Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Elisa_Malse    06/07/2021    2 recensioni
DAL CAPITOLO: ????
JUNGKOOK'S POV:
Come ho conosciuto Taehyung? È entrato nella mia pasticceria, ha comprato una torta di ciliegie, rubato un vaso di fiori - non avevo idea di cosa diamine dovesse farci - e lasciato il suo biglietto da visita in bella mostra.
Prima di ammettere cosa abbia fatto con il biglietto da visita vorrei chiarire una cosa: Taehyung non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per entrare nella mia vita. Il mio locale stava per fallire. Quello stupido del mio ex si rifiutava di lasciarmi in pace. E tutti mi tormentavano perché a venticinque anni non ero ancora mai andato a letto con un ragazzo dopo aver scoperto da anni il mio orientamento sessuale.
Taehyung non era certo il candidato ideale per la mia prima volta. Un donnaiolo convinto, sexy in modo insopportabile. Tutto il contrario di cui avevo bisogno. E allora perché l'ho cercato? Ho capito di essere nei guai quando con la sua voce profonda mi ha detto: «La tua torta era deliziosa. Cucini anche a domicilio?»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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TAEHYUNG'S POV


Il mattino dopo la festa avevo pensato di passare a tormentare un po’ il pasticcere, ma non ne avevo avuto il tempo. Quel rompipalle di mio fratello aveva avuto bisogno di me in ufficio, visto che stavamo cercando di concludere un importante contratto commerciale con un nuovo grosso cliente. Namjoon godeva a occuparsi di tutti gli aspetti organizzativi della nostra società. Lui si occupava delle ricerche di mercato, creava i contatti e gli appoggi giusti, coordinava le attività, progettava ed eseguiva. Penso che provasse quasi un piacere fisico quando tutto procedeva senza intoppi. Io, invece, amavo il rischio.

Mi piaceva provare a fare ciò che chiunque altro sano di mente non avrebbe mai fatto. Mi eccitavo ancora di più al pensiero che un eventuale errore da parte nostra ci sarebbe potuto costare milioni di dollari, se non la reputazione della società. In realtà, ero cazzuto e ci sapevo fare nel mio lavoro, quindi non sbagliavamo mai.

Okay, a volte le mie idee si rivelavano un fiasco. Mi era capitato di perdere qualche milione e avevo fatto incazzare alcune importanti società.

Ma non erano quelle le cose che contavano. Avevo una mente febbrile. E quando uno è un genio creativo, capita di dover rischiare un po’, o di pestare i piedi a qualcuno, e una volta o due capita anche di dare fuoco all’ufficio. Probabilmente quest’ultima eventualità non è così frequente come le prime due, ma quando il processo creativo necessita di una sostanza un po’ dolce e appiccicosa, allora capita anche di dover gettare una canna nel cestino della spazzatura se tuo fratello irrompe all’improvviso nel tuo ufficio. Così, se nel suddetto cestino c’è una certa quantità di carta straccia – be’, mi avete capito.

Nonostante tutto, però, anche Namjoon riconosceva che ero bravo nel mio lavoro. Doveva farlo. Una volta quel cazzone era stato un po’ troppo arrogante con me, così, se non mi avesse leccato un po’ il culo, lo avevo minacciato di lasciare la società. In quell’occasione, perse qualche anno di vita per causa mia. Gli piace dire che vivrà più a lungo di me. Vedremo.

In quel momento il lavoro e mio fratello potevano aspettare. Avevo già dedicato loro due giorni, forse tre. Ormai il pasticcere doveva aver pensato che non fossi più interessato, quindi dovevo sbrigarmi a sistemare le cose prima che qualche altro bastardo si facesse avanti e cercasse di mettere le mani sulla sua torta di ciliegie.

Nemmeno a farlo apposta, in quel preciso momento la brutta faccia di Namjoon comparve nel mio ufficio. Eh sì, eravamo gemelli identici, ma il suo viso era brutto, doveva farsene una ragione.

«Cosa c’è?», chiesi. «Stavo per andare a vivere un po’, vuoi smerdarmi pure un’idea così piacevole?».

