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Autore: edoardo811    05/08/2021    6 recensioni
Naito è un mezzosangue che ha trascorso la propria vita in fuga, senza un posto dove stare, una casa che lo accogliesse, una famiglia che lo accettasse. Questo perché non è un mezzosangue come gli altri, non è un semidio: è il figlio di un demone e di una mortale.
Rimasto da solo, consumato dal rimorso e pentito per gli errori commessi, comincerà un viaggio tra le montagne del Giappone alla ricerca dell'Elisir di lunga vita: qualcosa che mai nessuno prima è riuscito a trovare. Insieme a una vecchia conoscenza cercherà di riabilitare il suo nome e quello di tutti i mezzosangue come lui. Soli, abbandonati e spaventati. Come un tempo anche lui era.
«Chi sono i tuoi genitori?»
«Mia madre si chiamava Akane Itomi.»
«E tuo padre?»
«Non lo so… non mi ha mai parlato di lui.»

[Mitologia giapponese]
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Il mezzosangue in fuga

 

 

Correva in mezzo ai boschi, il cuore che rischiava di esplodergli nel petto, le gambe sottili che faticavano a reggere il passo, gli occhi rigati dalle lacrime. Le foglie si alzavano al suo passaggio e gli uccellini appollaiati tra gli alberi fuggivano spaventati.

Era stato uno sciocco. Si era avvicinato troppo a quelle case e loro l’avevano visto e avevano subito iniziato ad inseguirlo. Avrebbe dovuto ascoltare la mamma. Era troppo tardi ormai.

Alle sue spalle, grida furiose, schiamazzi e anche risate si sollevavano fragorose, facendolo sussultare per la paura. Erano sempre più vicini. 

Affrettò il passo, ignorando i rami più bassi che gli graffiavano il volto, ignorando il dolore al petto e ai piedi. Se lo avessero raggiunto, gli avrebbero fatto lo stesso che avevano fatto alla mamma.

Corse verso alcuni cespugli e saltò per scavalcarli, tagliandosi con alcune spine. La terra mancò da sotto i suoi piedi all’improvviso. Gridò per la sorpresa e poi per il dolore, mentre il mondo roteava su sé stesso e si ritrovava sballottolato tra foglie, pietre e rami. 

Quando tutto smise di vorticare, si ritrovò con la schiena sull’erba, il viso puntato verso il cielo, paralizzato da un terribile bruciore alle ginocchia e ai gomiti. Gemette e tentò di rialzarsi, faticando a reggersi sulle braccia tremolanti.

«Eccolo là!» gridò una voce aspra. 

Drizzò la testa, accorgendosi degli uomini che superavano il cespuglio e iniziavano a scendere il pendio dal quale lui era rotolato. La loro vista lo spronò a rimettersi in piedi e ad ignorare il dolore. 

Barcollò tra gli alberi, cercando di mettere più distanza possibile tra loro e sé stesso, anche se sapeva che ridotto in quel modo non sarebbe mai riuscito a fuggire. Erano sempre più vicini, mancava pochissimo. 

A quel pensiero, altre lacrime scesero dai suoi occhi. Non poteva fare altro che chiedersi perché. Perché gli davano la caccia? Perché volevano fargli del male?

Perché… avevano ucciso la mamma?

La vista gli si appannò. Cercò di asciugarsi gli occhi, ma sbatté contro qualcosa. Cadde all’indietro con il volto dolorante. Gli sembrò di essersi appena schiantato contro un muro. Sollevò a fatica lo sguardo, per poi accorgersi di due gambe magrissime proprio di fronte a lui. Spalancò gli occhi, paralizzandosi per lo stupore. 

Aveva sbattuto contro una persona. Un uomo che sembrò accorgersi di lui solo in quel momento. Si voltò con una lentezza straziante, rivelando un paio di occhi rossi come il sangue, nascosti tra dei lunghissimi capelli neri e sporchi. La sua pelle era pallida, con sfumature bluastre. Non aveva mai visto niente del genere.

Quando incrociò il suo sguardo, Naosuke avvertì un lungo brivido percorrerlo. La schiena gli formicolò per la paura. L’ultima volta che aveva provato una sensazione simile, era stato quando aveva visto l’uomo coi capelli rossi.

