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Autore: Ahiryn    09/08/2021    4 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Incubi

XIII


 


Billy calciò la sua sedia con un sorriso da peste e Silas lo ripagò della stessa moneta fin quasi a buttarlo per terra. Si unì anche Lia e il tavolo della piccola mensa cominciò a vibrare, scosso dai colpi.
‒ Dai, non riesco a mangiare! – protestò Jo con fastidio, mentre tentava di bere la zuppa.
Billy diede un calcio particolarmente forte e la piccola Marian venne inondata da un piatto di brodaglia bollente.
‒ Basta! – lo interruppe Silas e si alzò con un saltello.
Si avvicinò a sua sorella e la controllò. Era già in lacrime, stringeva le mani sul vestitino di raso che indossava, ma non osava lasciar scappare un lamento.
‒ Su su, non è successo niente – le sorrise e le asciugò il bavero. ‒ Billy sei il solito coglione!
‒ Non puoi dire quella parola.
‒ Sì che posso.
‒ No.
‒ Sì.
‒ No.
‒ Sì.
‒ Poi ti portano nella stanza dei bambini cattivi.
Silas gli fece una pernacchia e prese Marian per la piccola mano. Doveva cambiarsi, era troppo sporca, persino i boccoli lucidi erano stati inzuppati.
Prima che potesse lasciare la sala da pranzo, la porta si aprì. La prima persona a entrare fu sua sorella maggiore, Euphemia. Aveva una guancia arrossata e gli occhi verde smeraldo che emanavano bagliori ostili. Trascinava una chioma foltissima di capelli bianchi, annodati e pieni di polvere dove strusciavano a terra. Le orecchie a punta erano piene di orecchini preziosi, aveva un portamento regale e, anche se aveva solo tredici anni, appariva molto più grande ai suoi occhi.
Tutti a tavola sorrisero a vederla, ma persero presto la contentezza quando dietro di lei uscì Leroy.
‒ Lia? Vieni con me un attimo per favore ‒ vociò l’uomo e agitò la mano guantata.
La voce era roca per i sigari che fumava a ogni ora del giorno, fino a impregnare gli abiti, i capelli e gli occhi di chi gli stava vicino.
La bambina sbiancò e le piccole squame sulla sua pelle fremettero. ‒ Non mi sono comportata male!
‒ Ma certo. Non ti preoccupare. Saluta gli altri, li rivedrai dopo.
Si voltò a guardare Silas, terrorizzata. Si avvicinò a lei dandole la mano e cercò di metterla dietro di sé. ‒ Lia deve finire di mangiare – provò a dire, incerto.
‒ Vuoi venire tu al suo posto?
Il cuore gli batteva a mille, aprì la bocca per rispondere, ma Euphie si frappose. ‒ Lia, non fare scenate. Ci rivedremo più tardi.
La bambina scoppiò a piangere, ma l’uomo non si lasciò impietosire e la trascinò via per un braccio nel silenzio generale. Silas sentiva la paura rimbombargli nelle orecchie, la mano era sudata dove aveva stretto quella di Lia.
‒ Silas, mi accompagni nei giardini?
Sua sorella lo guardava con occhi eloquenti: voleva parlargli. – Marian si è sporcata con la zuppa, volevo cambiarla.
Gli piaceva prendersi cura dei più piccoli, Euphie si occupava sempre di tutti e lui voleva aiutarla.
Infatti si accorse dello stato in cui riversava la piccola e allungò entrambe le mani. Una la prese Marian e l’altra la prese Silas.
‒ Voi fate i bravi e finite di mangiare.
Uscirono e raggiunsero presto i giardini. Le temperature di inizio estate erano miti e Euphie sfilò il vestitino alla bimba, lasciandola in biancheria.
Si sedettero all’ombra del vecchio salice, cullati dalle fronde e dalla brezza estiva.
I prati che circondavano la villa sembravano acquosi e sfumati, ondeggiavano di fronte ai suoi occhi.
Silas però guardava oltre, verso l’ala est dell’edificio grottesco che li sovrastava, dov’erano le stanze per i bambini cattivi. O almeno così li chiamava sua madre.
Marian iniziò a giocare con i fiori, strappandoli e portandoseli in bocca, le sue orecchie erano molto lunghe anche per una mezzosangue e le muoveva quando era felice.
Euphie la guardò e sorrise, poi si rivolse a Silas. ‒ Non metterti in mezzo quando Leroy viene a prendere i bambini.
‒ Lia non è stata cattiva. Non ha fatto niente di male! Io sono più cattivo di lei – protestò. ‒ Rispondo sempre male e combino un mucchio di disastri. Lia è stata sempre brava.
Euphie guardò verso il sole, senza distogliere lo sguardo. ‒ Silas ora voglio dirti una cosa: non esistono i bambini cattivi. Esistono solo adulti cattivi. Questo è come un gioco e noi dobbiamo vincerlo.
‒ Non mi piace questo gioco. A Billy quando lo hanno portato nelle stanze dei bambini cattivi gli hanno tolto un dito.
Sua sorella aveva uno sguardo così stanco ed emaciato. Prese la piccola Marian che si era capovolta e le tolse un insetto di mano, pulendole la terra dalle dita.
‒ Silas… non ti devi affezionare troppo, loro non rimarranno per sempre con noi.
Aggrottò le sopracciglia. Per qualche motivo temeva già quella possibilità. ‒ Perché? Sono nostri fratelli.
Si passò le dita sugli occhi. ‒ Lo so, ma non sono stati… abbastanza forti. Non sono abbastanza potenti. Noi siamo stati scelti come eredi.
Non gli piaceva quel discorso. Le strinse le gonne. ‒ Io voglio che restiamo tutti insieme e andiamo sull’isola delle fate dei dolci.
Euphie rise. ‒ E cosa sarebbe?
Scrollò le spalle. ‒ Non lo so, Jo dice che c’è stato ‒ replicò, divertito.
‒ Non dovresti credere a tutto quello che ti dice.
Ridacchiò. ‒ Faccio finta di credergli, perché lo fa stare meglio quando non si sente bene.
Sua sorella gli carezzò i capelli e lui chiuse gli occhi. Era raro che lo toccasse, ma a lui piaceva ricevere quei gesti, avrebbe voluto che succedesse più spesso.
‒ Silas, loro non rimarranno con noi. Non tutti i mezzosangue sono forti allo stesso modo.
‒ Io posso aiutarli. Posso svolgere i loro compiti e fare alcune magie al loro posto.
Euphie scosse la testa. ‒ Non servirebbe – disse, malinconica.
Silas aiutò Marian ad alzarsi e questa gli strinse la manina sulla camicia. ‒ Anche lei? – domandò con un filo di voce.
Sua sorella guardò la piccola. ‒ È troppo presto per dirlo, se sarà adatta, i Vaukhram la terranno.
‒ Altrimenti?
Euphie osservò la villa, gli occhi incavati. ‒ Terranno soltanto quello che gli servirà di lei.
Silas non era certo di che cosa volesse dire, ma sembrava qualcosa di brutto, perciò strinse le dita in quelle della sua sorellina e la avvicinò a sé. Non voleva che le capitasse nulla.
‒ Vorrei così tanto che tu non dovessi farti carico di questa cosa come me. Sono stanca, di vedere i miei fratelli sparire – sussurrò e la sua voce s’incrinò.
Gli diede un buffetto e Silas strizzò gli occhi. Vedere sua sorella con gli occhi umidi lo innervosiva, non era abituato.
‒ Ma noi dobbiamo andare avanti e vincere il gioco.
‒ Perché?
Sua sorella gli sorrise; aveva i denti affilati e le labbra sottili si distesero a mostrarli. I suoi occhi, le cui palpebre si aprivano in orizzontale, luccicarono.
‒ Perché quando saremo abbastanza potenti, uccideremo tutti gli adulti cattivi.