Mi lanciò un’occhiata disgustata. «In realtà sono venuto per chiederti del ragazzo della festa. Un paio di sere fa, ricordi?».

Lo guardai con sospetto. Notai che, a differenza di quel che faceva sempre, non era piombato dentro come una furia, ma era rimasto fermo sulla soglia con le mani in tasca. Davvero strano per Nam. Qualcosa bolliva in pentola.

«È stata Lisa a spingerti a venire?»

«Sì». E adesso sembrava ancora più in imbarazzo.

«E ti ha detto di non dirmelo?»

«Sì», sospirò.

Gli diedi una pacca sulla spalla.

«Colpa di quella storia della telepatia tra gemelli. Ci credono tutti a questa stronzata. Non sei obbligato a dirle che sei talmente negato come bugiardo che saresti capace di perdere tutti i nostri soldi giocando a poker con dei mocciosi».

«Il poker è tutta questione di fortuna. Chiunque può perderci tanti soldi».

«Ed è per questo che sei una schiappa a poker. Comunque, non importa. Sei bravo in altre cose. Tipo… mettere in ordine i frigoriferi altrui. Ti piace tanto, vero?», domandai, come se lo stessi incoraggiando.

«Già. Proprio come a te piace tanto rubare le borsette alle signore anziane».

«Mai fatto», dissi. «Te lo ripeto per la millesima volta. Era una tote bag, una borsa grossa e capiente, non una borsetta. E la signora mi aveva rubato il posto al parcheggio».

«Allora?», chiese, e finalmente entrò nella stanza e si mise seduto sulla sedia reclinabile accanto alla mia scrivania. «Il ragazzo…».

«Innominato. Stavo proprio per andare da lui a infastidirlo un po’ prima che mi comparisse davanti la tua brutta faccia».

«Be’, cos’è successo dopo che vi abbiamo lasciati soli alla festa? L’hai liquidato?»

«Perché Lisa è tanto interessata a lui? Non ti ha mai mandato a far domande sugli altri con i quali perdo il mio tempo».

«Le è sembrato che tu lo guardassi in modo diverso rispetto a come guardi di solito gli altri».

«Be’, e cosa la renderebbe un’esperta in questo campo? Da quel che ne so io, Lisa combina guai, quindi si può dire esperta solo nell’arte di attirare gli incidenti più assurdi».

«Attento», ringhiò. «Stai parlando di mia moglie».

Sollevai le mani e abbozzai un sorriso, a mo’ di scusa. «Era così, tanto per dire. La sua vita è un mix esplosivo di sfortuna e pessimo tempismo. Mi sorprende che tu la lasci uscire di casa senza un elmetto in testa».

Namjoon mi lanciò un’occhiataccia, ma sapeva che quello era il massimo delle scuse che poteva aspettarsi da me, così proseguì imperterrito. «Non ha mai preteso di essere un’esperta, soprattutto per quel che ti riguarda. Chi ti conosce non è così stupido da pensare di riuscire a capirti. Non ti capisci nemmeno tu».

«Accetto il complimento».

«Era solo curiosa. E così mi ha mandato a indagare».

«Ecco il suo primo errore. Avrebbe fatto meglio a mandare un topo da laboratorio. Avrebbe dato meno nell’occhio».

Proprio come mi sarei aspettato, Namjoon fece una piccola smorfia sentendo nominare il topo. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era terrorizzato da quegli esserini così simpatici. Ed era anche giusto. Se Namjoon fosse stato un supereroe, infatti, sarebbe stato Mastro Lindo, quindi doveva detestare i topi, simboli di sporcizia e disordine.

«Allora?», incalzò. «Cos’è successo con lui alla festa? Devi raccontarmi qualcosa, altrimenti Lisa mi manderà di nuovo a interrogarti. Risparmia a entrambi questo supplizio. Ti prego».

Incrociai le braccia e mi appoggiai alla parete. «Be’, è successa Jennie».

«Cazzo», sibilò. «Quella Jennie?»

«La sola e l’unica».

«Pensi che siano stati mamma e papà a mandarla?»

«Forse», risposi. «Sgancio sempre qualcosa a entrambi quando mi chiedono soldi, ma può darsi che siano stanchi del contentino. Non capisco però perché si fidino di Jennie e siano convinti che lei darà loro una percentuale se dovesse riuscire a incastrarmi in un matrimonio».