Gemette per la paura. Doveva fuggire, ma non riusciva a muoversi. Le grida dei suoi inseguitori sopraggiunsero proprio in quel momento. Si voltò e li vide arrivare attraverso gli alberi, i forconi, le falci e altri attrezzi affilati tra le mani. Tutti i loro sorrisi scomparvero non appena si accorsero dell’uomo misterioso, che non si mosse di un solo passo; rimase per tutto il tempo ad osservare Naosuke con insistenza.

«Ma… ma cosa…» disse uno degli uomini, prima che l’individuo misterioso grugnisse all’improvviso, facendo sussultare di sorpresa tutti gli altri. Si premette le mani sulle tempie e indietreggiò, mugugnando come se fosse appena stato ferito. Fece un’espressione così sofferente che Naosuke per un istante si sentì in pensiero per lui.

Lo sconosciuto drizzò di nuovo la testa e si accorse degli uomini armati. Uno sguardo molto diverso balenò nei suoi occhi. Un cupo ringhio uscì dalla sua gola, così forte che sembrò che la terra stesse tremolando, poi scattò verso di loro.

Gli uomini gridarono e tentarono di sollevare le armi, ma fu tutto inutile. Vi furono urla di terrore e versi strazianti, che fecero accapponare la pelle di Naosuke. Sapeva che non avrebbe dovuto osservare quella scena, ma rimase pietrificato, incapace di guardare altrove. Vide quegli uomini che lo avevano inseguito per tutto quel tempo cadere a terra, uno dopo l’altro, con gli occhi spalancati, le bocche contorte e i volti sporchi di rosso.

Alla fine ne rimase solo uno, che crollò in ginocchio con gli occhi pieni di lacrime. Non c’era più alcuna traccia del sorriso cattivo che aveva avuto fino a pochi attimi prima. Sollevò le mani e abbassò la testa. «T-Ti prego» sussurrò spaventato. «T-Ti prego, non ucciderm…»

Si interruppe quando il collo gli fu afferrato. 

«Feccia mortale» sussurrò lo sconosciuto, sollevando quell’uomo da terra. La sua voce era roca e debole, come se stesse per spegnersi da un momento all’altro. Un forte brivido attraversò la schiena di Naosuke non appena la udì. 

Vi fu un grido straziante, seguito da un orribile scricchiolio, un rumore che si conficcò nelle sue orecchie e che non sarebbe mai più riuscito a dimenticare. La testa dell’inseguitore rotolò a terra, la bocca ancora spalancata in quel grido terrificante, gli occhi strabuzzati e sangue che colava a fiotti dal collo. Naosuke gridò e si rannicchiò a terra, per non guardare più. Altre lacrime cominciarono a scendergli dagli occhi, mentre il corpo tremava incontrollabile. 

Quell’uomo… quel mostro aveva ucciso tutti quegli uomini. Aveva il loro sangue sulla sua veste strappata. E ora sarebbe toccato a lui. Avrebbe voluto scappare, ma non riusciva più a muoversi, forse per la paura, forse per il dolore alle gambe. 

Delle mani si posarono su di lui, scostando le sue braccia. Tentò di dimenarsi e di scalciare, urlando a perdifiato, ma non appena riaprì gli occhi si accorse dell’espressione dell’uomo misterioso. Gli stava sorridendo, ma non era un sorriso cattivo come quello degli uomini che l’avevano inseguito. 

«Come ti chiami?» gli domandò, con tono calmo.

Naosuke lo osservò di rimando, sconvolto alla vista di quel sorriso. 

«N-Naosuke» sussurrò spaventato. 

L’uomo gli porse una delle sue mani scheletriche. «Alzati Naosuke, coraggio.»

Il bambino afferrò la mano con un gesto quasi involontario, incapace di pensare. L’uomo lo tirò su come un ramoscello. 

«Sei stato bravo, Naosuke. Sei riuscito a non farti prendere da loro.» 

Lo sconosciuto avvicinò una mano al suo volto e gli scostò la frangetta, scoprendo le sue piccole corna. La sua espressione si fece più severa. «Chi sono i tuoi genitori?»

Naosuke deglutì, troppo spaventato per ritrarsi da lui. «M-Mia madre si chiamava Akane Itomi.»

«E tuo padre?»

«N-Non lo so… non mi ha mai parlato di lui.»

