Vestiti casual addosso, raccattati al
duty free, mani in tasca, una sacca con il minimo indispensabile, Ryo e
Shinsato erano al gate dell'aeroporto, pronti per l’imbarco
dello sweeper,
destinazione Sud America.
La mano di Ryo andò al petto, dove
mancava la fondina e la Python, senza il cui peso e la presenza si
sentiva
nudo. Aveva freddo, Ryo: si sentiva gelare, ma soprattutto avvertiva un
senso
opprimente di solitudine, e aveva la netta impressione che non sarebbe
stato
mai più felice - non senza i fratelli Makimura nella sua
vita, senza i suoi
amici, senza la famiglia che negli anni si era creato, quelle persone
che,
nonostante tutti i suoi tanti difetti, le sue stranezze, nonostante
conoscessero il suo passato e le colpe di cui si era macchiato, avevano
scelto
di rimanergli accanto negli anni e supportarlo nelle sue scelte,
spingendolo a
crescere.
“Avrebbe dovuto
cedere fin dal principio, signor Saeba,” Shinsato
sogghignò, apparendo perfino
più tronfio di quello che effettivamente era: Stava fiero,
impettito nemmeno
fosse un pavone, mettendo il petto in bella vista, senza nemmeno
accorgersi di
cosa l’uomo al suo fianco effettivamente provasse: lui aveva
raggiunto il suo
obiettivo, e tanto bastava, chiunque avesse incontrato lungo il suo
cammino si
meritava di essere schiacciato o peggio. “Beh, almeno si
è fermato in tempo, e
la sua amichetta non subirà ripercussioni… sono
un uomo d’onore, io!”
Ryo non gli
dette la benché minima attenzione, perso
nell’imprimere nella memoria ogni più
piccolo particolare della sua vita in Giappone, gli anni passati
accanto a
Kaori, la sua bellezza quel giorno, la perfezione assoluta di quella
creatura
che sembrava più divina che umana in quel giorno che sarebbe
dovuto essere uno
dei più belli della sua vita- delle loro
vite. Tirando un sospiro profondo, preparandosi psicologicamente al
lungo volo,
Ryo per un attimo rimpianse di aver parlato, e di averla lasciata
andare, di
non essere stato abbastanza uomo da piegarsi al bruciante desiderio che
per
anni lo aveva attanagliato.
Farla sua, non
per una notte ma per una vita intera.
Essere il suo
uomo- l’unico, il solo a conoscere il piacere che quel corpo
divino avrebbe
potuto dare e ricevere e provare. Essere suo maestro, insegnarle che
non era
meno delle altre donne, anzi, valeva dieci volte di più
della migliore delle
altre, e cosa significasse essere femmina fertile colma di desiderio,
un
desiderio per cui non aveva da nutrire pudore e vergogna,
perché totalmente
naturale.
Ma non avrebbe mai insegnato a Kaori
cosa significasse essere la sua amante.
Adesso, era
tutto finito. Lui se ne sarebbe andato, col tempo Kaori lo avrebbe
dimenticato,
sarebbe tornata a vivere la sua vita, una vita normale, da persona
comune, lontana
dal mondo della criminalità, degli sweeper e dei mercenari e
delle
organizzazioni malavitose come la Union Teope. Aveva sempre pensato che
quella
fosse la scelta giusta: adesso aveva trovato il coraggio di compiere
quel passo
e lasciarla andare, libera.
Non lo sapeva
ancora, appena ferita nel cuore e nell’orgoglio, ma un giorno
lo avrebbe
ringraziato, magari avrebbe chiamato come lui il suo
primogenito… o forse no.
Magari un giorno avrebbe deciso che dimenticare quella parentesi
crudele, fatta
di insulti e cattiverie e violenza sarebbe stato molto meglio, e lui
sarebbe
stato solo qualcuno a cui il suo pensiero andava, fugace, di tanto in
tanto.