«Perché sono due deficienti».

«Dài, Namjoon. Stai sempre parlando dei nostri genitori».

«Lo so bene».

Sorrisi. «Avranno pure una lunga lista di eccezionali fallimenti ma… Be’, sono comunque due persone intraprendenti e ambiziose. Bisogna riconoscere loro il merito di possedere il buon vecchio spirito coreano».

«Già. Sono così intraprendenti e ambiziosi che da quando abbiamo avuto successo, si danno da fare per arraffare i nostri soldi».

«Il diavolo si nasconde nei dettagli, lo sai».

«Lo hai mai incontrato?», chiese Namjoon.

«E sapresti dirmi anche quante dita gli piace che gli mettano nel culo».

Namjoon fece una smorfia. «A volte mi dimentico quanto tu sia immaturo».

«Se maturità significa avere una venerazione per le banane, seguire con rigidità orari programmati, usare schemi e diagrammi colorati, allora sì, sono immaturo».

«Se hai finito… Cos’hai intenzione di fare con Jennie?»

«Quello che faccio sempre», dissi semplicemente.

«Scopartela un po’, lasciare che ti freghi decine di migliaia di dollari, e poi metterci un mucchio di tempo a renderti conto che sei stato un idiota?»

«Uh, no», dissi. «È accaduto solo due o tre volte. Io mi riferivo a tutte le altre volte in cui le ho detto di sparire».

Namjoon mi fissò con un’espressione accusatoria, pronto a rettificare un concetto che non si capacitava di aver appena udito. «Più volte in passato hai fatto la figura del perfetto coglione con lei. Prendimi pure per pazzo se mi viene il dubbio che la cosa possa ripetersi».

Alzai lo sguardo al soffitto e cercai di trovare una falla nella sua analisi, ma non mi riuscì. «Senti. Ho qualche problemino con i legami affettivi. Okay? Comunque, è successo mesi e mesi fa. Non l’ho nemmeno baciata in bocca. Adesso poi ho messo gli occhi sul pasticcere».

Namjoon fece un ampio sorriso, e scosse la testa. «Funziona così per te? L’importante è che non le baci in bocca?»

«Non vale solo per me», replicai. «È una cosa risaputa. O forse si riferisce solo alle prostitute? Ma cazzo, non sono andato a parlarle di questo alla festa. Adesso mi interessa il ragazzo della torta di ciliegie. Sì, lo so, non sarei dovuto andare a letto con Jennie. Mai. Ma è successo tempo fa. Tanto tempo fa. Stavolta l’ho mandata a fanculo. Quindi sto imparando».

«Il ragazzo della torta di ciliegie lo sa? Lo sa che ti interessa e che hai liquidato Jennie?»

«Chi sei, Dr. Phil?»

«Sono quello che verrà torchiato dalla moglie appena rientrerò in ufficio e le riferirò i particolari di questa storia».

Lo guardai storto. «Se il pasticcere non ha ancora capito che mi interessa, allora qualcuno dovrà anche spiegargli che Babbo Natale non esiste».

«Cosa?»

«Lascia stare. Voglio dire, sì. Dovrebbe sapere che mi interessa».

«E sa perché stavi parlando con Jennie?»

«Cos’è, devo avere una cazzo di autorizzazione da parte sua per parlare con una donna?»

«No. Ma non dovresti nemmeno essere così ingenuo da non capire come l’ha vissuta lui. Cos’hai fatto? L’hai piantato in asso e sei corso ad affrontare Jennie?»

«Più o meno», dissi lentamente. «Sapevo che se Jennie avesse capito che ero interessato a Jungkook, avrebbe trovato il modo di mandare tutto a puttane. Non ho avuto altra scelta. Quella donna è spietata».

Namjoon sospirò e intanto si alzò in piedi. «Capisco. Quindi devo dire a Lisa che mio fratello ha rovinato tutto con il ragazzo che a lei piace».

«Calma. Tu hai i tuoi modi e io i miei».

«E il tuo modo sarebbe?»

