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Autore: robyzn7d    25/08/2021    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo X 
Quei maledetti dubbi 

   
 
 
 

Dopo quella rivelazione che aveva cambiato tutto, nessuno, fra gli uomini di cappello di paglia, era andato a dormire, e non appena il sole era spuntato all’orizzonte, con la pioggia che continuava a cadere incessante, tutti erano tornati sulla nave sottocoperta al caldo, a gustare una cena silenziosa. Una cena diversa dal solito, arrangiata, che gli aveva divisi, poiché non tutti erano presenti. 
Robin aveva portato Rin a fare un bagno caldo e dopo sarebbero tornate in cucina per mangiare qualcosa con meno apprensione addosso. Sanji, infatti, aveva lasciato la tavola imbandita per tutti loro, ma lui non era in sé quella sera, scomparendo dalla scena. Anche se aveva fatto il pieno alla locanda sarebbe senz’altro sceso a mangiare più tardi, ma ora, persino Rufy, si trovava sulla sua polena, sotto la pioggia, in silenzio. 
 
In quel momento la cucina era abitata solo da Usop, Chopper e Brook, che nonostante fossero piuttosto taciturni, ognuno di loro voleva parlare, dire qualcosa, affrontare la questione. Usop rigirava continuamente il cucchiaio nel piatto, il braccio a tenersi la testa, gli occhi bassi sul cibo davanti a lui. 
Brook stava tagliuzzando una fetta di pane in tanti pezzi, che a sua volta affettava di nuovo in altri pezzettini. Entrambi erano sotto il mirino confuso del piccolo medico, che aveva appena consumato il suo cibo con gusto. 
“Io non capisco” appoggiò il piatto sul tavolo “ma che vi prende?” 
Ma i due non fiatarono, talmente erano concentrati nelle loro azioni. 
“Non siete contenti?” La renna si riempì il bicchiere col latte caldo, che sembrava più grande di lui. “Vi assicuro che si vogliono bene.” 
Lo scheletro smise di tagliuzzare, ricordandosi che non era da solo nella stanza, riprendo così un po’ di quella sua solita vitalità. 
“Non è questo il problema” guardò Chopper in volto con il massimo della sua serietà, affatto solita “Hai notato la reazione di Sanji che in automatico ha portato ad una reazione di Rufy, yohoho?”  
Usop lasciò cadere il cucchiaio sul piatto continuando a fissarlo con un broncio sul viso e creando apposta un rumore confuso per disturbare quel troppo silenzio a cui non erano abituati. 
“Questa cosa…potrebbe aver rovinato gli equilibri della ciurma per sempre. Rufy potrebbe aver paura che Sanji adesso voglia andarsene.” 
“USOP!”
Chopper stava colpendo forte il tavolo con le zampette. Il suo tono era alterato, ma la sua voce ben decisa e ferma.
“Non dire cose come queste!” 
Brook si trovò ad essere quello al centro, che doveva quietare le anime dei due, non riuscendo a prendere una vera posizione sulla questione sollevata, poiché egli stesso era rimasto colpito dalle gesta enigmatiche del capitano. 
“Perché due persone che si vogliono bene dovrebbero sconvolgere gli equilibri della ciurma?”
Chopper non demordeva. E il cecchino fu così costretto a prenderlo sul serio, guardandolo dritto negli occhi stupito e concedendo alla questione il beneficio del dubbio. 
“Hai ragione, ma…” 
“Niente ‘ma’!” 
C’era fermezza nella sua idea di amore. E per Chopper non c’era niente di sbagliato in tutto ciò che aveva avuto modo di vedere con i suoi stessi occhi.
“Il dottore non sta sbagliando.” 
La porta di cucina si era aperta, rivelando all’entrata Franky che, tremando dal freddo, era in cerca di riparo da quel forte vento. “Vedrete che tutti si calmeranno. Compresi quei due.” 
Si riferiva certamente ai due membri più irrequieti della ciurma che con una scusa si erano dileguati senza proferir parola, lasciando tutti nello sconforto. 
“… ricordiamoci che si tratta del futuro, non possiamo far loro una colpa per qualcosa che deve ancora accadere.” 