Lui, invece,
non l’avrebbe dimenticata mai.
La piccola
Sugar Boy che lo aveva fatto riflettere su cosa volesse dire essere uno
sweeper, e mettersi
al servizio degli
altri.
L'irruenta
Kaori, che gli aveva insegnato fino a che punto un partner era disposto
ad
andare per il proprio compagno.
L’innocente
Cenerentola che gli aveva fatto battere il cuore.
La sua Sugar,
che gli aveva insegnato il significato della famiglia,
dell’amicizia…
dell’amore.
No, lui, Kaori
Makimura, non se la sarebbe tolta dalla testa fino a che avesse avuto
anche un
solo alito di vita in corpo.
“Ryo,
aspettami!” Lo sweeper sorrise, facendo un passo avanti, un
altro passo che lo
portava più vicino al paese dove era cresciuto, e
più lontano dalla sua Kaori,
scuotendo leggermente il capo: adesso, così concentrato su
di lei, aveva perfino
le allucinazioni uditive, e immaginava che lei lo chiamasse, con quella
dolce
voce rotta dal pianto, dal bisogno…
“Dannazione,
Ryo, vuoi fermarti e girarti,
brutto zuccone? Guarda che se non mi aspetti giuro che ti lancio dietro
uno dei
miei martelli!” Ryo sollevò il capo e
alzò un sopracciglio, chiedendosi se
fosse impazzito del tutto: continuava a sentirla che chiamava il suo
nome e lo
minacciava di prenderlo a martellate... quanto gli sarebbero mancate!
Ormai era
da parecchio che lo sciocco con le donne lo faceva solo per attirare
l’attenzione,
le ire e la gelosia di Kaori, conscio che quello era il modo maldestro
della
sua donna di marcare il territorio, una versione scenografica della
semplice
frase Ryo, mio!
Però poi Ryo vide
Shinsato alzare gli occhi al cielo, e grugnire in tono lamentoso, e
capì,
quando ancora e ancora sentì quella voce squillante chiamare
il suo nomee
minacciarlo, che non si stava immaginando tutto: Kaori era davvero
andata a riprenderselo!.
Lei lo aveva
raggiunto: aveva avuto il
coraggio di fare qualcosa che a lui non sarebbe mai passato nemmeno per
l’anticamera del cervello, codardo com’era nelle
questioni di cuore.
Ryo lasciò
cadere il borsone a terra e le corse incontro, prendendola tra le
braccia
quando lei gli si gettò addosso, braccia intorno al collo, il viso macchiato di
trucco nascosto nella
spalla del partner. Ryo la strinse, sorridendo, sentendo il suo cuore
che
finalmente riprendeva a battere, il suo corpo che si riscaldava, e come
un
fiore a primavera, tornava a vivere grazie alla carezza della presenza
della
sua amata.
“Non saresti
dovuta venire qui…” le disse, senza tuttavia
esserne veramente convinto, perché
in cuor suo sapeva che l’avrebbe aspettata per
l’eternità se fosse stato
necessario. “Sciocchina, adesso quest’ometto cosa
dirà?”
“Dica quel che
vuole, non mi importa, l’importante è che tu
senta quello che ho da dirti, Ryo, perché tu non puoi dirmi
che sono la persona
più importante della tua vita e poi andartene
così, dandomi le spalle,
affidandomi a Mick come se fossi un pacco postale… tu hai
detto la tua al
tempio, e adesso lasci parlare me, perché io sono una donna
adulta, brutto
idiota che non sei altro, non sono più la ragazzina che hai
incontrato tanti
anni fa o quella che il tuo migliore amico ti ha affidato!”
Proclamò la donna,
scostandosi da Ryo, e asciugando due grossi lacrimoni con la manica
dell’abito
da sposa, che rimase irrimediabilmente macchiato.
