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Autore: Gaia Bessie    02/06/2021    1 recensioni
Tre donne, tre voci.
Sullo sfondo di un processo per necromazia di cui la propria innocenza Asteria Greengrass non è intenzionata a dimostrare, Daphne, George, Draco ed Hermione respirano.
[3 capitoli | Fred/Asteria, George/Daphne, Draco/Hermione | Prima classificata al contest Dantedì! indetto da Severa Crouch nel forum di EFP e partecipa alla Challenge organizzata da Bluebell su FB]
Dal terzo capitolo: Quel che c'è rimasto
«Tuo figlio, Draco» sussurra Hermione, con una calma che non riesce a provare. «Qualcosa di buono ti è rimasto per forza».
Ma lui ride, così forte che le fa temere gli si possano spezzare i polmoni, e la guarda con gli occhi pieni di lacrime.
«Ci sono rimasti i bambini» sussurra, prendendole l’anima nuda tra le mani. «Che altro abbiamo, io e te? Matrimoni falliti, vite incrinate e i bambini».
Lei vorrebbe contraddirlo, difendersi, ma lui le fa passare una mano dietro il capo e la costringe in un bacio che non ha senso e non ha scopo – quando si staccano, sta ridendo.
«Mi hai dato uno schiaffo» le sussurra, alzandosi e lasciandola lì, perplessa.
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, George Weasley, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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E mi manca la tua voce (oramai)

Daphne Greengrass è sempre stata brava a leggere la vita nei fondi di tè, e a scoprirci sempre qualcosa di nuovo: il giorno in cui ha scoperto il fondo bianco della tazza, ha urlato fino a lacerarsi le corde vocali.
Non le crederanno mai – ma i miti sono reali, i fantasmi sono reali, e soprattutto la magia è reale. E la mente di sua sorella contiene miti, spettri e antiche magie.
Ma, quando lo dice all’uomo che ama, ottiene solamente un sorriso e un l’ha fatto anche per noi.
Non è George a guardarla, ma Draco Malfoy (occhi lucidi di speranza) che le tende una mano come per dirle ti prego, difendila tu: sei sua sorella, tu puoi farlo. O forse no?
Daphne sorride.
«Quanto credi che io sia disposta a cancellare?».
 
 
2. Fiori di tè
 
[Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle,]
 
Quanto son disposta a cancellare
 
 
George è casa, casa sua.
È il posto dove torna ogni volta che le foglie umide di lacrime le rivelano una verità indicibile e allora lui semplicemente ride e ride e ride – spalanca le braccia: è che a volte ci si dimentica che anche l’alloro ha delle infiorescenze minuscole, pensa lei, e allora si dà per scontato. Che il futuro valga quanto una moneta falsa, ma se è prevedibile non è per questo motivo incancellabile?
Daphne ha presofferto tutto ciò che si compie su quella sedia nell’aula semivuota del Wizengamot, ha visto la Medimaga frugare nel cervello di sua sorella e ne ha sentito i dolori come fossero i propri.
I Weasley non si sono presentati, pronti a proteggere il più fragile della nidiata, resuscitato per un mezzo miracolo. George sì. George ha preso Daphne per mano e l’ha portata alla prima giornata di processo per quella sorella che non è stata ringraziata e che, se l’amore non conta niente, non sarà assolta o giustificata.
Draco Malfoy, seduto di fianco a sua madre, in un’occhiata ha capito che di perdonarla non la perdonerà mai. Le stelle non mentono, pensa Daphne, il suo amore per Asteria è marcito come un vaso di fiori vecchio di giorni – è così che sale l’insofferenza: acqua stagnante, prima, paludosa infine.
I ricordi di Asteria sono snudati, messi alla mercé del Ministro della Magia e degli altri membri del Wizengamot: fatta di acciaio, Hermione Granger, ma nel vedere quel residuato di amore adolescenziale, vorrebbe piangere anche lei. Come Draco Malfoy che, nonostante la gomitata di sua madre nelle costole, singhiozza silenziosamente in un fazzoletto con sopra ricamate le proprie iniziali.
Ha lasciato suo figlio alla tata, così come Hermione Granger ha lasciato i suoi all’ex marito, pur di presenziare al processo dell’anno.
Li separa un millimetro – d’idee, di pensieri, di destini: è la voglia di rischiare, la loro, quando si guardano e dentro hanno solamente la medesima disperazione.
Lui, innamorato della vita più di quanto non abbia mai amato sua moglie, la guarda soccombere sotto il peso dei ricordi che le vengono strappati dal proprio cielo come stelle comete.
Lei, silenziosa, non confesserà mai della sua, di cotta adolescenziale: non Ron, Fred – e quando guarda quei pensieri estrapolati dalla mente di Asteria Greengrass, vede solamente un passato che avrebbe potuto appartenerle.
Si sono seduti in modo tale da vederli entrambi: Draco, Hermione – Asteria che li osserva, calma, sussultando a ogni pensiero che le viene estratto dal cranio.
Basta, vorrebbe gridare Daphne. Basta così, non vedete che la state uccidendo?
Ma Asteria è sguardo fiero, testa ritta, e il mento puntato in direzione del Ministro della Magia: Hermione Granger ne ricambia l’occhiata ma, a differenza di Draco Malfoy, ha gli occhi asciutti e sabbiosi.
«Signora Malfoy» pronuncia il segretario, un ometto stempiato e dal sorriso cordiale. «Adesso le faremo alcune domande».
La Medimaga annuisce tenendole sempre la bacchetta puntata sulla tempia, mentre viene fatto levitare un foglio di pergamena in sua direzione.
In quel momento, Draco Malfoy si alza e corre via.
 