Usop stava ascoltando il suo sé interiore con più attenzione adesso, e stava diventando man mano più leggero nello spirito, riprendendo a consumare il suo pasto con meno senso di colpa, ritrovando un minimo del suo entusiasmo.
“In realtà io ne sarei anche felice.” 
“oh oh…sei uno spirito romantico anche tu, proprio come me!” 
Lo scheletro era già pronto mentalmente a suonare una nuova melodia, lasciandosi ispirare dalla situazione, riuscendo a farsi convincere facilmente dalle parole dei compagni, lasciandosi così alle spalle tutte le ipotesi negative. 
“Ma i diretti interessati sono ancora là fuori, Franky?” 
Il cyborg annuì.
Sospirarono tutti quanti all’unisono. 
“Certo che è stata una bella botta per lei. Lui invece fin dall’inizio è sembrato…come se…fosse tutto plausibile. Ma avete visto poi come ha sorriso ad un certo punto?” 
Usop e Chopper annuirono, il primo ancora stupito, il secondo in preda ad un attacco di tenerezza, con dei ricordi che riuscivano a spiegare quella reazione.
“Bastardo di uno spadaccino. Anche se ammetto che ci vuole un bel coraggio a fare la corte a Nami…”
Usop guardò di sottecchi il cyborg, per via di ciò che aveva appena detto, mentre si gustava la zuppa sentendone finalmente il sapore. “Non guardarlo così, quei due sono problematici allo stesso modo. Hai visto come è venuta su Rin?” Il cecchino stava puntando il cucchiaio verso Franky, creando dei disegni immaginari nell’aria. Ma una ciabattina gli era appena arrivata dritta sulla faccia. 
“Come cavolo ti permetti!”
Rin, in accappatoio, aveva appena fatto il suo ingresso in cucina tra le braccia di Robin, mentre le si stringeva al collo in un segno che sapeva di fiducia e agio, in un momento dal sapore di casa e famiglia.
Usop si era lasciato sfuggire così un “ecco, appunto”, che fu abbastanza per ricevere in testa anche la seconda ciabattina. 
“Calmati signorina, lui sta scherzando…vero Usop? Yohoho?”
Quello urlava al dolore facendo finta di annuire, ma quando alzò la testa e la vide, quella bambina dalla chioma arancione, quasi non si strozzò.
“Aaaaa!” 
Non era certamente abituato a vederla sotto questa ‘nuova’ veste. 
Brook non aveva perso il suo spirito da gentiluomo, spostando la sedia dal tavolo per far accomodare la bambina accanto a lui, emozionato per tutta quella curiosità che adesso lei scaturiva ancora più di prima. 
“Forza creaturina, mangiucchia un po’ che hai bisogno di forze per crescere.” 
“Ma che gli prende adesso!?” 
Rin accettò l’invito dello scheletro, scendendo dalle braccia di Robin e raggiungendo la nuova postazione, come fosse abituata a quel tipo di calore, mentre indicava Usop che teneva gli occhi sgranati. 
“Beh…è uno shock per noi vederti così…yo-ohohoh. Sembri una mini Nami…ma con lo sguardo tenebroso di Zoro.” 
“Non mi ci abituerò mai…” diceva il cecchino con tono strozzato, guardandola ancora meglio in viso. “Sei carina però. Per fortuna non hai preso solo il carattere da Nami.” 
Le aveva fatto un complimento? 
“Uffa! Non m’interessa essere carina!” 
Ma non poté lo stesso guardare Usop con un leggero imbarazzo, reduce di quel complimento che comunque non le era così indifferente come voleva far credere. Tanto da guardarlo con un sorriso un po’ civettuolo, ad un certo punto, trasmettendogli un sentimento che aveva intenerito il nasuto per un attimo. Aveva infatti gli occhi spalancati per lo stupore di quell’affetto improvviso per lui, ma poi le labbra si incurvarono in un ghigno contrariato: lei sapeva manipolare il prossimo proprio come la mamma! 
 
 
“Novità su Sanji?” 
Anche Robin stava prendendo posto al tavolo, sempre servita educatamente da Brook che si comportava da gentleman in mancanza del cuoco. 
“Immagino che per lui sia stata una sorpresa sufficiente da creare un trauma.” 
“Vedrete che ci farà l’abitudine.”
“Gli uomini sono davvero creature poco flessibili.” 
Aveva puntualizzato l’archeologa, riempendosi la tazza di latte ancora caldo, mentre Brook la riempiva anche per la bambina. 
 