*
 
Quando Kieran riaprì gli occhi, sentiva di averli umidi, ma non aveva idea se fosse stata la stanchezza o il sogno.
Si tirò a sedere con flemma, spaesato. Aveva i capelli rossi arruffati e il viso intorpidito. Si passò le mani sulla pelle, mentre i volti dei bambini offuscavano ancora i suoi pensieri.
Billy, Jo, Lia, Marian.
Euphiemia.
Che razza di sogno era quello? Non c’era nulla di familiare, il luogo, le persone, i nomi. Troppo vivido per essere un normale sogno, anzi un incubo. Gli adulti avevano volti scuri e grotteschi, le loro voci rimbombavano e l’ala est della villa era cadente e spaventosa.
Si portò una mano al petto, il cuore contratto da una morsa di angoscia e terrore.
‒ Silas? ‒ chiamò, confuso.
Nessuno gli rispose. La pensioncina era vuota. Era uscito mentre lui dormiva?
Si allarmò subito e cercò di alzarsi dal letto, ma sentiva le gambe malferme.
Doveva ricordare quel sogno. Ripeté i nomi ad alta voce mentre indossava gli stivali e prendeva il cappotto.
Si fermò quando vide una nota scritta in una calligrafia elegante.
Sono andato a cercare un abito adatto per te. E se anche non fosse così, è inutile che ti metti a cercarmi, non mi troveresti. Aspetta e fai il bravo cane da guardia.
Guardò con irritazione la nota mentre si risedeva sul letto, passò una mano fra i capelli e le dita rimasero impigliate nei nodi.
Euphemia.
Era certo che fosse la sorella maggiore di Silas, gliene aveva parlato in passato, pochissime volte. Era venuta a mancare quando lui aveva quattordici anni, forse meno, ma non gli aveva mai raccontato le circostanze. Nel sogno era una mezzosangue maestosa, pur avendo solo tredici anni aveva un’aura di potere e un aspetto da adulta. Possibile che fosse lei?
Conosceva anche il nome di Marian Vaukhram, come tutti d’altronde. Nel sogno era una bimba dagli occhioni lucidi, molto diversa dalla figura di cui aveva spettegolato l’alta società per settimane. Era infatti l’attuale erede dei Vaukhram, subentrata quando Silas aveva tradito. La aveva incontrata un paio di volte, una ragazza dallo sguardo di ghiaccio, maga del Diaspro.
Non aveva invece mai sentito di altri fratelli, ma Silas parlava molto poco della sua famiglia anche da ragazzo. Sapeva che sua madre era una persona discutibile, un po’ come ogni singolo Vaukhram, e Silas aveva sempre avuto un rapporto instabile con loro.
Nel sogno però c’era qualcosa in più. Qualcosa di orrendo e atroce, una sensazione di paura e orrore che non sapeva spiegarsi. I dettagli iniziavano già a disperdersi e cercò di afferrarli.
Silas mi aveva chiesto dei sogni, ha combinato qualcosa?
Decise di scendere e andare a comprare carta e inchiostro, voleva appuntarsi il sogno per non scordare neanche un dettaglio. Si toccò le tasche e notò che i soldi erano spariti. Guardò meglio intorno e con immenso disappunto si accorse che mancavano anche le sue armi.