***
 
Hermione lo trova nascosto nei bagni, in un buffo déjà-vu di un decennio precedente, seduto sul pavimento con la testa nascosta tra le braccia – sta piangendo, in verità non ha mai smesso: lei sospira, ha ancora la toga del Wizengamot a pesarle sulle spalle, ma ciò non le impedisce di sedersi sul pavimento accanto a lui.
«So che è dura» sussurra, calma. «Che pensi di non farcela, che pensi che è ingiusto, ma…».
Lui la guarda, dritto negli occhi, per scoprire di aver smesso di piangere e che sul fondo del suo sguardo sono rimasti solamente cocci di vetro.
«Quella lì è mia moglie, Granger» sibila Draco, con calma glaciale. «Tu cosa faresti, al mio posto?».
Lei è orribilmente onesta. «Piangerei, Malfoy. Sbatterei i piedi, griderei» risponde, atona. «Ma lo farei dentro di me. Perché non è vero che è tutto perso, tutto da rifare: forse c’è ancora una speranza, lo sai?».
«Granger, meno cazzate» sussurra lui, passandosi una mano sul viso. «Anche se sopravvivesse, cosa ne sarebbe di lei?».
Hermione non gli sa rispondere – sa che tutto il Mondo Magico vuole la testa di Asteria Greengrass-Malfoy e niente la salverà da una condanna, che sia essa giusta o ingiusta, strappata, non voluta, ma per questo esistente.
Hermione non gli sa rispondere perché lei sa e sa che Asteria Greengrass è una cometa e, di lei, rimane polvere e rimpianto. È già condannata.
«Mi dispiace moltissimo, Malfoy, per quel che vale» risponde, calma. «Tua moglie ha lavorato per me per anni, prima di ammalarsi».
«Fai qualcosa, allora» sibila lui, sporgendosi verso di lei. «Tu puoi salvarla».
Lei pensa che semplicemente non può compiere quel miracolo e, allora, l’unica cosa che riesce a fare è lanciargli un sorrisetto stiracchiato, innaturale.
«Nemmeno capisco perché ti sto supplicando» sussurra Malfoy, sfregandosi gli occhi con il dorso della mano. «Cosa potrà mai interessare, a te, della mia famiglia?».
Lei, sguardo fiero di chi mai s’è piegata (ma s’è spezzata, più volte, sotto la pressione dei propri stessi artigli), sorride, questa volta per davvero.
«Tu lo sai che non so odiare» sussurra, in una parodia specchiata di Asteria Greengrass. «Siamo colleghi da anni, Malfoy, i nostri figli giocano insieme nell’asilo del Ministero».
Lui rabbrividisce sotto il peso di quelle parole, ma non commenta: sa perfettamente come la Granger e Potter siano geneticamente incapaci di odiare – al processo dei superstiti, l’hanno difeso loro. Non è una novità che un Malfoy debba respirare l’aria viziata dell’aula del Wizengamot, ma ad Asteria non era capitato mai.
Innocentemente, aveva sperato di poterla proteggere da sé stessa: ma quando sei in un mondo di incubi rosati, cosa ti rimane sa salvare?
«Avete guardato tutti i suoi ricordi» domanda, pieno di una brama che è inspiegabile. «Cosa avete visto?».
Hermione tentenna.