«Più alto è il rischio, più c’è soddisfazione», dissi. «Cioè, pensaci. Se dovesse spaventarsi per un’inezia come questa, vuol dire che posso risparmiarmi ulteriori seccature. Devi mettere alla prova un uomo per sapere se è proprio quello giusto che vuoi tenerti stretto».

Namjoon inarcò le sopracciglia. «E da quando in qua ti interessa tenerti stretto un uomo o donna, che sia?».

Liquidai la sua domanda con un mugolio sprezzante, anche se mi aveva turbato. Aveva ragione. Non avevo mai cercato una donna per un rapporto serio e duraturo. Cercavo piacevoli diversivi. E soprattutto, che fossero passeggeri. «Okay, signor Agente Segreto. Abbiamo finito. Se Natasha dovesse sentire che il suo istinto da reporter non è rimasto soddisfatto, allora dille di venire a lamentarsi direttamente con me. Siamo d’accordo?»

«Non sempre», disse. «Ma ora ho del lavoro da sbrigare».

Lo salutai con le mani aperte, agitando le dita, senza sapere bene cosa volesse significare un gesto del genere. Forse volevo comunicargli qualcosa del tipo “ecco qui un pezzo grosso che lavora, cari miei”. Namjoon mi ricompensò con un mugugno contrariato, e uscì dalla stanza.

Di solito avevo l’autista per spostarmi. In questo modo evitavo di perdere tempo e, per averne uno a disposizione in qualunque momento, gli pagavo in anticipo lo stipendio di un anno intero. Quel giorno però decisi di prendere la metropolitana, cosa assolutamente insolita per me.

Forse volevo concedermi un po’ di tempo per riflettere. La considerazione fatta da Namjoon mi aveva turbato e volevo andare a fondo per capire perché gli avessi dato quella risposta. “Devi mettere alla prova un uomo per sapere se è proprio quello giusto che vuoi tenerti stretto”.

Riuscii a sedermi perché la metropolitana era poco affollata: infatti era troppo presto per essere l’ora di pranzo, e troppo tardi per essere l’ora in cui i pendolari vanno al lavoro.

Mi chiesi se il mio fosse stato un semplice lapsus. Uno dei miei passatempi preferiti era irritare mio fratello, per questo in genere dicevo qualsiasi cosa mi saltasse in mente, fondata o meno, solo perché sapevo che in questo modo gli avrei dato sui nervi. Ma quella perla di spinosa saggezza mi era sfuggita dalle labbra con una tale facilità. Non sembrava né una bugia ben congegnata né una sagace frecciatina. Sembrava solo…

Appoggiai indietro la testa, contro il finestrino, e fissai le maniglie che si muovevano delicatamente mentre il treno scivolava sottoterra.

Scesi poco dopo e, prima di uscire in superficie, dovetti attraversare una stazione puzzolente. Una volta fuori, l’aria mi sembrò addirittura tersa, cosa che non avrei mai pensato camminando per le strade di Seoul. Mentre procedevo verso la sua bakery, sentii un fruscio in un vicolo. Forse avevo già deciso in cuor mio di perdere un po’ di tempo, cosa del tutto anomala per me, perché subito mi allontanai dal fiume di persone indaffarate e mi addentrai tra i due edifici.

Mi avvicinai a una pila di scatoloni fradici, e vidi che qualcosa si muoveva.

Feci un salto indietro, mi avvicinai di nuovo, gli occhi socchiusi. Gli scatoloni si aprirono e saltò fuori un cucciolo tutto lercio. Aveva in bocca un osso di pollo che aveva già spolpato. Vedendolo, mi ricordai del cane che avevamo da bambini – lo avevamo tenuto per miracolo perché i nostri genitori erano così poveri che riuscivano a malapena a sfamare Namjoon e me, figuriamoci un cane. Una sera dopo cena papà gli diede da mangiare un osso di pollo, senza sapere che gli ossi sono nocivi per gli animali. Alcuni frammenti lacerarono le pareti interne dello stomaco del nostro cane che quindi non fu più in grado di mangiare, e alla fine fummo costretti a sopprimerlo.

Mi avvicinai cauto al cucciolo, nella speranza di togliergli l’osso di bocca.