L’uomo sembrò farsi pensieroso per un istante, continuando a scrutarlo intensamente con quegli occhi rossi come il sangue. Naosuke non riusciva a capire. Perché quell’uomo gli stava facendo quelle domande? Perché lo aveva aiutato? Perché non lo odiava anche lui come tutti gli altri?

«Così il tuo nome è Naosuke?» gli domandò, tornando a sorridergli. «Naosuke Itomi?»

«S-Sì.»

«Ed è un nome importante per te?»

«Sì, è… è il nome che mia madre mi ha dato.»

L’uomo si accovacciò di fronte a lui, arrivando all’altezza del suo volto. «E tua madre era importante per te?»

Questa volta, Naosuke cercò di rispondere con determinazione. «Era molto importante per me.» Strinse i pugni, cercando di sembrare sicuro, ma la sua voce tremolò comunque. «Lei… lei mi ha protetto. Mi ha sempre voluto bene.»

«Deve essere stato bello.»

Naosuke annuì, sentendo altre lacrime che scendevano dai suoi occhi. «Sì… sì lo è stato.»

La mano dell’uomo si posò sulla sua spalla, facendolo raddrizzare. Incrociò di nuovo il suo sguardo, notando un’espressione gentile, apprensiva, molto diversa da quelle spaventate e disgustate che le altre persone gli avevano sempre rivolto. «Loro… i mortali… continueranno a darti la caccia, Naosuke» cominciò a dire, accennando a ciò che rimaneva dei suoi inseguitori. «A loro non piacciono quelli come noi.»

«Tu… tu sei come me?»

«Non proprio. Ma siamo simili, Naosuke, molto più di quanto immagini.» L’uomo gli sorrise di nuovo. «Se vuoi che i mortali smettano di inseguirti, dovrai venire con me.»

Naosuke spalancò gli occhi. Arrischiò uno sguardo verso i suoi inseguitori, i mortali. Quell’uomo li aveva uccisi tutti, senza nessuna difficoltà, nonostante fosse così magro e pallido. Lo aveva salvato. Nessun’altro prima di allora lo aveva fatto. Soltanto sua madre.

Tornò a guardare quegli occhi cremisi e assottigliò le labbra. «D-Davvero… davvero posso venire con te?»

Il suo salvatore si rialzò in piedi, passandogli la mano tra i capelli, con un tocco molto più delicato, così delicato da farlo sussultare di nuovo. «Certo che puoi, Naosuke. Ma se vuoi farlo, dovrai avere un nome nuovo.»

«Un… nome nuovo?»

«Il nome che hai adesso rappresenta quello che sei in questo momento: un bambino solo, fragile, spaventato. Se vuoi venire con me, dovrai diventare qualcosa di nuovo. Dovrai diventare forte, dovrai diventare coraggioso, dovrai staccarti dalla tua vita attuale. Solo così i mortali non saranno più una minaccia per te.»

Naosuke lo guardò dal basso, assorto. Quello che gli aveva detto… era tutto quello che aveva sempre voluto. Da quando la mamma era morta, non aveva fatto altro che scappare. Ma era stanco di scappare. Non voleva più fuggire da quelle persone. Lo odiavano anche se lui non gli aveva fatto niente di male. Non era giusto. Doveva essere lui ad odiare loro, non il contrario. Pensò a quello che l’uomo aveva appena fatto a quei mortali e strinse i pugni.

Tutti quanti avrebbero pagato per quello che gli avevano fatto. Soprattutto l’uomo con i capelli rossi che aveva ucciso la mamma. Avrebbe seguito l’individuo misterioso. Sarebbe diventato più forte. E avrebbe dato la caccia all’uomo con i capelli rossi e lo avrebbe ucciso, proprio come lui aveva ucciso la mamma.

«Voglio… voglio venire con te» concluse, con tono deciso.

L’uomo gli sorrise di nuovo, stringendogli con forza una spalla. «Allora, da questo momento in poi, il tuo nome sarà Naito. Sarà l’unione di Naosuke Itomi, il nome che ti è stato dato da tua madre. Un nome che ti ricordi le tue radici, che ti ricordi ciò che eri prima di conoscermi, e che ti ricordi sempre tua madre, che per te ha avuto così tanta importanza. Un nome che simboleggi il passaggio della tua vecchia vita e sancisca l’inizio di quella nuova.»