 
 
 
 
Nami era sul ponte, sotto la pioggia che scendeva inderogabile. 
Vedeva Rufy in fondo sulla polena e non capiva, non sapeva come mai il suo capitano avesse avuto quella strana reazione. Ma forse lo sapeva. Forse aveva reagito così perché aveva prima assistito alla reazione drammatica di Sanji e alla sua fuga silenziosa. E quest’ultima rientrava nell’indole del cuoco. O forse, e questo sarebbe stato anche peggio, Rufy era contrario a questa loro unione futura, più intima e personale. 
Ma, in realtà, nemmeno questo non rientrava nelle corde del capitano. 
 
E lei, invece, qual è stata davvero la sua reazione? 
La verità è che non solo Rufy era enigmatico quella sera. 
Nami fissava anche l’orizzonte, il mare, il mondo, la vita. Ancora non riusciva a capacitarsene. Aveva ragione quel cretino a dirle che aveva sbalzi d’umore repentini: prima era infelice del motivo opposto, ora non era contenta nemmeno così. 
Quel cretino. Quel cretino sarebbe il padre di mia figlia. 
Le mancò un battito.
Anzi, non ne aveva più di battiti, gli aveva tutti esauriti. 
Una figlia? Lei sarebbe diventata madre? Ma come poteva lei esserlo. Non era adatta, e non sarebbe mai stata come Bellmer, che aveva dato tutta sé stessa per lei, sacrificando ogni cosa.
Ma perché non era capace di reagire come Zoro? La sua vita sarebbe stata sempre dannatamente più semplice. 
 
‘Era caduta sulla sabbia, sommersa da una verità che non avrebbe dovuto sapere. Era lacerata dentro da emozioni inspiegabili, ingestibili. 
Rin le era corsa incontro, l’aveva abbracciata. Aveva immerso quel faccino sul suo petto, le aveva stretto le braccia al collo. Quella bambina voleva farle sentire tutto l’amore che provava per lei. Voleva infonderle sicurezza.’
 
 
Ma adesso, mentre tutti - o quasi tutti - erano andati sottocoperta, lei era rimasta fuori, sul ponte – con la pioggia che nemmeno sentiva.
Ma c’era qualcos’altro che sentiva, o meglio qualcun altro: Zoro. 
Poco distante da lei, appoggiato al cornicione della Sunny, era rimasto immobile, e non se ne sarebbe mai andato; freddo, caldo, vento, uragano, sarebbe rimasto lì, ad aspettare - ad aspettarla. Ma c’era da chiedersi cosa pretendesse da lei - sempre se le avesse avute davvero, delle pretese. 
Ora che aveva capito che quella verità che tanto voleva era reale, lui si aspettava che lei gli saltasse al collo? Ma lo capiva che lei aveva comunque bisogno di tempo?
Si ritrovava ora a fare i conti con una Nami del futuro che non conosceva: madre e con un uomo a fianco. Si, la vita le aveva già dimostrato che niente va come si calcola, era diventata una pirata e, nonostante l‘assurdità della cosa, lo aveva superato, ci aveva fatto i conti, si era abituata ed era stata felice. E adesso doveva affrontare altri cambiamenti, che non erano una tragedia, non erano qualcosa di brutto, anzi, erano un sintomo di felicità, di una vita che avrebbe continuato a vivere all’avventura, con loro - con lui - con Rin. 
 