*
 
Silas camminava mascherato per le strade e i canali di Moslon. Era nella zona borghese, dove le vie e le piccole piazze erano pulite, l’aria più respirabile e i fiori dei balconi davano un tocco di colore e brillantezza. Le maschere erano ben diverse da quelle dei pontili: vistose, riccamente decorate di oro e argento, piene di richiami al mondo fatato, da corna nodose, ad ali di farfalla intorno ai buchi degli occhi. I più altolocati si distinguevano perché le maschere erano composte da parti fatate autentiche, che fosse la pelle, i capelli o le ossa. Si potevano riconoscere dagli avvoltoi che gli ronzavano intorno, arrampicatori sociali e donne di malaffare.
Silas aveva una maschera molto semplice e saltava all’occhio con quegli abiti. Per questo aveva minacciato e derubato un giovane riccastro piuttosto ubriaco, prendendogli vestiti e maschera. Il poveretto aveva capito a malapena cos’era accaduto, ma si sarebbe ripreso. Non erano che pochi spiccioli, Silas lo sapeva bene.
Camminare da solo per quelle strade, armato, gli aveva restituito un briciolo di controllo, di lucidità. Era di nuovo in possesso della propria libertà, per quanto mutilata. Ogni volta che provava a evocare la magia, sentiva quell’innaturale immobilità, quel silenzio disturbante. Era doloroso, non sapeva spiegare o paragonare quella mancanza a nient’altro, ma era logorante continuare a provarci senza ricevere risposta dal suo corpo.
Le armi che aveva preso da Kieran gli davano un leggero conforto, ma non sufficiente a eguagliare la sua magia.
‒ Bell’abito, anche se troppo audace ‒ commentò un uomo, notando che stava osservando la vetrina di una bottega.
Era di fronte al negozio di una sartoria piuttosto in vista, gli abiti esposti erano di ottima qualità e alla moda.
‒ Troppo audace mi piace ‒ rispose, divertito. ‒ Vuol dire che mi si noterà.
L’uomo non sembrava concordare troppo, ma Silas s’incamminò via con un gesto educato del capo. Per ora si sarebbe limitato a osservare alcune vetrine, sarebbe tornato più tardi o l’indomani con Kieran a comprare un abito per il suo incontro con il governatore. Kieran non si era mai tolto di dosso quell’aria da popolano fuori luogo, anche quando aveva iniziato a guadagnare, comprava vestiti di cattivo gusto o poco eleganti. Si esaltava di fronte a pacchianate improponibili, all’Accademia si era presentato con un farsetto color oro che sembrava uscito da una commedia satirica del secolo scorso. Il che lo aveva sempre divertito, Kieran al tempo era così genuino anche sul vestire.
Quel ricordo gli strappò un sospiro indesiderato. Che cosa gli era saltato in mente nel vicolo? Era convinto di poterlo baciare in modo del tutto disinteressato e che l’altro avrebbe capito le sue motivazioni. Non si era aspettato una reazione così violenta.
So cosa stai cercando di fare, non ci cascherò di nuovo.
Voleva davvero mostrarsi intoccato da quell’accusa, perché rimanere feriti da certe parole era così banale e lui detestava essere banale.
Kieran doveva essersi convinto in quel suo cervellino bacato che tutto ciò che era accaduto fra loro all’Accademia fosse stato una sorta di gioco per lui. A volte temeva davvero di avergli provocato qualche trauma cranico di troppo negli anni, perché soltanto un povero imbecille poteva giungere a una simile conclusione. O qualcuno con giganteschi problemi di autostima e forse Kieran era entrambe le cose. Era sempre stato ansioso e insicuro all’Accademia, sempre a dubitare della sua amicizia, della sua stima, dei suoi sentimenti, sempre a volere conferme come un cane affamato.
Non era più quel ragazzino, ma forse si teneva ancora alcuni strascichi, come d’altronde tutti quanti.
Si spazzolò i capelli incastrati fra la maschera e sospirò di nuovo, seccato.
No. Doveva smettere di vedere in Kieran la stessa persona dell’Accademia. Era cambiato fin troppo, in lui c’era qualcosa di molto più cupo; forse in parte era colpa sua, non ne aveva idea, ma non doveva farsi illusioni.
Kieran lo avrebbe riportato in cella. Lo avrebbe di nuovo trascinato in mano a quelle persone che volevano abusare di lui, ucciderlo e smembrarlo. Una volta tolto il vincolo non avrebbe esitato, e, per quanto detestasse ammetterlo, sul piano fisico non riusciva più a contrastarlo come ai tempi dell’Accademia. Negli ultimi anni si era allenato soprattutto da un punto di vista magico, aveva tralasciato l’addestramento fisico dell’Accademia. Tirava ancora di scherma, si addestrava per rimanere in forma, ma non dedicava lo stesso ammontare di tempo di Kieran.
Senza la sua magia non avrebbe potuto vincere facilmente uno scontro fisico, non senza giocare sporco. Se fossero arrivati a quel punto, se Kieran lo avesse sopraffatto per imprigionarlo ancora, si sarebbe ucciso, dunque era meglio evitare di ritrovarsi in quella situazione.
Si fermò di fronte a un pub dall’aria silenziosa. Un piccolo automa a forma di cameriera si levava meccanicamente il cappello a dare il benvenuto. Un impercettibile simbolo era inciso sulla parete, fra i fiori, quasi invisibile alla maggior parte di passanti.
Socchiuse gli occhi. Sapere che la stessa persona che sarebbe morta per lui ai tempi dell’Accademia, ora non si facesse alcuno scrupolo a riconsegnarlo in mano a quei mostri lo feriva più di quanto avrebbe voluto ammettere. Probabilmente neanche se avesse implorato, Kieran si sarebbe impietosito al punto da lasciarlo andare, e questa consapevolezza lo nauseava. Non che avrebbe mai potuto pregarlo, il suicidio era una via più accettabile per lui.
Il vincolo mi ha salvato la vita. Non Kieran. Kieran mi avrebbe lasciato morire. Ha lasciato che mi torturassero.
Certo, era passato prima del processo a chiedergli se volesse vivere, a blaterare che poteva intervenire. Come se qualcuno gli avrebbe mai dato retta, a volte non si rendeva proprio conto del mondo in cui viveva. Forse voleva provare a pulirsi la coscienza o forse non voleva vederlo morire, ma i suoi tentativi per aiutarlo erano stati inesistenti.
Aveva sempre pensato che fosse giusto così, che anche lui avrebbe avuto la stessa freddezza e lo stesso distacco nella situazione inversa.
Ma era davvero così?
Guardò la boccetta con il ricordo di Kieran.
Sarebbe stato capace di lasciarlo morire? Di consegnarlo a Cavana e disinteressarsi della sua sorte?
Non era affatto certo della risposta.
‒ Si va in scena.
Entrò nel pub dopo aver preso un bel respiro. Venne subito accolto da un forte odore di alcool e stufato, cibo cucinato e speziato. Il cambio di luce gli ferì gli occhi, l’interno del pub era molto più scuro, le uniche luci provenivano da lampade a gas deboli, le finestre erano chiuse dalle tapparelle.
Era piccolo e raccolto, neanche quattro tavoli vicini fra loro, con sgabelli alti e dai cuscini morbidi, qualche poltroncina accanto al caminetto acceso e un bancone intagliato sul fondo. Le pareti erano decorate da maschere del secolo scorso, più grosse e rozze, ma funzionali e resistenti. Una grande mappa decorata della vecchia Moslon, prima della costruzione delle fabbriche, ricopriva la parete vicino al caminetto.