Tirando su con
il naso, la giovane abbassò il capo, le sue gote coperte di
trucco bianco che
si coloravano di rosso per l’emozione. “Ryo,
io… quello che ho detto quel
giorno all’ufficio dell’immigrazione…
è tutto vero. Ti amo da tanti anni, e
vorrei solo che tu potessi mantenere la promessa che mi avevi fatto,
che
avremmo festeggiato tutti i nostri prossimi compleanni insieme. Per
questo ho
accettato di sposarti, non perché fosse una tua imposizione
o chissà che, ma
perché… ti voglio, e basta. Non voglio vivere
senza di te, perciò se te ne vai…
io ti seguo, perché sono stufa che tu scelga per
me!”
Proprio come
quel giorno in cui si erano scambiati quella promessa, si presero per
mano, e
lui la trascinò nel suo caldo, sicuro abbraccio, respirando
a pieni polmoni il
profumo dell’incenso che aveva riempito il tempio, la pelle
calda di lui che
contrastava con la freschezza delicata della seta dell’abito
da sposa.
Erano sotto gli
occhi di tutti, ma per una volta, a Ryo non importava: che lo avesse
sentito
anche il mondo intero che Kaori era la sua donna, che si amavano, da
quel
giorno l’avrebbe sempre difesa, costasse quel che costasse,
nessuno si sarebbe
più potuto mettere sulla strada della loro
felicità, mafiosi, killer, burocrati,
si sarebbe occupato di tutti loro, in un modo o nell’altro.
Avrebbe difeso
Kaori. La sua famiglia. Quella che già
c’era… e quella che sarebbe arrivata nel
futuro, se il destino lo avesse voluto: renderla madre sarebbe stato la
coronazione del loro sogno d’amore, la sua dolce Kaori, cuore
della loro
famiglia, era nata per avere un figlio in grembo, nella sua vita,
crescerlo ed
amarlo.
“Sei davvero
sicura di volermi, di voler stare con me?” le
domandò, cercando gli occhi
bellissimi della fanciulla, che mai mancavano di fargli battere il
cuore
all’impazzata, emozionarlo come quel primo giorno di tanti
anni prima. “La tua
vita sarebbe molto più semplice se io non ci fossi, lo sai,
vero?”
“Forse, ma se
avessi voluto la semplicità,” gli rispose
scrollando le spalle, e alzando gli
occhi per incontrare quelli di lui. “me ne sarei andata
quando Hide è morto,
non avrei aspettato così tanto tempo. Ryo, io, io non voglio
un’altra vita,
perché questa mi piace, mi piace viverla appieno con te,
giorno per giorno,
anche se è piena di inconvenienti e avventure a volte senza
senso. Perché la
mia vita senza di te non avrebbe senso… sarebbe solo un
inferno senza fine.”
Sorridendole,
Ryo le portò le mani al viso, sollevandolo, e si
chinò su di lei; chiusero gli
occhi nel medesimo istante, e mentre Kaori si mordicchiava il labbro,
la bocca
di Ryo scese sulla sua in un bacio caldo e profondo che sapeva di amore e di casa, e che
la scaldò da capo a
piedi, rendendoli sordi al mondo esterno, a tutte le persone che
fischiavano,
sussurravano, spettegolavano, applaudivano e facevano pure loro delle
foto,
quasi fossero stati delle celebrità - e forse non lo erano,
ma mentre stavano
l’uno tra le braccia dell’altra, apparivano come i
protagonisti di una moderna
fiaba, non solo per la bellezza dei loro corpi, ma anche per quella
delle loro
anime che sembravano illuminare tutto.
Staccatosi da
lei, Ryo, con quel suo sorriso sornione, un po’ birichino,
che sembrava non
voler preannunciare nulla di buono, si mise in ginocchio, tirando fuori
dalla
tasca una scatolina di velluto nero che aprì con maestria,
con una sola mano,
prima di gettarla in un angolo, infischiandosene di dove sarebbe
finita. La
sinistra di Kaori nella sua, teneva tra pollice e indice un anello,
semplice,
una vera d’oro con un piccolo brillante, con una decorazione
semplice.