Un sorriso nacque anche sul volto di Naosuke. 

Naito… suonava davvero bene. 

All’epoca, ancora non sapeva quello che sarebbe successo dopo. Non aveva idea che quello sarebbe diventato il giorno più importante della sua vita.

Quel giorno, Naosuke Itomi morì. E al suo posto nacque Naito, il braccio destro di Orochi. 

 

***

 

«Pensavi davvero di poter fuggire per sempre, Naosuke?» domandò la donna. Si avvicinò a lui, imitata dalle sue compagne.

«Non chiamarmi così» sibilò Naito. «Non ti ho dato il permesso di farlo.»

Quella rise deliziata. «Uno sporco mezzosangue che mi dice cosa devo o non devo fare! Ora le ho sentite tutte.» Lo indicò con il tantō. «Uccidetelo.»

Le kunoichi non se lo fecero ripetere. Scattarono verso di lui, come ombre nella notte, le lame che luccicavano sotto la luna e le vesti scure che si mischiavano tra le tenebre.

Naito strinse la presa attorno alla katana ed espirò, liberando la mente da ogni altro pensiero. Non appena la prima wakizashi si ritrovò ad un palmo dal suo naso sollevò il polso, bloccandola con la sua spada cremisi.

Vi furono due sibili alle sue spalle e ritirò la katana, scartando di lato, evitando l’assalto delle donne dietro di lui. L’ultima si fiondò contro il suo fianco, incontrando ancora una volta solamente il piatto della sua spada.

«Lasciatemi in pace» sibilò, facendo pressione con la katana e allontanandola da lui.

Le quattro si raggrupparono e lo circondarono, muovendosi attorno a lui e studiandolo meticolose. Non sembrarono affatto desiderose di rispettare la sua richiesta. Naito sollevò la katana. «Non ve lo chiederò di nuovo. Andatevene.»

Quelle risero, imitate dal loro capo. 

«Non ti lasceremo mai in pace, Naosuke» disse proprio quest’ultima. «Non finché non ti avremo ucciso.»

Le kunoichi lo attaccarono da ogni lato. Naito roteò la katana attorno a sé, deviando, parando e respingendo attacchi da ogni direzione in un turbinio di rintocchi metallici. Le sue avversarie erano veloci, ninja di primo ordine, e non gli stavano dando un solo istante di tregua.

Serrò la mascella, quando una spada per poco non gli squarciò il ventre. Stava combattendo senza armatura, quindi era più esposto, ma anche molto più veloce. 

«Forse non avete capito…» Scattò verso una delle kunoichi, così rapido da coglierla di sorpresa. «LASCIATEMI IN PACE!»

Abbatté la katana contro la sua wakizashi, con una forza tale da disarmarla. La donna gridò, afferrandosi il polso, e Naito la atterrò con un calcio. Le altre tre provarono di nuovo a colpirlo a tradimento, ma lui si voltò e mulinò la katana, raggiungendo il volto di una di loro e strappandole via la sciarpa nera. Quando udì il suo grido, Naito si paralizzò. La vide cadere a terra, portandosi la mano sopra un piccolo taglio sul mento. Era ancora viva.

Rilassò le spalle e si accorse delle due kunoichi rimaste. Quelle esitarono e lui ne approfittò. Abbatté la katana sopra una di loro, che riuscì a riscuotersi appena in tempo per pararla, rimanendo tuttavia bloccata con le lame pressate tra loro a pochi centimetri dal volto. Naito udì l’ultima ninja scattare verso di lui e un istante prima che potesse colpirlo scartò di lato, lasciando che le due si scontrassero tra di loro e ruzzolassero a terra con un grido di dolore misto a sorpresa.

Osservò le quattro donne a terra dall’alto, impassibile. Le aveva avvertite di lasciarlo stare. Se l’erano cavata perfino con poco.

Un altro kunai forò l’aria. Dimenò la katana, deviandolo. Il capo delle kunoichi avanzò verso di lui e Naito serrò la mascella: non era ancora finita.

«Non male, mezzosangue» disse la donna. «Dopotutto, c’è una ragione se Orochi ti ha scelto come suo braccio destro.»

«C’è anche una ragione se i soldati che avete sempre mandato ad uccidermi non sono mai tornati» sibilò Naito. Osservò assorto lo sfregio sul volto della sua inseguitrice. Non sembrava dovuto ad un’arma, ma ad un artiglio. «Carino quello. Non ricordo di avertelo lasciato.»