L’ambiente era piuttosto vuoto, un paio di individui parlottavano fra di loro nel tavolino più remoto, mentre bevevano da piccoli bicchierini in vetro. L’oste era seduto vicino al bancone e stava sonnecchiando, in attesa dei clienti serali.
Silas si avvicinò senza attirare troppo l’attenzione su di sé, si sfilò la maschera soltanto quando fu di fronte al taverniere. Si schiarì la gola e lo svegliò.
Gli allungò due ottoni, mentre veniva osservato.
‒ Vorrei mettermi in contatto con la Libellula.
Aveva parlato in un sussurro. Gli occhi dell’uomo persero l’offuscamento dato dal sonno e divennero affilati.
‒ Voi due, fuori.
‒ Come?
Ripeté il comando ai due clienti, che ubbidirono contrariati. Quando furono da soli, il taverniere tirò fuori dal bancone una vecchia pistola e osservò Silas.
‒ Sono passati un paio d’anni, quindi forse non ti ricordi di me ‒ provò a dire il mezzosangue con un tono amichevole.
Grugnì. ‒ Mi ricordo eccome di te, Falena. La Libellula è impegnata, non può stare dietro a un traditore.
‒ Che parola forte, non credi? Se tu potessi mettermi in contatto con lui, sono certo che potrei offrirgli qualcosa d’interessante.
‒ Vattene.
Silas portò una mano alla propria pistola e la estrasse. ‒ Non credo che lo farò.
Prima che potesse trasformarsi in una sparatoria, una figura si affacciò dalle scale. ‒ Fermati Coz.
Un mezzosangue scese al piano inferiore, trascinando due ali sottili e rovinate, troppo logorate per potersi librare. Il volto femmineo era allungato e furbo, gli occhi neri assonnati.
‒ Falena, ti aspettavo.
La sua voce era sempre sottile, non alzava mai il tono e non era possibile sentirlo in mezzo alla confusione. Scese qualche scalino, poi si avvicinò a Silas con un sorriso stanco e lo abbracciò.
Questo ricambiò la stretta, impacciato e gli sembrò di venire riscaldato dopo l’umidità delle strade.
‒ Non credevo che fossi qui, sapevo che eri in zona, ma non speravo di incontrarti già oggi.
La Libellula si stiracchiò. ‒ Dicevano che saresti passato per Moslon. Cavana mi ha dato ordine di tenere gli occhi aperti, quindi sono qui.
Alzò un sopracciglio. ‒ Per uccidermi?
‒ No, per il Campione ‒ e sbadigliò.
Non riusciva a capire l’interesse improvviso di Cavana per Kieran, prima che venisse catturato non nutriva la benché minima attenzione per lui, anzi, biasimava sempre Silas per l’eccessivo tempo che dedicava a ostacolarlo.
‒ Non… contatterai Cavana per me, Zeph?
La sua risata era appena nasale, ma gli suonava familiare. ‒ No. Non mi riguarda, io gestisco i reclutamenti. Inoltre hai sempre fatto di testa tua, il capo avrebbe dovuto capirlo prima. Perché mi sei venuto a cercare?
Fece un gesto a Coz che iniziò a preparare due bicchieri. Fece per prendere un liquore qualsiasi, ma Zeph gli lanciò un’occhiataccia e il barista sospirò irritato, prendendo un whiskey dall’aspetto più costoso.
‒ Sono qui per… patteggiare. Credevo fossi in missione.
‒ Moslon è la mia giurisdizione e avevo degli ordini. Forse ti risulta bizzarro che qualcuno li segua, ma normalmente è così che funziona ‒ rispose ridacchiando.
Ricambiò il ghigno e sollevò il bicchiere. ‒ Immagino. Possiamo parlare?
Silas si accomodò su uno degli sgabelli e ripose la pistola, mentre Zeph si accomodò sull’altro, stendendo le ali malridotte. Non riusciva mai a distogliere lo sguardo, gli ricordavano quelle di suo fratello Jo, eleganti, ma martoriate.
 Avere le ali per un mezzosangue era davvero raro e valevano una fortuna, Silas non poteva fare a meno di guardarle, così sottili, eteree, e così logorate. Erano strappate in più punti, avevano dei buchi dove i proiettili avevano forato e dove i coltelli avevano inciso.
‒ Spero di poter essere trattato come se fossi in terra neutrale.
La Libellula bevve il bicchierino. ‒ Smettila di stare sulla difensiva, se avessi voluto ti avrei già ucciso, no?
‒ Arrogante, come sempre.
‒ Detto da uno come te è un complimento. Vuoi patteggiare, bene, che cosa vuoi che faccia?
Gli era mancato Zeph. Non sempre erano andati d’accordo, soprattutto per quel piccolo problemino riguardante la violenza incontrollata che talvolta assaliva la Libellula, ma aveva un vissuto simile al suo, erano sempre riusciti a capirsi. Purtroppo non tutte le ferite di Zeph erano visibili, alcune avevano lasciato segni permanenti nel suo io che non si sarebbero rimarginate. Dovevano essere ferite infette e dolorose. Aveva visto quegli occhi apatici accendersi soltanto di brutalità o terrore. A volte sembravano le uniche due emozioni che ancora coloravano il suo sguardo: avere paura o infliggerla.
Era sempre un monito sul genere di persona che Silas non voleva diventare. Per quanto fosse meschino pensarlo di un amico.
Ticchettò il bancone con le dita. ‒ Che tu contatti Cavana. In cambio del suo perdono, potrei offrirle qualcosa di valore.
Zeph tirò fuori una piccola scatola di metallo dorato e ne estrasse una sigaretta. La accese su una delle lampade ed espirò una boccata di fumo.
‒ Fatico a crederti.
Sorrise. ‒ Ho un ricordo molto… compromettente sul Campione. Qualcosa che voleva gelosamente custodire. Glielo offrirei, come ammenda.
L’interesse balenò sul volto della Libellula. ‒ Un ricordo di che tipo?
‒ Dovrete consumarlo per scoprirlo, ma gli è stato sottratto dalla Crisalide, che lo ha donato a me. Mi ha assicurato che è qualcosa di scandaloso. Visto che Cavana in questi giorni è così ossessionata da lui.
La Libellula rise e le sue ali vibrarono. ‒ Tu non hai idea del perché, vero?
‒ No e neanche m’interessa.
‒ E pensare che sei quello che lo conosce meglio fra di noi.
Frenò l’irritazione. ‒ Non m’importa dei suoi sporchi segreti, saranno qualcosa di noioso come la sua intera personalità. Voglio solo tornare a bordo, non ho ancora finito con i Vaukhram. Sono ancora in piedi e il Gran Consigliere con loro. Si stanno già riprendendo dal mio arresto, non impiegheranno molto a trovare altri mezzosangue e a ricominciare le loro attività.
‒ Questo è sempre stato il tuo problema, Falena. Tu guardi soltanto alla singola situazione e non al grande piano.
‒ Io guardo alle vittime, me ne fotto del grande piano.
La Libellula girò il mignolo nel suo bicchiere e se lo leccò sovrappensiero. Le sue unghie erano lunghe e ingiallite. ‒ Dammi il ricordo.
‒ Non così in fretta. Non l’ho portato con me. Contatta Cavana, voglio la sua parola.
‒ Come vuoi. Drake non la finisce più di cercare di farti perdonare, sai?
A quelle parole sentì un tocco di calore e la sua espressione divenne vulnerabile per qualche secondo.
‒ Quando mi consegnerai il ricordo?
‒ Nel momento in cui avrai contattato Cavana.
La Libellula sbuffò. ‒ Facciamo fra tre giorni allora.
‒ Troppo tempo.
Scoprì appena i denti. ‒ Due giorni, prima non è possibile.
Guardò l’alcool nel suo bicchiere. Avrebbe trovato un modo per temporeggiare, Kieran non poteva andarsene senza di lui.
‒ D’accordo. Se mi accorgerò che hai chiamato rinforzi o altro, distruggerò il ricordo.
 