Ha visto muri scardinati, urla, un letto che cigolava – come l’infiorescenza dell’alloro, minuscola, Asteria è germogliata tra le coperte di Fred Weasley. Ma, questo, a lui non può dirlo: perché Malfoy la guarda con una tale speranza che lei, che pur l’ha detestato per metà della sua vita, non riesce a odiarlo abbastanza da dirgli la verità.
«Abbiamo visto tante cose, Malfoy» sussurra. «Niente che non possa immaginare tu stesso, da parte di una ragazzina e un ragazzo più grande di lei».
Ma poi lui la guarda e ha gli occhi così pieni di lacrime che, anche a lei, verrebbe da sciogliersi in un fiume di pianto. Non può dirglielo. Che i ricordi di sua moglie sono oscurati di Fred Weasley, che non c’è spazio per altro, nemmeno nel loro matrimonio.
«Ha dato uno schiaffo anche a lui, una volta» sussurra, invece, socchiudendo gli occhi. «Il giorno in cui ha invitato la Johnson al Ballo del Ceppo».
«E perché avrebbe dovuto invitare un’altra?» domanda Draco, alzando un sopracciglio. «Forse non è la meravigliosa storia d’amore che mia moglie vuole credere».
Nessuna storia d’amore è meravigliosa, Draco – vorrebbe dirgli Hermione, con un divorzio che le pesa sulle spalle.
«Perché lei non si era mai dichiarata» sussurra, invece, con aria divertita. «L’hanno scoperto quel giorno».
Che in un mondo di gente fatta per fare, loro erano fatti per essere amati l’uno dall’altra e lo hanno scoperto così: con uno schiaffo che taglia l’aria, quando Asteria – tredici anni, in un metro e cinquantadue di ginocchia sbucciate, gli ha stampato la propria mano sinistra in pieno volto.
Hermione non l’ha domandato, a Fred, rinchiuso nel proprio nido (nella propria Tana) come se potesse dissolversi da un momento all’altro, ma è certa che lui l’abbia amata da quel giorno e per tutti gli altri che gli erano rimasti.
«Non basta per voler resuscitare un morto» sibila Draco, voltandosi leggermente verso di lei. «Asteria non era il tipo, da voler credere così tanto nell’amore, lei… lo sa Salazar, in cosa o in chi credeva. Ma non credeva in Weasley, io lo so».
Hermione non lo contraddice apertamente. «Uno schiaffo vuol dire tante cose» commenta, pacata. «Non possiamo capirla nemmeno entrandole nella testa, Malfoy, forse possiamo solamente rassegnarci».
«Tu una volta mi hai dato uno schiaffo» commenta lui, divertito. «Al terzo anno, non è vero?».
Lei lo guarda – negli occhi ha tutto quel risentimento di anni passato a detestarlo, ma lentamente si sciolgono in una goccia di compassione.
«Non pensarci nemmeno, Malfoy» borbotta, atona. «Non è che adesso per innamorarsi serve per forza uno schiaffo».
Lui ride, guarda il soffitto, ma ha ancora le guance sporche di lacrime. «Potresti sempre provare a darmene un altro» soffia. «Magari annulla quello di mia moglie».
Lei sta per domandargli se non sia così disperato dal domandarle di schiaffeggiarlo per togliersi dalla testa Asteria Greengrass, ma poi lo guarda negli occhi.
Lo è, si dice. Certo che lo è.
 