Le coincidenze non esistono, le aveva detto convinto. 
Lui già sapeva, allora. Lui, fidandosi di quel suo istinto inalienabile, e incrollabile, sapeva già tutto.  
La mia mamma è sempre stata l’unica per il mio papà, aveva detto Rin. 
Ma quando e come poteva essere diventata così importante per Zoro? 
Questo forse la sconvolgeva maggiormente. 
Eppure, lo aveva sempre saputo che, in un certo senso, lei aveva, in ogni occasione, potuto approfittare di lui, perché - in effetti - sapeva che poteva farlo. Come poteva farlo con Sanji, con Rufy, con Usop; ma mentre questi ultimi si lasciavano comandare e usare anche da altri, Zoro no, cedeva solo a lei. Nonostante fosse quello che più se ne lamentava. 
E lei lo sapeva, diavolo se lo sapeva, e se ne compiaceva da sempre di questo. 
Era più vulnerabile con lei. E lei sola, l’unica, che sapeva di ciò che c’è davvero dietro quella scorza dura. 
Solo gli altri lo prendono troppo sul serio. 
E perché come compagno di vita aveva scelto Zoro, la Nami del futuro? Vittima di quel filo rosso infrangibile? Ma lui sapeva tagliare tutto, avrebbe tagliato anche quello? Doveva quindi cedere al destino? Come era arrivata quella Nami a unirsi a lui? 
Eppure, lei lo sapeva, l’aveva già sfiorata quella possibilità. Si era già beata di lui, di quel contatto, del suo profumo, approfittando del suo corpo per quietarsi, per sentirsi protetta.  
Quello lì dietro non è un uomo qualunque. É Zoro.
 
 
“Avete lasciato in caldo la mia cena?”
aveva esclamato d’improvviso la voce riconoscibile del loro amico di gomma, che, balzando dalla polena sulla quale era seduto fino ad un attimo prima con sguardo pensieroso, era corso in cucina. Con la saliva che sgorgava rigogliosa dalla bocca, era volato in cucina con la sua pazza e frenetica andatura. 
 
Nami aveva sospirato sollevata, Rufy era quello di sempre e tutto era nuovamente bello. Anche se, per un attimo, l’aveva davvero spaventata. 
E Zoro, ancora dietro di lei, capo abbassato, braccia incrociate sul petto, era sicuro del fatto che Rufy necessitava solo di un momento e che anche questa sarebbe passata in fretta. 
Ma lei guardava ancora il mare, ancora persa in sé stessa seppur consapevole di una verità che, in fin dei conti, era bella. 
 
“Sanji non è ancora tornato...” 
 
Nami, alla fine, aveva parlato. Era la prima cosa che avevano detto le sue labbra dopo un tempo che pareva infinito. C’era tanto tormento racchiuso in quell’affermazione, ma soprattutto altrettanta confusione. Era chiaro come il sole che sapesse della presenza di Zoro dietro di sé, dimostrandolo anche al compagno.
 
“Lascialo perdere.” 
 
Perché era così insensibile? 
Era risaputo che litigassero sempre, e spesso non si sopportassero perché ognuno di loro doveva fare il maschio alpha della situazione, il polletto migliore dell’altro, più forte, più uomo. Ma addirittura questo? Non gli dispiaceva che Sanji potesse soffrirne? 
 
“Smettila di usare gli altri per non affrontare le tue cose.” 
 
Quando faceva così lo detestava. 
Avrebbe tanto voluto girarsi e prenderlo a pugni. Ma aveva paura proprio di quello, di vederlo, di incrociare il suo sguardo, di toccarlo. 
 
 
 
 
 
Franky aveva sbirciato fuori, sul ponte, per ritornare al volo in cucina. 
“Si, sono ancora là fuori.” 
“Così si ammaleranno però!” 
Il dottore era corso alla porta ma venne acciuffato per la pelliccia giusto in tempo da Brook. 
“È tutto inutile, non ti ascolteranno mai, adesso, Chopper.” 
Quegli occhietti gentili che guardavano la porta chiusa erano davvero preoccupati.
Ma Rufy che stava spazzolando via le sue porzioni funziona per risollevare gli animi, e far tornare un po’ di positività. “Vedr-vedr-vedrete che Saah-n-ji tonerbaaà.” 
 
