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Autore: Ahiryn    12/07/2021    4 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Moslon 

XI


 



‒ Ha nevicato ancora mentre eravamo alla corte.
Il bosco imbiancato delle prime ore del giorno li avvolgeva in un freddo abbraccio. Il ghiaccio ricopriva alcuni dei rami, la neve scricchiolava sotto i loro stivali man mano che avanzavano. I torrenti erano si erano congelati e la neve luccicava quando veniva illuminata dal sole.
‒ Almeno ora non muoio di freddo – commentò felicemente Silas.
Indossava un poncho pesante tessuto dalle fate. Doveva essere impregnato di magia, perché Kieran avvertiva alcune tracce innegabili dei loro incantesimi. Sembrava realizzato con qualche pelliccia di un animale molto grande, le fate seguivano regole bizzarre quando si trattava degli animali.
Li avevamo scortati nel luogo dove li avevano prelevati e Kieran aveva potuto riprendere i suoi oggetti e le sue armi. Si era assicurato per prima cosa che il gessetto fosse ancora lì.
‒ Dobbiamo concentrarci sulla nostra prossima mossa – commentò con uno sbadiglio.
Silas staccò una stalattite da un ramo e ne osservò la punta come se volesse infilzarci qualcuno. – Io ti ho già dato alcune idee.
‒ Questi trafficanti… ci si può fidare?
‒ Sono criminali, è normale che la risposta sia no.
Sbuffò. – In che occasione hai svolto affari con loro?
Silas gettò la stalattite nella neve. – Quando dovetti scappare dalla regione. Quando fuggii dall’Accademia.
Kieran si voltò a guardarlo. – Quindi è così che riuscisti a fuggire. Credevo che ti fossi nascosto da qualche tuo amante o qualcosa del genere.
Silas lo guardò con sprezzo. – Sai bene che in quel periodo non avevo alcun amante e conosci anche il motivo.
Kieran socchiuse gli occhi per un attimo e si concentrò sul non pensare al passato neanche per un secondo.
‒ Come se ci credessi.
Gli uscì una risata. – A distanza di otto anni sfoderi ancora la tua gelosia. È piuttosto patetico.
Kieran agitò l’indice guantato contro di lui dopo aver accorciato le distanze. – Non è gelosia, è conoscere il tuo nemico. Hai mentito su tutto, dunque perché non mentire anche su quello? Non che m’interessi.
Silas scosse la testa, come se non gli importasse. – Ad ogni modo furono di parola con me. Sono persone d’affari, ma dobbiamo comunque essere cauti.
A Kieran quel piano non piaceva affatto. Non poteva andare alla sede del Ferro di Moslon, c’era il rischio che fossero stati avvertiti della situazione.
Si passò una mano fra i capelli.
Parlare con il governatore forse era l’opzione meno rischiosa, strappare un posto sulle aeronavi in partenza. Certo era che dal governatore il rischio di incontrare nobili presenti al processo era molto più alto e Silas avrebbe dovuto mostrarsi per ottenere il biglietto.
‒ Non abbiamo soldi per pagare i trafficanti.
Silas si indicò. – Stai scherzando? Ogni parte del mio corpo vale un mucchio di soldi.
Kieran si fermò di punto in bianco. – No.
‒ Come scusa?
‒ Non otterremo il passaggio così. Mi rifiuto. È troppo rischioso.
Silas lo osservò divertito. – Non fare il santo adesso, hai anche tu parti fatate che usi, o mi sbaglio?
‒ La questione è diversa. Non sai cosa potrebbero chiederti.
‒ So già cosa mi chiederanno ed è un prezzo conveniente, che ho già pagato una volta.
Kieran si avvicinò. – Ovvero?
‒ Tu lascia fare a me.
‒ Se mi dici così sono ancora meno incline ad appoggiare questo piano.
Silas sospirò. – Parliamone quando arriveremo a Moslon, abbiamo ancora un giorno di cammino – replicò, evasivo.
 
*
 
‒ Ho bisogno di farmi un bagno – brontolò Silas dopo aver buttato il poncho sul letto.
Kieran si tolse il cappotto e lo appese, al che sfilò la sciarpa, stanco. Guardò le mura piene di muffa della stanza e sentì le travi di legno scricchiolare sotto i suoi piedi. Gli sembrava che il legno fosse marcio in alcuni punti e l’odore dell’acqua sporca gli invadeva le narici.
Silas si spostò nell’altra stanzetta e le tubature iniziarono a protestare lamentose.
‒ Suppongo che il bagno sia da escludere.
Kieran lo raggiunse nel bagno, dove la caldaia sibilava impazzita e fumava. La vasca di ceramica scheggiata si stava riempendo di acqua torbida, marrone e densa. Una delle tubature doveva avere una perdita perché l’acqua sporca gocciolava sul pavimento.