Kieran aveva camminato per la stanza come un animale in gabbia, ripromettendosi di strangolare Silas al suo ritorno. Nella mente gli si affacciava ogni genere di scenario nefasto, da fabbriche esplose a nobili uccisi. Per non parlare dei criminali alle loro calcagna, se lo avessero trovato? Sapeva difendersi, ma era comunque da solo.
Perché si era addormentato? Perché non era rimasto vigile?
Mentre imprecava contro sé stesso, la porta si aprì e lasciò entrare un Silas stanco e abbigliato con vestiti non suoi. Aveva una camicia fin troppo elegante e un cappotto di buona fattura.
Gli diede giusto il tempo di togliersi la maschera, prima di afferrarlo per le spalle e sbatterlo contro il tavolo.
‒ Che cos’hai fatto?
Silas guardò la posizione in cui erano e aprì la bocca per fare una battuta, ma la richiuse quando si accorse dell’espressione furibonda di Kieran.
‒ Ho comprato dei dolciumi da un fornaio e ho guardato per il tuo abito. Erano squisiti, ho ancora le dita appiccicose per lo zucchero.
A rimarcare ciò gliele passò in faccia e sulle labbra. ‒ Assaggia.
Kieran gli afferrò i polsi con una mano. ‒ Perché hai preso le mie armi?
‒ Per difendermi in caso gli uomini della Dama mi trovassero.
‒ Non puoi uscire senza il mio permesso, sei un prigioniero. Non te lo scordare, non sei libero di fare come ti pare. E non lo sarai mai più.
Gli occhi di Silas si incupirono. ‒ Non sei il primo che me lo dice. Eppure eccomi qui, fuori dalla gabbia.
Lo tirò su in piedi tenendolo dal colletto. Gli prese le armi e i soldi, poi lo spinse via.
‒ Ti stai prendendo troppe libertà, forse hai scordato la natura del nostro accordo e pensi che sia una gita di piacere.
Silas si tastò il collo dove il colletto della blusa lo aveva stretto. ‒ Io non dimentico proprio un bel niente. Sei tu che non dovresti abbassare la guardia.
Gli lanciò un’occhiata contrariata e si stropicciò gli occhi. ‒ Non mi serve un abito per incontrare il governatore.
Silas lo esaminò da cima a fondo. ‒ Forse non ti sei accorto che hai vestiti sporchi di sangue e fango.
‒ Odio queste perdite di tempo. Che cosa importa di quello che indosso, sono in missione per quanto gli riguarda.
‒ Ascolta: già sembrerà sospetto che chiedi a lui per due posti in aeronave senza rivolgerti al Ferro, se ti presenti in queste condizioni apparirai colpevole di qualcosa. Hai pensato a una scusa?
‒ Credevo di dirgli che sto indagando su alcuni membri corrotti del Ferro e quindi non posso rivolgermi a loro.
Silas accennò un sorriso. ‒ Mi piace. Hai davvero un talento per l’inganno come mi raccontasti all’Iniziazione.
Il complimento non gli suscitò alcun piacere; ricordava ancora vividamente la loro conversazione durante l’Iniziazione.
Io so mentire molto bene, il fatto che tu non te ne sia accorto dimostra che è vero.
Kieran aveva gli occhi umidi quando gli aveva raccontato di quel piccolo scorcio di sé stesso, ancora oggi si pentiva di quell’ammissione.
‒ Andiamo a prendere l’abito, dovremo parlare di alcune cose.