Mi ringhiò. Quello stronzetto aveva davvero avuto la faccia tosta di ringhiarmi contro? Sembrava un meticcio. Di razza non meglio identificata, aveva il pelo marrone, con le orecchie nere e una macchia beige sotto uno degli occhi. Doveva avere meno di due mesi.

«Senti, stronzetto», dissi a bassa voce perché non volevo che qualche passante mi sentisse parlare con un cane. «O me lo dai tu, o te lo prendo io».

Fece un passo indietro, e rizzò il pelo mentre quel ridicolo ringhio si faceva più basso – e con “più basso” intendo leggermente più intenso del verso di un usignolo.

«Possiamo farla breve o farla lunga. Decidi tu».

Mi ignorò, e intanto continuava a indietreggiare tenendo sempre stretto tra i denti il suo bottino.

«Dammelo!», urlai e scattai in avanti cercando di strappargli l’osso di bocca. Fui rapido, ma lui lo fu di più. Tirò la testa indietro, si voltò e partì a razzo lungo il vicolo sgambettando veloce tanto quanto le sue piccole zampette gli consentivano.

Non avevo certo intenzione di farmi infinocchiare da un cucciolo randagio, così gli corsi dietro.

Lo stavo per raggiungere. Pensava di fregarmi, quel birbante. Nel mio folle inseguimento, saltai bidoni della spazzatura, vecchi scatoloni, pozzanghere, e schivai anche un cassonetto, ma non mollai. Stava per sbucare nella strada dall’altra parte del vicolo quando all’improvviso si bloccò. Il cucciolo si trovò davanti una marea di persone che camminavano, una barriera umana che gli impediva il passaggio, così si fermò proprio dove volevo io.

Lo raggiunsi da dietro, afferrai l’osso e glielo strappai di bocca.

Lo tenni sollevato sopra la testa e guardai il cane dall’alto con aria sprezzante. «Il tuo primo errore è stato volermi sfidare, stronzetto».

Si accovacciò e iniziò a guaire.

«Sì, certo, peggio per te. Non mi lascerò commuovere dalle moine di un cucciolo. Puzzi da morire e chissà quante malattie hai, ma non ti farò suicidare con un cazzo di osso di pollo».

Guaì di nuovo, gli occhioni tristi puntati sul suo trofeo.

Sospirai. Non ero tipo da prendersi cura di un animale. A essere del tutto sincero, non ne volevo uno in casa anche perché temevo di dimenticarmi di dargli da mangiare o di portarlo fuori. Così lo guardai, scrollai leggermente le spalle e mi feci largo tra la folla. A Seoul c’erano abbastanza rifiuti perché riuscisse a sopravvivere da solo. Accidenti, magari dopo un forte acquazzone sarebbe anche potuto passare per un cucciolo adorabile e qualcuno si sarebbe lasciato intenerire e lo avrebbe preso in casa. Ma quel qualcuno non ero certo io. Avevo già compiuto la mia buona azione quotidiana salvandogli la pellaccia puzzolente.

Il folle inseguimento nel vicolo, in realtà, mi aveva portato vicino alla pasticceria, più precisamente di fronte al locale, ma dall’altra parte della strada.

Una volta raggiunta la bakery, avvertii una leggera stretta allo stomaco. Non saprei neppure dire quante volte avevo fatto una cosa simile in passato, eppure non mi ero mai sentito in agitazione. Ecco un altro comportamento del tutto insolito da parte mia. Irrompere nella vita di un uomo, travolgendola come un uragano, e dichiarargli apertamente che mi interessava. Sì, che mi interessava. Ma presentarmi nel suo locale dopo che lui non aveva fatto nulla per ricontattarmi? Bisognava ammettere che un simile comportamento superava un po’ il limite del semplice “interessamento”. Sfiorava quasi la disperazione, e questo, per me, era un territorio sconosciuto.