Silas gli sorrise. – Non dire che non ti porto mai in posti di classe.
Kieran guardò la pozza di acqua scura e girò la manopola, chiudendo quel rumore infernale. – Immagino sia il massimo che possiamo permetterci al momento. Questa pensioncina cade a pezzi, sta sprofondando nella melma.
Silas aprì appena la finestra sul lago di Moslon, dove il panorama era più desolante che mai. Il cielo nuvoloso era coperto da una coltre nera di fumo che usciva dalle ciminiere delle fabbriche sul lago. L’acqua era torbida e ribolliva dove le turbine si agitavano, il freddo non la aveva potuta ghiacciare. Alcune barche a vapore solcavano il pantano per arrivare all’altra sponda.
‒ Una delizia, mi era mancata Moslon col suo tanfo di palude e piscio.
Kieran guardò le strade strette di palafitte di metallo che emergevano dal lago, gli edifici erano talmente serrati che alcuni sentieri si dipanavano fra i tetti, dove i comignoli sputavano fumo.
Alle loro spalle la città si arrampicava lungo le colline che abbracciavano il lago; man mano che gli edifici uscivano dal pantano, l’aspetto dei quartieri migliorava, le palazzine avevano colori più puliti e le strade in pietra si aprivano su piccole piazze pittoresche. Sulla cima della collina appariva l’aerostazione e poco più sotto il palazzo del governatore.
Kieran si poggiò sul davanzale, spazzò via la neve sporca e guardò giù dalla pensioncina: uno spazzacamino camminava coperto di fuliggine con una maschera nera sul viso. Si tolse il cappello di stoffa per salutare una signora, che indossava a sua volta una maschera azzurrina piena di fiocchetti a coprirle il viso.
‒ Per fortuna che ho intascato i soldi da quel tipo, com’è che si chiamava? Ferdinand?
‒ Frederick – lo corresse, freddo. – Non dureranno una settimana.
Richiuse la finestra saldamente, l’aria iniziava già ad appesantirsi.
Silas si poggiò contro la vasca. – Per l’appunto. Devi decidere: trafficanti o il governatore? Se vuoi andare dal governatore dovremo usare i soldi per comprarti un abito decente. Vestito così non ti riceverà nemmeno. Non sarebbe male se ti lavassi e ti radessi anche, sembri un morto di fame.
Kieran si passò una mano sulla guancia, seccato. – Scusami se non ho potuto profumarmi e abbellirmi mentre pensavo a salvare il tuo culo.
‒ Oh a me questo stile da pittore fallito pieno di debiti piace, è il governatore che potrebbe avere qualcosa da ridire.
Kieran allungò una mano. – Dammi i soldi rimanenti.
‒ Piano con le richieste.
Gli si avvicinò. – Non costringermi a perquisirti.
Silas sembrò rifletterci un attimo. – A che cosa ti servono?
‒ Voglio sapere quanti ce ne rimangono.
‒ Abbiamo cinquecento ottoni.
Kieran cercò di afferrarlo e quello si scansò agile. – Dammi quei soldi. Tanto dovremo andarcene insieme, voglio solo farmi dei calcoli.
Aprì le braccia. – Fai pure allora. Perquisiscimi – mormorò beffardo.
Il Campione lo guardò in difficoltà. – È troppo presto per stare dietro ai tuoi giochetti. Collabora un po’.
Silas sospirò e infilò una mano dentro la blusa. Tirò fuori un mazzetto spesso rilegato.
Kieran lo prese, sciolse il nodo e guardò le grosse banconote stropicciate. Si stupì a vedere che fossero davvero cinquecento. Lo esaminò, chiedendosi se non li avesse nascosti negli stivali. Le fate non glieli avevano toccati, si era dimenticato di togliere i soldi.
‒ Bene, devo svolgere una commissione.
‒ Come prego? Che genere di commissione? I soldi ci servono.
Kieran lo guardò minaccioso. – Avrei ancora i miei soldi se i tuoi amici della Legione non ci avessero attaccato, quindi non hai diritto di parola.
Silas aprì la bocca, indignato. – Erano lì per te, non per me! Quindi, a rigor di logica, la colpa è tua e di nessun altro – precisò.
Scosse la testa e tornò nella stanzetta principale, dove il letto matrimoniale bastava a provocargli degli scompensi. Non aveva più la corda e guardò quella della tenda, chiedendosi se potesse smontarla.
‒ Non mi farò legare di nuovo.
‒ Come faccio ad assicurarmi che non andrai da nessuna parte?
Silas guardò la finestra opaca e scheggiata con aria diffidente. – Pensi che sia pazzo? L’aria è tossica e i criminali di Moslon sono grandi cacciatori di mezzosangue. Ma anche se volessi farmi un giro, sai che non potrei scappare. Non ho nessun posto dove andare, né una casa dove tornare. Di cosa ti preoccupi? – il suo sguardo si fissò su un punto senza guardarlo, poi osservò di nuovo la finestra. – Non ho dove fuggire, non c’è bisogno di legarmi.