“Ma, ma, Ryo…”
Kaori si portò una mano al viso, cercando di nascondersi per
l'imbarazzo. “Tu
mi hai già chiesto di sposarti…”
“Dai, socia,
lasciamelo fare per bene, e stavolta sul serio… hai avuto
una proposta
immaginaria, una finta… la terza sarà la volta
buona!” Le fece l’occhiolino, il
sorriso che non ne voleva sapere di lasciare le sue labbra.
“Kaori, sono
ormai tanti anni che sei al mio fianco, nel lavoro… e nella
vita. Tu col tempo
sei diventata come un membro della mia famiglia. Ti amo, e sono
abbastanza uomo
da ammetterlo… e se lo vorrai, desidero che tu diventi parte
a tutti gli
effetti della mia famiglia…. per sempre.” Le
sorrise, sincero ed onesto; un
sorriso raro, di quelli che Ryo non dispensava a destra e manca, e che
proprio
per questo erano tanto cari a Kaori, che quasi sempre li riceveva.
“Kaori, lo
so che non sono perfetto, che ho tanti difetti, che il mio passato
è tutt’altro
che fulgido, ma se starai al mio fianco, cercherò di fare
del mio meglio per
essere degno di te... mi vuoi sposare?”
La donna fece
cenno di sì col capo, il viso solcato da lacrime di gioia, e
dopo averle fatto
scivolare l’anello al dito, Ryo si alzò in piedi;
la abbracciò, prima di
catturare la sua bocca in un focoso bacio, a cui fecero da sfondo gli
applausi
di tutti i presenti.
Di tutti,
tranne di uno… Shinsato, che mogio sospirava, prevedendo la
mole di lavoro che
avrebbe avuto nei giorni seguenti. Quando avrebbe dovuto rifare tutte
le
interviste sul caso Saeba… conscio,
stavolta, che non si trattava più di una farsa,
ma della realtà.
Gettato il
fascicolo alle sue spalle, se ne stava andando, mani in tasca, la sua
amata
ventiquattrore dimenticata in un angolo, quasi fosse stata solamente la vestigia di
un passato ormai da
dimenticare, quando si sentì chiamare per nome.
Svogliatamente,
cercando di apparire il più arcigno possibile, si diresse
verso la donna,
squadrandola con sguardo truce- uno sguardo che non durò,
perché lei gli
sorrise, disarmante, e lui alzò gli occhi al cielo,
sbuffando.
“E adesso cosa
vuole, Nogami?”
“Beh, stavo
pensando, che magari potrebbe fare a tutti noi un grandissimo
favore…” da
dietro la schiena, la donna produsse un foglio, che l’uomo le
strappò di mano e
studiò attentamente: era un certificato di matrimonio, a cui
mancavano solo
quattro firme: quelle degli sposi, dell’ufficiale che li
avrebbe sposati e di
un testimone.
Sbuffando come un toro inferocito,
Shinsato strinse tra le mani il foglio, spiegazzandolo. Davvero quella
donna
credeva… ma si rendeva conto di cosa gli stesse chiedendo?
Ma poi, come si
permetteva? Essere così sfacciata, così audace, e
così plateale…. Poteva essere
più palese il fatto che quella donna maledetta avesse
già organizzato tutto fin
dal principio, previsto tutti i vari scenari possibili?
E adesso osava chiedere, proprio a lui,
di rendersi loro
complice?
“Lei vorrebbe che
io…” sibilò a denti
stretti, senza finire nemmeno la frase. Gli occhietti arcigni si fecero
quasi
rossi, e Saeko vide effettivamente la somiglianza con certi ratti di
cui Ryo
aveva parlato.
