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Autore: Signorina Granger    07/09/2021    9 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 11: Quale pizza sei?
 

 
“Penso che questa sia la fine. Sì, Asriel esploderà in mille pezzi, e noi lo seguiremo.”
James parlò con pacata rassegnazione, annuendo mesto mentre fissava il vuoto e teneva Alpine stretta tra le braccia. Davanti a lui fuori dalla cabina del collega, Clodagh si massaggiò nervosamente il collo mentre osservava pensierosa fuori dal finestrino.
“Sul fatto che si incazzerà di brutto non ci sono dubbi. Non vorrei davvero essere nei panni dei nostri colleghi, quando torneremo.”
“Se torneremo. E nel frattempo la sua ira dovremo subirla noi, quindi è noi due che dovresti compatire!”
James non poteva davvero accettare di tirare le cuoia proprio quel giorno: passare a miglior vita a Natale, nel suo momento dell’anno preferito, così giovane e pieno di cose da vedere e da fare. Eppure, che Asriel avrebbe ucciso qualcuno era cosa certa, e di sicuro dovendo scegliere tra lui e Clodagh quello sacrificabile sarebbe stato lui, il novellino.
 
“Ci sarà qualcosa che possiamo fare per placarlo… sto pensando. Qui è pieno di gatti, potremo prenderli tutti e farci una sorta di scudo… No, non abbiamo il tempo.”
“Tu lo conosci bene, qual è la sua altra debolezza, oltre ai gatti?”
“I gatti che indossano cappelli buffi!”  Clodagh sorrise e schioccò le dita con l’aria soddisfatta di chi ha azzeccato una risposta, guardando però il collega scuotere la testa:
“Oh sì, sono adorabili… ma qui non ne abbiamo. Qualcosa al di fuori del mondo felino?!”
“Beh…”
 
Come si fosse ritrovato ad origliare due volte nell’arco dello stesso giorno, Lenox non seppe proprio spiegarselo. Grattandosi la testa ripetendosi di doverci proprio dare un taglio – per un istante si disse che sua madre lo avrebbe aspramente rimproverato per quella mancanza di educazione, ma scacciò immediatamente quel pensiero – l’ex Tassorosso si avvicinò ai due Auror e si schiarì la voce prima di sfoderare un piccolo sorriso di scuse:
“Scusate, non volevo origliare, ma passando non ho potuto fare a meno di sentire che parlavate di Asriel e di gatti. Cercate qualcosa per placarlo?”
“Già, ma non abbiamo molte idee.”
Clodagh parlò con un sospiro affranto e scuotendo la testa mentre invece Lenox, appurato di averci visto giusto, sorrise divertito:
“Beh, ci sarebbe una cosa… Non posso garantire nulla, ma quando perse la finale di Quidditch del sesto anno contro Grifondoro solo perché l’altro Battitore era troppo impegnato a salutare le ragazze in platea per giocare bene funzionò e salvò il poverino da morte certa.”
“Quindi ne uscì illeso?”
Clodagh aveva l’impressione di ricordare quella partita – quando per lei Asriel Morgenstern era solo il bel ragazzo più grande che tanto piaceva alle sue amiche –, ma l’idea che quel Battitore si fosse salvato dal rifiuto di Asriel per le sconfitte era abbastanza surreale. E infatti Lenox si passò una mano tra i capelli chiari, sorridendo colpevole:

“Non proprio, Asriel lo colpì accidentalmente con la mazza prima che toccasse terra, ma se la cavò pur sempre con poco. C’è solo una cosa che dovete procurarvi.”
Pochi minuti dopo, mentre si allontanava insieme a Clodagh sotto lo sguardo divertito dell’ex compagno di Casa, James giurò a se stesso che se avesse funzionato avrebbe reso grazie a Lenox Flint in eterno.

 
*

 
“D’accordo, è stata dura ma sono riuscita a procurarmelo. Come ha detta anche Lenox, è di vitale importanza darglielo al momento giusto.”
Confuso, James abbassò lo sguardo sull’involucro che Clodagh gli porgeva prima di deglutire a fatica e lanciare un’occhiata carica di preoccupazione alla collega:
“Pensi davvero che sia così grave?”
“Non hai imparato a memoria “Il Vangelo secondo Clodagh”, e soprattutto non hai sentito quello che ha detto Lenox Flint? Meglio prevenire che curare. Credimi, è la cosa migliore per il bene di tutti noi… Ma devi fare attenzione a quello che ti dico e darglielo al momento giusto, è chiaro?”
“Ma non puoi farlo tu?”
Il giovane Auror gemette, tormentandosi le dita delle mani mentre guardava ansiosamente ciò che la collega gli porgeva. Clodagh però non desistette, scuotendo il capo con decisione e continuando imperterrita a porgergli l’involucro.
“Tocca a te questa volta. Ti sarà da lezione per il futuro, un giorno mi ringrazierai.”
Sospirando, James si vide costretto ad accettare con riluttanza ciò che la collega gli porgeva, osservando tetro ciò che stringeva tra le mani mentre Clodagh, sorridendo soddisfatta, gli dava una pacca incoraggiante sulla spalla.
“Ma è esattamente ciò che si dice prima di costringere qualcuno a fare qualcosa di orribile!”
“JJ, dammi retta, guardi troppi film. E adesso che siamo pronti, possiamo andare. Ricorda, esattamente quando te lo dico.”
“Va bene…”
 
Una mano sulla spalla del collega – per infondergli coraggio ma anche per impedirgli la fuga – Clodagh pilotò James attraverso la I classe verso il vagone ristorante con passo sicuro, ignorando il leggero tremolio che si era impossessato delle mani dell’ex compagno di Casa.
Giunti sulla porta, Clodagh fronteggiò James prima di mettergli entrambe le mani pallide sulle spalle, gli occhi azzurri fissi sul suo viso:
“Sei pronto collega?”
“No!”
Perfetto, andiamo. Vedrai, tu ascoltami e andrà bene… sarò il tuo Gandalf!”
Sorridendo allegra, Clodagh aprì la porta e lo condusse all’interno del vagone mentre James, disperato, biascicava qualcosa sul non aver meritato di portare quel fardello.
 