Kieran avvertì una leggera mestizia nella sua voce e prese il cappotto. – Andrò a comprare due maschere.
‒ E un abito?
‒ Che cos’hai offerto ai trafficanti?
‒ Credi sul serio che offrirei qualcosa che non posso dare? Che mi farei tagliuzzare? Parliamo del mio corpo, so che ti piace guardarlo, ma fidati che ci tengo anch’io.
Kieran si strinse la sciarpa con stizza e ci affondò il viso dentro, irritato. – Quando vuoi contattarli?
‒ Posso andare appena prendi le maschere.
‒ Andremo insieme.
Sbatté le palpebre. – Questo sarebbe meglio di no…
Kieran non lo stava ascoltando. – O insieme o nulla.
E senza aspettare la risposta dell’altro uscì e chiuse la porta.
 

La torre di comunicazione svettava fra le palazzine strette dei quartieri borghesi, dove si trovava la stazione del telegrafo. Aveva camminato fra le strade ammassate e strette, per poi uscire in quelle più ampie dei quartieri di mezzo. Non c’erano vaporette a Moslon, lo spazio era limitato e i vapori di quest’ultime avrebbero peggiorato l’aria già tossica della città. In compenso una monorotaia vecchia e lenta circumnavigava la cittadina, passando sopra il lago mefitico.
Senza maschera doveva coprirsi il volto con la sciarpa, era meglio non inalare troppo l’aria di quel posto, i tombini lasciavano uscire fumi poco rassicuranti e odori chimici.
-Maschere a cinque ottoni l’una! Sicure e graziose, traspiranti, ma con stile!
Si avvicinò al venditore ambulante, che teneva un banchetto su ruote pieno di maschere in gomma semplici e di qualità discutibile. Non dovevano fermarsi molto, sarebbero andate bene.
Si sfilò un paio di banconote e le porse all’uomo, che indossava a sua volta una grossa maschera verde, gli occhi coperti da lenti di vetro spesse e le labbra da un bocchettone.
‒ Prediligete un colore?
Le guardò e decise di prenderne due a caso. Salutò con un cenno del capo l’uomo e indossò subito la propria maschera, al che iniziò a respirare con meno esitazione.
Raggiunse in mezz’ora la stazione del telegrafo, Moslon era una città piuttosto contenuta e lui aveva un passo veloce e nervoso.
Non amava dover ricorrere a certi mezzi, ma fu costretto a mostrare alla ragazza all’ingresso le armi che aveva con sé; recavano sopra i marchi del Ferro e dei suoi gradi, e sarebbero bastate come garanzia anche senza documenti per fare un po’ di pressione.
‒ Avrei bisogno di un favore, la Gilda del Ferro è disposta a pagare per la vostra discrezione.
La ragazza all’ingresso non aveva fatto storie quando aveva chiesto che il centralinista che lo avrebbe messo in comunicazione con la sua chiamata lasciasse poi il centralino per farsi un giro. Non voleva rischiare di essere ascoltato. Aveva spiegato che erano affari interni del Ferro, ma aveva accompagnato la sua richiesta con una somma di denaro. La ragazza gli aveva sorriso e aveva chiamato uno dei centralinisti, impartendogli ordini specifici.
Era una precauzione sciocca, ma necessaria. Questa piccola corruzione gli era costata cento ottoni, avrebbe dovuto inventarsi una scusa plausibile con Silas.
Era stato poi condotto in una delle cabine telefoniche che davano sulla sala del centralino.
Il grosso telefono in ottone era attaccato al muro, mentre accanto sul tavolo appariva un telegrafo.
Il vetro gli mostrava l’enorme sala del centralino, dove i dipendenti premevano pulsanti di fronte a loro nella confusione di mille squilli e mille cavi.
Prese il ricevitore e se lo portò vicino all’orecchio, iniziò a digitare i numeri roteando il dito e avvicinò il viso al bocchino in cima.
Socchiuse gli occhi mentre attendeva. L’operatore gli chiese con chi volesse essere contattato.
‒ Brenner, venticinque di Ellenwood.
L’operatore eseguì, al che attraverso il vetro lo vide alzarsi e lasciare il suo posto per andare a fumare una cicca. Kieran iniziò ad aspettare, nervoso, e passarono una manciata di secondi.
Qui villa Shirleen, con chi ho il piacere di parlare?
‒ Grima?
La voce della donna si riempì di calore. – Signore! Aspettavamo sue notizie. Che bello sentirvi. È successo qualcosa? Ho detto a Chris di controllare il telegrafo giorno e notte, visto che non siete solito chiamare.
Aveva la bocca impastata. – Ho avuto alcuni problemi. Puoi chiamare Henry?
Grima parlò svelta e impartì a qualcuno un ordine. – State bene, signore?
