la fissò ancora per un po’, sdegnato. Dopo, strusciò con forza la mano sul tavolino per liberarsi dei pezzi di vetro attaccati al palmo e tra le dita. Se ne andò.

C'era riuscita. Ma sul piccolo tavolo era rimasta un'impronta di sangue.

 

 

Continua...

Note dopo disegno, e se li avete perduti, ci sono nuovi miei disegni inseriti nel capitolo 11 e 13. Andate a vederli!

Note:

1) Kumo: non l’ho inventata, episodio 21, serie z, in un frame dimenticato da tutti appare un cartello con scritto Kumo 3 km. Ma io che ho fatto? Ho preso il nome e anziché far sì che fosse un posto vicino Est City, dove atterrano i saiyan, l’ho messo vicino la Città dell’Ovest ed ho aumentato i chilometri di distanza da quest’ultima.
2) Che gli alberghi siano cari a West City lo immagino. Lo dice Bulma a Vegeta nel manga, anche se non specifica se la città sia proprio West City. Manga 28.
3) Ho ripreso dal punto che avevo lasciato in sospeso nel capitolo precedente di loro, Bulma e Vegeta seduti al bar. E vi ho raccontato cosa era accaduto prima. Perché lei lo stava cercando.
Ah, Yamcha sente l'aura di Vegeta mentre il saiyan la aumenta per "evitare la morte" a Bulma. 

4) Colpo basso da parte di Bulma nominare Goku, non credete? Ma voi ci credete al fatto che Vegeta non si sia accorto di nulla? E sulla gelosia, che mi dite? Va be’ dallo scorso capitolo sappiamo già che, almeno a proposito del maglione corto, Vegeta lo aveva notato e ne era rimasto molto infastidito. Perché a causa di Bulma tutti li stavano guardando. E a lui non piace essere fissato. Per quanto riguarda tutte le domande che si fa Bulma, io le trovo lecite, sta iniziando una relazione con lui. E quello che io ho sempre visto di lei, non è disperarsi e strapparsi i capelli se lui si comporta in modo distaccato e menefreghista, ma accettarlo, quasi non farci caso. E come arrivare a questo se non dopo averlo conosciuto come si deve. Il loro rapporto è agli inizi, deve mettere radici e incominciare a delinearsi quell’equilibrio strano che fa di loro una coppia sempre strana. Non volevo piagnistei, non volevo isterismi da sedotta e abbandonata. Suvvia, è una donna, non una ragazzina che ha perso la verginità a quattordici anni col balordo sbagliato.
5) Sì, tra Yamcha e Bulma non è finita, ve lo avevo detto che sarebbe ritornato. ^^ Io lo adoro.
6) C’è un nuovo disegno e se qualcuno gli avesse perduti, ne ho aggiunti due nuovi rispettivamente al capitolo 11 e al  capitolo 13, se cliccate sui numeri vi manda alla pagina diretta.

Ora, se qualcuno si fosse perso le mie utimissime pubblicazioni. Ve le metto qui:

Carezze ad una lettera d’amore incastrata in un distributore automatico di sbadataggine.

Ultima edizione del torneo Tenkaichi: ci siamo appena liberati dell'eroe Son Goku, che se ne va con Ub,
ma la competizione va avanti, perché il mondo gira bene e gira anche meglio senza di lui (ti adoro Goku); in specie per una coppia che sta per nascere. Una Marron che parla e un Trunks che agisce. Roba mai vista. Buona lettura.

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ATTENZIONE: ALLA FINE DELLA OS È PRESENTE UNA BREVISSIMA ANTEPRIMA DEL CAPITOLO 14 DI STANDBY

Autore: Evil Daughter | Pubblicata: 27/04/21 | Aggiornata: 27/04/21 | Rating: Verde
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno 

Personaggi: Goten, Marron, Trunks | Coppie: Marron/Trunks 

 

GLI ALIENI... NON ESISTONO.

Più la nascondi, più la verità torna a galla. Come un cadavere. Il piccolo Trunks scoprirà qualcosa che il suo papà non potrà più nascondere. Dal testo:"Si misero entrambi a ridere, brillavano gli occhi a tutti e due. Di fantasia, di ludico e puerile. Ma quando il vento cessò, abbassando le polveri, e i toni della terra si rivelarono essere più chiari e diversi rispetto a ciò che malamente inumavano; poco lontano da loro e dal cratere camuffato di verde spoglio, un misero dettaglio – qualcosa di forma strana, quindi aliena come aveva detto Trunks – apparì."
Easter egg per voi. Buona lettura.

Autore: Evil Daughter | Pubblicata: 03/04/21 | Aggiornata: 03/04/21 | Rating: Giallo
Genere: Drammatico, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno 

Personaggi: Bulma, Goten, Radish, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta 

 

   
 
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