Rin era distratta. 
Si chiedeva se ora avesse cambiato tutto.  Se non sarebbe dovuto succedere in questo modo così burrascoso. In fondo nemmeno la sapeva tutta la verità sui suoi: in che modo era accaduto, in che modo lo avevano detto alla ciurma?Lei era nata già nella loro abitudine. 
Rufy le sorrise, un ghigno pieno di briciole e salse varie che scivolavano dai lati delle labbra. 
“Sanji tornerà!” 
Allungò il braccio e le accarezzò la nuca aranciata. “…non preoccuparti, piccola Nami.” 
“EHI!” 
“Ma spiegami, invece…” Franky si mise in mezzo. “Cos’è sta storia dei capelli? Fa sempre parte del tuo travestimento per la marina?” 
Rin annuì. “Spesso porto i capelli neri per volere della mamma…non vuole che nessuno abbia una mia foto dove sono riconoscibile.” 
“E questo ti pesa?” 
Fece spallucce. 
“All’inizio era divertente” girava tra le mani il bicchiere di latte, colmo solo per metà adesso “ma ora non più…”. 
 
 
 
 
Avevano passato ore, ormai, sotto la pioggia che non aveva mai preso un attimo di respiro. Ma il vento che l’accompagnava era a dir poco più freddo e difficile. Ma Nami sembrava non sentirlo, non sentiva più il suo corpo, aveva perso la sensibilità. E Zoro, lui poteva anche patirlo, in ogni caso sarebbe comunque rimasto lì, come sempre imperturbabile, con quel corpo in grado di sopportare le peggio condizioni. 
La rossa ormai aveva i vestiti fradici, incollati alla pelle in quel modo fastidioso che solo il tessuto dei jeans può dare; così come i capelli, appiccicati alla testa, che continuavano ad assorbire acqua e perderla allo stesso tempo, con il vento che cercava di smuoverli nonostante quella pesantezza. 
 
 
E poi parlò ancora, Nami. Il tono inquieto, flebile, stava quasi cercando un motivo per litigare.
“Perché sei ancora qua fuori? Perché sopporti…questo?” 
Era nuovamente nervosa, il che era molto meglio del suo essere inerte. Era più da lei. Stava muovendo le mani adesso, stringendole sui fianchi intorno alla stoffa dei suoi jeans fradici. Si stava muovendo e si era rivolta a lui, di nuovo, e questo non poteva che essere positivo per Zoro, che, aveva alzato la testa da terra, sentendosi meglio dopo quei piccoli accorgimenti. 
“Dovevo fare una doccia, così ho fatto prima.” 
“Non é il momento per scherzare, Zoro!” 
 
Forse per il nervosismo, forse per il turbamento, forse per la commozione, Nami si era finalmente voltata. 
Era più di un sollievo, era più di un sospiro, era tutto. 
Due sguardi che si ritrovano nel buio. 
Zoro sapeva che non era motivo di festeggiare, nei suoi occhi ancora tanto trambusto, ma forse iniziava a scorgerci un barlume di quella consapevolezza che stava acquisendo. 
Un passo davanti all’altro e con coraggio gli arrivò davanti, anche se la distanza che li separava non era poi così tanta. Occupò lo spazio accanto a lui, poggiandosi anch’ella sul medesimo pezzo di cornicione della nave. 
Spalle che si sfioravano, mani tremanti, occhi lucidi. 
Lui sciolse le sue braccia da quella continua e solita posizione che le vedeva perennemente incrociate e, senza guardarla, con la sua mano ora libera, andò a cercare la sua. La trovò stesa sul fianco, e la strinse, intrappolando e confondendo la mano con la sua. 
Le dita che si toccavano. Gli occhi che si cercavano nelle tenebre. Si avvertivano. E poi si trovavano di nuovo. Il mondo si era appena squarciato in due davanti a loro.
Da parte di Nami c’era tanta voglia di fermare il tempo. Mentre lui avrebbe invece voluto andare avanti e basta, senza più voltarsi indietro. Ciò nonostante, lei lasciò che quell'istante si depositasse sulla sua mano, non temendo affatto quella stretta, che racchiudeva tutto il loro futuro, l’eternità.
Non c’era più il mondo lì fuori, adesso. C’era solo il dentro, c’erano solo loro. Aveva spento le luci per un attimo, e si era abbandonata a quella piacevole sensazione di vittoria mista all’emozione di un qualcosa che doveva ancora ben capire. 
L’esterno era addormentato. Il tempo si era ritirato. Non sapeva cosa significasse, non sapeva se fosse la cosa giusta da fare, ma sapeva che quella stretta con la mano, quella possente sicurezza, quella calda presa nella tempesta fredda era l’unica cosa di cui aveva bisogno. 
 