Udendo la porta aprirsi Asriel sollevò la testa, distogliendo lo sguardo dalla piccola sfera di vetro che avevano trovato nella valigia di Alexandra e che stava galleggiando a mezz’aria davanti a lui, sopra al tavolo davanti a cui era seduto.
“Ciao Asriel! Trovato qualcosa di interessante?”
La mano serrata sulla spalla di James in una presa ferrea, Clodagh sorrise vivacemente al collega mentre Asriel, spostando lo sguardo da uno all’altro, scuoteva lentamente il capo.
C’era evidentemente qualcosa di strano: nessuno dei due lo aveva salutato con qualche diminutivo ridicolo e imbarazzante, entrambi sorridevano troppo e James teneva le mani dietro la schiena. Senza contare l’evidente preoccupazione del ragazzo malcelato dietro al sorriso plastico che sfoggiava.
“Niente. Ho provato qualche incantesimo, ma onestamente ho paura di attivare qualcosa di pericoloso… Dovremmo farla vedere a Clara Picard?”
“Potrebbe essere un’idea. Ora, io e James abbiamo dato una rapida occhiata al pacco che ci è arrivato stamani… E abbiamo una buona e una cattiva notizia. Quale vuoi prima?”
Il sorriso di Clodagh si allargò mentre Asriel, invece, sospirava con rassegnazione: ci avrebbe scommesso.
“Prima la cattiva, sempre.”
Asriel parlò mettendo da parte la bacchetta e intrecciando le dita delle mani, invocando tutta la pazienza possibile mentre si preparava psicologicamente ad una sfuriata: era evidente che se quei due si stavano comportando in quel modo era perché erano sicuri che avrebbe perso le staffe.
“Bene, allora… abbiamo dato un’occhiata a ciò che ci hanno mandato, e in mezzo ai fascicoli abbiamo trovato un biglietto di Collins che dice che non sono ancora riusciti a reperire informazioni dettagliate su tutti i passeggeri e che quindi, emh, ce le invieranno presto.”
“CHE COSA?!”     
Esattamente come i due Auror avevano previsto, la reazione di Asriel non si fece attendere: l’uomo si alzò in piedi, i palmi ben piantati sulla superficie del tavolo. James ringraziò mentalmente che non avesse preso in mano la bacchetta mentre il collega continuava ad imprecare contro i “colleghi nullafacenti”:
“DOPO TUTTO QUESTO TEMPO? Che cosa hanno fatto fino ad oggi quegli idioti, una partita a briscola?! Adesso mando un bel Patronus a Potter e lo mando a fare in…”
“Presto, dagli il panino!”
Al sussurro concitato di Clodagh James sobbalzò, avvicinandosi di corsa ad Asriel e lasciando il panino avvolto nella carta stagnola sulla scrivania:
“Ti abbiamo portato questo Asriel.”
Senza dare al collega il tempo di replicare – gli occhi di Asriel mandavano lampi, e James per un attimo ebbe il terrore che potesse incenerirlo o ridurlo in pietra – il più giovane del gruppo si allontanò dal tavolo andando a posizionarsi dietro a Clodagh, che sorrise dolcemente accennando al panino:
“Sì Asriel, mangialo e ti sentirai meglio.”
Asriel abbassò lo sguardo sul panino, lanciandogli un’occhiata torva prima di chiedere in un borbottio se ci fosse la maionese.
“Certo, è il tuo preferito.”
Sibilando che il Dipartimento di Londra fosse pieno di idioti, Asriel tornò a sedersi e scartò il panino strappando la carta con gesti bruschi. Clodagh e James aspettarono che l’ebbe addentato nervosamente prima di avvicinarglisi, osservandolo rilassarsi visibilmente man mano che mangiava il panino mentre Clodagh continuava a sussurrare a James di non fare movimenti bruschi.
“Grazie. È buono. Quando ho finito chiamatemi la Ollivander, mi sono rotto di parlare con queste persone e voglio chiuderla.”
“Ma certo. Prospero lo teniamo per ultimo?”
“Sì, ho la sensazione che De Aureo ci prenderà parecchio tempo.”
Voltandosi verso Clodagh, Asriel le domandò se per caso non avesse anche delle noccioline salate. Quando la strega tirò fuori l’ennesimo sacchetto dallo zaino a velocità record James strabuzzò gli occhi, chiedendole in un sussurro quanti sacchetti si fosse portata e ricevendo come risposta solo una debole scrollata di spalle.

 
*

 
Seduta vicino a Prospero nel corridoio del vagone della II classe, appoggiati di schiena contro la porta della sua cabina e le gambe lunghe distese sulla moquette, Delilah continuava a lanciare occhiate torve a quel demente del suo migliore amico, che non la smetteva di ridacchiare da diversi minuti:
Mi spieghi che cazzo ridi a fare, pezzo d’idiota?! Stanotte ho sognato che saltavamo tutti in aria, Porco Salazar!”
“Dai Fogliolina, sei troppo melodrammatica oggi… Fidati di me, andrà tutto bene. Mi sto solo immaginando i poveri Auror che cercano di venirne fuori in tutti i modi e di scoprire di che cosa si tratta.”
Le parole di Prospero non sembrarono rassicurare affatto l’amica, che sbuffò senza smettere di tamburellare nervosamente le dita pallide sul pavimento, gli occhi nocciola fissi sull’ampio finestrino che avevano davanti mentre scenari apocalittici prendevano vita nella sua mente.
“Se per caso dovessero fare qualcosa di sbagliato…”
“Non lo faranno, è pressoché impossibile che scoprano di che cosa si tratta, e attivarla per sbaglio è terribilmente difficile se non sai come farlo. Certo lanciando qualche incantesimo troppo potente potrebbero attivarsi dei meccanismi di difesa, ma sono certo che non siano così idioti da provarci.”
Delilah invidiò terribilmente la sicurezza che l’amico sfoggiava, lanciandogli un’occhiata in tralice prima di arruffargli i capelli scuri sibilando che fosse il solito idiota senza speranze:
“Sappi che se finirà come quando, al quinto anno, hai trascinato me e Cecil nella Stamberga Strillante giurando che non ci fosse nulla di cui avere paura non te la caverai con poco, mio caro.”
“E infatti non c’era proprio nulla di cui avere paura! Non c’era l’ombra di un fantasma, erano tutte vecchie superstizioni per tenere le persone alla larga da qualcosa, ne sono certo.”
Prospero liquidò il discorso con un gesto annoiato della mano, come volesse scacciare un insetto fastidioso, mentre sbadigliava pigramente. Delilah, al ricordo della loro “gita fuori porta” nella casa abbandonata più famosa di tutta la Scozia, rabbrividì con una smorfia di disgusto:
“In compenso era pieno di scarafaggi giganti, che schifo! Per non parlare di quando volesti fare l’escursione nella Foresta Proibita al terzo anno… c’erano ragni grandi come insalatiere! Meglio se non ci ripenso.”
“Ma non dicevi che volevi vedere piante pericolose? Lì era pieno, mi dovresti ringraziare!”
“Intendevo nella serra riservata al VII anno, idiota! Quando hai detto che “mi avresti portato a vederle in un luogo dove non avremmo dovuto avere accesso” non pensavo intendessi una foresta infestata!”
Prospero scosse il capo con disapprovazione, asserendo che l’amica “non vedeva il lato divertente delle loro avventure” mentre Delilah alzava gli occhi al cielo. Certo, non poteva negare che vedere Cecil preso di mira da una pianta carnivora era stato l’evento più memorabile di tutto il terzo anno, ma si premurò di non dare all’amico quella soddisfazione.
“Laila, fidati di me: andrà tutto bene. Ce la siamo sempre cavata, questa volta non sarà diverso. Dici che dovrei spuntarmi i capelli?”
Giocherellando, dubbioso, con le punte dei propri capelli scuri tendenti al riccio, Prospero parlò osservandoseli distrattamente mentre l’amica, osservandolo di rimando, scuoteva la testa:
“No, vanno bene così. Sai, stavo pensando che quando dici di fidarmi di te e che “andrà tutto bene” spesso finisce in tragedia. Scarafaggi, ragni giganti, piante carnivore… l’hai detto anche quando sono venuta a dirti che quel tonto di Cecil si era fatto fregare dalla Sutton, e guarda un po’ com’è finita! Cadavere e bloccati su un treno a Natale come sospettati.”
“Dimmi, preferivi forse ritrovarti Alexandra seduta a tavola al pranzo di Natale con la tua famiglia in veste di cognatina?”
Udire quella parola ebbe il potere di far rabbrividire la strega ancor più del ricordo degli scarafaggi giganti, scatenando un sorrisetto divertito sulle labbra del suo migliore amico:
“Per i tanga di Morgana no, preferirei avere come cognata una pianta carnivora! Senti, ma perché restiamo qui, non possiamo stare nella tua cabina?”
“Vorrei tanto, ma purtroppo ho scordato la chiave dentro, quindi siamo bloccati fuori.”
“Che rottura… Io il mio letto non te lo cedo Ro, sei avvisato.”

