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Autore: Eevaa    05/09/2021    6 recensioni
L'aura di Kakaroth si era dissolta lentamente nel nulla. Non da un momento all'altro - il che avrebbe potuto farne presagire la morte - ma lentamente. Sempre più flebile, sempre più lontana, fino a che Vegeta non l'aveva più percepita. Mai più.
«Cosa hai capito di tutto quello che ti ho detto?» urlò Vegeta. Poi il prigioniero sbuffò, annoiato.
«Che in cinquant'anni hai stipulato un'alleanza bizzarra con gli abitanti di questo pianeta, che avete sconfitto nemici dai nomi improbabili, che non solo esiste il leggendario Super Saiyan, ma ne esistono con diverse tinte per capelli; che ti sei riprodotto e, per tutte le galassie, se ce l'ha fatta uno come te persino Dodoria avrebbe avuto delle speranze; che siete invecchiati terribilmente mentre io sono un fiore, e che ora dobbiamo salire su quel catorcio di astronave per andare in giro per dodici universi alla ricerca dello squinternato che se l'è data a gambe dieci anni fa e che, con tutta la probabilità, ora è solo un mucchio d'ossa o polvere interstellare ma oh, guai a dirlo, perché mi pare che siate molto amici».
Inaccurato, ma tutto vero.

[Post-Dragon Ball Super] [Slowburn]
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Across the universe - La serie'
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 
 
- ACROSS THE UNIVERSE -


Capitolo 19
Attraverso l'universo


 
Immerso nell'universo le stelle non si vedono, anche se si sosta in mezzo ad esse. Tutto è buio, un nero più nero dell'oscurità.
E, quando l'ultimo debole fuoco luminoso di Caps12 si spense, Vegeta poté giurare che il nero fosse ancora più oscuro. Ancor più buio riflesso negli occhi antracite di Kakaroth.
Non brillavano, e faceva male. Lo sentiva tremare di rabbia contro di sé, così schiacciati in uno spazio troppo angusto per due persone da dover stare rannicchiati uno contro l'altro. Gli avrebbe dato fastidio, normalmente, ma in quel momento oltre che necessità era anche desiderio. Farsi colpire direttamente sulla pelle da quella frustrazione, condividere, sostenere un peso insieme.
Vegeta si perse con lo sguardo nell'universo. Non avrebbe immaginato di poter davvero soffrire per la perdita di Radish, di essersi davvero affezionato a lui in quei mesi. Si conoscevano dal primo campo di addestramento su Vegeta-Sei, erano cresciuti insieme come fratelli, ma quando Radish era morto la prima volta lui aveva soppresso ogni forma di dispiacere e l'aveva tramutato in rabbia e disprezzo. Perché aveva imparato a non provare certe emozioni, a fregarsene di tutto e di tutti. 
Ad oggi Vegeta era una persona diversa. Ancora viveva le emozioni in modo poco convenzionale, silenzioso, ma sapeva riconoscerle per la maggior parte delle volte.
E sapere che Radish si fosse sacrificato pur di mandare avanti loro, sapere che quel cretino dalla risata facile fosse tornato all'Inferno lo faceva stare male. E realizzare che Kakaroth avesse perso suo fratello dopo poche settimane che l'aveva finalmente ritrovato lo faceva stare male il doppio.
Quindi tornò a guardarlo negli occhi. Erano lucidi, arrossati.
«Kakaroth... lo riporteremo in vita» gli disse. Kakaroth lo guardò e deglutì.
«Sì... ma fa male lo stesso».
Erano abituati alla reversibilità della morte per cause non naturali eppure, chissà come mai, la morte spaventava sempre lo stesso. Faceva male ugualmente. Vivere un altro lutto seppur temporaneo dopo tutti quelli che già li avevano devastati in passato era come riportare a galla delle sensazioni soffocanti.
Forse era ciò che rendeva la vita un bene prezioso. Forse era ciò che li rendeva umani.
«Lo so...» gli rispose quindi, semplicemente.
E, insieme, tornarono a guardare il nero più nero. Avrebbe preferito guardare di nuovo le stelle dal tronco di un albero, ma almeno erano vicini. Almeno il peso lo stavano condividendo insieme.
Uno contro l'altro, attraverso l'universo.