*
 
Tornarono insieme di fronte alla vetrina che Silas aveva sbirciato quel giorno, muovendosi fra la folla nel tentativo di non dare nell’occhio.
Il sole stava tramontando su Moslon e il lago paludoso luccicava sotto i raggi del sole morente. Le temperature avevano iniziato a calare e una lieve nevicata scendeva sui tetti e sulle strade.
I mendicanti e gli operai della parte sprofondata sparivano lì fra i quartieri emersi, le vie erano pulite e ben tenute, i lampioni funzionanti e s’intravedevano anche alcune vaporette.
 Kieran continuava a ripetere nella propria testa il discorso da rivolgere al governatore, ma non era certo di ricevere aiuto. Due biglietti su un’aeronave non erano chissà quale richiesta per una persona ricca, ma anche il più piccolo favore poteva essere un pretesto per chiedere qualcosa in cambio.
Continuò a rimuginarci anche quando si trovò di fronte la vetrina del negozio, la maschera che aveva appena comprato gli sfregava i punti dove era stato ferito per la rissa e lo soffocava.
‒ Costa troppo ed è vistoso e appariscente.
‒ Non vedo cosa ci sia di male.
Kieran adocchiò un altro abito, con le spalle bombate di un’ocra sbiadito. ‒ Quello mi sembra più adatto.
Silas roteò gli occhi. ‒ Puoi per cinque secondi smettere di comportarti da contadinotto senza buon gusto? È color vomito ed è inguardabile.
‒ Vai a farti fottere.
‒ Sai che è molto probabile che il governatore ti chiederà di presenziare al suo ballo in cambio dei biglietti? Il ballo è domani.
Arricciò il viso. ‒ Non abbiamo tempo per queste scempiaggini e inoltre è troppo rischioso.
‒ Il governatore, come i suoi predecessori, deve aver pestato i piedi a qualcuno per finire a occuparsi di Moslon. Nessuna persona davvero importante dell’alta società di Railia parteciperà al suo ballo, Moslon è una città fatiscente e viene evitata e derisa da chi conta davvero. Far presenziare te porterebbe un po’ di prestigio alla serata.
‒ Non ha alcun senso. Non sono nobile.
‒ No, infatti, per questo sei interessante. Sei nel tuo picco di celebrità, la gente vuole sapere di te e della tua storia.
 Kieran cessò di dargli corda, non sarebbero mai stati d’accordo. Era un piano fin troppo rischioso per lui, avrebbe dovuto reggere un’intera serata di domande e menzogne.
‒ Non sarebbe meglio parlare direttamente con sua figlia, Susanne? Lo hai detto tu stesso che lei è più disponibile. Sanno tutti che è una simpatizzante della Legione ed è donatrice e membro attivo del Movimento di Liberazione dei Discendenti.
Silas infilò le mani nelle tasche del cappotto e osservò la vetrina con occhi persi. ‒ Passiamo a un altro negozio.
S’incamminò verso un’altra bottega, senza aspettarlo. Kieran si accorse di come aveva accelerato il passo e gli andò dietro.
‒ Lei ti aiuterebbe, ci aiuterebbe.
‒ Quest’abito forse smorzerebbe quella tua faccia sempre incazzata.
Kieran assunse l’esatta espressione descritta. ‒ Non credevo che fosse un argomento così delicato per te. Allora esiste qualcosa che ti mette in difficoltà. Le parlerò io, non farò il tuo nome.
Silas aveva il volto coperto dalla maschera, ma il suo silenzio era preoccupante. ‒ Non so se sia una buona idea. Lo avevo proposto prima di sapere la situazione alla capitale. Ormai verrà fuori che sono evaso, se la coinvolgiamo potrebbero scoprirla.
Quelle parole furono uno schiaffo in pieno viso per Kieran. ‒ Vuoi farmi credere che ti importa di lei? ‒. Si fermò per concedersi una risata. ‒ Non farmi ridere adesso.
Scosse la testa, impassibile di fronte all’accusa. ‒ Credi quello che vuoi.
‒ Se la sua famiglia è caduta in disgrazia, la colpa è tua.
Non sapeva perché fosse arrabbiato, forse perché a Silas non importava di rovinare la sua di vita, mentre si faceva scrupoli con altri. Non con una persona qualsiasi poi, ma con la donna che era stata sua amante durante il secondo anno all’Accademia per giunta.
Non si difese dall’accusa. ‒ Proprio per questo non voglio causarle altri guai. Susanne ha troppo da perdere.
‒ Ma vuoi che coinvolga suo padre.
‒ Il governatore è una persona separata, lei ne uscirebbe danneggiata, ma in piedi. Se invece la colpa dovesse ricadere su Susanne, potrebbero arrestarla.
Kieran scosse la testa. ‒ E pensare che sei stato tu ad abbandonarla. Chi immaginava che fossi ancora così preso da lei.
Silas sospirò, irritato. ‒ Non parlare di cose che non sai. È una brava persona e non voglio nuocerle ancora. Non c’entra niente il passato.
Quella delicatezza non si accordava proprio al suo carattere. Kieran dopo anni riusciva ancora a sorprendersi per lati di Silas che non conosceva o che non immaginava. E a ingelosirsi.
Sono davvero patetico.
Ricordava le voci che circolavano al loro secondo anno di Accademia. Lui era uno dei pochi a saperne la vera natura; Silas aveva sviluppato dei sentimenti profondi per Susanne ed era stato quel periodo a cambiare davvero il loro rapporto. Forse perché lui si era reso conto di provare qualcosa che andava ben oltre l’amicizia, o forse perché vedere Silas avere quello sguardo premuroso verso un’altra persona gli aveva lasciato un vuoto dentro che non era riuscito a spiegarsi per diversi mesi.
Alla fine dei conti Silas non aveva potuto continuare quella relazione, la sua famiglia si era messa di mezzo a causa del rango basso di Susanne. Qualunque cosa fosse successa, aveva mandato Silas sull’orlo di una crisi. Aveva scatenato una violenta rissa con alcuni cadetti più grandi e aveva rischiato di farsi cacciare. In quei giorni non era mai in camera e le sue… attività notturne erano diventate più spudorate.
‒ Allora non la coinvolgerò ‒ concordò.
Notò il piccolo sospiro di sollievo uscire da Silas. Non sapeva come sentirsi di fronte a quella reazione. Lo rincuorava sapere che era ancora capace di provare preoccupazione per gli altri. D’altronde lo sconfortava capire che quel sentimento non sarebbe più stato rivolto a lui.
Smettila.
‒ Silas… hai mai avuto dei fratelli di nome Billy, Jo e Lia?
