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Autore: RedSonja    10/06/2021    2 recensioni
Durante una missione, Tanjiro viene trasportato indietro nel tempo. Con l'aiuto di nuovi, improbabili, alleati dovrà trovare un modo per tornare nel suo tempo, lì dove i suoi compagni lo stanno cercando.Ma non tutti i mali vengono per nuocere: che possa essere l'occasione per scoprire qualcosa di inaspettato sulle origini dei demoni?
Questa fanfiction è un crossover con l'universo di Inuyasha, perciò la storia si svilupperà su due linee narrative: da una parte le avventure di Tanjiro nell'epoca Sengoku, accompagnato dal gruppo di Inuyasha, e dall'altra la storia di Zenitsu, Inosuke e Nezuko, nell'universo di KnY
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inosuke Hashibira, Nezuko Kamado, Tanjirou Kamado, Zenitsu Agatsuma
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2: Prologo

Il primo cancello era collassato su se stesso, ma a parte quello non avevano notato nulla di strano.

Solo dopo aver attraversato la prima cinta di mura lo videro.

Il lago che serviva da protezione naturale alle seconde mura si era trasformato in una palude malsana, dall’odore nauseabondo, invasa di piante dalla dubbia provenienza; facendosi largo, a colpi di spada, tra i resti marcescenti del ponte, erano riusciti ad attraversare anche il secondo ingresso.

Davanti a loro, però, non si trovava il cortile ben curato di cui avevano sentito parlare e nemmeno le solide mura, che erano il vanto dello Shogun: radici di alberi dalle dimensioni gigantesche si arrampicavano lungo la fortificazione, demolendola in diversi punti.

Il castello, ben visibile fino a quella mattina, era ora avvolto da un bosco di dimensioni innaturali.

Sfruttando gli appigli che la natura forniva loro, scalarono le mura in poco tempo, ritrovandosi davanti un massacro: il cortile era inzuppato di sangue, i cadaveri mutilati delle guardie costellavano la strada verso l’entrata del palazzo.

Questi corpi, a differenza di tutti gli altri, erano stati fatti a pezzi: non c’erano segni di artigli o di tagli; piuttosto era evidente che arti, carne e muscoli fossero stati strappati.

Cercando di non guardarsi troppo intorno ma evitando di calpestare i resti, si erano incamminati verso l’entrata del castello.

Fino a quel momento non avevano incontrato nessun nemico.

La struttura centrale era costituita da tre piani. 

Sarebbe stato un miracolo riuscire ad attraversare il primo: se l’esterno era stato divorato da una bosco, l'interno era invaso da liane e rampicanti, trasformandolo in una giungla.

L’unico avvertimento che ebbero fu un sibilo.

Zenitsu lo sentiva vibrare fin dentro alle ossa; Inosuke aveva assunto una posizione di attacco più bassa del solito, una delle mani poggiata a terra.

Tanjiro, invece, era rimasto immobile.

Il suo olfatto era inutile in un luogo impregnato dell’aura demoniaca: non avrebbe fatto altro che percepire il demone più potente. E, per esperienza, quello non si sarebbe mostrato finchè non avessero eliminato tutti gli altri.

Il sibilio era cessato quasi completamente, sostituito dal fruscio delle foglie e da schiocchi secchi; l’edera che si intrecciava agli elementi strutturali cedeva il passo a qualsiasi cosa stesse venendo verso di loro.

Non erano preparati per quello che si trovarono di fronte.

L’essere che avevano visto emergere da quella giungla innaturale non poteva essere descritto in altro modo se non come un serpente.

Eppure, definirlo serpente era riduttivo.

La bestia aveva il corpo da rettile, ma il muso felino ricordava quello dei bakeneko* delle storie popolari: tondeggiante, con lunghe orecchie e occhi sornioni. Per non parlare delle fauci: una lingua biforcuta sporgeva dalla mascella socchiusa, sgusciando tra le zanne acuminate, per saggiare l’aria.

Prima che potessero pensare ad un piano d’azione, la testa era già scattata verso di loro, chiudendosi ad un passo dalla gamba di Zenitsu.

Mentre quest’ultimo si ritraeva, in preda al panico, il tronco alla sua destra si era sciolto, in un vapore di acido.

A quel punto era troppo tardi per fermarsi a ragionare.

Con un sincronismo ben congegnato, Tanjiro spiccò un salto verso la testa del mostro, mentre Inosuke si avventava in direzione del suo ventre; con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a squarciarlo con il secondo kata, lasciando a Kentaro il compito di decapitare quella dannata biscia troppo cresciuta.

Era un ottimo piano, peccato che il demone non avesse alcuna intenzione di collaborare.

All’ultimo momento si avvolse in una spira, così che le spade del ragazzo cozzarono con le scaglie adamantine del dorso e, colpendolo con la coda, lo mandò a sbattere contro la parete opposta.

“Inosuke!”

Quell’attimo di distrazione quasi costò a Tanjiro una mano. 