Ripensai alla parte finale della conversazione con Namjoon, e mi sentii un po’ a disagio. Quand’è che avevo deciso di smetterla di divertirmi cambiando una donna o un uomo a settimana? Appena poche ore prima di conoscere il pasticcere, avevo deciso di richiamare una ragazza a cui ero stato dietro un paio di giorni. Ora che ci pensavo, alla fine non l’avevo più richiamata. Da quando avevo rubato i fiori al pasticcere, non avevo neppure flirtato con un altro uomo o donna. Tecnicamente non ero nemmeno uscito con una donna, a dimostrazione del fatto che forse ero già pronto a dargli l’esclusiva?

Mi passai una mano tra i capelli e mi sfuggì un sospiro confuso, che altro non era che un sospiro come tutti gli altri ma con la fronte corrugata. Come quello che facciamo quando ci svegliamo nel mezzo della notte completamente nudi davanti a un frigorifero che non conosciamo. E che precede l’ovvia domanda “ma che cazzo ci faccio qui?”.

Mi liberai la mente da tutti questi pensieri e aprii la porta della pasticceria. Confuso o meno, sentii il profumo del pane appena sfornato, e mi accorsi di avere fame. Era venuto il momento di smetterla di psicanalizzarmi e di tornare a fare quello che facevo di solito. Agire senza pensare alle conseguenze.

Mi sentii avvolgere anche da un delizioso profumo di paste e torte appena sfornate. Jungkook stesso ne aveva lasciata una leggera scia alla festa in maschera, addirittura ore dopo essere uscito dal locale. Quell’aroma mi era già familiare. Mi ricordava quanto aveva spalancato gli occhi quando mi ero avvicinato a lui. Quanto gli batteva forte il cuore quando gli scrivevo sulla pelle.

Il mio dolce Cannolo illibato. Il ragazzo coi grandi occhi innocenti, che profumava di farina e di pane fragrante. Com’era giusto che fosse. Aveva un profumo delizioso, ed ero certo che avesse anche un sapore delizioso.

Dietro al bancone rividi lo stesso ragazzo dell’ultima volta. Gli lanciai una veloce occhiataccia, tanto per sicurezza. Sapevo che era impossibile, eppure avrei giurato di essere un po’ geloso all’idea che Jungkook lavorasse tutti i giorni da solo in pasticceria con lui. La gelosia, però, non era un sentimento che mi apparteneva più di tanto. Ho sempre pensato che riguardasse uomini poco sicuri di sé. Di cosa si dovrebbe essere gelosi se sei il migliore e il tuo ragazzo lo sa? A ogni modo, lanciargli un’occhiataccia poteva essere utile. Tanto per precauzione.

Jungkook era in piedi dietro al bancone con il grembiule sporco di farina e uno sbaffo bianco sul sopracciglio. Il suo aspetto era adorabile. Aveva i capelli legati in una minuscola coda di cavallo un po’ arruffata, e le unghie corte, il che mi fece pensare che forse se le mangiava come me.

«Sei consapevole che hai un cucciolo che ti segue, vero?», domandò.

«Cosa?», chiesi voltandomi, e abbassai lo sguardo. «Merda. Ti avevo detto di sparire», gli dissi.

Il cucciolo abbaiò e cominciò a scodinzolare.

«Tanto non te lo do», gli dissi, sollevando un po’ di più l’osso. «Per cortesia, me lo puoi buttare?», chiesi a Jungkook, porgendogli l’osso.

Lo guardò come se gli stessi porgendo un cadavere il che, tecnicamente, era in parte vero. «Puoi spiegarmi?»

«Questo stronzetto vuole l’osso, e invece non può averlo. Fine della storia».

L'altro ragazzo dietro al bancone mi guardava con una tale intensità che mi domandai quale fosse il suo orientamento sessuale. In passato avevo visto solo delle donne, e Jungkook, guardarmi in quel modo. Poi mi si erano avvicinate e in maniera nemmeno troppo velata mi avevano fatto capire che volevano che ci provassi. Contento lui, ma io non ero interessato a “incrociare la spada” di nessun cavaliere a parte con quella del mio pasticcere, quindi stavolta gli era andata male.

Jungkook prese l’osso e lo buttò nel cestino che aveva accanto. «Okay… Missione compiuta».

«Grazie. Visto?», chiesi, rivolto al cane. «Bottino sparito. Adesso va’ via».