 
*

 
Quando Clodagh si era avvicinata a Clara chiedendole gentilmente di seguirla nel vagone ristorante, la francese aveva guardato l’Auror sollevando entrambe le sopracciglia con evidente stupore. Scambiatasi una silente occhiata dubbiosa con Corinne, l’ex Spezzaincantesimi si era alzata dalla poltroncina a conchiglia foderata di velluto che aveva occupato per seguire Clodagh senza proferire parola.
Clara sapeva che mancavano ancora un paio di passeggeri da interrogare, e si chiese per quale motivo volessero nuovamente parlare con lei. Tormentandosi nervosamente le dita affusolate e pallide, la francese si domandò se non avessero trovato qualcosa sul suo conto senza osare chiedere all’Auror il motivo del bisogno di parlare nuovamente con lei.
Osservando l’amica allontanarsi anche Corinne, ripensando alla conversazione che avevano avuto solo poco prima fuori dal treno, si fece le stesse domande. Loki, che dopo essere stato sfrattato dalle ginocchia della padrona giaceva acciambellato sulla poltroncina, si leccò una zampa sotto lo sguardo torvo di Corinne:
Je paierais de l’or pour avoir ta vie…(1)
 
 
“Ci dispiace disturbarla Signorina Picard, ma vorremmo chiederle un consulto.”
Terminato di mangiare il suo panino, Asriel parlò pulendosi le dita su un Kleenex allungatogli da James e rivolgendosi pacatamente a Clara, che lo osservava dubbiosa. Tuttavia, udendo quelle parole la strega si rilassò all’istante, trattenendo un sospiro di sollievo e cercando di restare impassibile:
“Un consulto a riguardo di cosa?”
Sinceramente incuriosita da che cosa potessero volere da lei, Clara sedette quando Asriel le accennò alla sedia, la stessa che aveva occupato anche quando era stata interrogata.
“A proposito di questa.”
Con un movimento della bacchetta Asriel fece fluttuare la piccola sfera nera verso Clara, che la guardò brevemente aggrottando la fronte prima di puntare nuovamente i grandi occhi scuri sull’Auror:
“Non faccio più quel lavoro, come vi ho già spiegato.”
“Lo sappiamo, ma temo che su questo treno lei sia l’unica che può aiutarci a cercare di capire di che cosa si tratti.”
“Dove l’avete trovata?”
“Nella valigia della vittima. No, non apparteneva ad Alexandra.”  - Si affrettò a precisare Asriel cogliendo l’espressione sorpresa della strega – “O almeno non è arrivata su questo treno insieme a lei, dal momento che l’abbiamo trovata solo in un secondo momento.”
“Sta dicendo che qualcuno ce l’ha messa.”
“Proprio così.”
“Forse doveva acquistarla. Forse è salita sul Riviera Express per questo, per incontrare qualcuno che glie l’avrebbe dovuta vendere. Certi oggetti non si trasportano per diletto, sono sicura che questo manufatto andasse venduto.”
Clara distolse lo sguardo dal volto di Asriel per concentrarsi sulla sfera, sporgendosi leggermente verso l’oggetto per osservarlo più da vicino. C’erano delle ombre che si muovevano all’interno, e non le fu particolarmente difficile immaginare di che cosa potesse trattarsi.
“Credo che possa contenere una maledizione. Di che cosa si tratti è difficile dirlo… senza la mia bacchetta non posso fare praticamente nulla, Monsieur Morgenstern.”
Rimessasi dritta sulla sedia, gli occhi scuri di Clara tornarono ad indugiare sull’Auror parlando con il tono più pacato e inespressivo di cui era capace. A quelle parole Asriel sbuffò e Clodagh, in piedi accanto a lui, guardò la strega tenendo le braccia strette al petto:
“Temo che darle una qualsiasi bacchetta sia impossibile, Signorina Picard.”
“Che cosa pensate che possa fare? Non posso Smaterializzarmi qui dentro, e non mi sognerei mai di affrontare tre Auror. Senza contare che se facessi qualcosa di stupido firmerei una dichiarazione di colpevolezza.”
“Non le daremo la sua in ogni caso.”
“Una bacchetta inefficiente genera un lavoro inefficiente. Signori, immaginate che cosa potrebbe succedere se malauguratamente qualcosa andasse storto? Probabilmente non ci sarebbe più alcuna indagine per omicidio da risolvere. Usarne un’altra è troppo rischioso. O la mia o niente.”
 
Sostenendo fermamente lo sguardo di Asriel, Clara non aggiunse altro. Seduti uno di fronte all’altra con solo il tavolo a dividerli, i due si studiarono in silenzio mentre James osservava nervosamente la scatola di legno con lucchetto che conteneva le bacchette dei passeggeri e di tutti gli inservienti del treno.
“Bene. James, dagliela.”
“Sei sicuro?”
“Sì. E tieni la tua a portata di mano, non si sa mai.”


Anche se con leggera riluttanza, James obbedì: facendo scattare il lucchetto con un incantesimo non verbale, l’Auror cercò la bacchetta giusta mentre un “non mi fido di una francese” non detto aleggiava silenziosamente nell’aria.

 
*

 
“Si può sapere che stanno facendo? Dovevano interrogare la ragazza bionda, perché non si danno una mossa! Ho del lavoro da fare anche io!”
Sbuffando, Ruven misurò a grandi passi la cucina mentre Hans, uno dei camerieri, sbirciava quello che poteva del colloquio in corso attraverso l’oblò della porta che collegava la cucina alla sala.
“C’è la ragazza francese. Ma non l’avevano già interrogata?”
“Credo di sì. Quale, la bionda?”
“No, quella mora, carina.”
“Ah, quella della torta.”
 
Ruven, che si era legato al dito l’appunto della strega sulla sua Tarte Tatin, scoccò un’occhiata velenosa al cesto di mele che aspettavano di essere lavate. Quella sera il menù prevedeva nuovamente la celebre torta di mele francese, e lo chef era pronto a tirare fuori i guantoni da boxe alla prima critica.
“A me era piaciuta la sua torta chef.”
Sorridendo, Hans si voltò verso il superiore, raggelandosi quando Ruven gli scoccò la sua occhiata più truce con gli occhi verdi ridotti a due fessure:
“Ecco dov’erano sparite le fette avanzate…”
Sbiancando, il ragazzo si affrettò a balbettare di averne mangiata solamente una e che le altre se le erano smerciate i camerieri, ma Ruven sbuffò e liquidò il discorso con un rapido gesto della mano:
“Al diavolo quella stupida torta, fammi vedere che stanno combinando.”
“Ma le stanno dando una bacchetta! Perché?” 
Hans strabuzzò gli occhi quando vide “l’Auror donna con l’accento strano” allungare una bacchetta alla francese, mentre Ruven gli si avvicinò per scollarlo dall’oblò e vedere la scena con i suoi occhi:
“Come faccio a saperlo, ho l’aria di un indovino? Spostati, voglio vedere anche io.”
 

 
*

 
Quando Clodagh Garvey aveva chiesto a Clara di seguirla, Corinne era rimasta sola in compagnia di Loki – che aveva cercato di saltarle sulle ginocchia, ma l’ex fantina l’aveva respinto intimandogli di non azzardarsi a rovinare con le unghie il suo vestito nuovo – e del suo libro.
Decisa a migliorare il suo tedesco, la strega si era cimentata nella lettura di Goethe in lingua originale. Accigliata a causa di un periodo pieno di espressioni bizzarre e di certo non più in auge che non riusciva a comprendere – Clara le aveva chiesto perché si fosse imbarcata nell’impresa suicida di leggere Goethe in tedesco, ma Corinne non aveva intenzione di desistere – la strega si rese conto a malapena che qualcuno aveva occupato la poltrona a conchiglia sistemata davanti alla sua, vicino al finestrino dove aveva iniziato a depositarsi una buona dose di ghiaccio.
Loki, visibilmente scontento di aver perso il diritto alla sua poltrona, se ne andò trotterellando sdegnato mentre Renèe osservava curiosa la copertina del libro e quel lunghissimo titolo in tedesco.
 