***
 
«Non puoi farglielo fare».
George Weasley la ferma per un braccio quando lei esce dal bagno, lasciando a Malfoy qualche secondo per ricomporsi, e tirandola verso un angolo più appartato. Hermione che ha appena visto Draco Malfoy annichilirsi ed esser divorato da cieca disperazione sospira, per ritrovare il medesimo sguardo in George.
«Non puoi farglielo fare» ripete, calmo. «Non pensi che io e Daphne abbiamo già sofferto abbastanza?».
Lei vorrebbe domandargli se anche quella sorella Greengrass ha conquistato un gemello Weasley con uno sguardo, uno schiaffo e un sorriso – ma è una battuta troppo di cattivo gusto perché lei possa farla. Così si limita a guardare George e a sospirare, stremata, per dirgli che no, la sofferenza non è mai abbastanza.
C’è ed è per questo tangibile, ma mai misurabile: George la guarda come se avesse ogni risposta ed Hermione è semplicemente stanca – il dialogo con Malfoy, sul pavimento del bagno, l’ha svuotata: e adesso che ha dato a lui tutta la sua speranza, a lei cosa è rimasto?
Una vita che non è più bianca ma nemmeno rossa, ma s’è macchiata qua e là come quando sua madre sbagliava a far la lavatrice: è una vita senza acchiappacolore, per cui tutto è un po’ sui toni del rosa, a macchie.
«Parliamo di un processo per negromanzia, George» sussurra Hermione, con una calma che non prova. «E Daphne Greengrass è l’unica persona che conosca Asteria… meglio di quanto non la conosca… lo sai».
George alza un sopracciglio rossiccio, oscurando per un attimo quei suoi occhi azzurro vetro di mare – Daphne, gli ha confidato quella mattina in un sussurro lacrimevole con cui ha annaffiato la colazione, il mare non l’ha visto mai: è sempre stato talmente vicino da rimanere intangibile e lei, lo spruzzo di un’onda ribelle non sa cosa sia.
«No» nega, anche se il nome di suo fratello gli si espande in mente come una macchia d’olio velenoso. «Io non lo so, cosa intendi: quel che mi è chiarissimo, Hermione, è che non posso permetterti di lasciarglielo fare».
«Se Daphne non testimonia e non tira fuori qualcosa che dimostri che sua sorella non è capace di intendere e di volere» sussurra il Ministro della Magia, guardandosi attorno con aria circospetta. «Dovrò richiedere il parere del Medimago che le ha estratto i ricordi. E, infine, anche di Fred».
George vorrebbe tanto avere una battuta pronta sulle labbra, per rischiarare quella situazione che sa solamente di buio pesto, ma tutto ciò che ne viene fuori è un sorriso stiracchiato e innaturale.
«E così devo scegliere» sussurra, amareggiato. «Se mandare al patibolo la donna che amo o mio fratello».
«Non succederà niente di grave, George» sussurra Hermione, prendendolo per un braccio. «Saranno chiamati a testimoniare e saranno trattati con ogni riguardo, non hai nulla da temere».
Lui ride, facendo tremare l’aria.
Non le dice che la psiche di Daphne è debole come quella della sorella, lieve come l’infiorescenza di cui porta il nome, e basterebbe la domanda sbagliata per causarle solamente l’ennesima incrinatura.
Perché Daphne sa.
Che sua sorella ha scavato con le sue stesse mani la tomba da cui Fred è riemerso e ha sorriso con le unghie ciondolanti e il cuore sporco di terra, incrostato di sangue.
Mentre l’aria si lacerava dietro l’urlo di Daphne.
 