‒ Sì, sto bene. Lì? Come vanno le cose?
Tutto nella norma. Il vostro cavallo sembrava essersi ammalato, ma il padroncino lo ha rimesso in sesto. Le spese sono state contenute, se volete i conti esatti posso…
‒ Non preoccuparti, ne parlerò con mio fratello. Lui come sta?
Ci fu una piccola pausa. – Il padroncino va a giorni alterni. Ultimamente sta bene, gli piace stare molto all’aperto ed è difficile farlo tornare dentro quando calano le temperature. Gli pesa la solitudine, signore. Il medico ha detto che come ogni inverno la malattia si è arrestata, ma due settimane fa aveva dolori molto forti, ha voluto prendere del laudano.
Si passò una mano sul viso e guardò verso il telegrafo. – Ho capito, se lo chiede dateglielo, non rischiate di rimanere senza. Con l’inverno andrà un po’ meglio.
Si udì una voce seccata che riconobbe fin da subito. – Signore, il… il padroncino dice che non vuole parlarvi.
Si stropicciò gli occhi. – Digli che mi dispiace.
Di cosa ti dispiace?
La voce era cambiata. Il tono di Henry era freddo, un po’ altero come sempre, ma Kieran si sentì subito sollevato a sentirlo. Guardò distrattamente gli operatori sotto di lui, che lavoravano senza sosta, ma la sua mente era altrove.
‒ Mi dispiace di essermi assentato così a lungo. La situazione si è complicata, non so quando potrò passare.
Ci furono diversi secondi di silenzio. – Ero preoccupato a morte – mormorò la voce. – Ti aspettavamo più di un mese fa. Hai mandato un inutile telegramma e nient’altro. Ero certo che sarebbe successo qualche disastro, ma nessuno mi dà mai retta.
‒ Sto bene, ho solo… ‒ lasciò andare il respiro. – Non so quando riuscirò a tornare. Posso lasciare tutto nelle tue mani?
Certo – rispose offeso.
‒ Nello studio c’è il libro dei conti e delle spese, mi aspetto che tu sia parsimonioso. Grima può aiutarti se…
Lo interruppe bruscamente. – So già tutto, come credi che possa riempire le mie giornate altrimenti? Mi sto già occupando delle spese e della villa e degli animali e della servitù.
Si grattò la nuca. – Non essere così. Quando torno ti porto un regalo, cosa vorresti?
Un cane o un gatto.
‒ Ancora? Siamo già pieni di cani e gatti e conigli e cavalli – rispose, facendogli il verso.
Una pistola allora.
Kieran si zittì. – E sentiamo, a cosa ti servirebbe una pistola adesso?
Per imparare a sparare. È una nobile occupazione con cui dilettarsi.
Gli spuntò un sorriso. – A chi vuoi sparare?
A te che non mantieni mai le promesse.
Abbassò gli occhi. – Mi dispiace. Non voglio che giochi con le pistole Henry.
Lo sentì sbuffare. – A volte sembri dimenticare che non sono né un ragazzino né un idiota, e che sono di gran lunga più pericoloso di te. Inoltre, mi annoio.
‒ Va bene, ti porterò un altro cane. Ormai tanto abbiamo un serraglio.
Basta che vieni tu, non m’importa di cosa porti.
Sentì una stretta al petto. Si passò una mano sul viso. – Appena posso tornerò. Se non dovessi farmi sentire per troppo tempo, Grima saprà che cosa fare.
Sei in pericolo?
‒ No, stai tranquillo.
Ci fu una pausa. – Posso mandarti qualcuno con dei soldi.
‒ Lascia perdere, non è il momento di esporsi.
Lui è con te?
Deglutì appena e socchiuse gli occhi. – Non al momento, ma sì.
I tuoi capi si sono assunti un bel rischio nel farti viaggiare con lui per il paese. Non credevo si sarebbero fidati.
Kieran si schiarì la gola, ma si limitò a concordare. Aveva volutamente ommesso la parte dell’evasione nel telegramma, rassicurando suo fratello. Era più semplice fargli credere che fosse una missione voluta dalle alte sfere del Ferro. D’altronde Henry era un ragazzo così ingenuo che bastava poco per trarlo in inganno.
Ho letto che i suoi compagni gli hanno voltato le spalle, anche se non so i dettagli.
Aggrottò la fronte. – Dove lo avresti letto?
Esitò. – Ne parlavano su un giornale.
Gli si gonfiò una vena. – Non starai leggendo ancora quella rivista?
Si tratta dell’unico giornale che dice le cose come stanno.
Poggiò una mano sul microfono e mimò un’imprecazione senza pronunciarla. – Henry ne abbiamo già parlato.
Non puoi decidere cosa posso o non posso leggere.
Si guardò intorno e si inumidì le labbra. ‒ Posso se leggi riviste – abbassò la voce fino a quando fu quasi inudibile, ‒ proibite. Dove te la sei procurata?