Est-ce intéressant à lire?” (2)
Sentendosi rivolgere la parola in francese, Corinne interruppe momentaneamente la lettura. Stava istintivamente per rispondere quando si rese conto, accigliata, che la ragazza che aveva di fronte le si era rivolta in francese. Un francese pressoché perfetto e privo d’accento. Era la prima volta che un altro passeggero le si rivolgeva nella sua lingua madre, a parte Clara.
“Oui.”
[Nda: Da qui il dialogo procede idealmente in francese, ma scriverò in italiano per non dovervi riempire di note con la traduzione]
Incuriosita, Corinne chiuse il libro osservando la strega che aveva di fronte prima di complimentarsi con lei per il suo ottimo francese. Renèe accennò un sorriso, ringraziandola prima di spiegarle che sua madre era francese.
“Le mie sorelle hanno studiato a Beauxbatons.”
“Davvero? Tu no?”
“No, i nostri genitori ci hanno permesso di decidere… io ho scelto Hogwarts. Mio fratello maggiore me ne parlava sempre, e non volevo separarmi da lui di nuovo. Mia sorella maggiore si chiama come te. Corinne. Corinne Ollivander, la conosci per caso?”
Corinne sbattè le palpebre, osservando la ragazza che aveva di fronte e chiedendosi come avesse potuto essere così stupida: certo che conosceva Corinne Ollivander, e aveva sempre saputo quale fosse il cognome di Renèe. Eppure non aveva mai fatto due più due, dicendosi che probabilmente erano cugine o parenti alla lontana.
Di norma non ci si aspetta che due sorelle studino in scuole diverse.
“Sì. L’ho conosciuta a scuola, ha solo un paio d’anni meno di me. E compro molto spesso i miei vestiti da lei, non pensavo foste sorelle.”
“Non ci somigliamo molto. Quindi conosci anche le gemelle.”
Corinne annuì, ricordando le sorelle gemelle minori che lavoravano insieme ad una delle sue sarte predilette. Dal sorriso di Renèe – che parve quasi dispiacersi per lei – l’ex fantina intuì che la giovane venditrice di bacchette non andasse particolarmente d’accordo con le sue sorelle.
“Sì, vagamente. Come mai tu lavori nell’attività di famiglia e loro no?”
“Hanno seguito le orme di mia madre, anche lei creava vestiti… io ho seguito la strada paterna. Anche Alexandra acquistava vestiti da mia sorella. Ci siete mai andate insieme?”
Conoscendo già la risposta a quella domanda – sua sorella non perdeva mai l’occasione di sottolineare come la celebre atleta Corinne Leroux adorasse i suoi vestiti, e anche la sua ex fidanzata inglese – Renèe osservò Corinne con attenzione. Quando lei e Alexandra si erano lasciate sua sorella era stata tra i primi a sapere i dettagli: Alexandra era andata a farle visita per prendere delle misure, e le aveva raccontato ogni minimo particolare mentre sceglievano colori e stoffe. A qualche km di distanza, nel frattempo, Corinne Leroux si ritrovava in un’abitazione assediata dai giornalisti.
Renèe non si era stupita quando aveva appreso che sua sorella e Alexandra andavano molto d’accordo e che spesso si vedevano anche al di fuori dell’atelier. A Renèe Alexandra non era mai piaciuta, così come sua sorella maggiore. Lei e Corinne avevano molto in comune.
Sì, lo facevamo. Diverso tempo fa.”
Corinne distolse lo sguardo mentre stringeva il libro sulle ginocchia, consapevole di aver bisogno di una sigaretta. Pochi istanti dopo si alzò, scusandosi educatamente con Renèe prima di allontanarsi frugando nella tasca della sua giacca.
Tanto valeva approfittarne, mentre Clara era impegnata in chissà quali questioni e non poteva ricordarle quanto schifosi sarebbero diventati i suoi denti e la sua pelle un giorno.
Seguendola con lo sguardo finchè le fu possibile, Renèe si domandò come avesse fatto quella strega dall’aria così educata e gentile a stare con un tipo come Alexandra. Certe relazioni sapevano essere a dir poco inconcepibili.

 
*

 
Fu con una buona dose di ansia che James guardò Clara Picard sfiorare quella piccola sfera inquietante con la punta della propria bacchetta, mormorando un incantesimo a lui completamente sconosciuto. Non sapeva di preciso che cosa lo preoccupasse: che esplodesse? Che li accecasse tutti con un fiotto di luce?
Clodagh aveva sibilato qualcosa a proposito di Indiana Jones e di aver un brutto presentimento, e James poteva capirla perfettamente. Al contrario di Asriel, che aveva semplicemente ricevuto dalla collega la promessa di mostrargli tre film a proposito di un tipo armato di frusta una volta tornati a casa.
Come mai solo tre?”
“Perché il quarto fa schifo JJ, non ne contemplo nemmeno l’esistenza.”
I due colleghi stavano per iniziare ad interloquire sull’ultimo film, ma l’occhiata raggelante di Asriel li costrinse a tacere e a riportare nervosamente lo sguardo su ciò che stava facendo Clara. Quando la sfera iniziò a vibrare e le ombre al suo interno si intensificarono, James trattenne l’impulso di andare a scrivere in tutta fretta le sue memorie, sudando freddo mentre la strega, invece, aveva l’aria concentrata ma rilassatissima.
Come faceva certa gente a fare lavori di quel genere, James non se lo sarebbe mai spiegato.
 
“È senza dubbio una maledizione. Ben sigillata, direi, ma una persona inesperta potrebbe attivarla accidentalmente. L’avete toccata?”
“No, mai.”
“Bene. Continuate a non farlo.”
“Perché una cosa del genere dovrebbe trovarsi su un treno?”
“Come ho detto, per essere venduta. Non serve che vi dica quanto è comune il contrabbando di manufatti illegali, e questo va persino oltre la semplice illegalità. Chiunque possegga qualcosa del genere avrebbe molto potere. La paura fa fare qualsiasi cosa alle persone. Dovreste portarla con voi al Ministero e farla esaminare e sigillare definitivamente.”
Dopo essere tornata ad osservarla brevemente, Clara sollevò di nuovo lo sguardo su Asriel aggrottando leggermente le sopracciglia: per quanto Alexandra fosse sgradevole, era comunque difficile immaginarla minacciare il prossimo con un’antica maledizione. O forse no?
“Siete sicuri che Alexandra volesse comprarla?”
“Non ne abbiamo idea. Se anche fosse, non ha fatto in tempo a completare la vendita.”
“Magari la voleva la persona che l’ha uccisa.”
“E allora perché non tenersela, perché farcela avere?”
Asriel scosse la testa: c’era qualcosa che non gli tornava affatto. Anche da morta, il pensiero di Alexandra Sutton compiaciuta per avere tutta l’attenzione su di sé gli faceva saltare i nervi.
Prima di avere il tempo di dire altro, Clara sentì la bacchetta scivolarle dalle dita: Appellata da Clodagh, la bacchetta planò sul tavolo sotto lo sguardo quasi malinconico della sua proprietaria, che ne sentiva la mancanza quasi si trattasse di un vero e proprio arto.
“Grazie per il suo aiuto, Signorina Picard. Può darci qualche consiglio su come conservarla?”
“Non provate incantesimi particolarmente potenti, con tutto il rispetto, non avete le competenze adatte. Non può attivarsi spontaneamente, quindi non dovrebbero esserci problemi facendo attenzione. Posso andare?”
Clodagh annuì e Clara si alzò, salutando educatamente prima di andarsene. Mentre si alzava, i suoi occhi vagarono sulla porta della cucina e scorsero un movimento attraverso l’oblò. Sicura che qualcuno avesse seguito il suo colloquio fino ad un istante prima, la strega inarcò leggermente un sopracciglio prima di girare sui tacchi e dirigersi verso l’uscita senza proferire parola a riguardo.
 
“A che cosa pensi, Brontolo?”
Rimasti nuovamente soli – James parve immensamente sollevato – Clodagh incrociò le braccia al petto e si rivolse ad Asriel, così pensieroso da quasi non udire l’odiato nomignolo:
“Che se il cadavere non fosse nel vagone accanto giurerei che è tutta una sua messa in scena. Di sicuro sarà felice che la sua morte riceva tanta attenzione. James? Chiama Renèe.”