***
 
«Daphne Greengrass» la chiama l’assistente del Ministro della Magia. «In data odierna, questa corte la chiama a testimoniare».
Lei fa tremare il cuore a chiunque sia abbastanza coraggioso da guardare in quegli occhi azzurri e scoprirli pieni di lacrime amare, insensate, ma comunque pallidi e determinati come quelli della bambina che è ancora – George la guarda camminare fino alla sedia dell’interrogatorio sistemata lì, al centro della sala, così che tutti i membri del Wizengamot possano vederla.
Daphne strascica un po’ i piedi, si trascina, ma infine è costretta a lasciarsi scivolare sulla sedia e a smettere di giocherellare con il lembo della propria gonna.
Quando alza il capo e punta quegli occhi azzurrissimi, un po’ febbrili, direttamente sul Ministro della Magia – in quel momento, lei è sua sorella. E ha le mani piene di bende e con le unghie penzoloni, in una vita che s’è stinta in un rosso intenso e bianca non l’è stata mai.
«Signorina Greengrass, può confermarci la sua identità?» domanda l’assistente, con aria nervosa. «Sa, è una procedura standard».
Lei si guarda attorno, con calma, ma nella sua mente li ha già condannati tutti nella medesima maniera in cui loro hanno condannato sua sorella.
«Mi chiamo Daphne Greengrass» soffia lei, scuotendo i lunghi capelli biondi. «Nata a Saint Ives, in Cornovaglia, il ventitré luglio millen…».
L’assistente le fa cenno che va bene così e lei tace, obbediente, e volta la testa verso la platea di gente che la guarda incuriosita. George non è lì.
George non è lì perché sarebbe stato una distrazione, per lei – un giardino con dei bambini che ridono, casa sua: quanto credi che io sia disposta a cancellare?
Così, gli ha detto di non venire (o non farsi vedere) e, nella moltitudine confusa dei Weasley – si sono presentati tutti quanti, anche Fred, a sostenere lei così come avevano rinnegato Asteria al primo giorno di processo – lei non lo scorge.
«Signorina Greengrass» la voce di Hermione Granger è pacata, calma, ma squarcia comunque l’aria come uno schiaffo. «Lei giura di dire la verità di fronte a tutta questa corte?».
Daphne annuisce, guardandosi attorno. «Lo giuro» esala, così piano che chiunque fatica a udirla. «Ma lei non può giurarmi che le mie parole non saranno usate contro mia sorella, in un modo o nell’altro».
Hermione sospira. È ovvio che Daphne Greengrass abbia intuito, che sappia del piano: che abbia compreso che l’unica maniera che sono riusciti a trovare per salvare sua sorella da Azkaban è dichiararla incapace di intendere, che Malfoy ha detto di sì, che la Granger finge di non vedere e che persino George ha annuito pur di poter portare lei, Daphne, via di lì.
«Lei era presente, quando si sono svolti i fatti che stiamo esaminando» prosegue il Ministro, con amara dolcezza. «Vuole fornircene la sua versione?».
Daphne rabbrividisce.
Ha ancora nelle narici l’odore della terra, ed è quel che borbotta con aria distaccata, si sente ancora sporca, sì, sporca fino a sotto la pelle di quel terriccio misto vino misto acqua misto sangue. La vede lì, anche se non c’è.
Asteria che sorride, i denti che paiono volerle trapassare la superficie delle labbra per la forza che ci mette, in quel sorriso, la vitalità che le cola via dai denti sotto forma di maniacalità. Daphne lo percepisce con chiarezza disarmante e dice che, sì, era lì: è come vedere tutto nei fondi di una tazza di tè. Ciò che per voi appare sciocco o insensato, per me sola è chiarissimo.
E qualcuno ha detto che l’occhio interiore è un lascito del Paradiso e bisogna baciare per terra e intonare inni per ringraziare Colui che l’ha concesso – ma, né Daphne né il Ministro Granger la pensano esattamente così: per esperienza e per scetticismo, entrambe dubitano della dote della maggiore delle Greengrass.
«E lei era a conoscenza delle intenzioni di sua sorella?» domanda Hermione, senza perdere la calma. «Asteria Greengrass-Malfoy stava agendo con cognizione di causa?».
«Mi creda, Ministro» sussurra Daphne, giocherellando nervosamente con l’orlo della lunga gonna color acquamarina che indossa. «Io non lo so».
Sa che la negromanzia è un segreto di famiglia che si sono tramandati da una generazione all’altra, questo sì, fiele nelle vene al pari della Veggenza. Sa che la storia è sempre una cosa vecchia, questo sì, ma che si riscopre di secolo in secolo – ed è la ballata di Tosca dagli occhi gelidi, che ha visto l’uomo che amava innamorarsi della sua più cara amica e presofferto tutto il resto: lei, che l’aveva cercato per metà del mondo conosciuto, camminando di fianco a quei morti che stanno più in basso2.
Sa che Asteria, pazza, non l’è stata mai: forse non disposta a cancellare, incapace di odiarsi per aver perso tutto, incapace di arrendersi. Forse tutto questo, forse molto altro, ma è mai stata pazza sua sorella?
Daphne sospira, vede l’impazienza del Wizengamot intero, della famiglia Weasley, di Hermione Granger ed Harry Potter.
Sua madre le ha detto che la capacità di Vedere è un lascito del Paradiso ma lei, che rivede sua sorella scavare a mani nude la propria rovina, non ne è poi così convinta: Daphne pensa che non basteranno foglie da tè, una sfera di cristallo o un mazzo di tarocchi per porre rimedio alla rovina di Asteria Greengrass.
Sono passati anni, un po’ lo pensa e un po’ lo sussurra: un giorno in cui giocavano a carte con un mazzo di tarocchi e Asteria ne ha pescate due, due carte sbagliate.
Gli amanti e la morte. Daphne avrebbe anche potuto cercarne il significato positivo, se solamente Asteria non le avesse pescate a rovescio.
Una ballata intessuta di mortalità, che mortale è anche questa vita intangibile e allora cancellabile. Daphne sussulta, come se il richiamo dell’assistente della Granger l’avesse colpita in pieno petto, facendola tentennare. Ha detto il suo nome, mentre lei era accanto a sua sorella con il vestito sporco di terra, a osservarla rivoltare il principio e l’ordine delle cose.
Spalanca gli occhi, puntandoli febbrilmente sul Ministro della Magia, prima di sciogliersi in un pianto incontrollato.
 