Quasi.

Non potendo interrompere il movimento a mezz’aria, aveva abbassato la lama, per poi portare avanti la gamba sinistra, preparandosi all’impatto con la pelle del collo del mostro. Nell’attimo che era servito al demone per notarlo e puntare il braccio destro, rimasto scoperto, Tanjiro riuscì a passare dal primo al nono kata, e a correre lungo la curva sinuosa disegnata dal corpo del serpente.

Aveva attraversato metà della larghezza del dorso, prima che la coda si abbattesse ad un passo dal suo corpo.

Trovandosi tra l’incudine e il martello, assediato dalla coda da una parte e dal bakeneko dall’altra, non avrebbe potuto schivare un colpo sferrato in contemporanea.

Per sua fortuna, Inosuke era riuscito a riprendersi in fretta, e ora correva incontro al demone, concentrato completamente sull’altro ragazzo, con l’intento di farlo a pezzi prima che potesse accorgersi di lui.

Proprio quando Tanjiro era sicuro che ce l’avrebbe fatta, dalle assi di legno del pavimento erano spuntati, con una velocità impressionante, dei viticci che si attorcigliarono attorno alle gambe del ragazzo con la testa di cinghiale.

Mentre Inosuke tentava, senza successo, di tranciare i rampicanti che lo immobilizzavano, Zenitsu era alle prese con un problema altrettanto grave: era terrorizzato, non che fosse una novità.

Con la sua codardia era venuto a patti molto tempo prima, il fatto era che non sapeva come aiutare i suoi compagni; era evidente che gli mancava l’eroismo e l’abnegazione di Tanjiro, o la follia di Inosuke, per quel che valeva, ma, soprattutto, l’abilità necessaria ad aiutarli.

E questo lo terrorizzava più di tutto, perchè poteva anche accettare di essere spaventato all’idea di morire giovane, e in maniera atroce, per giunta, ma non avrebbe sopportato di vedere i suoi amici sbranati da un serpente gigante.

Così, si fece coraggio e, il più silenziosamente possibile, iniziò ad avvicinarsi alle piante che tenevano intrappolato Inosuke.

Un suono sinistro, simile alla percussione di un kokiriko*, catturò la sua attenzione, in tempo perché potesse vedere lo spadaccino dai capelli rossi che schiva, con un salto dal tempismo perfetto, la coda del demone, che frustò lo spazio dove, pochi secondi prima, si trovava il suo corpo. 

A quel punto il muso felino scattò in avanti con una velocità fulminea.

Il tempo sembrò dilatarsi, mentre guardavano Tanjiro sparire all’interno delle fauci del mostro.

Zenitsu si sentiva sul punto di svenire, o di vomitare, o forse entrambe le cose; le imprecazioni di Inosuke gli arrivavano ovattate, mentre il più giovane si dimenava con ancora più vigore di prima, il filo seghettato delle katane che si abbatteva implacabile sui viticci ostinati.

Con un gesto disperato, il ragazzo dai capelli gialli vibrò un colpo sulle piante che immobilizzavano il compagno. Lui non aveva alcuna possibilità di salvare Tanjiro, ma Inosuke ci sarebbe riuscito certamente. Sì, ce la poteva fare. Ce la doveva fare. Lui… Lui-

Ricacciando indietro le lacrime, aveva colpito ancora e ancora, finché, tra i suoi sforzi e quelli dell’altro ragazzo, la fibra delle piante aveva ceduto.

Tanjiro stava facendo il possibile per rimanere aggrappato alla tsuka* della katana, la lama conficcata nella carne della lingua. Il sangue che sgorgava dalla ferita del demone e ne riempiva le fauci rendeva difficile mantenere la presa, senza considerare il movimento ritmico con cui la bestia deglutiva.

Si trovava in una posizione difficile: ammesso che fosse riuscito ad estrarre la spada, sarebbe stato ingoiato in un attimo, ma se non si fosse mosso di lì alla svelta, prima o poi la presa sarebbe venuta meno.

Doveva farsi venire un’idea, e in fretta, o sperare Inosuke e Zenitsu riuscissero ad abbattere il serpente da soli.

Inosuke premette più forte la lama scheggiata contro la gola del biondo; se quel frignone di Koitsu era inutile da sveglio, allora doveva solo fare in modo che svenisse.

Più facile a dirsi che a farsi, visto che una volta tanto che la sua paura sarebbe stata utile, Zenitsu non ne aveva.

Sì, era preoccupato per Tanjiro, e spaventato dal demone che si stava pericolosamente avvicinando a loro due, ma non di Inosuke perchè, per quanto il moro si impegnasse, aveva smesso di vederlo come un pericolo da un bel po’; certo, continuava a ritenerlo fastidioso, arrogante e decisamente megalomane, ma si fidava di lui.