 
*

 
“Sto morendo di noia… Ro, smettila di ignorarmi e intrattienimi, per Morgana!”
“Scusa tesoro mio, sto finendo il test “Quale pizza sei”. Una panna e salmone?! Che oscenità! Come minimo volevo una capricciosa!”
Schifato, Ro guardò con disapprovazione il risultato del suo test dopo aver finito di riempire di crocette la rivista che teneva aperta sulle ginocchia. Era una fortuna che avesse fatto scorta di letture superflue prima di partire, era sicuro che gli sarebbero tornate utili.
“Ma io mi annoio, al diavolo la pizza!”
Delilah si pentì immediatamente di aver parlato: sconvolto, Prospero si voltò di scatto verso di lei esalando un verso sgomento, dopodiché le tappò la bocca con una mano e alzò lo sguardo al cielo. Mormorato qualcosa in italiano che la strega non capì – “Perdonala nonna, non sa quel che dice!” – il mago le porse una delle sue riviste patinate:


“Tieni, qui c’è il test “Quale stagione sei”, intrattieniti così.”
Riappropriatasi della propria voce e liberata dalla morsa di Ro, Delilah accettò con riluttanza la rivista e anche la matita che l’amico le porgeva, osservando con un sopracciglio inarcato il secondo oggetto: color verde foresta e con una gommina fucsia all’estremità, la matita era piena di piccoli e soffici lama, con tanto di scritta “No Prob-Lama.
“Ma hai la fissa dei lama o cosa ultimamente?!”
“Beh, adoro Le Follie dell’Imperatore…”
Mentre l’amica sfogliava la rivista alla ricerca del suo test, Prospero fece spallucce accingendosi ad iniziare quello successivo: forse “Quale torta sei” gli avrebbe dato più soddisfazioni di una tremenda pizza con la panna. Era una fortuna che sua nonna fosse lontana miglia e che non potesse saperne niente.

 
*

 
“Perché ci mettono così tanto a farmi chiamare? Non sopporto più quest’attesa.”
Sprofondata sul bordo dell’enorme letto della sua cabina, Renèe addentò nervosamente un quadretto della cioccolata bianca alla rosa di Ladurée che aveva portato con sé: mai, durante i suoi tanti viaggi, Renèe si era spostata senza almeno una di quelle costosissime tavolette in valigia. Fino a due anni prima, quando Elian ancora l’accompagnava, ne poteva sempre in più ben sapendo che il fratello avrebbe finito con l’elemosinarne la metà.
“Staranno discutendo sul mio interrogatorio… rilassati. Presto toccherà a te e poi non dovrai pensarci più.”
Distesa sul divanetto con gli occhi verdi rivolti verso il soffitto, Elaine parlò con un pigro sospiro mentre May – sospirando e pensando alle patatine fritte che si sarebbe volentieri gustata – accarezzava il soffice pelo chiaro di Artemis, la gatta di Renèe. Quest’ultima rivolte un’occhiata carica di nervosismo alla cantante, invidiandola per il suo aplomb.
“Ti hanno chiesto molte cose?”
“Non molto, hanno capito che io e Alexandra ci conoscevamo a malapena. Ma è così anche per te, quindi non preoccuparti, Renèe. Tua sorella era amica sua, non tu.”
“Non so ancora se scrivere a Corinne. Insomma, ormai penso che l’abbia già saputo dai giornali, di certo la notizia è trapelata al Ministero.”
“In tal caso è una fortuna essere qui, almeno ci siamo evitate gli articoli della Skeeter. Porca paletta, non pensate che una volta a casa ci perseguiteranno per scrivere degli articoli dettagliati sull’accaduto, vero?”
 
Impallidendo alla sola idea di ritrovarsi sotto i riflettori e con i giornalisti ad infestarle casa, dando così modo a Pearl di farle un’infinità di domanda – era più che decisa a tenerle nascosta ogni cosa e a far passare il suo viaggio per una vacanza più lunga del dovuto – May parlò spalancando gli occhi chiari con orrore. Un sorrisetto invece incurvò le labbra di Elaine, che le si rivolse con aria divertita:
“Porca paletta?”
“Vivo con una bambina di cinque anni, ho dovuto adattare le imprecazioni, non giudicatemi. Uno molto in voga in autunno era “Porco Principe Hans”.”
May fece spallucce e per la prima volta quel giorno Elaine rise. Renèe la imitò, sentendo un po’ di tensione sparire nel nulla appena prima che qualcuno bussasse alla porta.
 
“Suppongo che sia finalmente ora.”
Richiuso l’involucro di carta rosa della cioccolata, Renèe si alzò, lasciò la barretta sul tavolino accanto alla poltrona che aveva occupato May e infine andò ad aprire la porta. Non si sorprese affatto quando si trovò davanti James Hampton, che le rivolse un debole sorriso:
“Salve Renèe. Posso chiederti di venire con me? Ciao May!”
Salutando allegramente l’ex Grifondoro da sopra la spalla di Renèe, James le rivolse un sorriso che May ricambiò, rivolgendogli un cenno mentre Renèe annuiva mesta:
“Non credo di avere molta scelta. Ci vediamo dopo, ragazze.”
Rivolta un’ultima occhiata alle sue amiche – Elaine le indirizzò un “Buona fortuna” in labiale e May uno dei suoi sorrisi più radiosi – l’ex Grifondoro seguì James fuori dalla cabina e si chiuse la porta alle spalle. Elaine aveva ragione, lei e Alexandra quasi non si conoscevano. Gli Auror non avrebbero potuto trattenerla a lungo.

 
*

 
Prima che Renèe compisse undici anni e andasse ad Hogwarts capitava spesso che suo padre, Oakley Ollivander, la portasse nel negozio di famiglia a Diagon Alley. I suoi fratelli maggiori Achilles, Elian e Corinne erano già a scuola e sua madre Nadia aveva già il suo da fare con le piccole di casa, così Renèe passava spesso le sue mattinate curiosando nel negozio e nella bottega dove venivano fabbricate e vendute le loro bacchette.
Quando era piccola c’era ancora suo nonno Garrick al comando dell’attività e Renèe adorava guardare suo nonno vendere le bacchette ai clienti. A volte alcuni futuri studenti di Hogwarts impiegavano ore a trovare quella giusta, ma suo nonno non si scomponeva o indispettiva mai, sfoggiando una pazienza pressoché infinita.
Renèe sentiva spesso suo padre e suo nonno discutere sulla gestione e sul futuro della nota bottega, discussioni a cui sua madre non era solita prendere parte. Quando una sera, incuriosita, la piccola strega aveva domandato a Nadia perché non parlasse di lavoro con il padre e con il nonno, la donna le aveva sorriso e le aveva spiegato che in quanto Babbana non poteva saperne nulla, di bacchette.  Aveva poi sottolineato, dopo averle rimboccato le coperte e averle dato il bacio della buonanotte, che da quanto ne sapeva nessuna strega si era mai occupata della gestione della bottega.
Rimasta sola e avvolta dall’oscurità della camera, Renèe aveva stretto il suo coniglietto di peluche e aveva sollevato lo sguardo sulle stelline adesive luminose che costellavano il soffitto. In famiglia davano tutti per scontato che sarebbe stato suo fratello maggiore Achilles a lavorare con suo padre, un domani, ma all’improvviso la piccola strega si domandò se magari le cose avrebbero potuto prendere una piega diversa: a lei piaceva stare nel negozio del nonno. Magari un giorno avrebbe lavorato anche lei insieme a lui.
 
 
*

 
Seduta con le gambe esili accavallate e le mani curate, dalle unghie smaltate di un tenue rosa cipria, in grembo Renée teneva gli occhi scuri fissi su Asriel, Clodagh e James, in attesa.
Il suo piede destro continuava a colpire ritmicamente il pavimento, tradendo un’impazienza che Renée stava tentando di celare con non poca difficoltà: prima di lei era toccato a praticamente tutti gli altri passeggeri e col passare delle ore il suo nervosismo non faceva che aumentare.
“Allora Signorina Ollivander… può dirci perché sta viaggiando su questo treno?”
Renée si sentì quasi sollevata nel sentire Asriel rivolgerle finalmente la parola, e accennò un piccolo sorriso mentre si metteva dritta sulla sedia, rispondendo prontamente:
“Avevo del lavoro da fare in Germania, ci sono rimasta da fine novembre. Stavo andando a Nizza per poi raggiungere Parigi e infine tornare in Inghilterra con le mie sorelle.”
“Le sue sorelle abitano lì?”
“Tre di loro. La più piccola, Sadie, sta studiando per diventare Auror a Londra.”
“E che cosa ha fatto in Germania per quasi un mese?”
“Ho costruito delle bacchette per dei clienti tedeschi. Le creo su commissione per i clienti esteri. Potete scrivere a mio nonno, se volete avere conferma.”
“Lo faremo, e anche ad Achilles per assicurarci che sia vero anche il resto.”
Renée non si scompose, limitandosi ad annuire, anche se dovette trattenersi dal far notare che non era così stupida da mentire con un fratello al Dipartimento degli Auror che avrebbero potuto contattare in qualsiasi momento.
“Conosceva la vittima, Signorina Ollivander?”