La kunoichi si sfiorò la cicatrice, il suo sorriso che non accennava a svanire. «Non sei stato tu, infatti. È stata quella stupida monca.»

Naito spalancò l’occhio.

Monca?

Vide la donna scattare verso di lui e si riscosse. Parò il pugnale e lo spinse via con la katana. Tentò un affondo, ma lei saltò all’indietro, evitandolo. Afferrò altri tre kunai e glieli lanciò. Naito li deviò, trovandosi di nuovo il pugnale diretto verso il suo volto.

Incrociò la lama con quella della donna per minuti interi e per tutto il tempo il sorriso di lei non mutò di una virgola. Serrò la mascella. Roteò la lama, disarcionandola e tentò un affondo, ma quella si ritrasse di nuovo. La sua mano agguantò l’aria, rapida come un fulmine, e raggiunse il suo volto. Naito indietreggiò, ma si mosse troppo tardi: un forte bruciore gli assalì la guancia. Si accarezzò una ferita lieve ma sanguinante, mugugnando per il dolore.

Drizzò lo sguardo e vide l'avversaria sorridergli, mentre gli mostrava una fila di lame appuntite posate sopra le dita. Delle neko-te. «Questo non l’hai schivato, Naosuke.» 

Naito digrignò i denti. Sollevò di nuovo la katana, ma venne colpito da un improvviso senso di spossatezza. La vista gli si appannò.

«Che succede, Naosuke? Qualcosa non va?» domandò ancora la donna, sempre con quel tono di scherno. Riuscì a vederla mentre si avventava su di lui, il tantō che brillava nel suo pugno. «Non temere, presto starai molto meglio!»

Riuscì a pararlo, ma i suoi riflessi erano diventati molto più lenti. Gemette, mentre la kunoichi rideva. «Forse ti ho sopravvalutato, prima. Non sembri affatto il braccio destro di Yamata no Orochi in questo momento!»

«Taci» sibilò Naito, respingendo un’altra pugnalata. Il mondo cominciò a vorticare attorno a lui. Tra le macchie indistinte, riuscì a scorgere ancora una volta la donna che lo attaccava. Deviò un altro affondo, ma non sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo in quelle condizioni.  

Si ritrovò il tantō ad un palmo dal naso, pressato contro la sua katana. Il ghigno della kunoichi si deformò, diventando quasi demoniaco. «I mesi in fuga ti hanno rammollito, Naosuke.»

«Smettila… di chiamarmi così…» riuscì a sibilare lui.

«Naosuke! Naosuke Naosuke Naosuke!»

Naito sentì la rabbia crescergli nel corpo. Quella donna stava cominciando a dargli sui nervi. Il desiderio irrefrenabile di cancellare per sempre quel sorriso dal suo volto cominciò a farsi strada in lui.

«Che sta succedendo qui?!» domandò una voce aspra all’improvviso, sovrastandoli entrambi.

Naito trasalì. Arrischiò uno sguardo verso la casa e malgrado la vista sfocata vide il vecchio Ishii in piedi fuori dalla porta, con il fodero di una katana appeso alla cintura. «Naosuke, sei tu? Cos’è questo fracasso?!»

«Torni dentro!» gridò Naito, prima che la kunoichi si spostasse fulminea, mirando con il tantō al suo fianco. Riuscì a pararlo con un urlo di rabbia, ma i versi di protesta di Minoru lo costrinsero a voltarsi un’altra volta.

Vide le altre kunoichi mentre afferravano l’uomo e lo trascinavano di peso giù dai gradini della casa, ignorando i suoi versi di protesta: «Ah! Che maniere!»

Lo costrinsero a mettersi in ginocchio e una di loro gli puntò al collo la wakizashi. «Arrenditi mezzosangue, o il vecchio muore.»

«Ma vi sembra forse il modo di trattare un anziano?!» interrogò ancora il vecchio Ishii, con voce più infastidita che spaventata.

Naito serrò la mascella, osservando le donne con odio. 

«Signor Minoru Ishii» asserì la leader delle kunoichi, con una risatina. «Mi duole comunicarglielo in questo modo, ma temo che per tutto questo tempo sia stato raggirato. Colui che conosce come Naosuke Itomi in realtà è un pericoloso criminale in fuga.»