“Senti amico mi dispiace, so che sei convinto che sarei più di aiuto se fossi incosciente ma non ci riesco…” Sollevò entrambe le mani in un segno di resa. Lo spazio tra i due era colmato da un ringhio, che non era certo esistesse al di fuori della sua testa.

“Ahhh, dannazione!”

Vide il braccio che si abbassava con una lentezza esasperante, mentre tutta l’aggressività lasciava il corpo massiccio dell’altro.

Zenitsu non sapeva cosa stesse pensando l’altro Ammazzademoni, ma già il fatto che stesse riflettendo invece di lanciarsi all’attacco, non era un buon segno

Con Gonpachiro fuori uso, Inosuke sapeva che toccava a lui togliere di mezzo quella sottospecie di pitone, il tutto mentre cercava di tirare fuori fronte d’acciaio e di evitare che Baikitsu finisse ammazzato.

Zenitsu fece un passo indietro, quando due familiari sbuffi di vapore uscirono dal grugno della testa di cinghiale. Qualsiasi crisi Inosuke stesse attraversando qualche attimo prima era evidente che fosse risolta, con buona pace della strategia di battaglia.

Il moro si lanciò all’attacco, cercando di chiudere la distanza tra sé e il corpo del demone, ma ogni volta la coda si abbatteva implacabile su di lui, costringendolo a saltare, deviare e rotolare, per evitare di essere schiacciato

I movimenti di quel demone erano strani, Zenitsu non ci aveva fatto caso prima: sembrava che la coda agisse indipendentemente dal bakeneko. Anche con Tanjiro era successa la stessa cosa; era come se fosse l’estremità posteriore a controllare la testa.

Il lieve tremore alle mani divenne un tremito incontrollabile quando realizzò in che razza di situazione si trovavano: Inosuke stava mirando all’obiettivo sbagliato, e con tutte le probabilità, non se ne era neppure reso conto.

Zenitsu sapeva di essere inutile in battaglia, ma almeno questo poteva farlo, poteva avvertire l’altro, sempre che questo lo ascoltasse.

“Inosuke, devi eliminare prima la coda!”

Con una contorsione che poco aveva di umano, il moro si piegò all’indietro, fino a toccare il suolo con la schiena, nel momento esatto in cui suddetta estremità aveva frustato il punto in cui si trovava la sua testa.

“Ma che stai dicendo Hoitsu! La paura ti ha rimbecillito? É un demone, per ammazzarlo devo -” saltò di lato, quando il muso di gatto scattò verso di lui; “- affettargli il collo.” la lama grigia si mosse in un lampo diagonale, attraversando di netto la pupilla allungata.

Il felino non emise neppure un sibilo, ma la coda iniziò a scuotersi senza controllo, riempiendo la sala di un suono secco e cupo, che fece accapponare la pelle a Zenitsu.

Inosuke portò la spada destra davanti al petto, lasciando quella sinistra a coprire la parte inferiore del busto, abbassandosi il più possibile. 

Così non andava. Hisamitsu aveva ragione: era la coda a controllare quel demone, ma non c’era abbastanza spazio per aggirarlo, considerando i pilastri che sostenevano i piani superiori. 

Oh be’, voleva dire che avrebbe tranciato sia la testa sia la coda

Con uno scatto fulmineo, si lanciò in avanti. 

L’ottava zanna l’avrebbe portato fino al collo del bakeneko, e a quel punto il combattimento sarebbe finito.

Le fauci del mostro si aprirono di fronte a lui, pronte ad inghiottirlo, prima che il taglio delle katane si abbattesse da entrambe le direzioni, convergendo al centro della gola del mostro.

La sesta zanna non deludeva mai.

Con un ghigno soddisfatto, nascosto dalla maschera da cinghiale, Inosuke usò il collo decapitato come un trampolino, dandosi lo slancio necessario per intercettare il moto della coda, già pronta a schiacciarlo come una mosca.

La seconda zanna risolse il problema.

Il suono viscido della carne amputata normalmente avrebbe fatto venire il voltastomaco a Zenitsu, ma al momento era troppo sollevato perché gliene importasse qualcosa: Tanjiro era uscito stremato e coperto di sangue, ma tutto sommato illeso, dalla bocca del bakeneko, facendogli prendere un colpo, e ora che il demone era stato definitivamente ucciso potevano tornare a casa della signora Satō e riposare.

Era talmente contento che non gli importava nemmeno del sangue e della bava che coprivano il rosso, che non gli importava nemmeno di quanta di quella roba sarebbe finita sul suo kimono, e nemmeno che Inosuke stesse gridando qualcosa, tanto lo faceva sempre.

Tanjiro dovette usare tutta la propria forza per allontanare Zenitsu abbastanza da potersi voltare verso il loro compagno, che sbraitava sempre più stranito; qualunque cosa avesse da dire, non sembravano buone notizie.

“Avete finito voi due? Forza, venite qui!”