Poteva vederlo alzare gli occhi neri al cielo. – Non angustiarti, so come comportarmi, sono io il padrone quando non sei presente, no? E ciò vuol dire quasi sempre. Per di più sai bene che so difendermi – e la voce ebbe un’eco distorta per un attimo, come una risata che si propaga in una caverna, come due toni dissonanti. – Sembra che si siano organizzati di nuovo a stamparla. Non ha avuto molta risonanza la vostra retata, eh?
Cercava di irritarlo con quel tono provocatorio, ma gli suscitava soltanto preoccupazione. – Passami Grima.
No. Non se hai intenzione di dirle di togliermi la rivista.
Si spazientì. – Se qualcuno della servitù la diffonde, potrebbe essere preso per un simpatizzante e indagherebbero sulla villa. Cerca di riflettere.
Beh io sono un simpatizzante – replicò tronfio.
Si morse un pugno nel tentativo di avere pazienza. – Henry pensa prima di dire certe idiozie, sei in comunicazione, te l’ho già spiegato.
Questi erano i motivi per cui era costretto a corrompere i centralinisti, suo fratello non sapeva che cosa volesse dire fare attenzione.
‒ Se dici di poterti occupare della villa devi capire la pericolosità di certi gesti, Henry. Vuoi essere trattato da adulto, comportati come tale. Se ti do un ordine, devi seguirlo. Per favore, non farmi stare in ansia, ho troppe cose a cui pensare, non voglio aggiungere anche la tua sconsideratezza.
Aveva parlato con fin troppa durezza e non lo sentì rispondere sul momento. – L’ha dimenticata il medico, non ho ordinato a nessuno di procurarmela – mormorò con voce ferita. – Non sono così irresponsabile.
Si pentì di essere stato brusco. – Scusa, sono in una situazione... scomoda.
Sarebbe stato più tranquillo se Magda avesse raggiunto suo fratello a Ellenwood, ma si era sempre rifiutata, era testarda come un mulo. Gli diceva sempre di non voler entrare nella sua gabbia dorata.
Forse se contattassi il signor William, potrei inviargli un telegramma e…
‒ No! – tuonò, pallido. Ci mancava che mettesse in mezzo il Feldmaresciallo. – Henry, promettimi che non lo chiamerai, qualsiasi cosa accada. Se ho bisogno lo contatto io.
D’accordo, calmati. Potreste venire qui, magari potrei trovare una soluzione.
Gli sfuggì una risata amara. – Non porterei mai quel traditore a casa mia, ci venderebbe ancora prima di mettere piede nella nostra proprietà.
La Fa… ‒ s’interruppe appena prima di pronunciare il nome e si schiarì la gola. – Lui è il combattente più corretto della sua, uhm, fazione. Non lo farebbe.
Alzò gli occhi al cielo. L’idolatria di suo fratello verso la Falena non faceva che peggiorare, prima o poi avrebbe dovuto affrontare questo problema in modo risolutivo. – Ha cercato di uccidermi innumerevoli volte, sai?
Credevo non potesse ucciderti senza morire.
‒ Sì beh mi ha quasi spinto al suicidio per esasperazione, conta comunque.
Udì una risata, grattata dal suono metallico del ricevitore. Sorrise. – Io penso che non ci venderebbe.
‒ Perché sei un moccioso idealista. Quello lì venderebbe chiunque, non ha onore.
Mentre lo diceva sentì di star pronunciando una falsità, ma forse voleva solo scoraggiare suo fratello.
In ogni caso d’accordo, non venite allora. Ma deve esserci qualcosa che posso fare per aiutarti – commentò frustrato.
Sbadigliò, stanco. – Certo che puoi. Riguardati e occupati della villa fino al mio ritorno. Lascio tutto nelle tue mani, quindi non mi deludere. Come ti senti?
Risuonarono alcuni abbai ed Henry che cercava di placare i cani. A giudicare dai ringhi poderosi doveva essere Jenny.
Sto bene. Mi sento meglio rispetto allo scorso anno. Penso che sia cambiato qualcosa e forse la soluzione è nella magia.
Kieran iniziò a udire campanelli d’allarme, ma un no netto non sarebbe bastato con suo fratello. Serviva un po’ di manipolazione.
‒ Potrebbe essere in effetti, ma dobbiamo procedere con attenzione. Per ora chiedi a Grima alcuni libri, quando tornerò penseremo alla pratica. Per adesso concentrati sulla teoria, è importante che io sia con te per certe cose.
Prendere tempo, prendere sempre tempo. Non avrebbe mantenuto quel proposito e avrebbe trovato altre scuse una volta alla villa, ma ora che era lontano poteva solo agire così.
‒ Ho già letto e riletto tutti i libri che abbiamo nella tenuta, so già tutto quello che devo sapere.