Le rughe di Minoru si fecero ancora più profonde. «Ma che andate blaterando?! Naosuke è un bravo ragazzo! E poi si può sapere chi siete?!»

«Può chiamarmi Meishu» disse la donna. Si allontanò da Naito all’improvviso, senza staccargli gli occhi di dosso. «E non c’è nessun malinteso. Un mandato di cattura pende sulla testa di Naosuke Itomi. Siamo qui per questo.» Un altro ghigno le apparve sul volto. Bisbigliò il resto delle parole in modo che soltanto Naito la sentisse: «Sembra che tu tenga al vecchio, Naosuke. Ti consiglio di arrenderti, se non vuoi che muoia.»

Naito sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Poteva anche essere un pericoloso criminale, ma in quel momento a tenere in ostaggio un innocente non c’era lui. Ma dopotutto, se era finito in quella situazione era soltanto colpa sua. Era rimasto fermo nello stesso luogo per troppo tempo e aveva permesso a chi gli stava dando la caccia di trovarlo. E adesso il vecchio Ishii era rimasto coinvolto. Un lato di lui avrebbe voluto fuggire, abbandonarlo al suo destino. Ma quello era lo stesso lato che l’aveva spinto a fare tutto ciò di cui in seguito si era pentito.

Rilassò le spalle e abbassò la katana, mentre pensava a come uscire da quella soluzione in maniera alternativa. Non si sarebbe consegnato a quelle donne, questo era certo. La testa continuava a girargli, si sentiva debole e stanco, ma forse poteva ancora liberare Minoru da quelle arpie e riuscire a portarlo in salvo.

«Un mezzosangue che si affeziona ad un mortale. Ah! Ora le ho anche viste tutte» cantilenò Meishu.

«Sentite, signore, sono sicuro che si tratti tutto di un grosso malinteso» disse ancora Minoru, con voce divenuta calma all’improvviso. «Naosuke non è affatto la persona a cui state dando la caccia, ne sono sicuro. Perché non proviamo tutti a calmarci e a risolvere la faccenda in maniera civile?»

Finalmente, il sorriso vacillò dal volto di Meishu. Gli lanciò uno sguardo seccata. «Signore, devo chiederle di non intromettersi ancora, o potremmo arrestare anche lei.»

«Arrestarmi? Oh, santo cielo no! Non c’è alcun verso che queste ossa stanche possano resistere in una prigione. Ma…» Minoru arricciò il naso. «… non posso nemmeno lasciare che portiate via un ragazzo innocente.»

La mano del vecchio si chiuse all’improvviso attorno al polso della kunoichi che lo stava tenendo in ostaggio. Quella squittì per la sorpresa, ma non poté fare altro: si ritrovò scagliata in avanti e atterrò sulla schiena con un grido di dolore, dopo aver compiuto una capovolta a mezz’aria. Le sue tre compagne indietreggiarono di sorpresa mentre Minoru si rimetteva in piedi.

«Yare-yare» borbottò quest’ultimo, spolverandosi lo yukata. «Forse è ora che impariate un po’ di buone maniere.»

Le donne si riscossero e si fiondarono su di lui, mulinando le spade per uccidere. Il vecchio Ishii non sembrò impressionato. La più vicina affondò la wakizashi, ma lui si scansò e dimenò il polso, colpendola all’elsa e disarmandola con un unico, secco movimento. Minoru roteò e la colpì allo stomaco con un calcio – con tanto di pantofole da notte sui piedi. La kunoichi si piegò, gli occhi spalancati per la sorpresa.

Le ultime due lo attaccarono simultaneamente, una di fronte e una alle sue spalle. Minoru sguainò la katana che teneva nel fodero e, con enorme stupore, Naito constatò che era fatta di legno. Non era una katana, ma un bokken. Il vecchio sollevò il dorso della mano libera e colpì la kunoichi alle sue spalle dritta sul naso, ribaltandola all’indietro, dopodiché parò l’assalto di quella che aveva di fronte con il bokken.  

«Dovresti migliorare la tua tecnica, signorina» la ammonì, mentre quella muggiva frustrata nel tentativo di colpirlo. I suoi affondi e le sue stoccate andarono tutti a vuoto, cozzando contro la spada di legno con dei rumori sordi. La cosa più sconvolgente, era che Minoru stava combattendo usando solo una mano, tenendo l’altra dietro la schiena.