Trascinandosi appresso il biondo, Tanjiro si avvicinò a Inosuke, rendendosi conto che stava guardando verso le scale, dove le piante che vi erano cresciute stavano marcendo rapidamente, ora che l’energia demoniaca che le alimentava era venuta meno.

Dl pianerottolo sporgevano due mani.

Solo due mani.

A giudicare dalle dimensioni e dalla forma, avrebbe detto che apparteneva ad una donna, le unghie abbastanza curate, nonostante i calli sul palmo.

Era di Keina

“Pensate che sia morta? Perchè in quel caso non possiamo fare più nulla per lei, e il demone lo abbiamo eliminato. Torniamo a casa, dai… Per favore?” Il tono speranzoso era andato scemando ad ogni parola in più, fino ad estinguersi del tutto.

C’era un altro demone.

Non sapevano ancora dove si trovasse, e questo lo rendeva pericoloso, ma era sicuro ce ne fosse un altro: il puzzo di acquitrino non era scomparso dopo la morte del serpente-gatto; i suoni si erano fatti più inquietanti, ed era chiaro che sopra di loro ci fosse un predatore ad aspettarli.

Tutti e tre avevano i sensi a fior di pelle, pronti a reagire al minimo pericolo.

Salirono lentamente, Tanjiro in testa, anche perchè Zenitsu non aveva alcuna intenzione di andare per primo, e Inosuke aveva bisogno di riposarsi prima del prossimo conflitto, checché ne dicesse.

Il piano di sopra era deserto, ad eccezione dei corpi della servitù. Le donne avevano subito la stessa sorte delle vittime del villaggio, mentre gli uomini erano stati sgozzati e lasciati a terra; si stavano avvicinando al loro obiettivo.

Era raro che i demoni si muovessero in coppia, ma avevano già avuto a che fare con casi di questo tipo: di solito, uno dei due era nettamente superiore all’altro in termini di potere, e usava l’altro per controllare il suo territorio mentre andava a caccia.

In che modo un demone delle dimensioni di quello che avevano abbattuto fosse passato inosservato così a lungo era difficile da immaginare, ma in quel momento era l’ultimo dei loro problemi: il serpente-bakeneko era di suo un demone di alto livello 

ma, considerando che l’influenza dell’aura che infestava il castello non si era dissipata con la sua morte, era ovvio che fosse il gregario della coppia.

Il che significava che il loro obiettivo era poco inferiore ad una delle dodici lune demoniache.

Avanzando lentamente verso la scala che portava all’ultimo piano della costruzione centrale, si resero conto dell’acqua che aveva preso a scivolare lungo i gradini. Aveva un odore putrido.

Macinando gradini a due a due, arrivarono nella stanza privata del signore del castello: al centro della stanza, c’era un letto in stile occidentale, molto ampio.

Tra le lenzuola di seta, erano accasciate quattro figure, lo Shogun, sua moglie e i suoi due figli, tutti con gli occhi spalancati ed un’espressione di puro orrore.

L’acqua stagnante arrivava ora fino alle loro ginocchia, mentre osservavano pietrificati il demone che erano stati incaricati di eliminare.

Aveva il volto umano

Per tutto quel tempo lo avevano avuto sotto le mani e non se ne erano accorti; ora si capiva come fosse riuscito a muoversi indisturbato nella città e ad avvicinare le vittime vicino alle fonti usate per riempire le brocche di acqua per i pasti. 

Ma non solo il volto: fino al busto era di aspetto perfettamente umano, ma lì dove avrebbero dovuto esserci le gambe, iniziava il carapace di uno scorpione, da cui si dipartivano otto zampe; al posto delle mani, due tenaglie.

Il demone non aveva mozzato le mani di Keina, perché il demone era lei.

Li accolse con un sorriso mellifluo e la grottesca parodia di un inchino.

“Benvenuti, Ammazzademoni. Cominciavo a pensare che non mi avreste mai trovata, sarebbe stato un vero peccato…”

Continuava a disegnare cerchi sempre più stretti per la stanza, costringendo i ragazzi a ruotare insieme a lei; il corpo da scorpione la rendeva doppiamente pericolosa.

Pungiglione o tenaglie, cosa avrebbe usato per primo?

Inosuke ruppe gli indugi, lanciandosi in un affondo verso le zampe anteriore destra; come c’era da aspettarsi la morsa del lato opposto scattò in basso, impedendogli di raggiungere il bersaglio.

La katana si abbatte sul guscio in uno scoppio di scintille.

Il pungiglione si diresse verso Tanjiro e Zenitsu; il rosso alzò la spada, pronto a deviare il colpo, mentre l’altro si apprestava a schivare.

Non servì.

La coda li oltrepassò, allungandosi in maniera innaturale, e abbattendosi sul signore del castello; il suo corpo si tese allo spasimo, prima di crollare, scosso dalle convulsioni. Una schiuma bianca gli usciva dalla bocca, mentre le grida ovattate della consorte e della figlia si perdevano in singhiozzi.

Tanjiro strinse la presa sulla tsuka della katana.