 


Si concessero quel silenzio e quel contatto per un tempo che parve dilatato e ristretto in concomitanza ma, naturalmente, il bisogno di agire giunse per necessità.
Quella navicella monoposto era progettata per un solo passeggero, la saturazione dell'ossigeno non era sufficiente per entrambi e, soprattutto, il collegamento per il sonno criogenico era sempre uno. Non sarebbero potuti andare da nessuna parte con quel rottame, in due, schiacciati come sardine.
Inoltre avrebbero dovuto effettuare una deviazione importante: Neo Namek. Solamente il drago Polunga avrebbe potuto riportare Radish in vita, in quanto già resuscitato una volta.
Impostarono la rotta per l'attracco portuale più vicino - che distava tredici ore o poco più - e tentarono il più possibile di non sprecare fiato in chiacchiere per preservare delle condizioni d'ossigeno funzionali alla vita. Dormirono a momenti alterni, scomodi, uno addosso all'altro in quell'intreccio che assomigliava tanto a un abbraccio ma non lo era assolutamente. No, non lo era. Non lo era?
Poco importava, avevano problemi ben più grandi per stare troppo a pensare a quanto potesse essere compromettente quel contatto fisico. Anche se guardare Kakaroth russare appoggiato alla sua spalla era qualcosa di disturbante e, al contempo, tranquillizzante. Così come concedersi di mettersi comodo - si fa per dire - contro i suoi capelli e chiudere gli occhi. Così come tentare di cambiare posizione quando le gambe cominciavano a formicolare, cambiare punto di contatto e trovarci comunque dentro sapore di casa.
Forse stava iniziando a impazzire per il troppo poco ossigeno. Sì, probabilmente stava iniziando a essere pazzo, o altrimenti non si sarebbe addormentato con Kakaroth spalmato addosso con le braccia intrecciate dietro la sua schiena.
Aveva qualche problema. Beh, oltre i problemi che già avevano.
Tipo che non avevano un soldo bucato con loro, la navicella non aveva i collegamenti telefonici preimpostati con la Terra, il palmare di Vegeta era esploso insieme a Caps12 e nessuno dei due era in grado di barare a Sabaq per poter vincere un'astronave.
La mancanza di Radish si rivelò un problema sin da subito.
Avrebbero solo dovuto sperare che sull'attracco di Vespin dov'erano diretti avrebbero trovato qualcuno della Pattuglia Galattica in grado di aiutarli.