Gli occhi del mezzosangue dietro le lenti della maschera si sbarrarono, sconvolti. Rimase per una manciata di secondi in silenzio, poi sembrò risvegliarsi.
Spinse Kieran verso l’ombra di un vicolo, dove non sarebbero stati ascoltati. Si sfilò la maschera appena e rivelò un colorito esangue.
‒ Li hai sognati?
‒ Sì… credo, era tutto molto vivido. Come fai a saperlo? Cosa mi hai fatto?
‒ Non ti ho fatto niente, imbecille. Ti ho spiegato sul treno che la natura del nostro Vincolo potrebbe essere peggiore di quello che pensiamo. E questo lo conferma. Si sta evolvendo.
La risposta iniziò a preoccuparlo, ma cercò di mantenere la calma e capire meglio la situazione. ‒ Potresti essere più chiaro? Non tutti abbiamo studiato magia come te.
Silas abbassò gli occhi. ‒ Cos’hai sognato?
Cercò di riflettere e ricordare più dettagli possibili. ‒ Ho sognato di essere te. Ero in una villa e mangiavo con altri bambini. Poi un uomo veniva a prendere la bambina di nome Lia e una ragazza di nome Euphemia mi portava nei giardini per parlarmi.
Silas indietreggiò appena come se fosse stato colpito. ‒ Allora è così, non sono solo sogni. Sono ricordi. Questo è un mio ricordo.
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Un tuo ricordo? Non sapevo che avessi fratelli e sorelle, mi avevi parlato solo di Euphemia e Marian.
Il volto di Silas era una maschera di dolore all’improvviso. ‒ Loro non sono sopravvissuti. Billy, Jo e Lia sono morti molti anni fa.
All’improvviso l’angoscia del sogno sembrò riafferrargli il petto e sentì una vampata di rabbia e dolore che non seppe spiegarsi. Fece un passo avanti, perché in qualche modo vedeva di aver sconvolto Silas.
‒ Mi dispiace ‒ mormorò e si sentì davvero stupido a non essere in grado di dire altro. ‒ Sembravano dei bambini davvero dolci. Io non avevo idea…
Sapeva di dover riflettere sul perché avesse sognato i fratelli scomparsi di Silas, ma in quel momento non riusciva a non guardare i suoi occhi spenti e addolorati.
‒ Lo erano.
‒ Perché non me ne hai mai parlato?
Era ipocrita a chiedere qualcosa del genere, ne era consapevole.
‒ Perché poi avrei dovuto dirti anche com’erano morti e non è qualcosa che voglio fare. In ogni caso anch’io ho sognato alcuni tuoi ricordi. È evidente che quando dormiamo a volte il Vincolo si diverte a farci rivivere momenti dell’altro.
Kieran si era soffermato sulla prima parte della risposta, ma il brusco cambio di argomento lo prese alla sprovvista. Impiegò quasi un minuto intero per elaborare e pian piano perse ogni traccia di colore in viso. Afferrò Silas per la giacca, gli occhi sgranati.
‒ Cos’hai sognato su di me? ‒ domandò con voce bassa e minacciosa.
‒ Nulla di rilevante. Ma credo che non decidiamo quali ricordi vedere, non sono neanche legati alle attività dell’altro. Mentre tu dormivi io ero sveglio, dunque non abbiamo alcun controllo su quando e come si presenteranno questi sogni-ricordi.
Kieran era sull’orlo di un’altra crisi di nervi. ‒ Allora dormiremo a turni e quando ti vedrò agitarti ti sveglierò.
‒ È ridicolo, non possiamo controllare quest’effetto. A me non importa della tua vita e dei tuoi segreti, rilassati.
‒ Parliamo con un mago. Esisteranno degli impacchi per non sognare, esisterà un modo.
‒ Devi calmarti innanzitutto.
Kieran scosse la testa e iniziò a muoversi nervosamente nel vicolo. ‒ Non dirmi di calmarmi, non ti voglio nella mia testa!
Silas incrociò le braccia. ‒ Te la prendi come se fosse colpa mia, sono vittima del Vincolo quanto te. Neanche io sono felice di averti a sbirciare nei miei ricordi.
Kieran all’improvviso si sentiva di nuovo nauseato. Entrò con uno scatto nel negozio di prima, mentre cercava una soluzione. Doveva essercene una, c’era sempre una soluzione, bastava ragionarci.
Se Silas avesse sognato certi ricordi del suo passato, sarebbe stato tutto perduto.
‒ Buonasera signori, come posso aiutarvi?
Non rispose subito alla domanda.
Era incapace di controllare quei sogni, ma doveva esserci un qualcosa che li attivava o li provocava. Non ne sapeva abbastanza per ricavare un metodo per contrastarli. Non avrebbe dovuto parlare così serenamente a Silas del sogno avuto su di lui, avrebbe potuto provare a manipolarlo e a fargli credere che erano solo sogni bislacchi e non veri ricordi. Invece ormai era tardi.
‒ Eravamo interessati all’abito esposto ‒ rispose Silas al suo posto. ‒ Potrebbe mostrarcelo, gentilmente?
Il negoziante si allontanò, mentre Kieran passava in rassegna ogni possibile soluzione, lo sguardo perso e focalizzato su quell’ingarbugliamento di problemi e bugie che non faceva che aumentare.
‒ Sento che stai di nuovo perdendo la testa. Hai così tante cose da nascondere?
Si voltò a guardarlo ed ebbe un’ondata di orrore al pensiero che quegli occhi viola potessero assistere ad alcune scene del suo passato.
‒ Perché sta succedendo tutto questo, perché proprio tu ‒ sussurrò, esausto dall’ennesimo atroce ostacolo.
Silas non infierì su di lui e iniziò a guardare alcuni gilet dall’aria costosa. ‒ Guarda il lato positivo, se anche dovessi vedere qualcosa d’inopportuno, non saprei che farmene. Nessuno mi crederebbe, no?
‒ Io non voglio che tu assista a certe cose ‒ replicò con veemenza.
Silas sospirò. ‒ Va bene, potremo dormire a turni se ti fa stare meglio, per quanto non è detto che ci agiteremo nel sonno.
Kieran però si rilassò appena e si passò le mani sul viso. ‒ Stasera andrò dal governatore. Dobbiamo sbrigarci, il Vincolo sta diventando sempre più pericoloso.
Silas sembrò allarmarsi appena. ‒ Stasera sarebbe da maleducati, faresti una pessima impressione. Dovrai andare domattina sul presto.
‒ Non aspetterò un’intera nottata.
‒ Vuoi che ti ascolti? Presentati a un orario appropriato. È il tramonto e finché raggiungiamo il palazzo e ti fai ricevere passeranno ore.
Kieran si grattò la nuca, mentre il negoziante tornava con l’abito. ‒ D’accordo, ormai tanto ho iniziato questa farsa, tanto vale andare fino in fondo.
 