‒ E se dovessi ferire qualcuno? Vuoi assumerti questo rischio?
Era il solito meschino bastardo a giocare questa carta, ma non aveva scelta.
Henry non parlò per qualche secondo. – Hai… ragione. Forse è meglio se ti aspetto.
Annuì, soddisfatto. – Ora devo andare, riguardati e non metterti nei guai. Passami Grima.
Sentì un’esitazione da parte dell’altro. – Sì, signore. Ti voglio bene. 
Tornò al telefono la sua domestica. Kieran attese qualche secondo. – Grima, non far venire più questo medico, licenzialo. Non voglio che entri più nella villa e abbia a che fare con Henry. Riprendi i contatti con quello precedente.
Signore, il dottor Jargen chiedeva prezzi esorbitanti.
‒ Lo so, non fa nulla. Se Henry fa domande, inventati una scusa. Ora devo andare. Ah, togli quella rivista a mio fratello. Falla sparire.
 
*
 
Silas aveva deciso di aspettare Kieran allenandosi. Benché la Crisalide lo avesse rimesso in sesto, non aveva potuto annullare del tutto gli effetti della malnutrizione e dell’immobilità causati dalla prigionia. Era fuori allenamento e lo sapeva, senza la sua magia poi diventava imperativo rimettersi in forma.
Guardò lo stipite della porta, provò ad attaccarcisi per fare alcune trazioni e gli rimase in mano un pezzo di legno. Lo nascose sotto il letto e si limitò a rimanere con i piedi per terra mentre si allenava.
Avrebbe voluto avere una spada e una pistola, doveva procurarsi un’arma. Kieran non gliene avrebbe mai lasciata una, con la sua mania del controllo insopportabile. Forse avrebbe potuto ottenere un coltello dai trafficanti.
Alla fine dell’allenamento crollò esausto e sudato sul letto rigido. Era fuori forma, ma per fortuna quei mesi non avevano annullato i muscoli nel suo corpo. Guardò il soffitto crepato, pensieroso.
Doveva trovare un modo per non far venire Kieran con sé alla Dama Rossa, ma quel bastardo si era preso i soldi. Sbadigliò e la stanchezza del viaggio iniziò a pesargli. Si assopì per una manciata di minuti, ma furono sufficienti.
Quando riaprì gli occhi vide il suo volto, ma non era il suo viso attuale. Era lui a diciassette anni. Gli occhi viola, la pelle scura, i capelli corti. Si guardava dall’esterno, era intento a leggere un manuale di magia con molta attenzione.
Alzò gli occhi viola verso di lui e sorrise. – Cosa c’è?
Portò le mani avanti e gesticolò. – Nulla, stavo pensando ad altro!
La voce non era la sua, né tanto meno le mani candide e rovinate. Entrambe appartenevano a Kieran.
Lui era Kieran.
Il Silas adolescente sbatté le palpebre e due ali nere di falena si chiusero sul suo sguardo.
‒ A che cosa stavi pensando con quella faccia da ebete?
La domanda lo mandò nel pallone, perché stava pensando al suo profilo. Il naso all’insù di Silas, gli occhi assorti, i capelli bagnati che gocciolavano acqua torbida. – Al pranzo, sto morendo di fame – si sentì mentire.
Silas chiuse il libro e le pagine si bagnarono con la melma, ricopriva ogni superficie, e saliva, veloce. Qualcosa gli afferrò il polso, una mano sbucata dal pantano. Cercò di trascinarlo in basso e avvertì un’improvvisa angoscia.
‒ Dove vai, ragazzino?
La voce gli diede i brividi e le unghie affondarono nel polso. Le dita erano viscide e serrate.
Alzò gli occhi verso il Silas ragazzo, che lo osservava impassibile. – Aiutami!
‒ Perché dovrei?
‒ Silas?
Aprì gli occhi di scatto e si tirò a sedere con un ansimo.
Si guardò attorno, febbricitante e capì di essere a Moslon, nella pensioncina. Era coperto di sudore e qualcosa gli stava mordendo la carne. Alzò il braccio e vide nell’interno del polso una sorta di simbolo sottopelle, scuro, ma scomparve in un attimo alla vista.
Levò gli occhi e trovò Kieran che lo osservava impensierito. – Stavi avendo un incubo.
Silas si guardò le mani ed erano di nuovo del suo colore di pelle, le dita affusolate che conosceva, i polsi segnati dalle cicatrici.
Cos’era quel sogno?
Un senso di estraniamento lancinante lo colpì in pancia. Gli sembrava di essere stato strapazzato da una violenta corrente d’acqua. Sentiva ancora quella presa salda sul suo polso.
Kieran stava sfilando la sciarpa e aveva in mano due maschere per i fumi tossici dalle decorazioni semplici, non molto sfarzose e dettagliate. Continuava a osservarlo perplesso, accortosi dell’agitazione dell’altro.