***
 
«Devi farglielo fare».
Hermione Granger sbuffa, i capelli carichi di elettricità statica, prima di voltarsi verso Malfoy con gli occhi carichi della medesima scintilla di cui è pregna la sua capigliatura.
«Io non penso proprio che tu sia nella posizione di dirmi cosa devo fare, Malfoy» sibila, mettendosi le mani sui fianchi. «Hai visto anche tu. Tua cognata non è in grado di fornire una testimonianza affidabile».
«Non dirmi che adesso sei finita anche tu per credere in queste cazzate sull’Occhio Interiore» risponde lui, affilando lo sguardo in una scintilla. «Daphne è sempre stata particolare. Ma non per questo non può non… lei deve…».
Hermione sospira, voltandosi per posargli le mani sulle spalle. «Malfoy» lo richiama, con una dolcezza che suona strana persino a lei. «Non posso mettere sotto torchio una donna, per di più incinta, solamente per farti un favore».
George non gliel’ha detto – ma gliel’ha fatto comprendere con uno sguardo eloquente quando, dopo aver decretato una pausa nello svolgimento del processo, dal proprio posto si è fiondato a raccogliere quel fagotto piangente che era la donna di cui è innamorato. Le ha sfiorato il ventre, in una curva che non c’è, e le ha domandato se non volesse andare a casa.
Ma casa, per Daphne Greengrass, è dove c’è lui e niente di più – in quel perverso gioco di ombre e specchi che è la sua mente, George è una risata, un porto sicuro: Hermione l’ha vista sorridere tra le lacrime, appigliarsi alle spalle dell’uomo con tutta la propria forza, e le si è spezzato il cuore al pensiero che lei s’è appigliata in quel modo a Ron solamente quand’erano due ragazzini ancora innamorati (dell’idea dell’amore e poco altro).
«Granger, mia cognata è l’unica speranza che mi rimane» sussurra, a capo chino. «Se dovesse testimoniare un qualunque Medimago, la rinchiuderebbero al San Mungo, se non ad Azkaban».
«Malfoy, Draco, ascoltami» risponde lei, pronunciando il suo nome. «Che tua cognata testimoni o meno in favore di Asteria, non ci sono molte speranze per lei: potremmo concederle dei domiciliari, dato che è malata, ma…».
Si ferma solamente nel vedere che lui è di nuovo sul pericoloso limite del pianto, e si trattiene per una sorta di insensato orgoglio che prova nei suoi confronti: hanno lavorato gomito a gomito per alcuni anni, prima che lei scegliesse la carriera politica e lui le relazioni internazionali, ma non è bastato per donar loro confidenza. Hermione ricorda con maggiore nitidezza Asteria, che invece aveva lavorato come sua segretaria finché la salute gliel’aveva permesso.
La ricorda nella primavera della sua vita, quand’era ancora novella sposa e aveva un sorriso lieto a incresparle il bel viso – adesso, Hermione se lo deve domandare: era tutta una finzione?
Se la ricorda in estate, quando è nato Scorpius e lei diceva di averlo desiderato anche oltre i limiti che la propria salute le aveva imposto. Era nato tre mesi prima di Rose e, all’asilo del Ministero, erano stati compagni di copertine – loro ne avevano riso, pensando a quanto Draco Malfoy si sarebbe detto schifato da una simile vicinanza.
In autunno, non l’aveva vista più. A mano a mano che il freddo saliva, la salute di Asteria declinava e, un giorno, semplicemente aveva dovuto rassegnarle le proprie dimissioni, con profondo dispiacere del neo-Ministro della Magia.
Era infine giunto l’inverno?
«Tu pensi che lei non ce la farà» sussurra Malfoy, stringendola per le braccia, senza forza, semplicemente toccandola fin dentro l’anima. «La stiamo dando tutti per spacciata ma lei… è sempre stata più forte di me, Granger. Ce la farà solamente per rivederlo».
Hermione sorride, ma è più una crepa sul viso – non sa come dirlo a lui, quindi tace, regalandogli qualche altro minuto di tacita speranza.
Perché è quello di cui Malfoy ha bisogno, se la sua massima aspirazione è sapere che l’amata moglie sopravvivrà per l’amore di un altro uomo, che forse ha sempre amato più di quanto non sia riuscita a forzarsi d’amare lui.
Draco sospira, ma non la lascia andare: è come se quel contatto semplice, inutile, lo rassicurasse. Sotto la pelle di Hermione Granger, batte un cuore che non è contaminato da stelle o infiorescenze d’alloro, ma è quel che è – il cuore di una bambina che, nonostante tutto, è ancora lì che grida aspettami, devo ancora crescere.
Silenziosamente, però, a Draco è chiaro. Il Ministro della Magia non chiamerà Daphne Greengrass a testimoniare una seconda volta, non permetterà che una donna fragile come vetro venga messa sotto torchio a suon di domande inutili – lei era lì? Ha visto? Che ha pensato? Era d’accordo? Perché non l’ha fermato?
E lui, che vorrebbe sua moglie salva da ogni accusa più di ogni altra cosa, ha ancora il pianto di sua cognata sedimentato nelle orecchie.
«Devi tenere insieme i cocci, Malfoy» gli suggerisce infine Hermione, con voce crepata. «Hai un figlio piccolo che ha bisogno di te».
Lui lo sa, certo che lo sa – ma è un figlio che ha bisogno di una madre che abbia tutte le unghie piantate sulle mani e non sparse a terra come un ventaglio insanguinato, una madre che viva ancora qualche anno per potergli creare ricordi.
«Falla testimoniare» insiste lui, debolmente. «Te lo chiedo come favore personale, Granger: falli parlare tutti. Daphne, Fred Weasley, persino l’altro gemello se serve».
Hermione sospira, guardandolo dritto negli occhi e liberandosi un braccio e alzando la mano, in un gesto che è a metà tra la carezza e lo schiaffo – ma che rimane incompiuto, così che lei è costretta a riabbassare il braccio, con aria disorientata.
Non sa come fare a dirglielo: che è tutto perduto, che non c’è niente da fare, testimoni da chiamare, che la stessa Asteria s’è arresa a quello che sarà il proprio destino. Giusto, ingiusto? Non le importa più.
«Granger?» sussurra Draco, mentre il sospetto gli invade lo sguardo, deformandolo. «Perché mi guardi in quel modo?».
Lei sospira, si sistema una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio, sfuggita dalla crocchia severa in cui li costringe solitamente. E lo dice: pochi parole, un sospiro, tutto molto ingiusto – Fred Weasley è morto oggi.
 