 
*

 
Il momento dell’anno che Renèe preferiva in assoluto, da piccola, era il ritorno a casa dei suoi fratelli per le vacanze estive. Nora e Nova, le sue sorelline di quattro anni, non le erano di grande compagnia: Renèe trovava giocare con loro terribilmente noioso,  non facevano che spazzolare i capelli alle loro bambole e a cambiarle. E poiché l’ultimogenita, Sadie, aveva solo due anni e voleva stare sempre e solo con la madre Renée era sempre piuttosto impaziente di accogliere suo fratello Elian quando il ragazzino faceva ritorno da Hogwarts.
“Che cosa hai imparato? Fammi vedere!”
Un largo sorriso sul volto pallido e gli occhi scuri luccicanti, Renèe saltellava impaziente attorno al fratello prediletto mentre Elian, sbuffando, scuoteva la testa con pazienza:
“Non posso, se faccio magie rischio di essere espulso. Però posso farti vedere la bacchetta.”
Sorridendo orgoglioso, Elian mostrava la bacchetta che aveva aiutato suo nonno a creare alla sorellina, che la prendeva piena di entusiasmo. Capitava spesso, quando suo padre era immerso nel lavoro, che i due rubassero la bacchetta di Oakley per far sì che Elian potesse insegnare alla sorellina alcune delle semplici magie che aveva imparato durante il suo primo anno ad Hogwarts.
 
“Con te mi diverto molto di più che con Corinne… lei sta sempre con la mamma a guardare vestiti o a cucire. La mamma ha provato a insegnarlo anche a me, ma non so se sono capace.”
Con quelle parole Renèe mostrava scettica al fratello le dita piene di cerotti per colpa della sua scarsa capacità di maneggiare l’ago, sbuffando e facendogli la linguaccia quando il maggiore la derideva per la sua goffaggine.
“Non mi serve cucire, da grande farò e venderò le bacchette come il nonno insieme a te. O magari tu le farai e io le venderò. Il nonno dice che sono portata.”
Indispettita, la bambina parlava sollevando il naso per aria mentre il fratello, ridacchiando, le prendeva la bacchetta del padre dalle mani:
“Certo, non stai mai zitta… Intanto devi ancora imparare un semplice Wingardium Leviosa. Domani ci riprovi, adesso rimettiamola a posto prima che lo scopra.”
 
Renèe seguiva Elian fino al retro della bottega, infilando la bacchetta nella cartella di cuoio del padre senza farsi notare fantasticando sugli incantesimi che avrebbe imparato e su come, un giorno, si sarebbe resa utile nell’attività di famiglia. Corinne poteva tenersi ago, filo e i bei vestiti che le piaceva tanto provare e guardare insieme alle gemelle: a lei sarebbero bastate le celebri bacchette Ollivander.
 

*
 

 
Non proprio. A scuola non le ho mai rivolto la parola, anche se è difficile non ricordarsi di lei. Lavoriamo… o meglio, lavoravamo, in ambiti molto diversi e non ci ho mai avuto a che fare per motivi professionali. Leggevo di lei sui giornali e la incrociavo a Diagon Alley, nulla di più.”
“L’ha mai vista nel vostro negozio?”
“In un paio di occasioni è venuta a fare qualche domanda a mio nonno e a mio padre su certi meccanismi che regolano il comportamento delle bacchette, immagino per i suoi casi. Ma con me non ha mai parlato, io sono quasi sempre all’estero.”


Renée si strinse nelle spalle e Asriel annuì, esitando prima di riprendere a parlare:
“Una volta credo di aver sentito suo fratello dire, a proposito della vittima, che lei e una delle sue sorelle si frequentavano. Di chi parlava?”
“Immagino di mia sorella maggiore. Corinne è una sarta e le vendeva molti vestiti.”
“Quindi non si riferiva a lei, parlando di una delle sue sorelle?”
Quell’insinuazione la colpì e per la prima volta una vera e propria emozione si palesò sul volto pallido di Renée, che tirò le labbra sottili in una smorfia: lei, amica di Alexandra?
“Merlino, no. Non ci ho mai avuto niente a che fare. Se non mi credete scrivete ad Achilles, vi confermerà che parlava di Corinne.”
Confuso, James smise di scrivere per lanciare un’occhiata perplessa a Clodagh: Corinne non era anche l’ex fidanzata di Alexandra? Sembrava che su quel treno tutti condividessero il nome con il fratello di qualche altro passeggero.
“Quindi lei e sua sorella erano amiche. Questo le ha permesso di conoscerla meglio?”
“Non direi. Mia sorella vive a Parigi, io viaggio molto, ci vediamo di rado. Negli ultimi anni devo aver incontrato Alexandra Sutton dal vivo poco più di un paio di volte.”
 

*
 

 
                                                          “Renèe? C’è tuo fratello, vuole parlarti.”
Ferma sulla soglia di una delle camere del Dormitorio femminile, lo sguardo di May indugiò sull’unico letto a baldacchino dove le pesanti tende scarlatte erano state tirate.
“Che cosa vuole?”
“Mi ha detto che dovevate vedervi mezz’ora fa e mi ha chiesto dove fossi. Te ne sei scordata?”
Inclinando leggermente la testa, May si avvicinò al letto fino a poter toccare le tende, tirandone un lembo per poter gettare un’occhiata sull’amica: non era da lei scordarsi un appuntamento con suo fratello, né tantomeno non voler parlare con Elian.
La ragazzina sedeva sul copriletto color cremisi a gambe incrociate e stringendo il suo cuscino tra le braccia, il mento appoggiato sulla federa bianca e un’espressione cupa sul viso.
“Che cosa è successo?”
“Niente, te lo dico dopo… vado da Elian, prima che inizi ad urlare dalle scale.”
Sbuffando piano, la giovane Grifondoro si alzò, scivolando fuori dal letto e rassettandosi distrattamente le pieghe della gonna della divisa prima di dirigersi verso l’uscio sotto lo sguardo dubbioso di May.
“Si può sapere che cos’hai? May dice che sei chiusa qui dentro da dopo pranzo.”
Come da previsione Renèe trovò suo fratello maggiore Elian – ormai giunto all’ultimo anno – seduto su una delle poltrone della Sala Comune con le braccia strette al petto e lo sguardo indagatore.
“Non ho un bel niente, solo non sto molto bene. Scusa se mi sono dimenticata, non volevo farti perdere tempo.”
Senza guardare il fratello, Renèe scivolò sulla poltrona più vicina alla sua e non aggiunse altro, reggendosi mollemente il capo con la mano e fissando assorta gli stendardi che aveva davanti.
Al maggiore, tuttavia, bastò una rapida occhiata per comprendere che cosa fosse preso alla sorella: cresciuto con ben quattro sorelle minori, Elian Ollivander poteva ormai considerarsi un esperto nel riconoscere una ragazzina nel pieno di una delusione amorosa.

“Renèe, smettila di piagnucolare e fare la bambina e dimmi che cosa c’è.”
“Non sono più una bambina.”

Di fronte allo sguardo torvo e offeso che ricevette dalla sorella Elian sorrise, lieto di essere riuscito ad attirare la sua attenzione mentre la giovane strega, sbuffando piano, abbassava lo sguardo sulla propria gonna tormentandone le pieghe con una mano:
“Pensavo di piacere a Ryan, ma Jake dice che era solo curioso sulla nostra famiglia. È perché siamo ricchi?”
“E stai piagnucolando per quel bamboccio? Renèe, la nostra è una famiglia molto nota e su cui girano tante storie… non penso che sarà la prima e ultima volta che ti capiterà di essere delusa dalle persone che ti circondano, ma non devi darci troppo peso. E neanche starci male, è solo un ragazzino idiota.”
“Non è un idiota, a me piaceva!”
Quando Elian simulò un conato di vomito Renèe lo colpì sul braccio con tutta la forza che i suoi tredici anni le consentivano, strappando al ragazzo una risata:
“Ma se non sa neanche allacciarsi bene la cravatta… Io e Achilles diciamo sempre che Corinne ha dei gusti orribili, ma neanche tu scherzi.”
“Neanche quello che piaceva a te a inizio anno si allacciava bene la cravatta.”
Il sorriso svanì rapidamente dal volto di Elian, che alle parole della sorella la guardò più serio che mai. Stava per aprire bocca per ammonirla quando la tredicenne, sorridendo, lo precedette:
“So che non vuoi che lo dica a nessuno. Prometto che non lo farò, se la smetterai di prendermi in giro.”
“Lo farò quando la smetterai di disperarti per dei ragazzini idioti. Vieni, andiamo a cercare Ryan… posso metterlo in punizione, se ti va.”