«Non essere cattivo con lui», protestò Jungkook. Uscì da dietro al bancone e si accovacciò per accarezzargli le orecchie e la testa. Si fermò, fece una smorfia, poi continuò a coccolarlo. «Puzza come un cassonetto della spazzatura, ma è adorabile».

«Credo che non sia un “lui” ma una “lei”», disse il ragazzo del quale non ero affatto geloso.

Io e Jungkook inclinammo la testa di lato e abbassammo lo sguardo.

«Be’, lei resta comunque una stronzetta», dissi.

«Penso che le piaci», disse Jungkook continuando ad accarezzarla. «Poverina. Non hai un fiuto infallibile con le persone ma in compenso puzzi da morire».

«Stavo pensando che io e te potremmo andare da qualche parte», dissi. «Sai, una specie di appuntamento. Con annessi e connessi».

Jungkook si tirò su e si pulì le mani nel grembiule. Un’espressione triste gli offuscò il viso, spazzando via qualunque altra emozione. «Sono onorato, e te ne sono davvero grato, ma… no. Non penso che dovremmo uscire insieme».

«Potremmo andare a… aspetta, cosa?», domandai.

«Scusami. Ho avuto un po’ di tempo per pensarci. Credo non sia una buona idea. Per nessuno dei due».

Mi ci volle qualche secondo per elaborare una risposta. Certo, mi era già capitato un rifiuto, ma in passato ero sempre stato in grado di prevederlo. Questa volta mi era piombato addosso del tutto inaspettato. Jungkook sembrava l’immagine perfetta dell’innocenza. Un vergine dalla sessualità repressa e con un fuoco dentro che non vedeva l’ora di divampare. Pensavo di averlo inquadrato, e credevo che il desiderio che covava nell’intimo avrebbe vinto su qualunque altra cosa. Voglio dire, avanti, come fai a restare vergine per vent’anni e passa, e a non aver voglia di farti la prima cosa che si muove?

«Rispetto, ma non condivido», dissi infine.

Mi sorrise con un’espressione triste. «Be’, dovrei anche pensare ai miei clienti quindi, se non c’è altro, devo tornare a occuparmi dei cannoli che stavo preparando. Le bollette non si pagano da sole, sai».

Si tirò su e si avviò dietro il bancone. Era imbarazzante ma dovevo disperatamente trovare un modo per recuperare la situazione o rischiava di sfuggirmi di mano. Così dissi la prima cosa che mi venne in mente.

«Diventa il mio chef personale», proposi.

Si fermò di colpo. «Cosa?», domandò.

«Il mio chef personale. Solo di sera, dopo che hai finito qui, e in questo modo il tuo locale non ne risentirà. Potrai usare i soldi in più per comprare nuova… roba, che so. Qualunque cosa comprino i pasticceri quando possono disporre di un mucchio di soldi. Impastatrici? Aggeggi per stendere l’impasto delle torte? Macchinari per confezionare cupcake?».

Lentamente un sorriso gli comparve sulle labbra. «Si chiamano planetarie. È vero, l’impasto si stende col mattarello, ma i cupcake si confezionano ancora crudi. Si cuociono direttamente nei pirottini di carta».

Sollevai una mano. «Okay. Il punto è che i soldi ti sarebbero utili, no? Fa’ tu il prezzo».

«Non se ne parla. Anche se la tua proposta fosse seria, non posso…».

«La Galleon farà pubblicità alla tua pasticceria. Che ne dici? Non sarebbe beneficenza, ma uno scambio equo. Niente soldi. Niente assegni. Puro marketing. Gli affari aumenteranno così tanto che non saprai come fare», dissi.

Il suo amico, che fino a quel momento era rimasto dietro al bancone a guardare il nostro scambio di battute quasi fosse una partita di tennis, all’improvviso cadde a terra. Il rumore del suo corpo che si afflosciava sul pavimento fu piuttosto forte, considerato l’assoluto silenzio di Jungkook.

Guardai il punto in cui fino a poco prima il ragazzo stava in piedi. «Sta bene?».

Jungkook trasalì, come se la mia voce l’avesse riscosso da una specie di trance, poi guardò il suo amico. «Presto si riprenderà, gli capita a volte».

«Di svenire?».