Erano arrivati fin lì per evitare altre vittime, e ora un uomo era morto davanti a loro, sotto lo sguardo terrorizzato della sua famiglia e il sorriso beffardo di Keina.

O qualunque fosse il suo nome.

“Perchè l’hai fatto? Non potevano difendersi!”

Il demone si lasciò andare in una risata sguaiata

“Perché posso farlo, mio caro. Non è forse questa l’essenza del potere? Poter agire come si vuole, assecondare qualsiasi capriccio, solo perchè se ne ha la possibilità?” 

Riprese a muoversi in cerchio.

Simultaneamente, Zenitsu iniziò ad avvicinarsi al letto; prima che potesse fare più di un paio di passi, il pungiglione si abbatté sulle assi di fronte a lui, aprendo un buco, così che l’acqua accumulatasi sul pavimento iniziasse a piovere al piano di sotto.

“No no, così non va, mio piccolo Ammazzademoni”

Ancora una volta, una delle tenaglie impedì alle lame di Inosuke di intaccare il carapace.

“Vedi, loro sono miei ostaggi: per ogni attacco fallito, ne ucciderò uno. Contando che il vostro amico con la testa di cinghiale è stato così maleducato da non lasciarmi finire, temo che ora tocchi al prossimo… Ma non fate quelle facce arrabbiate, anche se siete proprio carini quando vi affannate. Non sono un mostro, e per dimostrarlo, vi lascerò scegliere chi morirà ora”

La coda si ritrasse, pronta a colpire nuovamente.

Tanjiro strinse la presa sull’elsa, le braccia che tremavano di rabbia. Non riusciva a provare pietà per un essere che giocava così con la vita delle persone, trattandole come un passatempo. 

Inspirò, passando dalla respirazione totale, al kagura del fuoco.

Poteva eseguire pochi attacchi con quella tecnica, ma non avevano altra scelta se non giocarsela con il massimo della potenza.

Inosuke doveva avergli letto nel pensiero, perchè indietreggiò fino a ritrovarsi a metà strada tra lui e Zenitsu, pronto ad intervenire nel caso in cui la coda fosse riuscita ad evaderlo e a dirigersi verso la donna e la bambina.

“Tempo scaduto, miei cari. Vorrà dire che sceglierò io per voi. Guardatela come piange disperata: ‘mammina salvami’. Oh tesoro, nessuno può salvarti. Né quella lurida umana di tua madre, né queste misere imitazioni di Ammazzademoni”

Il pungiglione balenò in avanti, evadendo la vampata di fuoco che si sprigionò dalla lama di Tanjiro.

Maledizione, aveva fallito, così come Inosuke dopo di lui.

Gli istanti che li separavano dalla collisione tra la coda del demone e la pelle della bambina sembrarono dilatarsi sotto il loro occhi, mentre assistevano impotenti all’ennesima morte di quella notte infernale.

Poi un lampo squarciò la penombra della camera reale.

Zenitsu aveva gli occhi chiusi e un’espressione intensa in volto. 

Tra le braccia stringeva madre e figlia, al sicuro, dall’altro lato della stanza.

Il sorriso beffardo di Keina si incrinò, deformandole il viso in un’espressione orribile di invidia e collera. 

Contemporaneamente, il ragazzo cinghiale e il rosso corsero verso di lei, mirando alle tenaglie.

Ora che era incosciente, Zenitsu sarebbe riuscito ad evitare gli attacchi del pungiglione abbastanza a lungo da dare loro il tempo necessario a contrattaccare e portarsi in vantaggio; agendo in sincronia, sarebbe stato più difficile per lei prevedere da dove sarebbe partito l’attacco e difendersi.

Le tenaglie avevano una pelle più coriacea del normale, ma se avessero provato a tagliare leggermente più in basso, lungo la zampa, forse sarebbero riusciti ad amputarle, per poi doversi solo preoccupare di evitare la coda nel momento in cui sarebbero partiti all’attacco del collo.

Deviando all’ultimo secondo, rispettivamente, a destra e a sinistra, i due ragazzi si prepararono a sferrare il colpo.

Inosuke, a giudicare dalla posa assunta, aveva optato per la Seconda zanna, pronto a vibrare un doppio affondo in diagonale; Tanjiro, invece, era pronto a saltare.

Se aveva intuito correttamente, un attacco verticale non avrebbe funzionato sul lato sinistro del corpo di Keina: fino a quel momento si era sempre mossa in senso antiorario. All’inizio, aveva pensato fosse un modo per destabilizzarli, prima che si rendesse conto che, semplicemente, le veniva più naturale.

Keina era mancina.

Con quella cosapevolezza, Tanjiro optò per il secondo kata modificato, che prevedendo una rotazione simile a quella di una ruota, le avrebbe reso più difficile leggere la direzione in cui avrebbe sferrato il taglio.