Ovviamente non trovarono nessuno. Un attracco talmente desolato da rasentare la tristezza. Nulla a che vedere con il sudiciume di Vortax, ma la desolazione era pressoché imbarazzante. Non c'era nemmeno un bordello, Radish ne avrebbe ben avuto da ridire!
Eppure la sensazione di potersi sgranchire finalmente le gambe dopo tredici ore o forse di più - e poter respirare aria fresca e satura - fu una vera e propria manna dal cielo.
Vagarono per l'attracco in cerca di un punto informazioni introvabile, una sede di collegamento o qualsiasi cosa che li potesse mettere in contatto con la Terra ma, inaspettatamente, un palmare gli cadde in testa proprio nel bel mezzo della ricerca. Un palmare sul quale schermo lampeggiava una coordinata numerica ben precisa. Kakaroth, al suo fianco, sembrava ancora più costernato di lui.
Ma che diavolo?!
Vegeta si chinò per raccoglierlo da terra e accettò la chiamata, confuso. Sullo schermo apparve il volto arrossato di Bra, tesa, e poco dietro di lei Trunks, i figli di Kakaroth e parentado annesso.
«Papà! Oh, papà, grazie al cielo!»
«Bra?! Ma come-»
«Kami, che spavento che ci avete fatto prendere!» Bra si portò una mano al cuore e prese due profondi respiri.
Vegeta aggrottò la fronte, ancora piuttosto incredulo e confuso sul fatto che gli fosse piombato un palmare addosso. Trunks diede presto risposta alle sue domande.
«Abbiamo cercato di contattare Caps12RC e il satellite diceva che non esisteva più. Eravamo nel panico! Non percepivamo nemmeno le vostre Aure! Abbiamo contattato Re Kaioh e non riusciva a localizzarvi – a questo punto perché non siete ancora nella Galassia del Nord... ma ci siamo spaventati tantissimo, pensavamo foste morti! Quindi abbiamo chiamato il Drago Shenron con l'ultimo desiderio che avevamo per capire qualcosa di più, ci ha detto che eravate vivi, ma che stavate cercando un modo per mettervi in contatto con noi... e, beh, abbiamo espresso il desiderio di darvi la possibilità di contattarci!» spiegò.
Tutto quadrava alla perfezione. Probabilmente non li avevano percepiti perché stavano tenendo il più possibile le funzioni vitali basse per non sprecare ossigeno sulla navicella monoposto. Il vero problema era che avevano sprecato l'ultimo desiderio di Shenron per dare loro un palmare, quando sarebbe stato molto più utile fornire loro un'astronave funzionante o portarli diretti sulla Terra.
Per quanto riguardava gli altri due desideri, erano comunque già in ottica di recarsi su Neo Namek. Polunga avrebbe riportato in vita Radish e avrebbe ripristinato – forse – la memoria di Kakaroth. Dovevano solo trovare il modo di arrivarci.
«Sì, ehm, dei sicari spaziali hanno ben pensato di attaccarci e distruggere la nostra astronave» tagliò corto Vegeta. Non era il caso di scendere nei dettagli.
«State bene?» intervenne Gohan, preoccupato.
Vegeta e Kakaroth si lanciarono un'occhiata amara, poi annuirono lentamente, senza entusiasmo.
«Noi sì... ma... Radish...» mormorò Sua Maestà. Era triste anche solo pensarlo.
I ragazzi a casa si lanciarono sguardi stupiti, ma non troppo dispiaciuti. Non che avessero torto: del resto per loro Radish era un semplice assassino riportato in vita solo per pura convenienza.
«Ah. Oh, beh, l'importante è che voi stiate bene» disse quindi Gohan, pragmatico.
Vegeta avvertì turbamento nell'Aura di Kakaroth, il quale si irrigidì al suo fianco.
«Si è sacrificato per noi» disse Kakaroth a denti stretti.
«Cosa!?» le voci all'unisono delle loro famiglie suonarono costernate. Lo stupore lasciò ben presto spazio a sguardi più dispiaciuti.
«Possiamo non parlarne?» intervenne Vegeta. Non aveva voglia di rivangare quel momento, soprattutto per Kakaroth. Forse avrebbe dovuto perdere un poco di tempo per spiegargli che fosse naturale che i suoi figli non nutrissero particolare stima nei confronti dello zio.
«C-certo...» rispose dunque Trunks, capendo l'antifona. «Possiamo fare qualcosa per voi?»
«In effetti, sì. Riuscite a mandarci una valuta interstellare qui sul palmare? In abbondanza, ci serve una nuova astronave. E anche una copia delle nostre schede identificative. È esploso tutto con Caps12».
I loro palmari erano rimasti nelle tasche delle battle-suit. Quando le astronavi nemiche li avevano attaccati erano a letto, non avevano addosso l'armatura ma solo dei pantaloni larghi della tuta e magliette nere leggere. Insomma, erano in giro come due scappati di casa, ma sempre meglio che niente.


Ci volle qualche ora per riuscire a ottenere quanto richiesto, e altrettante ore per riuscire a trovare un'astronave decente su quell'attracco portuale dimenticato dagli Dei. Alla fine riuscirono a trovare una biposto grande più o meno come un camper terrestre di medie dimensioni. Niente area medica, niente ponte superiore per gli allenamenti, niente sistemi di difesa avanzati, niente motore per salti iperspaziali. Gr06U aveva una cabina di pilotaggio triangolare allungata e separata da un'area ristoro stretta con un tavolo reclinabile mezzo rotto, una cabina con toilette e doccia e, incastrata nella tettoia raggiungibile con una scaletta, un'area notte angusta composta solo da uno spiazzo morbido. Forse era davvero un camper al quale avevano attaccato le ali.
Ma non erano nelle condizioni di chiedere di meglio. Tanto oramai erano abituati a dormire incastrati uno contro l'altro, quell'area notte sarebbe stata paragonabile a un letto king-size. Certo, le tempistiche si sarebbero allungate - solo per raggiungere Neo Namek ci avrebbero impiegato tre settimane - ma magari nella Galassia del Nord avrebbero trovato qualche rivendita di astronavi Capsule Corporation.
Fecero scorta di cibo preconfezionato da riscaldare in quell'obbrobrio di cucinetta, acquistarono delle armature un poco più resistenti – terribili, fin troppo simili a quelle della pattuglia galattica, di un colore verde scuro e il corpetto nero antracite che li faceva sembrare due tartarughe. Forse Vegeta avrebbe preferito rimanere in pigiama.
La mancanza di Radish si avvertì soprattutto quando Vegeta tentò di far decollare quello stupido trabiccolo e rischiò di schiantarsi contro una piattaforma meccanica. Non era un bravo pilota, ma Kakaroth fu abbastanza intelligente da tenere il giudizio per sé. L'importante era andarsene da quell'attracco desolato.