Silas si passò una mano fra i capelli, pensieroso. – Quanto le hai pagate?
‒ Centodieci.
Strabuzzò gli occhi. – Ma sei impazzito? – si schiaffò la mano in faccia. – Sapevo di dover venire con te, ti hanno fregato, quelle maschere scadenti non valgono neanche la metà di centodieci. Credevo che uno come te sapesse contrattare!
Kieran sbuffò. – Sono di buona fattura.
Scosse la testa, esasperato. – Lasciamo perdere.
Lo guardò poggiare le maschere e togliersi il cappotto. Sembrava più di buon umore rispetto a prima, stava persino fischiettando.
Silas d’altronde era ancora scosso dal sogno. Iniziava ad avere una certa apprensione.
‒ Per caso sei mai stato investito da una vaporetta?
Kieran si voltò. – Te lo avevo raccontato?
Lo sguardo di Silas appariva allarmato. – Quando?
‒ Quando avevo undici anni forse, mi ruppi il polso.
‒ Come avvenne?
Kieran aggrottò le sopracciglia, perplesso e si sedette sull’unico tavolino della stanza. – Stavo scappando da alcuni ragazzi più grandi. Ma che cosa c’entra?
Silas si adombrò appena. – Ti è capitato di fare sogni su di me ultimamente? – domandò con estrema serietà.
Kieran stava bevendo un sorso d’acqua e si strozzò – Che razza di domande fai? Sei impazzito? – replicò agitato.
Alzò gli occhi al cielo. – Non intendevo quel genere di sogni. Le tue fantasie perverse su di me non m’interessano.
Strinse le mani sul bicchiere. – Ti giuro, se non la pianti di…
‒ Parlo di sogni che riguardano me o persone della mia vita.
Lo osservò, confuso. – Non lo so, non ricordo quasi mai i sogni che faccio. Perché ora mi stai facendo queste domande? Pensi a un incantesimo della Crisalide?
Si alzò e gli venne vicino. Kieran si tirò indietro d’istinto, ma Silas lo ignorò e gli afferrò il polso. Guardò la pelle chiara e le vene, ma non vide altro.
‒ Si può sapere che stai facendo?
Silas si accarezzò il mento, pensieroso. – Se dovessero capitarti sogni di questo tipo, avvertimi.
Perché?
‒ Sono preoccupato per una questione. Ma non ha senso allarmarsi prima del tempo.
Aveva sognato un evento del passato di Kieran, ma forse era un aneddoto che gli aveva raccontato in passato e che era riaffiorato, non poteva escluderlo. Ma perché aveva avuto per due volte di fila sogni dove era Kieran? Non era qualcosa di usuale o comune, persino le emozioni non sembravano le proprie.
Forse si stava agitando troppo, il sogno gli appariva già piuttosto confuso. Accantonò quelle preoccupazioni e tornò a sedersi sul letto. Kieran appariva talmente confuso da essere divertente.
‒ Detesto quando fai così. Se non vuoi parlare di una questione allora non tirarla fuori.
Silas lo ignorò, ancora pensieroso. ‒ Hai fatto quello che dovevi?
‒ Sì, comprare le maschere.
Le guardò, non molto convinto. Era stato via fin troppo tempo per svolgere soltanto quel compito.
 – Ascolta, sarebbe meglio che tu non venissi all’incontro. Sei uno del Ferro e la cosa si fiuta da parecchio lontano. Potrebbero reagire male.
‒ Io non mi occupo di criminali, ma di fate.
Annuì. – In un certo senso anche loro – commentò, nervoso.
Kieran assottigliò gli occhi. – Sono nemici del Ferro?
‒ Beh nemici è una parola forte, sono trasgressori delle regole del Ferro, che è una questione molto diversa.
Il Campione incrociò le braccia. – Io vengo, se darà loro fastidio ce ne andremo. Non sono in servizio per ovvie ragioni e non farò caso alle… illegalità che vedrò – rispose di malumore.
Silas non era comunque soddisfatto. – Non ti convincerò mai a restare qui, vero?
Gli strappò un sorriso. – Esatto.
 
*
 
Se Kieran avesse potuto scegliere un posto da cancellare dalle mappe, quello sarebbe stato Moslon. Una città che continuava a sprofondare nel pantano di un lago tossico, dove i fumi delle fabbriche ristagnavano, bloccati dalle montagne intorno. Le strade di palafitte erano cedevoli e maleodoranti, la fuliggine unita alla neve imbrattava ogni palazzo e superficie. Gli spazzacamini erano ombre onnipresenti sui tetti, alcuni appollaiati come corvi. Kieran non era abituato a vederne così tanti, ma lì a Moslon erano addetti a ripulire anche le strade e i tetti quando la fuliggine delle fabbriche diventava troppo condensata. Le loro maschere lo inquietavano, non gli piaceva non poter vedere il volto delle persone che aveva davanti.