Il piano riuscì solo a metà: nel momento in cui Tanjiro era riuscito a tranciare la tenaglia sinistra, il demone aveva ritratto l’altra, lasciando Inosuke vulnerabile all’attacco della coda; il pungiglione si abbattè sul ragazzo, colpendolo poco al di sopra del ginocchio destro.

Tanjiro lo vide cadere a terra come una bambola di pezza, la presa sulle spade totalmente allentata, mentre l’acciaio cadeva a terra con un suono sordo.

“Inosuke! Inosuke, ti prego rispondi!”

Dal corpo riverso a terra non arrivò nessuna risposta. 

Approfittando del momentaneo smarrimento di Keina, ancora scossa dalla perdita dell’arto, l’Ammazzademoni corso incontro al suo compagno, allontanandolo dal pericolo imminente delle zampe del demone.

Lo squarcio sulla gamba non era troppo profondo, ma qualsiasi veleno avesse avesse in corpo, era chiaro fosse sufficiente a paralizzare anche il corpo di Inosuke, a dispetto della sua tolleranza alle tossine; Tanjiro si costrinse a non pensare quale effetto avrebbe avuto su di sé, nella stessa quantità.

“Vedo che ci sei arrivato. Il mio veleno non si limita a paralizzare i muscoli, ma progredisce finché anche il cuore, i polmoni e tutti gli altri organi si arrestano. Di solito preferisco che le mie prede siano vive quando le divoro, ma per voi Ammazzademoni farò un’eccezione.”

Qualcosa nella sua espressione doveva essere particolarmente divertente per quel mostro, a giudicare dalla risata che seguì.

“Su, non prendertela per il tuo amichetto, è una morte indolore, più di quanto si meriti. A te, che hai osato ferirmi, non andrà altrettanto bene.”

Il corpo gigantesco si lanciò contro di lui, facendo collassare le assi marce del pavimento.

Sia lui, sia Inosuke, precipitarono al piano di sotto e ancora, al pian terreno; fortunatamente la caduta era stata attutita dai resti della giungla.

Scrollandosi di dosso rampicanti vari, e assicurandosi che l’altro ragazzo fosse relativamente al sicuro, Tanjiro si rialzò, deciso a chiudere la questione, fu in quel momento che si sentì afferrare da dietro. 

Anche se stritolare sarebbe stato più corretto.

La morsa della tenaglia si era chiusa intorno al suo busto, penetrando la carne e minacciando di tranciarlo a metà.

La vista gli si annebbiò per un attimo. Ogni fibra del suo corpo ridotta al dolore lancinante che gli attraversava schiena e ventre.

Tanjiro non aveva alcun dubbio che se Keina avesse voluto ucciderlo, avrebbe già dovuto essere morto. Era evidente che intendeva mantenere la parola, e farlo soffrire prima di sferrare il colpo di grazia.

La tenaglia si mosse verso l’alto, lanciandolo quasi al livello del soffitto, prima di abbattersi con tutta la forza sul suo corpo, l’impatto che si riverberava lungo tutte le ossa. 

Se non avesse mantenuto la respirazione  della concentrazione totale, sarebbe morto solo per il propagarsi dell’onda d’urto causata dal colpo.

La rapidità con cui precipitò al suolo era stata tale da fargli fischiare le orecchie, come effetto della pressione, e a mozzargli il fiato. Forse era stato meglio così, considerando il dolore che gli causò il contraccolpo tra la schiena ferita e le assi putride del pavimento che, nuovamente, cedettero.

Tanjiro era vagamente consapevole del fatto che non ci sarebbe dovuto essere nulla al di sotto di quel piano, ad eccezione del terreno. Eppure, la sua caduta sembrava non avere fine.

Mentre piombava nel vuoto al di sotto della torre centrale, si appigliò a quel poco di forze che gli erano rimaste per arginare l'emorragia, che minacciava di farlo morire di dissanguato ben prima che potesse schiantarsi al suolo.

Sempre che ci fosse un suolo contro cui schiantarsi. Non ne era certo.

I sensi andavano e tornavano, appannandogli la vista. Il suo ultimo pensiero fu per i suoi amici, e per Nezuko.

Alla fine non era stato in grado di salvare proprio nessuno, nemmeno se stesso.

L’acqua era gelida, ma Tanjiro non la sentiva.

Nel buio che lo aveva avvolto, non sentiva nulla.

 

Sotto quell’albero, gli sembrava che fossero passati giorni da quando si era risvegliato, alle soglie dell’ipotermia, in una grotta nel bel mezzo di un bosco.

Mezzo morto, si era toccato la pancia, lì dove le tenaglie del demone lo avevano quasi tagliato in due, convinto di non trovare alcuna traccia delle ferite: dopotutto quando si sogna i mali che ci affliggono da svegli non si riflettono quasi mai su quel corpo che prendiamo in prestito per poche ore a notte.