 


I primi tre giorni erano trascorsi silenziosi, sonnolenti. Lui e Kakaroth si erano intervallati in turni sonno-veglia, avevano avuto solo un piccolo incontro ravvicinato con una pioggia di asteroidi che però non aveva rappresentato particolari problemi. I sistemi di difesa di Gr06U erano antiquati, ma per fortuna funzionanti. Vegeta era diventato più bravo con le manovre, Kakaroth con i blaster. Si erano nutriti della solita terribile sbobba galattica e avevano comunemente decretato che al successivo attracco di rifornimento si sarebbero impegnati di più nella ricerca di cibo vario. E commestibile.
Kakaroth aveva ricordato nuovi dettagli del loro passato; qualche piccolezza di poco conto, alcune piacevoli, altre meno. Ma non avevano parlato molto e forse era stato meglio così, dato l'umore grigio di entrambi.
Ogni tanto si erano scambiati qualche vicendevole occhiata, giusto per controllare che l'altro stesse bene.
Il quarto giorno, però, qualcosa finalmente era cambiato: si erano fermati in un attracco più grande, più popolato, avevano mangiato cibo più sostanzioso e poi Kakaroth gli aveva proposto di allenarsi un poco. Era stato un toccasana per entrambi.
E si erano allenati a lungo, quasi fino allo sfinimento, ma quando Vegeta finalmente aveva ammirato l'ombra di un sorriso farsi strada sul volto di Kakaroth, il peso sul suo petto aveva iniziato ad alleviarsi. Avevano gioito insieme quando Kakaroth era riuscito a trasformarsi in Super Saiyan Blue, e persino si erano messi a ridacchiare quando una delle loro sfere di energia quasi era andata a schiantarsi contro una piattaforma e il meccanico aveva iniziato a lanciargli chiavi inglesi addosso per vendicarsi.


L'umore iniziò a salire quel giorno e ben presto tornò abbastanza alto man mano che si avvicinavano a Neo Namek. Dopo dieci giorni tornarono a battibeccare com'erano soliti fare e persino un poco di più. La normalità era qualcosa di meraviglioso.
Soprattutto quando la normalità li portò a sedersi sulla sabbia di un pianeta portuale rosso che ricordò tanto a Vegeta il luogo del loro primo incontro. E anche Kakaroth se lo ricordò.
«Certo che eri proprio uno sbruffone, all'epoca» gli disse, con un sorrisetto quasi impertinente.
«Lo sono tutt'ora» rispose Vegeta. Sorrise a sua volta molto, molto più impertinente di lui. Era una gara anche quella.
Kakaroth fece spallucce e concordò.
«In effetti...»
«Ehi! Solo io posso criticarmi» lo redarguì.
«Sempre più sbruffone!»
«Ringrazia che questo sbruffone non ti faccia saltare in aria il cervello» lo minacciò Vegeta senza troppa enfasi.
In passato quei battibecchi erano all'ordine del giorno, era bello che non fossero andati perduti.
«Grazie, grazie Altezza per questa clemenza, mi inchino al vostro cospetto!» rispose quindi per le righe Kakaroth, sporgendosi un poco verso di lui con una riverenza.
Non sapeva ancora se quel Kakaroth più irriverente gli piacesse forse di più o gli facesse venire ancora più voglia di conciarlo per le feste. Forse una volta avrebbe anche colto l'occasione per incominciare di nuovo a lottare, ma in quel momento si stava troppo bene lì, con il vento addosso e il tramonto di tre soli riflesso sugli occhi.
«Se fossimo stati su Vegeta-Sei avrei potuto farti decapitare per questo cinismo» disse quindi Sua Maestà.
Kakaroth rise genuinamente, poi tornò con lo sguardo sui tre soli infuocati. Il fatto di essere seduti più vicini di quanto avrebbero fatto prima, spalla contro spalla, era solo un puro caso.
Sembrava più sereno, e Vegeta ne era sollevato. Si sentì sciocco, ma oramai era chiaro che l'umore di Kakaroth influisse anche sul suo.
Vederlo sorridere, vederlo ridacchiare in quel modo era bello. E per la prima volta Vegeta realizzò che tutto stava davvero tornando al proprio posto.
Stavano tornando a casa. Sarebbero tornati ad allenarsi sulla Terra. Sarebbero tornati a scappare insieme dalle feste obbligate della Capsule, sarebbero tornati a vedersi un giorno sì e l'altro pure insieme alle loro famiglie. Vegeta avrebbe di nuovo finto di lamentarsene, Kakaroth gli avrebbe risposto in modo stupido e avrebbero di nuovo trovato il modo di darsele di santa ragione.
Sì, la normalità era qualcosa di meraviglioso, se c'era quell'idiota con lui.