***
 
La cerca ovunque e la trova seduta nella sala d’aspetto di fronte all’aula del Wizengamot, seduta su una sedia con le gambe penzoloni, come una bambina: Daphne Greengrass ha lo sguardo perso nel vuoto, mentre discorre con l’aria. George Weasley l’ha momentaneamente lasciata ai suoi pensieri, Smaterializzandosi al suono del Patronus della madre – è morto senza un perché, suo fratello: Molly Weasley ha detto, piangendo, che deve semplicemente essergli spezzato il cuore.
Come Tosca dagli occhi di ghiaccio, Fred aveva la gentilezza dalla sua parte, l’amore, ma non è bastato: non era quello il mondo in cui avrebbero dovuto rivedersi, ha sussurrato all’aria, prima di abbassare le palpebre.
Lei aspetta che la richiamino a testimoniare – non ha perso la speranza di poter essere utile alla causa della sorella, ma c’è qualcosa che, in quell’aula, la inquieta. La segretaria di Hermione, quella che ha preso il posto di Asteria, le ha portato una tazza di tè nero: per me senza zucchero, per favore, e Daphne ne ha sorbito qualche sorso in silenzio religioso.
Daphne Greengrass è sempre stata brava a leggere la vita nei fondi di tè, e a scoprirci sempre qualcosa di nuovo: il giorno in cui ha scoperto il fondo bianco della tazza, ha urlato fino a lacerarsi le corde vocali.
Non le crederanno mai – ma i miti sono reali, i fantasmi sono reali, e soprattutto la magia è reale. E la mente di sua sorella contiene miti, spettri e antiche magie.
Ma, quando lo dice all’uomo che ama, ottiene solamente un sorriso e un l’ha fatto anche per noi.
Non è George a guardarla, ma Draco Malfoy (occhi lucidi di speranza) che le tende una mano come per dirle ti prego, difendila tu: sei sua sorella, tu puoi farlo. O forse no?
Daphne sorride.
«Quanto credi che io sia disposta a cancellare?» sussurra, posando la tazza sul tavolino. «Sappiamo entrambi che, qualunque cosa io riesca a dire, sarebbe solamente una pezza da incollarci sopra».
Suo cognato sospira, si siede al suo fianco, nascondendo il viso tra le mani: forse, davanti a lei, potrebbe persino piangere.
«Ma lo faresti» non è una domanda, è una pretesa. «Se ti chiedessi di salvarla, Daph, tu lo faresti».
Lei lo guarda – e c’è gentilezza in quegli occhi congelati, c’è gentilezza in quel viso affilato: troppa, per una Serpeverde che s’è innamorata di un Grifondoro. Troppa, per una donna che ha visto la sorella infrangere patti sacri – e la loro stessa sorellanza – pur di ridar vita a un amore egoistico.
Fred Weasley è morto oggi.
«Certo che lo farei» risponde Daphne, ma ha una mano posata protettivamente sul ventre ancora piatto. «Parliamo di mia sorella, Draco, certo che lo farei. Ma… io penso che lei semplicemente non lo voglia. Non ha fame di sopravvivere a tutto questo, non vuole rimanere a galla».
Draco inghiotte un respiro troppo rumoroso, Daphne gli prende una mano e la stringe forte – ha il viso rigato di lacrime.
«Io non so dimenticare» sussurra, così piano che si sente solo lei. «Ma, se me lo chiedesse lei, e lo ha fatto, lo farei».
 