Per Elian quello era l’ultimo anno ad Hogwarts, mentre la sua sorella prediletta ne aveva ancora quattro davanti a sé. Mentre lasciavano la Sala Comune e Renèe lo implorava di non immischiarsi, il ragazzo le circondò le spalle con un braccio chiedendosi come se la sarebbe cavata da sola la sorella a partire dall’anno successivo: aveva la netta sensazione che ci sarebbero stati altri Ryan nel futuro di Renée.
 

*

 
“L’aveva vista, sul treno?”
“Devo averla vista a cena, ma non me ne sono curata particolarmente… Come ho detto, non avevamo nessun tipo di legame. Ho incontrato May Hennings sulla banchina, prima di salire, non ci vedevamo da parecchio e ho parlato con lei tutta la sera, non ho prestato molta attenzione ad Alexandra. Immagino che anche lei viaggiasse spesso per lavoro, quindi la sua presenza non mi ha particolarmente stupita… e credo che mia sorella una volta abbia detto che aveva una casa in Costa Azzurra.”
“Quindi non vi siete rivolte la parola?”
“No.”
“È sicura?”
“Sì. mi avete forse vista parlarle, o qualcuno ve lo ha riferito?”
Renée parlò inarcando un sopracciglio con evidente scetticismo e Asriel, dopo una breve esitazione, negò pacatamente.
“È rimasta con la Signorina Hennings tutta la sera?”
“Abbiamo cenato insieme e poi siamo rimaste un po’ nella mia cabina… ci siamo fatte portare qualcosa da bere, abbiamo chiacchierato, poi lei è andata a dormire e io ho fatto altrettanto. È tutto.”
“Che ora era?”
“Le undici passate, prima di mezzanotte.”
“La sua cabina è vicina a quella della vittima. Ha sentito niente di strano quella notte?”
“Ho dormito fino al mattino, non mi sono mai svegliata. Non ho sentito nulla.”
Asriel si voltò verso James, che annuì come a voler dire di aver scritto tutto. Restare chiusi dentro quel treno, fare continuamente le stesse domande stava diventando sempre più estenuante. L’anglo-tedesco – così come, ne era sicuro, anche i suoi colleghi – moriva dalla voglia di mettere fine a quegli interrogatori e, se possibile anche alle indagini. Disgraziatamente la vittima aveva del tutto l’aria di qualcuno che in molti potevano voler vedere morta.
“Se non ha altro da dirci può andare. Se avremo altre da chiederle glielo farò sapere.”
 
Un minuto dopo, quando Renée fu uscita dalla stanza, Clodagh allungò istintivamente verso Asriel il sacchetto di noccioline che non avevano finito prima di parlare con Clara:
“Noccioline?”
“Una vagonata. Dopo ricordatemi di dire allo chef che per cena voglio l’hamburger più grande che abbia mai cucinato. Manca De Aureo, gli parliamo stasera o domani mattina?”
Sbuffando – e per nulla invogliato ad intavolare l’ennesimo interrogatorio, soprattutto con un tipo così bizzarro – Asriel affondò la mano nel sacchetto mentre Clodagh ne lanciava un altro a James, che lo aprì stringendosi nelle spalle:
“Stasera, almeno ci leviamo il pensiero. Anche se penso che ci prenderà parecchie energie.”
Dubbiosa, Clodagh lanciò un’occhiata in tralice ad Asriel, certa che per fargli affrontare l’interrogatorio con Prospero avrebbero avuto bisogno di molte, moltissime noccioline.
Mentre sgranocchiava noccioline James si ricordò, all’improvviso, di qualcosa che Prospero De Aureo gli aveva dato mentre andava a chiamare Renée: lo aveva incrociato in corridoio insieme a Delilah Yaxley, impegnati a discutere sull’effettiva utilità delle forcine per capelli per aprire le serrature. Tirata fuori una rivista, il giovane Auror sorrise allegro ai colleghi:
“Vi va di fare il test “Quale pizza sei”?”
 
 
*

 
Sua madre era andata a fare visita alla boutique di Corinne per ritirare il vestito che si era fatta confezionare per Natale, e aveva trascinato con sé anche Renée. La giovane aveva cercato di rifiutarsi, ma la madre aveva insistito, sottolineando che viaggiava sempre con Elian per promuovere e vendere bacchette e che ormai le sue sorelle non le vedeva praticamente mai.
Nadia non aveva torto, ma Renée si era dovuta trattenere dal farle sapere che a lei le cose andavano benissimo così come stavano: vedeva Corinne praticamente solo a compleanni, Natale e Pasqua, ed era più che abbastanza. Senza contare che la sua amorevole sorella maggiore non perdeva mai l’occasione di fare commenti più o meno taglienti sul suo abbigliamento e di ricordare a tutti che Renée non aveva mai acquistato un abito da lei.
Era la verità: Renée avrebbe digiunato per due giorni piuttosto che farsi confezionare un vestito da sua sorella.
Mentre Nadia – visibilmente felice di essere tornata brevemente in Francia e di poter fare una compere a Parigi – chiacchierava con Nova e Nora, Renée curiosava pigramente in giro, facendo di tutto per evitare le sue sorelle e per non restare intrappolata in domande imbarazzanti sulla sua vita privata. Sembrava che tutte le sue sorelle, a parte la piccola e innocente Sadie, non perdessero mai l’occasione per chiederle come mai non avesse un fidanzato.
Stava osservando schifata un orrendo abito verde pisello – ma a quale essere umano poteva donare un colore simile? – quando sentì la voce della sorella maggiore e quella di un’altra donna che non riconobbe.
 
“Continuo a leggerne sulle riviste, sai? Ne parla mezza comunità magica qui. Lei e la sua famiglia sono molto famosi.”
“Lo so.”
Accigliata, Renée si chiese con chi stesse parlando sua sorella: era raro sentire Corinne parlare in inglese con delle clienti. Anzi, la strega adorava sfoggiare il suo finto accento francese persino quando tornava in Inghilterra per le feste.
Avvicinandosi leggermente al bancone senza farsi notare – per lo meno tutti quei vestiti servivano a qualcosa – Renée scorse sua sorella parlare con un’alta strega dai lunghi capelli biondo grano. Mentre Corinne parlava sporgendosi sul bancone con i capelli biondi che sfioravano la superficie di quarzo, la sua cliente britannica stava di profilo e indossava due vistosi guanti di pelle color cremisi.