‒ Eri già stato a Moslon? – gli domandò Silas, schivando un passante.
‒ Sì, qualche anno fa, ma non in questa parte della città. Lo stato di degrado è peggiore di quel che pensassi.
Ogni passante indossava una maschera, erano tutte diverse e variopinte, accomunate da un bocchettone che filtrava l’aria tossica. Nessuno usciva senza per quelle strade se non voleva ammalarsi, ma erano anche parte della moda della città, alcune indicavano la professione della persona, come le maschere nere degli spazzacamini.
‒ I giacimenti di questa zona mandano avanti la Gilda dei Forgiatori e dei Meccanici, e danno molto lavoro, non ci rinunceranno mai.
‒ Lo so, ma qualche anno e questo posto sarà inabitabile.
Silas rise attraverso la maschera. – Lo è già.
La spada e la pistola erano nascoste dal cappotto, ma in mezzo alla calca non era facile tenerle salde.
Qualcuno lo urtò vicino alle gambe e riconobbe subito quella tecnica. Si voltò per afferrare il ragazzino che aveva tentato di derubarlo e si ritrovò una bambina dal viso di un colorito malaticcio, le labbra secche e un occhio coperto di cataratte.
Silas si voltò a esaminarla. – Una ladruncola? Non ha neanche una maschera.
Kieran la teneva per un braccio. – Hai qualcosa di mio.
Senza dire una parola tirò fuori le banconote. Aveva le mani spellate. La osservò, turbato.
Silas si tolse la propria maschera e gliela consegnò. – Inizia con l’indossare questa, signorina. Serve più a te che a me. Tienila da conto che questo sveglio qui l’ha pagata cinquantacinque ottoni, lo so, è un povero idiota. Dalle qualche soldo e andiamo.
Kieran sfilò una delle banconote e senza farsi vedere gliela poggiò sulle piccole mani. Iniziò a riflettere sull'offrirle qualcosa da mangiare, ma la ragazzina si allontanò senza ringraziare e venne inghiottita dalla folla dei passanti.
 Si voltò a guardare Silas. – E tu come pensi di fare?
‒ Qualche ora non mi farà ammalare, ma prestami la tua sciarpa.
Per favore.
Alzò gli occhi al cielo e allungò una mano. Se la sfilò e Silas la avvolse intorno alla bocca e al naso, coprendo gli occhi dietro i capelli.
Ripresero a camminare e Kieran rise. – La Falena ha un cuore davvero tenero – sussurrò, divertito.
Silas lo guardò con sufficienza. – Lo sai vero che dal mio punto di vista sei tu la persona spietata che lavora per le Gilde, vero?
Kieran perse il sorriso. – Io non ho mai fatto saltare in aria fabbriche però.
‒ Dovresti provare ogni tanto, dà grandi soddisfazioni.
Quando arrivarono a destinazione, Kieran guardò l’edificio di fronte a sé con un brutto presentimento. Osservò le donne succinte che adescavano i passanti, abbigliate con corpetti scollati e gonne aperte; indossavano maschere decorate da marchi viola. I tendaggi rossi, la lieve musica frenetica del pianoforte che proveniva dall’interno, insieme alle risate maliziose lasciavano poco spazio all’immaginazione.
‒ Mi hai portato in un bordello.
‒ La tua perspicacia è ciò che mi tiene in vita. Benvenuto alla Dama Rossa.
Osservò le donne e una di loro incontrò il suo sguardo e gli sorrise. – Perché siamo di fronte a un bordello.
‒ Perché il mio contatto si trova qui.
Si girò e s’incamminò per la via. – Ce ne andiamo.
Silas incrociò le braccia. – Tu vai.
Kieran si stropicciò gli occhi, seccato. – Perché un contrabbandiere dovrebbe trovarsi qui? Non è… ‒ abbassò la voce. – Non è appropriato per noi, per me stare qui.
Silas gli sorrise. – Non eri tu a essere cresciuto in quartieri così? Cos’è successo? Troppo tempo a fare l’ipocrita perbenista con gli altri gentiluomini?
Kieran era contento di avere addosso una maschera, perché non voleva mostrare la sua espressione importunata. – C’è qualcosa a cui devo stare attento? – domandò e cambiò argomento.
Silas si rimboccò la sciarpa. – Cerca di non avere quell’espressione da cane da guardia. Fai innervosire le persone.
‒ Non te purtroppo.
‒ E cerca di restare in silenzio, fai parlare me.
‒ Tanto non chiudi mai la bocca a prescindere.
 


Capitolo mooolto di passaggio, stavolta cortino, per riprendere fiato, anche perché deve succedere tanta roba in questa città.
Moslon riprende da Venezia, ma Venezia è la mia città preferita al mondo ç_ç, questa è una sua versione terribile e invivibile.
Grazie come sempre e a presto!
 
   
 
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