 
“Sei impazzito?” 
Una voce che disturbava l’imperfetto suono del vento ruppe quell’idillio, riportando i due protagonisti alla realtà. 
“Come puoi permettere che Nami-San stia così sotto la pioggia!”
Erano rimasti ancora troppo di fuori, stralunati e persi in quel contatto, per rendersi conto che Sanji era ritornato a bordo e stava fisso su di loro. 
“Sanji!” 
Aveva ritrovato la luce, lei, seppur aveva scemato la sua euforia per paura di ferirlo. Fu come un fuoco d’artificio esploso d’improvviso, prima lo spavento poi la gioia di vedere quel colore.  
Il cuoco non poteva darle la sua giacca poiché era fradicia come tutto il resto là fuori, ma continuò a fissare Zoro negli occhi, con la sigaretta spenta tra le labbra. “È così che uno spadaccino si comporta con le donne? Le fa morire di freddo?” 
Nami riuscì ad accennare un sorriso, mentre Zoro grugniva al fianco. 
“Sanji, stai bene?” Gli chiese poi. Proposito che spinse il biondo a volteggiarle intorno. “Eri preoccupata per me?”
“Si!” Annuì anche con il capo, ritrovando un po’ di rossore nelle sue guance, mandandolo però in estasi. 
“Ti avevo detto che stava benissimo…” proferì a bassa voce, l’altro. 
Nami lo abbracciò comunque, facendogli perdere tutte le sue facoltà mentali, per poi colpirlo in testa con un pugno ben assestato, scaraventandolo a terra a faccia in giù. “Questo è perché sei scomparso senza avvisare!” 
“Ma Nami….perdonami l’averti fatta preoccupare.” 
Aveva ribattuto prima di affogare nello strato d’acqua che si era formato sul ponte. 
Zoro notò per l’ennesima volta la faccia di Franky sbucare dalla porta della cucina, con l’intenzione di controllare la situazione fuori, probabilmente avendo sentito dei movimenti sospetti, e così ne approfittò.
“Anziché farti gli affari degli altri, perché non vieni a prendere questo idiota?” 
“Umh?”
Trovato con la testa dentro il sacco, il cyborg dovette uscire del tutto allo scoperto, con una mano dietro alla nuca per grattarla imbarazzato, e notando il cuoco a terra scese le scale per recuperarlo e portarlo dentro al caldo, lasciandoli nuovamente soli. 
 
 
 
 
 
“Va meglio adesso che quei cretini si sono ripresi?” 
L’aveva cercata ancora, avvicinandosi a lei al centro del ponte.  
Nami annuì, lasciandosi trasportare da quella vicinanza, ispirando quel suo profumo.  
“Rientriamo allora.” 
Decretò lui stavolta l’ordine decisivo, più che altro preoccupato per lo stato di salute di lei, stando fuori al freddo così svestita.
 