Forse, più che addormentato, Tanjiro era morto e non se ne era ancora reso conto, anche se gli avevano raccontato che, poco prima che lo spirito si dipartisse dalla carne, si rivedeva tutta la propria vita, e lui era certo di non essere mai stato prima in quella grotta; ma, d’altra parte, nessuno che fosse effettivamente scomparso poteva confermargli che fosse la verità.

In ogni caso, il dolore che sentì quando la propria mano si poggiò sullo squarcio era decisamente reale. 

Era sveglio, e miracolosamente vivo.

Questo significava che avrebbe ancora potuto aiutare gli altri, se fosse riuscito a capire dove si trovava e a tornare indietro.

Il raggio di sole che filtrava dalla bocca della grotta smorzò il suo entusiasmo; a giudicare dal punto raggiunto dalla luce, il sole era vicino allo zenit. Era troppo tardi per dare una mano a Zenitsu e Inosuke, doveva sperare che fossero riusciti ad abbattere Keina da soli.

A proposito di Keina, c’era qualcosa di strano: non sentiva odore di demone.

Lo fiume sotterraneo lo aiutò a mettere insieme i pezzi: ricordava di essere precipitato da una voragine aperta nel pavimento della torre centrale del castello; evidentemente l’acqua dei fossati proveniva direttamente da un fiume sotterraneo, che scorreva sotto l’edificio principale.

Tuttavia, se fosse stato nei paraggi del castello, avrebbe dovuto essere in grado di sentire i residui dell’aura demoniaca, e invece l’unico odore che impregnava l’aria era quello del proprio sangue.

Che il fiume lo avesse trascinato così lontano?
Senza perdersi d’animo, Tanjiro si impose di alzarsi, ignorando il dolore lancinante delle ferite e la vertigine causata dall’emorragia; l’uso della respirazione continua gli avrebbe permesso di tornare in città, sempre che si fosse sbrigato.

Strascicando i piedi fino all’entrata, inciampò pesantemente su qualcosa, finendo disteso sul pavimento brullo della caverna; il bordo delle pietre su cui era atterrato gli irritò ancora di più i bordi slabbrati della ferita. Soffocando un gemito, si rialzò, guardandosi attorno.

Era inciampato sulla lama della nichirinto, miracolosamente ancora integra. 

In qualche modo non era stata trascinata via dalla corrente.

Senza rifletterci troppo, rinfoderò la spada, incamminandosi con passo incerto verso l’uscita. 

La grotta si affacciava su un bosco.

Le piante che vi crescevano non avevano dimensioni innaturali come quelle del castello di Chiba, il che lo rassicurava: probabilmente era stato trasportato al di fuori dei confini della città ma, seguendo il sentiero, sarebbe, probabilmente, riuscito a tornare a casa dei signori Satō, dove i suoi compagni lo stavano certamente aspettando.

Riusciva ad immaginare il piagnucolio di Zenitsu, che oscillava tra il sollevato, il preoccupato e il furioso, così come l’apparente indifferenza di Inosuke.

Non si diede il tempo di pensare ad un altro scenario.

Orientandosi con la posizione del sole, si diresse verso nord, in direzione di Chiba.

Dopo neanche mezz’ora di cammino, si rese conto che qualcosa non andava.

Non c’era nessun sentiero, lì dove era sicuro ce ne fosse uno: ormai, avrebbe dovuto trovarsi sulla via che avevano percorso, all’andata, per raggiungere la cittadina; invece, ad ogni passo, aveva la sensazione di addentrarsi sempre di più nel cuore della foresta.

Forse il fiume lo aveva trasportato nella direzione opposta a quella che aveva creduto inizialmente? 

Gli sembrava tutto così strano, così sbagliato, eppure non riusciva a trovare un senso a quella preoccupazione che cominciava ad affaticargli il respiro.

Doveva assolutamente raggiungere un centro abitato prima di perdere i sensi per la gravità delle ferite e la stanchezza.

Anche se non fosse tornato a Chiba, doveva trovare aiuto, riposare e farsi medicare; il corvo della Squadra lo avrebbe sicuramente rintracciato e riportato dagli altri.

Affidandosi al proprio olfatto soprannaturale, Tanjiro individuò l’odore di fumo tipico delle braci; seguendolo, con un po’ di fortuna, avrebbe incontrato qualcuno. 

O almeno così sperava.

Ad ogni passo in avanti, si rendeva conto che il tempo a sua disposizione stava scadendo: la caviglia, già infortunata, si era gonfiata, in seguito allo sforzo a cui l’aveva sottoposta durante il combattimento, minacciando di farlo cadere ogni volta che ci poggiava il peso; ma, a preoccuparlo davvero, erano le ferite al busto.

Anche utilizzando la respirazione della concentrazione totale, il sangue non si era fermato del tutto e, ad ogni goccia, aveva l’impressione di essere un po’ più vicino al punto di non ritorno: il petto gli bruciava per lo sforzo di mantenere la respirazione con il corpo in quello stato, gli occhi gli si appannavano per le lacrime, e la testa gli scoppiava dalla fatica.