«Ho una domanda, anche se forse già lo dovrei sapere» disse Kakaroth. Vegeta accigliò lo sguardo, ma poi annuì. «Perché continui a farti chiamare “Principe”, anche se sei tecnicamente il re?»
Quella era una domanda inaspettata, ed era una strana coincidenza che l'unico che conoscesse davvero quella risposta fosse niente meno che Radish. Non ne aveva mai più parlato con nessuno.
«Per diversi motivi... non me lo avevi mai chiesto, comunque».
«Ti va di dirmene qualcuno?»
Vegeta si sentiva strano a parlarne. Kakaroth non gli aveva domandato spesso cose sulle loro origini, e Sua Maestà sapeva anche che il perché risiedesse nel fatto che egli non volesse distaccarsi troppo dal suo essere terrestre, disonorare la memoria di suo nonno Gohan che l'aveva cresciuto come tale. Non l'aveva mai forzato, ma gli aveva sempre riempito il petto di sensazioni positive quando casualmente ne avevano parlato.
E lo stesso accadde in quel momento, sebbene l'argomento non fosse molto felice.
«La cerimonia di incoronazione di un re era molto sentita su Vegeta-Sei. Non ne ho mai avuta una, non ho mai avuto un popolo ad acclamarmi alla presa della Corona. La notte in cui il nostro pianeta è esploso ho deciso che le cose sarebbero rimaste esattamente com'erano. Nessun castello, nessun popolo, nessun pianeta, nessun re dal quale ricevere una benedizione» spiegò Vegeta.
Ricordava quella notte. Ricordava Radish mentre gli dimostrava fedeltà, ricordava di aver imparato a trattenere le emozioni.
Non fu facile fare lo stesso, in quel momento. Vegeta sospirò e si torturò i guanti neri dell'armatura.
«Non hai mai cambiato idea? Neanche quando noi Saiyan abbiamo iniziato a ripopolarci?» domandò Kakaroth, incuriosito.
Forse all'inizio Vegeta ci aveva anche pensato, ma poi aveva capito qualcosa di fondamentale, qualcosa che l'aveva cambiato nel profondo. Lo aveva capito vivendo sulla Terra, lo aveva capito grazie a Bulma, Trunks, Bra e Kakaroth stesso.
«No, perché... mh, Kakaroth... non mi sento davvero sovrano di nessuno. La mia è solo una carica, un modo per definirmi, il mio modo di essere, un ricordo che mi tiene un poco attaccato al passato. Non mi sento davvero il regnante dei Saiyan rimasti, di te, di Radish, dei nostri figli. Sono egocentrico, sbruffone, credo nelle mie potenzialità, a volte mi piace sentirmi il più forte... ma non sono sovrano di nessuno. E mi va bene così... essere eternamente Principe» ammise, infine. L'ultimo pezzo arrugginito della sua maschera d'orgoglio cadde sulla sabbia rossa.
Con la coda dell'occhio vide Kakaroth voltarsi verso di lui, ma non riuscì a restituirgli lo sguardo. Sapeva in che modo lo stesse guardando, sapeva che farsi guardare in quel modo da lui avrebbe portato solo guai. Ma, come dimenticare, Kakaroth non teneva mai per sé ciò che pensava.
«Sai, avevo già capito molte cose... ma ogni giorno capisco sempre di più perché ti ammiravo così tanto» gli disse.
Vegeta chiuse gli occhi e sospirò. Anche Bulma aveva avuto quel brutto vizio di osannarlo anche quando non c'era alcun bisogno di farlo. Lui era stato un assassino, uno stronzo, un sicario. Il fatto che fosse cambiato non cancellava gli errori commessi in passato, proprio non riusciva a vedersi come un buon esempio. Il suo egocentrismo sul piano della forza fisica era tutta un'altra storia.
«Al di fuori del campo di battaglia, non sono una persona da ammirare» mormorò Sua Maestà, scuotendo la testa.
«Permettimi di dissentire».
Vegeta ghignò amaramente e si voltò nella sua direzione. Kakaroth e quegli occhi gentili e allegri di quando gli faceva i complimenti e credeva sul serio in quello che diceva. Quegli occhi che lo guardavano come se fosse qualcosa di bello e puro.
«Hai sempre avuto questa terribile tendenza a sopravvalutarmi» mormorò, poi abbassò lo sguardo. Era difficile sostenere quegli occhi, soprattutto quando erano così vicini e così luminosi, così grati.