Saeko batté gli occhioni e le ciglia,
mettendo il broncio come una bimbetta, tentando di apparire il
più civettuola
possibile mentre si avvicinava all’uomo, quasi strofinandosi
a lui.
“…Io vorrei tanto che lei
facesse
firmare a Ryo e Kaori questo documento che guarda
caso avevo con me, così da formalizzare la loro
posizione… lei dopotutto
nelle sue vesti di ufficiale governativo può
farlo… e qui ha tutti i testimoni
che vuole..” continuò, civettuola, passandogli una
mano sul petto, seducente e
manipolatrice.
“Ma… ma io,
veramente…” L’ometto fece
un passo all’indietro, tentò di mettere distanza
tra lui e la bella ispettrice,
ma lei non sembrava volerne sapere. Anzi: quasi sembrava che lei
continuasse a
cercarlo ancora di più, insistente nel suo approccio.
“Il fatto è che sarebbe un
tale peccato
sprecare altro tempo… Kaori e Ryo si amano così
tanto, e lei è all’antica, e non credo
che Ryo resisterà ancora a lungo
senza toccarla…
non so se ha capito cosa
intendo..” Gli fece l’occhiolino, e
l’uomo arrossì; alle sue spalle, sentendo
quelle parole, Ryo, che aveva ancora tra le braccia Kaori, prese a
sbavare,
solo a ricordare cosa era successo quella mattina, la sensazione di
stringere
Kaori con quel pigiama di seta addosso, avvertire sotto alle sue dita
ogni
curva… e far sentire a lei cosa
fosse
il vero desiderio, quanto lei lo accendesse e lo eccitasse.
Senza aspettare
che gli venisse dato il via, Ryo strappò le carte di mano
all’uomo e le firmò,
spingendole poi in mano alla sua sposa perché le firmasse
anche lei. Un po’
mogia, la donna guardò i fogli, poi guardò lui, e
poi prese a lamentarsi, con
sguardo truce.
“Certo che tu
il romanticismo nemmeno sai dove sta di casa, eh?” Kaori
sbuffò, tuttavia,
mentre parlava, la mano si muoveva veloce sulla carta, lasciando segni
precisi
e leggibili al suo passaggio. Una volta che ebbe finito, Ryo le
strappò di mano
il foglio, e lo passò prima a Saeko, per farla firmare in
veste di testimone, e
poi a Shinsato, che, lasciando anche
lui
la sua firma, alzò gli occhi al cielo, e mettendo poi il
documento nella tasca
della giacca, dato che non aveva la più pallida idea di
dove, in quel bailamme,
la sua valigetta fosse finita.
“Per il potere
conferitomi dallo Stato del Giappone e dalla città e dalla Procura di Tokyo,
vi dichiaro marito
e moglie. Può baciare….”
Occhi sgranati,
il burocrate sbatté le palpebre mentre vedeva Saeba
letteralmente divorare la
bocca della sua sposa, prendendola in braccio, prima di caricarsela in
spalle,
quasi fosse stata un sacco di patate, e correre fuori
dall’aeroporto senza
degnare nessuno dei presenti con un saluto, un grazie, o qualsiasi
altro segno
di civiltà: aveva decisamente fretta.
Evidentemente,
le storie che gli avevano raccontato su quanto la mente
dell’uomo fosse
incanalata ossessivamente verso un solo pensiero erano vere: Ryo Saeba
aveva il
sesso in testa ventiquattro ore su ventiquattro sì, ma non
con tutte, solo con
la sua donna. Alla fine aveva avuto torto, e quei due squinternati si
amavano
davvero alla follia. Certo, li avrebbe visti ancora per sistemare le
ultime
pratiche del caso, ma ormai era evidente che si sarebbe dovuto scordare
per
l’ennesima volta la promozione.
“Mah, Ryo!