«Yare-yare, questi giovani d’oggi» disse con voce stanca, per poi roteare il polso quando le armi si ritrovarono pressate l’una contro l’altra. Disarmò la kunoichi e si fiondò su di lei, sferrando un colpo con l’elsa della spada anche sul suo naso, spedendola a terra assieme alle sue amiche.

Naito non riuscì a credere ai suoi occhi. E non fu l’unico.

«Ma… ma cosa…» sussurrò Meishu, accanto a lui, con sguardo e voce increduli.

Vederla così sbalordita fece nascere un sorriso divertito sul volto di Naito. «Sembra che la tua strategia ti si sia rivolta contro.»

Meishu lo scrutò con odio. Urlò a squarciagola, perdendo ogni traccia della sua compostezza, e lo attaccò di nuovo. Naito dimenò la katana, punendo la sua avventatezza. La disarmò colpendole il tantō con il piatto della katana e gliela puntò alla gola, facendola irrigidire.

«Basta così» ordinò. «Non voglio farvi del male.»

L’espressione di Meishu tradì ogni emozione. «Schifoso mezzosangue» sibilò. «Non sarai sempre così fortunato…»

«Nemmeno voi» ribatté Naito. 

Meishu ringhiò di rabbia, ma non rispose. Il ragazzo barcollò verso il vecchio Ishii. La sua vista calò sensibilmente e gli scappò un gemito, ma rimase comunque in piedi.

«Devo chiedervi di andarvene dalla mia proprietà adesso» ordinò Minoru, quando lo raggiunse. 

«Chi sei tu?!» domandò Meishu, gli occhi carichi di veleno.

«Il signor Minoru Ishii, no? L’hai detto tu stessa.»

«Stai mentendo!» Meishu raccolse il tantō da terra e glielo puntò. «Non puoi essere una persona comune! Nessun uomo potrebbe mai neutralizzare da solo quattro kunoichi del Clan Tsubaki come hai fatto tu! Chi sei veramente?»

Un mugugno scappò dalle labbra del vecchio Ishii. Rinfoderò il bokken e si portò le mani dietro la schiena. «Il mio vero nome è Miyamoto Musashi.»

«C-Che cosa?!» domandò Meishu, facendosi attonita all’improvviso. Anche le altre kunoichi sgranarono gli occhi per la sorpresa.

«Il samurai?» bisbigliò una di loro, quella con il taglio ancora sanguinante sul mento.

«Mi definisco più uno spadaccino. Ma sì, sono io.»

Naito corrugò la fronte. Non era sicuro di aver sentito molto bene. Il vecchio Ishii aveva detto di avere un altro nome?

«Ma com’è possibile?! Miyamoto Musashi è morto più di quattrocento anni fa!» sbraitò Meishu, ormai priva di alcun contegno.

L’uomo si osservò le mani grinzose. «Davvero? Eppure io mi sento piuttosto vivo.» 

Naito non ci stava capendo più nulla. Avrebbe voluto parlare, ma dalla bocca non gli uscì nemmeno un verso. La forza di gravità cominciò farsi molto più forte all’improvviso.

Le kunoichi si rimisero in piedi una ad una, affiancando Meishu. Per un momento, nessuna di loro sembrò sapere cosa fare, incluso il loro capo. Scoprire la vera identità del vecchio Ishii, chiunque egli fosse, sembrava averle scosse per davvero.

Dopo un lungo attimo di riflessione, Meishu fece un cenno alle sue compagne e iniziò ad indietreggiare. «Ci rivedremo, Naosuke…» sibilò.

«Cercate di avvisare con un po’ di anticipo quando tornerete» ribatté il vecchio Ishii. «Così potrò preparare un po’ di infuso d’alghe anche per voi.»

Meishu gli lanciò un’ultima occhiataccia, ma non replicò. Tutte e cinque si ritirarono di nuovo tra le ombre della notte.

Fu solo quando le vide svanire che Naito sentì i nervi sciogliersi. Prese una grossa boccata d’aria, poi si voltò verso Minoru con un sorriso.

Le gambe gli cedettero prima che potesse ringraziarlo per l’aiuto.

   
 
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