Silas aveva accettato suo malgrado di dormire a turni alterni per controllarsi, benché la trovasse un’idea ridicola e infruttuosa. Kieran però appariva fin troppo ansioso per quel nuovo sviluppo e Silas aveva scelto di non alimentare quel nervosismo per non rischiare di destare sospetti sull’accordo che aveva stretto con la Libellula.
Se avesse dovuto essere sincero, non era entusiasta neanche lui per quel nuovo potere del Vincolo. Continuava a chiedersi chi potesse averlo lanciato, era una magia potente e instabile, ma anche fin troppo personale.
Sdraiato nel letto, con Kieran che puliva la pistola accanto a un lumicino, faticò ad addormentarsi.
C’erano innumerevoli ricordi che non voleva mostrare a quello lì. La sua infanzia in cima a tutti, angosciante e dolorosa, non voleva la pietà di Kieran, non voleva che il ricordo dei suoi fratelli venisse usato come un fonografo da ascoltare nelle giornate di ozio. Il periodo in Accademia aveva molti punti oscuri che non aveva mai mostrato a Kieran, così come gli anni in cui si erano odiati. Anche se si odiavano ancora, o almeno credeva.
Si girò su un fianco, pensieroso. Forse ciò di cui aveva più paura era pensare che Kieran vivesse la sua vita attraverso i sogni e scegliesse comunque di rimprigionarlo. Di braccarlo, di ferirlo e di ucciderlo. Scegliesse ancora una volta di non vedere, di considerarlo un nemico, di non mostrargli pietà. Perché a quel punto avrebbe dovuto davvero ucciderlo, avrebbe saputo dell’Araldo e del piano di Cavana. Non avrebbe potuto lasciarlo in vita.
Cercò di scrollarsi di dosso quei pensieri. Ormai aveva stretto il patto con la Libellula, era solo questione di tempo prima che Kieran calasse a picco. Aveva fatto la sua scelta e doveva conviverci, Kieran lo avrebbe di nuovo odiato ferocemente, ma lui sarebbe stato libero e sarebbe tornato al suo obbiettivo.
Scivolò con nervosismo nel sonno, accompagnato dal respiro impercettibile del suo compagno di stanza, come quando erano in Accademia. Ma non si sentiva a suo agio come allora, era teso, ma riuscì ad addormentarsi fra quei pensieri turbinosi.
Iniziò a sognare, le sue notti non erano mai tranquille e ricordava spesso lucidamente i propri sogni.
All’inizio si perse fra le immagini e i colori, senza porsi alcuna domanda, distaccato dalla realtà come ogni volta che si ritrovava a percorrere quei sentieri fumosi e sconnessi. Sapeva di essere agitato e di star provando dolore, di avere paura, una paura terribile; aveva il volto bagnato di lacrime, ma non trovava l’origine di quell’angoscia.
Si toccò un orecchio, schiacciato dal peso della persona sopra di lui, ma non tastò la consueta punta. Era un orecchio da umano, così come le sue dita erano bianchicce e piccole. Le guardò, ammirato, avevano alcuni calli, erano rovinate e familiari; qualcosa lo strappò dall’immersione del sogno.
Realizzò di essere dentro un ricordo.
Realizzò di essere di nuovo Kieran.
Il sogno divenne lucido all’improvviso, tutto si assestò in una noiosa cameretta di qualche bettola, i rumori si abbassarono, i colori s’intiepidirono.
Silas era di nuovo Kieran, e a giudicare dalla grandezza delle dita e da come si sentiva, non doveva avere più di quattordici o quindici anni.
Devo svegliarmi.
Pensò, contrariato. Non voleva saperne nulla del passato di Kieran, non a quel modo casuale e forzato. Aveva ottenuto il ricordo dalla Crisalide per la disattenzione dell’altro, era stata una partita che il Campione aveva perso, ma questo era diverso.
Voleva davvero svegliarsi, ma ben presto non divenne solo un desiderio, ma un’assoluta necessità.
Perché qualcuno gli stava facendo del male.
Silas prese coscienza a poco a poco di essere sdraiato su un letto, schiacciato dal peso di un uomo che lo teneva fermo senza stringere. Il suo corpo era sconquassato dal dolore e dalla debolezza, aveva il viso impiastricciato di lacrime e voleva solo che tutto quello finisse al più presto. Voleva singhiozzare, voleva urlare, ma non poteva, doveva andare fino in fondo, non poteva tirarsi indietro.
‒ Non piangere, ragazzino ‒ sussurrò la voce dell’uomo in modo quasi stucchevole.
C’era una sorta di affetto nelle sue parole, che bastò a rincuorarlo appena. ‒ Ho paura. Mi fai male.
‒ Passerà, fidati di me.
Le emozioni di Kieran lo investirono, violente, ma erano le proprie a turbarlo; Silas voleva urlare, voleva scappare da quel sogno o uccidere quell’uomo, voleva distruggere tutto ciò che aveva intorno. Non riusciva a vedere il volto della persona che si muoveva sopra di lui, ma era molto più grande, molto più adulta e i suoi versi lo nauseavano. Voleva vomitare, strizzò gli occhi per non vivere un secondo di più di tutto quello, sentiva che il ricordo di Kieran stava danneggiando anche lui.
Cercò di strisciare via, vide le braccia di Kieran coperte di lentiggini frapporsi fra lui e l’uomo che aveva il volto affondato contro la spalla. Due mani lo afferrarono fermamente.
‒ Non scappare, ho quasi finito.
Silas si svegliò di soprassalto e urlò. Tirò un pugno al volto di fronte a lui e si accorse tardi di aver centrato in piena faccia Kieran, che si portò una mano al naso sanguinante.
Era scosso dai brividi e aveva il corpo ricoperto di sudore freddo.
‒ Che cazzo fai, il mio naso! Stavo cercando di svegliarti.
Silas tentò di riprendere fiato, mentre le immagini appena vissute gli si accavallavano di fronte agli occhi, nauseabonde. Levò lo sguardo su Kieran, che lo osservava.
‒ Cos’hai sognato? Era un mio ricordo?
Scosse la testa e deglutì. ‒ No, non era un tuo ricordo.
Mentì senza neanche pensarci.
D’altronde non poteva davvero essere un ricordo.
Non era possibile.
‒ Ne sei certo? Cos’accadeva? Voglio saperlo.
Un’ondata di brividi lo pervase. Gli sembrava di avvertire ancora il dolore fra le gambe e le mani che lo stringevano e quel fiato sul collo che ansimava. Era così disgustato, si sentiva violato e furioso.
‒ Ti ho detto che non era un tuo ricordo! Fammi respirare ‒ gli urlò e si alzò dal letto.
Andò verso il bagno e si controllò nei pantaloni. Era certo di trovare del sangue, ma non vide niente. Si poggiò contro la porta.
‒ Stai bene? ‒ gli domandò l’altro, bussando.
‒ Sto bene, puoi lasciarmi pisciare in pace o devi venire qui a tenermi l’uccello?
Dall’altra parte arrivarono solo dei borbottii contrariati e lo sentì allontanarsi.
Doveva essere soltanto un incubo, per quanto vivido, preciso e reale.
No, è impossibile. Kieran è sempre stato grande e grosso, nessuno avrebbe potuto… nessuno…
Che cosa diavolo aveva appena vissuto?
 


Salve a tutti!
Scusate tanto per queste due settimane di stallo, sto cercando di ritrovare un equilibrio ora che le mie giornate sono sempre piene. Ma non preoccupatevi perché la storia andrà avanti a prescindere ^^.
Risponderò a tutte le recensioni con calma ç__ç, scusate davvero il ritardo, sappiate che mi avete davvero tirato su nelle giornate di lavoro, mi dispiace molto farvi attendere per la risposta. Grazie infinite per la pazienza.
 

 
 
   
 
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