Ma aveva commesso l'errore di pensare che quel Kakaroth avesse la stessa accortezza del passato, quella di soprassedere, quella di tenere fede ai loro taciti accordi di non andare oltre.
«Vegeta... cos'eravamo noi?»
Errore madornale. Vegeta si strozzò con la sua stessa lingua.
«Prego?!» bofonchiò, con gli occhi sgranati e il volto che assumeva sfumature tra il viola e il bianco lattiginoso.
«Eravamo più che amici?» insistette l'altro.
Errore madornale pensare che quel Kakaroth non andasse oltre, che lasciasse cadere l'argomento. Specialmente dopo i contatti degli ultimi giorni, specialmente dopo l'incontro ravvicinato del terzo tipo prima che Caps12 venisse attaccata dalle navi dei sicari.
Vegeta aveva davvero sperato di non parlarne mai più. Povero illuso! Aveva cercato di evitare quella cosa in tutti i modi, più volte. Era forse giunto il momento per parlarne davvero?
«N... Kakaroth, oramai ricordi abbastanza del passato, dovresti conoscerla già la risposta! Non siamo mai stati più che amici. Avevamo delle famiglie!» balbettò, in imbarazzo.
«Sì, ok, quello l'avevo capito, ma... era per quello che eravamo solo amici, vero?» domandò ancora.
Maledetto idiota bastardo troppo simile a quell'idiota bastardo di suo fratello. Radish gli aveva chiesto la stessa cosa non molto tempo prima. E lui aveva negato. Cosa che aveva intenzione di riproporre in quel momento.
«Kakaroth, non dire fesserie! Eravamo amici, eravamo rivali, e non c'era assolutamente nulla di più. Fine. The end. Owari. Ok?»
Kakaroth non sembrò molto convinto, ma annuì. «Mh...» mugugnò.
E, prima ancora che questi potesse avere di nuovo la meravigliosa idea di insistere, Vegeta si alzò di scatto a sedere e si avviò verso la navicella.
«Forza, ora andiamo! Il viaggio è ancora lungo!»
No, non ce l'avrebbe mai fatta a parlarne. Cielo, no! Forse avrebbe preferito ingoiarsi la lingua e le corde vocali insieme come contorno.
Una cosa era certa: il suo livello di combattimento era inversamente proporzionale alle sue capacità emotive.

 

Con grande sollievo da parte di Vegeta, non ne avevano più parlato. Avevano trascorso giorni sereni, seppur monotoni. Con sua grande sorpresa quella convivenza ristretta non aveva portato alcun problema di sorta, battibecchi consueti a parte. Si era instaurato un ritmo piacevole: otto ore di sonno, otto ore di veglia insieme – sull'astronave o talvolta agli attracchi portuali - e otto ore di guardia in solitaria.
La noia era l'ultimo dei problemi del Principe, dopo aver passato praticamente tre mesi all'avventura, con poche ore di sonno, con l'ansia perenne e gli incubi costanti. Si stava godendo un po' di meritato riposo e qualche momento piacevole con colui per il quale aveva attraversato l'universo.
Eppure sul volto di Kakaroth aveva potuto vedere troppo spesso quell'arricciamento delle labbra che sembrava voler gridare “ok, ho qualcosa da dirti ma me lo devo ingoiare”. Il tutto condito da un tic insopportabile di far tremare la gamba. Risultato? Era ancora più fastidioso che parlarne.
Specialmente quando si sedevano vicini alla guida di Gr06U, o quando pranzavano, o quando si allenavano, o semplicemente sempre.
E Vegeta, che era il Re dei Discorsi Lasciati in Sospeso, aveva iniziato persino a domandarsi se non fosse il caso di essere sinceri l'uno con l'altro. All'alba della terza settimana di viaggio, però, non aveva ancora trovato il coraggio di risolvere il loro minuscolo problema comunicativo.