Ma in realtà non stavano pensando nemmeno a dove andare, cosa fare, si stavano lasciando trasportare dai loro piedi e da quella voglia di calore, di scaldarsi, di stare insieme. Ora che qualcosa stava prendendo forma, Nami iniziava a sentirlo davvero il freddo. Le sembrava di non averlo più un corpo, ma un pezzo di ghiaccio al suo posto. 
Avevano raggiunto il bagno, cercavano asciugamani come gli ubriachi alla ricerca dell’alcol, scivolati a sedere sul pavimento.  
“Ci sono altri modi per scaldarsi velocemente.” 
Aveva detto lui, avvolgendola dalle spalle in un asciugamano bianco della doccia, con tono serio e pacato. 
Sconvolta, Nami lo fulminò immediatamente con lo sguardo. Nonostante non ci fosse stato nessun ammiccamento o tono peccaminoso. 
“Intendevo il bere, stupida.” 
“In effetti rientra di più nelle tue corde…e quindi so che non lo dici per scherzare.” 
Lui però accennò un sorriso divertito
Si stava togliendo lo yukata verde, fradicio come lui, sotto gli occhi corrucciati di lei, facendo lo spavaldo e l’indifferente, lasciandolo cadere sul pavimento. Stessa cosa fece poi con le scarpe. Si voltò, prendendo un altro asciugamano pulito per passarlo sulla testa, quando incontrò due occhi grandi sulla sua linea retta. 
“Che c’è?” 
Lei lo indicò con una mano piegata verso il basso. 
“Fa pure con comodo.” 
Lui iniziò a strofinare il telo anche sulla testa.
“Non ha senso tenere i vestiti bagnati addosso.” 
La indicò, suggerendole di fare la stessa cosa. 
“Di certo non con te qua!” 
Rispose. 
“Abbiamo una figlia e ti preoccupi di questo?” 
Lo scalciò via, colpendolo con il tacco delle scarpe. “Maledetto e a questo che pensi, non é vero?” 
“Non é assolutamente così!!!” 
Ma lui sorrise lo stesso, avvicinandosi un po’ di più a lei e passandole sui capelli quello stesso asciugamano che aveva usato lui, in un movimento impacciato ma gentile, cercando di scaldarle un po’ la testa. 
Lo stava guardando in quel preciso momento, scrutando nel suo viso un’espressione assorta. Si lasciò asciugare la nuca, sorridendo interiormente e osservandolo fino a che non smise, riprendendo ad asciugarsi lui.
Si tolse allora le scarpe anche lei, facendosele scivolare dai piedi con gli stessi; per poi slanciarsi un po’ con il busto, mettendosi in ginocchio, in un movimento che le fece scivolare l’asciugamano dalle spalle al pavimento. Le mani svelte sui bottoni dei jeans, che vennero slacciati a uno a uno. 
“Che stai facendo?” 
Ora era lui a chiedere, sentendosi in ‘pericolo’. 
Lei sorrise disonesta, sentendone arrivare l’agitazione.
Sbottonati tutti e tre, lasciò scivolare i jeans con le mani dalle sue gambe, mostrando le sue mutandine nere, e risedendosi sul pavimento, li aveva allontanati via col piede. 
Prese quello stesso asciugamano caduto poco prima, per passarlo sulle gambe nude, asciugandole una alla volta. 
“Oh andiamo” lo stuzzicò “sono più coperta adesso del solito” gli disse, dal momento che lui l’aveva fissata in modo strano, per poi distogliere lo sguardo rapidamente da lei.
Quando anche quell’asciugamano le cadde dalle mani, scivolando sulle gambe, i loro sguardi furono costretti a scontrarsi ancora, in quel modo avvolgente ma soprattutto invasivo. 
Era tutto lì. 
Solo loro due. 
Insieme. 
E sarebbe stato così, probabilmente, ancora e ancora. 
 
 
La voce di Usop, comunque, aveva riportato tutti alla realtà, interrompendo quella magia, quel loro idillio, che, da sottocoperta, era arrivato nella zona notte alzando un po’ troppo la voce mentre parlava alla bambina. 
“Io ne ho tante di favole della buonanotte.” 
“Di solito non ne ho bisogno…” la voce di Rin che lo accompagnava “mi addormento in fretta.” 
 
 
 
“Mi sembra ancora così assurdo che io e te…”
Nami continuò a strofinarsi l’asciugamano sulle gambe. Come poteva spiegargli che quando pensava a Rin le scoppiava il cuore dal petto con la forza pari a quella di un fiume in piena che dilaga. Come poteva spiegargli che quello sconvolgimento negativo non riguardava lui ma lei? Come poteva dirgli in parole semplici che in quella bambina vedeva tutti i lati più belli di lui?
“Ti dispiace così tanto?” 
Uno strano vittimismo improvviso, quello di Zoro, o forse nascondeva la paura di non essere stato apprezzato come compagno di vita. 
Lei gli lanciò l’asciugamano, colpendolo dritto in pancia. Quell’uomo non capiva mai niente. Era inutile. Precipitoso come sempre. 
“Non intendevo questo.” 
Lui prese quello stesso telo e si asciugò meglio dietro al collo, come se tutto fosse normale. Ma non capiva la rabbia di Nami nel non riuscire a spiegargli i suoi sentimenti. 
“E allora cosa intendevi?” 
Lei strisciò verso di lui, che interruppe immediatamente l’azione.
Magari se non riusciva a parole…
Nami intrappolò le gambe insieme alle sue tenendosi ai suoi avambracci. Si avvicinò ancora di più con tutta una mano aperta sul viso come una carezza. Lo fissò, cercando di scrutare qualcosa, un motivo forse per accusarlo. Ma non lo trovava. Non c’era quel motivo. 
“E se fosse stata solo la passione di una notte?” gli strinse la guancia ma rimanendo gentile. “Ci avevi pensato?” 
E invece no, non era riuscita nemmeno così. Apriva la bocca e diceva la cosa sbagliata. La paura. Quella dannata paura! 
Lui le allontanò la mano dal suo volto, inarcando il torace e facendosi più alto. E stavolta fu proprio Zoro a prenderle il viso tra le mani. Ma era severo il suo sguardo, ma forse anche un po’ arreso. 
“Questa tua sfiducia continua è insopportabile.” 
Anche lei fece cadere quella presa liberandosi il viso e scivolando su di lui con il capo sotto il suo collo caldo.
Strinse i pugni su quel petto duro. Era così difficile non dubitare di tutto, per lei. Era così difficile accettare di essere amata in quel modo. Continuava a risuonarle in testa la voce di Rin, la mia mamma è sempre stata l’unica per il mio papà. 
Come poteva crederci davvero?  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_________________________________________________
 