Mettimi giù, so camminare da sola!” La donna
squittì, arrossendo vistosamente
in volto- sembrava essere una sua caratteristica peculiare, arrossire
sempre,
per qualsiasi cosa. “E poi è da maleducati
lasciare così gli ospiti!”
“Eh no eh,
Kaori, guai a te se ti lamenti!” Ryo sbuffò
mentre, donna in spalla, usciva
dall’aeroporto, attraendo le occhiate curiose degli
spettatori, che si
immaginavano essere su una Candid Camera. “Sono anni che mi
tengo dentro tutta
questa smania e tengo al guinzaglio il mio mokkori con te, fino adesso
ho fatto
il bravo… volevi arrivare pura al matrimonio? Ci sei
arrivata! Ma adesso
guardiamo di rifarci del tempo passato, va bene socia?”
Kaori non
arrossì, ma stringendosi a lui, e accomodandosi meglio nel
caldo e protettivo
abbraccio di Ryo, gli sorrise, e lui le lasciò un delicato
bacio sulla fronte,
che sapeva di amore, casa e futuro, promesse che stavolta Ryo Saeba
aveva ogni
intenzione di mantenere - erano finiti i tempi dei passi indietro.
“Non socia,
Ryo,” gli disse lei, lasciando un delicato bacio sul collo
dell’uomo, occhi
sognanti e una voce delicata, e per la prima volta Ryo
avvertì chiaramente
quanto Kaori in realtà non fosse più una
ragazzina, quella giovane da lui
incontrata tanti anni prima, ma donna, vera, reale, tangibile, dolce e
sensuale, tra le sue braccia.
“Hai ragione,
Kaori, adesso non posso più chiamarti socia, dato che sei
stata promossa…” Le
fece l’occhiolino, sorridendo sornione e fascinoso, ma tanto,
tanto innamorato.
“Ti va bene… Moglie?”
All’aeroporto,
Shinsato li guardò salire su un taxi e
allontanarsi verso la loro oasi di felicità e
lussuria, mentre lui
rimaneva lì col magone e le mani vuote: addio vacanza, addio
promozione, poteva
scordarsi un appartamento in un quartiere decente.
Fece un ultimo, disperato, tentativo, e
corse dietro alla macchina, rimanendo in mezzo alla strada mentre si
metteva a
gridare a squarciagola.
“VI
ASPETTO GIOVEDÌ ALLE SEDICI NEL MIO UFFICIO, NON PENSATE CHE
SIA FINITA QUI, IO
DEVO ANCORA INTERROGARVI!”
Tuttavia, lasciò ricadere le braccia,
lunghe, ai alti del corpo: ormai lo sapeva, quei due avrebbero passato
il test,
avrebbero superato qualsiasi prova che lui o il governo avesse messo
loro
davanti.
“Eh già, sono
proprio una bella coppia, eh?” L’uomo che lo aveva
raggiunto domandò, retorico,
stringendo una bella brunetta tra le braccia.
Shinsato si
voltò a guardarlo, ed un sorriso maligno, degno del
migliore-o forse peggiore -
diavolo tentatore si dipinse sul suo volto.
“Michael Angel,
se non erro….” Shinsato sogghignò,
facendosi sempre più vicino al biondo
americano. “Sa, mentre investigavo sui signori Saeba, mi sono
imbattuto in
alcune carte che la riguardavano molto da vicino, e ho pensato che
avremmo
potuto discutere della sua posizione nel nostro beneamato Paese a cose
fatte…”
eruppe in una risata sinistra, mentre ormai Mick si trovava,
letteralmente, con
le spalle al muro, ed il piccolo ed insulso burocrate davanti al viso,
incutendogli
terrore come e più di tutti i micidiali killer affrontati
nella sua lunga
carriera di sweeper. “Tra l’altro, mi saprebbe
spiegare come mai risulta
deceduto sul volo 512 della Japan Airlines? Sono proprio curioso di
sapere che
cosa si inventerà!”