Vegeta sbuffò e scosse la testa, sonnolento. Era il caso di dormirci ancora un po' sopra e, guarda caso, era proprio il momento di andare a svegliare il babbeo e farsi dare il cambio di guardia al pilota automatico.
Si stiracchiò un poco, poi si avviò verso le scale a pioli che portavano al “piano superiore”. Trovò Kakaroth disteso in una posa improbabile – giusto per rimarcare la somiglianza genetica col fratello – con un libro aperto sulla faccia.
Alzò gli occhi al cielo e si avvicinò a lui a carponi. Ovviamente il tetto dell'astronave era troppo basso per stare in piedi lassù, però la visuale era niente male: sopra al materasso c'era un oblò rinforzato che regalava una splendida vista sul nulla cosmico.
Vegeta si avvicinò ancora un poco a Kakaroth e, siccome era una persona estremamente delicata nei modi, decise di svegliarlo togliendogli il libro dalla faccia e picchiandoglielo in testa. Non forte, però.
Questi si destò con un grugnito e un borbottio.
«Stai cercando di farti passare un po' di cultura per osmosi?» domandò Vegeta, restituendogli il libro con un ghigno.
Kakaroth si stiracchiò un poco e sorrise, malgrado il buongiorno non troppo delicato.
«Non apprenderei proprio niente: questo libro è una noia mortale» ribatté.
Solo il fatto che quell'idiota conoscesse il significato della parola “osmosi”, forse voleva dire che non era più tanto idiota come lo ricordava. Però avrebbe comunque continuato a chiamarlo in quel modo lo stesso.
E avrebbe continuato anche a svegliarlo in quel modo se poi gli avesse rivolto un sorriso così ampio e maledettamente piacevole da farlo sorridere a sua volta come un cretino. Quella cosa che le emozioni di Kakaroth influissero così tanto sulle sue avrebbe dovuto finire. Così come avrebbe dovuto finire quel traballare incessante.
«Kakaroth, per l'amor del cielo, questo tuo nuovo vizio di far ballare la gamba è insopportabile» lo redarguì Vegeta, dopo essersi guardati fissi per troppi secondi con sorrisi troppo equivoci.
Accadeva fin troppo spesso, ormai. Alla faccia di non volersi cacciare in situazioni imbarazzanti.
«Mi dispiace...» sbuffò lui, mettendosi a sedere con la schiena contro la paratia e i capelli che sfioravano il soffitto. «Sono solo un po' confuso...»
Beh, almeno Vegeta non poteva certo dire di sentirsi solo in quella sensazione. Una situazione che non poteva essere protratta ancora a lungo, per la sanità mentale di entrambi.
«Qual è il problema, Kakaroth?» domandò quindi, spazientito. Che senso aveva attendere oltre? Il problema comunicativo sarebbe rimasto anche da lì a cent'anni ancora.
«Il problema è che io... io sento cose che non corrispondono a ciò che mi dici. Su di noi. Non so perché». Kakaroth arrossì e abbassò il volto, colpevole. «Mi sento sbagliato».
Vegeta trattenne il respiro e, malgrado tutto, comprese che non parlarne fosse stata la scelta più errata da compiere, data la situazione già abbastanza confusa per lui. Perché, di tutto quello che gli aveva appena detto, ciò che lo aveva colpito di più era che Kakaroth si sentisse sbagliato, quando non ne aveva alcun motivo.
Non era Kakaroth a essere sbagliato, non era giusto che si sentisse in quel modo. Non da solo, almeno.
Sua Maestà sospirò a lungo, poi si sedette davanti a lui a gambe incrociate. E 'fanculo al problema comunicativo.
«Senti... hai ragione, ok? Noi... avevamo... qualcosa» ammise. Lo ammise forse per la prima volta anche a se stesso, e un grosso peso gli scivolò via dalle spalle. «Ma era la verità quando ti ho detto che non siamo mai stati più che amici: avevamo troppo rispetto delle nostre famiglie per poter anche solo pensare di dare retta a quel... qualcosa». Era il caso di dare un nome a quel qualcosa? Forse no. Non aveva un nome, non ancora. Non ci aveva mai pensato a dargli un nome. «Ora non so bene cosa tu stia provando nei miei confronti ma... non sei sbagliato. C'era anche prima, faceva parte della... nostra normalità» concluse, abbassando anch'egli lo sguardo.
Avvertì Kakaroth sussultare, ma almeno smise di far tremare quella maledetta gamba.
«Lo provavi anche tu? Lo provi ancora?» gli domandò.
E in quel momento fu Vegeta a iniziare a tremare.
«... Kakaroth, non importa. Non è davvero il caso di-»
«Lo provi ancora?» insistette, interrompendolo. E, portandogli una mano sotto al mento, lo costrinse ad alzare lo sguardo.
Trovò due occhi neri più accigliati, ma non meno luminosi. C'era qualcosa di strano in quegli occhi. Speranza?
«Kakaroth...» sussurrò. Forse non era stata una grande idea.
Lo provava ancora? Sì. Lo provava eccome e, forse, ben più forte di come aveva osato provarlo in passato. Anche se quel Kakaroth aveva qualcosa di diverso, anche se non si vedevano da dieci anni, anche dopo tutto quello in cui erano stati gettati attraverso.
«Sì, lo provo ancora» ammise. Sincero, per una fottuta volta nella sua vita.
Kakaroth rimaneva sempre Kakartoh. Quell'idiota, scemo, cretino dal cuore troppo grande che lo guardava come se fosse qualcosa di puro e meraviglioso, che sorrideva come se gli avesse appena dato aria da respirare. Sempre più vicino. Baka.
«Allora non mi sento più sbagliato» concluse. E non gli diede occasione di controbattere, quella volta. Nemmeno di scappare, di indietreggiare. Non sarebbe bastato un attacco alieno a interromperli.
Erano alla deriva sotto il vuoto cosmico.
Suoni di risate, ombre di vita squillarono nelle sue orecchie aperte.
Lo incitarono e lo invitarono.
Amore immortale senza limiti splendeva intorno a lui come un milione di soli.
Aveva continuato a chiamarlo per dieci anni e lui finalmente l'aveva raggiunto.
Attraverso l’universo.