Sapete, 
in realtà è inusuale per me ‘quest’idea’ (naturalmente ben poco originale) della figlia. Almeno, non é mai stata una mia ricorrente fantasia, ecco. Anche perché mi piace sempre immaginarli giovani e spensierati, a darci dentro giorno e notte. 
Però ammetto che é davvero una bella serenità immaginarli crescere insieme qualcuno in un modo un po’ particolare, dentro una famiglia di matti, in mare aperto, dentro una vita spericolata ma allegra. Un esserino che è un excursus di tutti i loro pregi e difetti con un'aggiunta di una personalità nuova, e che soprattutto, è qualcuno da proteggere, una mascotte che aiuta tutti a riscrivere il proprio passato, ricreando una nuova famiglia piena di sfumature e dolcezza - anche se esiste già comunque (ma non può essere sempre Chopper il cucciolo di turno). 
Una figlia/o sarebbe qualcuno che ricorderebbe a Zoro di mettersi le scarpe, ecco. 
Secondo me lo spadaccino sarebbe il tipo che andrebbe a comprare alla bambina lo zucchero filato…ma senza soldi in tasca, naturalmente. Anche se nel mondo di One Piece i bambini vengono costantemente abbandonati a casa, tranne forse il figlio di Bege. 
Comunque, siccome siamo nell’epoca della next generation, ma soprattutto sono anni che Oda mi disegna Nami con bambini tra le braccia (Momo, O-Tama), questo ha un po’ inquinato la mia recente immaginazione. 
 
Ma perché scegliere una figlia che viene dal futuro e non il futuro stesso direttamente? Sarebbe stato divertentissimo da descrivere, è vero, sarebbe davvero stimolante (magari…uno spin off più avanti…), ma quello che è stato veramente la mia ispirazione è la perversione nel vedere come ai nostri paladini del presente, con ancora tutti quei tabù, quegli obblighi, quelle paure… possa cadere addosso una verità come quella - che, naturalmente per raggiungerla, ci vuole un percorso, del tempo -  e vederli un attimo in difficoltà, costretti così ad esternare certi pensieri e voleri è stimolante. 
L’input è stato proprio questo, l’ho trovato assai divertente, anche se poi ho dovuto abbandonare la via comica per quella più sentimentale, introspettiva, reale. 
Come scrivere di un Zoro che si rivela propenso a metter su famiglia…per niente indispettito. Non so, ma io lo immagino così. 
Pure lui, come Nami, si ritrova spesso con marmocchi tra i piedi, specie bambine. 
Ma soprattutto - e qui la perversione più grande - è vedere questi due che si ritrovano a sapere di aver una figlia senza aver ancora mai consumato…cioè per entrambi é una specie di preludio, di anticipo, di spoiler… e immagino i campanelli di festa in entrambi che realizzano che alla fine ci daranno dentro, che inciamperanno sicuramente in quella intimità. 
PRONTO OSPEDALE
Rinchiudetemi. 
 
Questo é tutto per oggi. 
Roby 
 
 
   
 
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