***
 
Il giorno che te ne sei andato io c’ero, ero seduta al centro della sala e mi stavano guardando tutti: poco importava che il processo non fosse per me o che fosse giusto, ingiusto, invocato da lei, da qualcun altro, da te persino. Guardavano tutti me.
Come se fossi io, la colpevole, rea d’aver nome comune e somiglianza con mia sorella – rea d’avere un amore in comune con voi: non ci crede nessuno, che per me George possa essere casa e protezione, e non una copia immateriale di quel che eravate voi.
Mi perdonerai, Fred, se io ho visto la scena e già conoscevo il resto: Asteria non ha mai creduto nel futuro, nell’Occhio Interiore, nella Veggenza e in tutte quelle arti in cui io mi immergo come fossero salvezza quando invece sono solamente rovina. Io sì. Io ho sempre creduto, perché forse la morte non la so prevedere, ma la rovina sì – e la vostra l’ho vista, l’ho toccata con mano sporcandomi di terra e perdendo le unghie della mano sinistra.
In un’esistenza che è scolorata in un rosso intenso, io vi vedo ancora e vorrei avervi qui entrambi: ma il cosmo non mente mai e, sul fondo della tazza di tè, c’era scritta la ballata dedicata a voi.
Asteria ha sempre amato la prima parte della storia. L’amore folle, Salazar che fa di tutto per riportare a sé Corinna dalle belle mani e dalla voce d’usignolo, la guerra tra fratelli, la morte ingloriosa che li ha colti entrambi.
A Tosca Tassorosso non ci ha pensato mai: in verità, credo che nessuno che conosca questa ballata riesca mai ad avere un pensiero per la donna dagli occhi di ghiaccio, perdutamente innamorata dell’uomo che mai l’avrebbe guardata. Innamorata dell’amore di sua sorella e suo fratello, Tosca li ha amati entrambi presoffrendo la loro fine: in una tazza piena di tè, ne ha visto l’infelice dipartita e ha taciuto.
Silenziosamente s’è sporcata la sottoveste, quando febbrilmente Salazar ha scavato una fossa per Corinna dai capelli d’ebano, a mani nude, per risvegliarla da quel mondo fatto solamente di morte e disperazione.
Tosca Tassorosso vedeva, Fred, così come vedo io.
Vi ho visti crescere insieme, nell’ombra stanca di Hogwarts, amarvi per il suono di uno schiaffo che per voi è stata tiepida melodia. Ma vi ho visti anche separarvi, allontanarvi, e non ritrovarvi più – e, se Asteria non ha mai dimenticato, tu sei finito in un posto che è tutto una gigantesca dimenticanza.
È che noi Greengrass sappiamo innamorarci una volta soltanto, ha detto mia madre, rimasta vedova subito dopo la nascita di Asteria. Poi non ci riusciamo più.
Sono tornata nel giardino dove vi siete rincontrati: della Magia Oscura, niente è rimasto, come il Paradiso non ha lasciato traccia tangibile – ma, se lo era, allora era anche cancellabile.
E a noi che è rimasto?
Forse, brandelli di ricordi. Un prato tagliato all’inglese che nasconde cieli stellati, bambini che giocano a rincorrersi tra gli alberi, le lacrime di un salice piangente e infine quello che io amo di più,
 
 
[i fiori]
 
[Daphne]
   
 
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