 
Continua...

Riferimenti:
-Pianeta Vespin: chiaro riferimento al pianeta Bespin della saga di Star Wars.
-Astronave Gr06U: il nome dell'astronave prende spunto dalla somiglianza in lettere con Grogu, di The Mandalorian. Chi ha seguito la serie tv è a conoscenza di chi sia Grogu :)
-Il racconti e ricordi di Vegeta-Sei non sono ovviamente canonici, ma sono frutto della mia fantasia e di qualche head-canon di fanfiction lette nel fandom inglese. A chi interessasse il tema, sappiate che avremo modo di approfondirlo presto in una nuova fanfiction.
-Owari: stesso discorso degli scorsi capitoli, traduzione dal giapponese di "fine", da me utilizzata in paragone alla lingua Saiyan.
-I versi finali del capitolo sono tratti e riadattati dalla canzone "Across the Universe" dei Beatles. Canzone da cui ovviamente prende il nome questa storia e il titolo di questo importante capitolo. Chi non la conosce è invitato a rimediare alla mancanza xD : https://www.youtube.com/watch?v=we0tO0LxY8Y

ANGOLO DI EEVAA:
Eeeeee... FIESTAAAAA! *Bongo là, bongo cha cha cha!*
Ce l'hanno fatta, dopo diciannove fottuti capitoli. Era chiamatissimo, lo so, ma soprattutto era dovuto. Soli soletti, in mezzo al nulla cosmico, con un Radish che fa il tifo da un bar dell'inferno... suvvia, non potevo non dargli questo momento di piccioncineria.
Siete felicioni? Io sì. Ci voleva un bell'incontro ravvicinato del terzo tipo. Ora però ci sono altre cose da risolvere: la memoria di Goku, e la morte di Radish. Mancano due capitoli. Ce la faranno a risolvere tutto - o saranno troppo impegnati a dar fiato alle trombe? xD
Vi aspetto per scoprirlo! Un abbraccio e grazie ancora di cuore a tutti per il supporto!
Eevaa

 

Nel prossimo capitolo!
«Ma sappi che la trovo una cosa insensata» aggiunse Kakaroth, puntandogli un dito contro.
«Oh, sai quante volte ho trovato insensate le tue idee e non ti ho detto niente?!» sbottò sua maestà, e Kakaroth esplose in una risatina impertinente.
«Sì che lo so: zero. Mi hai sempre fatto notare ogni singola dannata esternazione di stupidità».
Non aveva tutti i torti.
  
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