Riusciva a sentire le pulsazioni del proprio cuore farsi sempre più lente, ma si costrinse ad ignorarlo e a tirare avanti.

E così per una, due, tre ore, fin quando giunse al confine del bosco, in mezzo ad una radura.

Al centro, si stagliavano i resti di un antico pozzo; non c’era acqua corrente, doveva essere in disuso da molto tempo ormai.

Guardandosi intorno, si rese conto che non c’era un villaggio nelle immediate vicinanze, nonostante dovesse sicuramente essercene uno non troppo distante; gli arrivavano distintamente gli odori tipici di un insediamento umano: il puzzo acre del sudore dei braccianti e degli escrementi delle bestie da lavoro, insieme al profumo del riso cucinato, quello della legna bruciata per riscaldare i pasti, e dei panni stesi ad asciugare.

Si sentiva in pace.

Non c’era odore di demoni in quel luogo, solo di esseri umani.

Le gambe stavano per cedergli.

Con uno sforzo, Tanjiro si trascinò fino all’ombra di un shintai*; l’albero aveva un tronco enorme, la corteccia secca e spessa, perfetto per appoggiarci la schiena e riposare.

L’ombra dell’immensa chioma lo riparava dal sole cocente di un pomeriggio estivo; non doveva addormentarsi: era in condizioni pietose, gli serviva immediatamente un medico… non poteva. Lui doveva… Lui…

Le palpebre erano così pesanti che non ebbe altra scelta se non lasciarle socchiudere.

“Solo cinque minuti.”



Atsushi sa di non doversi allontanare da solo, la mamma glielo ripeteva tutti giorni, ma lui voleva andare al vecchio pozzo.

É da lì che la venerabile Kagome arrivava e, quando tornava, portava sempre qualche regalo dal suo villaggio; lui voleva essere il primo ad incontrarla, così, magari, sarebbe riuscito a farsene dare due. 

La signorina Kagome era sempre così gentile con loro, sicuramente non gli avrebbe detto di no.

Solo che, quel giorno, non l'aveva incontrata al pozzo.

Di solito tornava sempre dopo tre giorni, ma quella volta non aveva trovato né lei, né la sua strana borsa gialla, né tantomeno quello strano attrezzo rosa con le ruote che si portava sempre dietro.

Aveva trovato, invece, sotto le fronde del vecchio albero uno strano ragazzo dai capelli rossi.

Ha paura di avvicinarsi: non aveva mai visto nessuno con quel colore di capelli, o con quella strana divisa; avrebbe potuto essere un demone, e poi era anche armato.

Quasi senza rendersene conto, le sue gambe lo avevano portato un po’ più vicino, sempre di più, finchè non si era trovato a meno di tre passi da lui; respirava lentamente, come se stesse dormendo, e intorno a lui si era formata una piccola macchia rossa.

Solo in quel momento si era reso conto che era sangue: i vestiti scuri dovevano aver nascosto il resto.

Atsushi non è un bambino ubbidiente, e nemmeno tanto coraggioso, ma sa correre veloce.

E mai come quel giorno, mentre correva al villaggio, ne era stato così fiero.



Note dell’Autrice

Buonasera!

So che è tardi e che avevo detto che la seconda parte sarebbe uscita ieri in giornata, ma ho appena finito di rivederla, perchè volevo essere certa che funzionasse.

Ad essere sincera, non so se sono soddisfatta del risultato. Complessivamente lo sono, ma ho anche la sensazione che sarebbe potuto venire meglio, soprattutto per la coreografia dei combattimenti (è la mia prima volta, perciò fatemi sapere se qualcosa non funziona)

In ogni caso, vorrei ringraziare chi ha letto la prima parte: spero che non vi siate annoiati!

Mi auguro che continuerete a seguire questa storia e, se vorrete dirmi la vostra opinione, sarò più che lieta di leggere cosa ne pensate.

 

Vi lascio qui un paio di note, come nel primo capitolo:

*bakeneko: è un tipo di demone gatto nel folklore nipponico; nasce dopo un tot di anni di vita del felino, che acquisisce poteri soprannaturali (da non confondere con i nekomata, che sono una versione più potente e “meno” animale, la cui caratteristica è avere due code. Fun fuct: Kirara è una nekomata, ma si comporta come un bakeneko)

*kokiriko: è un tipo di strumento a percussioni giapponese, simile alle nacchere, composto da una serie di listarelle di legno, da agitare con la mano. In questa storia, alludo al suono dei sonagli della coda dei cobra

*tsuka: è l’impugnatura in legno della katana

* la struttura del castello che ho descritto non è quella del castello Tateyama (che si trova effettivamente a Chiba, su una collina), ma quella del castello di Matsumoto, costruito nella prefettura di Nagano, questo perchè mi serviva che ci fosse l’acqua ai fini della storia. Vi prego di considerarla una una libertà poetica

  
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