All’improvviso Hoseok si tirò su, rosso in volto ma sorridente. «Sto bene! Continuate. Prego». Prese un biscotto dalla vetrina accanto e se lo mise in bocca, senza mai distogliere lo sguardo da noi due. «Ipoglicemia», disse con un filo di voce, come se quella fosse una spiegazione del tutto logica per essere caduto a terra come un sacco di patate vuoto.

«Perché mi fai un’offerta del genere?», mi chiese Jungkook diffidente.

«Questo sarebbe il momento in cui la maggior parte dei ragazzi inventerebbe una scusa. Risparmio a entrambi il teatrino. Ti sto facendo quest’offerta perché voglio tentare di conquistarti, mentre vedo che tu vuoi tenermi a distanza. Possiedo la migliore società di marketing del mondo. Basta una mia parola e un team di esperti si metterà al lavoro per ideare la campagna pubblicitaria giusta per Il Pasticcere Glitterato. Un’idea geniale. Ammettilo».

«Il Pasticcere Frizzante. Di sicuro l’idea è geniale, tranne la parte in cui dici che voglio tenerti a distanza chissà perché. Stai dando per scontato di potermi comprare? Che opinione hai di me?»

«Ti reputo un uomo assennato e ragionevole. Ma nessuno può far tutto da solo se vuole sfondare. Bisogna saper cogliere i colpi di fortuna che ci capitano nella vita, e nel tuo caso devi solo cucinare per me. Dopo avermi preparato la cena, vai via. Puoi anche ignorarmi, se vuoi. Sappi però che se rifiuti la mia offerta, mi vedrai qui tutte le sere, perché verrò a tormentarti finché non mi dirai di sì. Inoltre potresti fare davvero il botto grazie alla nostra campagna pubblicitaria, sai?».

Mi guardò a lungo, e capii che gli stavano frullando tante idee per la testa. Hoseok addentò il quarto o quinto biscotto, gli occhi sgranati come fosse in attesa del colpo di scena di una soap opera.

«Accetto», disse Jungkook, «ma a una condizione. Devi portarti a casa questa povera bestiola, così la troverò da te quando verrò a cucinare. E devi anche farle un bel bagno».

Abbassai lo sguardo sul cane, che mi guardò compiaciuto con un cazzo di sorrisetto merdoso. E probabilmente era proprio il sorrisetto di una cagnetta che mangiava anche la merda. «Ti rendi conto che la stai condannando ad avere un padrone negligente, che forse la trascurerà?»

«Dovrai coccolarla se vuoi che io venga da te. Offerta non negoziabile. E quando la vedrò, sarà meglio che sia contenta e profumi come una rosa».

Inspirai a fondo ed espirai dal naso. Come ero arrivato a tanto? Una cazzo di torta di ciliegie e, dopo essermi sempre fatto pregare dalle donne e dagli uomini, adesso ero io a supplicarne uno. Al diavolo. C’ero dentro fino al collo. Impossibile tornare indietro.

«Va bene».

«Devi darle un nome», aggiunse.

La guardai a lungo, un’espressione sofferente in volto. «Gremlin?», suggerii.

«Ma è un nome orribile».

«In fondo non mi dispiace», e Hoseok disse la sua.

«Troppo tardi», dissi, guardando la cucciola che scodinzolava euforica. «Gremlin ha già deciso che le piace. Ci vediamo stasera. Alle sei in punto, o sei licenziato». Mentre mi dirigevo alla porta notai il menù esposto su una specie di lavagnetta nera di sughero, scritto con lettere che si potevano staccare e riattaccare. Mi fregai la V come “vergine”, pensando alla sua v-card: un “biglietto da visita” del locale che mi richiamasse alla mente la ciliegina più squisita che volevo conquistare, tanto per usare un eufemismo.

Avrebbe dovuto ringraziarmi per quel che avevo intenzione di fare. Ma, ahimè, i cavalieri senza macchia non sono mai apprezzati. Dovevo prepararmi quindi a subire persecuzioni e incomprensioni sulla via impervia che mi avrebbe condotto alla mia nobile meta. Dopotutto, chi ha mai detto che sia facile fare il buono?
   
 
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