Riconoscerla non fu difficile, dal momento che negli ultimi mesi l’aveva visto spesso sulla Gazzetta del Profeta. Anche se viaggiava spesso, a Renée piaceva tenersi informata e a aveva anche seguito diversi dei suoi casi… per non parlare di quella fastidiosa e totale ammirazione che sua sorella provava per lei: adorava la sua celebre amica tanto quanto detestava la sua stessa sorella minore, e parlava di lei tanto spesso da far sanguinare le orecchie a tutta la famiglia.
“Ho visto tua madre. È venuta a trovarti?”
Alexandra parlò scostandosi distrattamente i capelli dal viso, e Renèe poté vederla meglio mentre l’avvocato tamburellava distrattamente le dita sul bancone. Davanti a lei c’era una pila considerevole di porta abiti: doveva averne ordinati parecchi, ma Corinne diceva sempre che per il suo abbigliamento Alexandra non badava a spese.
“È venuta a prendere un vestito con mia sorella. Renée.”
Nel pronunciare il suo nome la voce di Corinne assunse un tono quasi amaro, e Renée accennò una smorfia con le labbra – che cosa avesse fatto per meritarsi quel disprezzo, a parte decidere di lavorare nell’attività di famiglia, non lo avrebbe mai compreso – mentre Alexandra, invece, pareva quasi divertita:
“Voi due litigate sempre?”
“Non esattamente. Ci sediamo ai lati opposti del tavolo e ci parliamo quando è strettamente necessario, nonno Garrick detesta che si litighi a tavola e cerchiamo di non farlo innervosire. Tu hai sorelle?”
“Grazie al cielo no. Il che è un bene, perché condividere non è mai stato il mio forte. Come sopravvivi con tutti quei fratelli?”
“I miei fratelli non sono un problema. Achilles ha la sua vita, Elian si fa gli affari suoi… Nora e Nova mi adorano e Sadie, la più piccola, è un vero tesoro. L’unica con cui non vado d’accordo è Renée, ma lei è la cocca di papà e di nonno Garrick, quindi…”
L’amarezza nella voce della sorella era papabile, e Renée dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non palesare la sua presenza ricordando alla sorella che non aveva mai chiesto di essere la preferita del nonno paterno: entrambe erano state libere di scegliere la loro strada, i loro genitori non avevano mai imposto nulla a nessun figlio.
“Beh, la tua famiglia ha un’attività di un certo livello, e suppongo che un giorno la gestiranno a tutti gli effetti Elian e Renée. È comprensibile che una prospettiva del genere facesse gola a tua sorella, di sicuro tuo nonno saprà a chi lasciare una buona fetta di eredità. Grazie per i vestiti, ci vediamo tra due settimane.”
Sportasi sul bancone, Alexandra e Corinne si scambiarono il consueto doppio bacio sulle guance alla francese mentre Renée, circondata da tutti quei bei vestiti, quasi stentava a credere alle sue orecchie: il suo pensiero non era mai stato quello dell’eredità. L’attività di famiglia l’aveva sempre affascinata, ma non per il denaro. Chi era quella spocchiosa Alexandra Sutton per fare certe insinuazioni sul suo conto?
 
La campanella sull’entrata aveva appena tintinnato quando Renée, incapace di resistere, quasi si gettò sul bancone e sulla sorella maggiore, guardandola furiosa:
“Quindi è così? Ti fai mettere idee in testa da una sconosciuta?”
“Stavi origliando? Che cos’hai, 8 anni? Cresci e fatti gli affari tuoi, Renée. E Alexandra è una mia amica.”
“Bell’amica! Non mi conosce, che cosa ne sa di quello che faccio e che cosa voglio? Se sei gelosa è un tuo problema, ma evita di farti mettere idee in testa sulla tua stessa famiglia da gente che non ne sa nulla. Dei soldi non mi interessa, ma immagino che parli per esperienza personale, vista la sua parcella.”

Corinne sospirò e le diede le spalle, allontanandosi a passo svelto come se stesse cercando di ignorare un insetto fastidioso, ma Renée non demorse e la seguì senza smettere di dar voce ai propri pensieri:
“Hai mai pensato che forse è amica tua solo per la famiglia di cui fai parte? Magari estorcere qualche segreto interessante su come si costruiscono le bacchette, o come reperire il tanto costoso crine di unicorno. Sono sicura che le farebbe comodo, dovrà pur pagarsi questi bei vestiti in qualche modo.”
“Finiscila. Parli di cose che non conosci, come sempre.”

“Ma hai visto che cosa ha fatto alla famiglia della sua ex fidanzata? Immagina che cosa farebbe a te! Non ha nessun riguardo.”
Corinne continuò ad ignorarla, allontanandosi verso la madre e le sorelle minori, che stavano esaminando un modello verde petrolio ancora incompiuto. Questa volta Renée non la seguì, limitandosi a guardarla sorridere a Nadia e prenderla affettuosamente sottobraccio prima di iniziare a scherzare con lei e con le gemelle. In qualche modo Renée si era sempre sentita un po’ tagliata fuori da quella sorta di legame esclusivo che quelle quattro, simili sotto molti aspetti, avevano.
Sbuffando, la giovane strega girò sui tacchi e si allontanò cercando di rincuorarsi al pensiero di rivedere May il giorno dopo e di stare un po’ con suo nonno e con Elian durante le feste. Anche se si rifiutava di ammetterlo Corinne era semplicemente gelosa di lei, ma non aveva nessuna intenzione di inseguire o di cercare di riparare un legame inesistente.
 

*

 
Congedata dagli Auror, Clara non aveva trovato Corinne seduta dove l’aveva lasciata – e nemmeno Loki, tanto che la strega sospirò al pensiero di quanto avrebbe dovuto dannare per trovare il gatto, che era ancora offeso dopo il cappellino da Babbo Natale che gli aveva fatto mettere – e così era andata a cercarla nella sua cabina. Aveva bussato alla porta, e non ottenendo alcuna risposta non aveva faticato ad immaginare dove potesse essere: recuperati cappotto e guanti dalla sua cabina, Clara si era diretta verso la terrazza esterna del treno, ed era esattamente lì che aveva trovato la sua amica.
Con sua scarsa sorpresa Corinne non era sola: impegnata a fumare, l’ex fantina stava parlando con uno dei passeggeri inglesi, anche lui con una sigaretta in mano.
Oltre a loro, leggermente in disparte e appoggiato alla ringhiera di metallo, c’era lo chef del treno, leggermente imbronciato e fumando a sua volta.
Cercando di non pensare a quanto fumo passivo avrebbe inalato uscendo su quella terrazza, Clara li seguì e rivolse un sorriso allegro allo chef:
“Ma salve. Giurerei di averla vista in cucina poco fa.”
“Magari non ero io.”
“Sì, magari non era lei… probabilmente un altro chef alto come lei e con occhi chiarissimi, del resto ce ne sono tanti su questo treno.”
Clara fece spallucce e Ruven, colpito e affondato, borbottò qualcosa a mezza voce:
“Non volevo farmi gli affari altrui, ho solo trovato strano che le avessero dato la bacchetta. Che cos’era quella cosa strana?”
Ti hanno dato la bacchetta? Perché?”
Accigliandosi, Corinne smise di parlare di cavalli alati e di gare con Lenox per rivolgere la sua attenzione sull’amica, che però di nuovo si limitò a stringersi nelle spalle:
Mi hanno chiesto di esaminare una cosa Coco, se la sono subito ripresa.”
“Non ci capisco niente se parlate in francese.”
Ruven sbuffò sonoramente – appuntandosi mentalmente di non andare a lavorare più in treni che ricoprivano tratte in quel Paese, ne aveva le tasche piene di passeggeri che non sapevano l’inglese e con cui doveva comunicare a gesti – e Lenox, guardandolo, si trattenne dal proporsi gentilmente di tradurgli, ricordandosi appena in tempo che così facendo avrebbe fatto sapere a Clara e a Corinne di aver compreso perfettamente la loro recente conversazione in quello stesso luogo.
Fortunatamente a fare da interprete ci pensò Corinne, che senza battere ciglio gli tradusse in tedesco ciò che lei e l’amica si erano appena dette.
“Penso che lei sia la prima passeggera francese che parla tedesco di questo treno. Che cos’era quella sfera inquietante?”
“Credo sia meglio che non si sappia, a dire il vero.”
Accigliata, Clara si sistemò i guanti ripensando a ciò che le avevano dato da esaminare gli Auror: non sapeva come fosse finita sul treno, ma di sicuro non aveva intenzione di seminare ulteriore panico tra gli altri passeggeri.
“Clara, ora sono curiosa, devi dirmelo!”
“Ma anche io voglio saperlo! Se lo dice a lei deve dirlo anche agli altri.”
Spenta nervosamente la sigaretta sulla ringhiera e gettata sulla neve, Ruven incrociò le braccia al petto e scoccò un’occhiata di sfida a Corinne, che però non si scompose particolarmente e continuò a prendere boccate:
“Beh, io sono sua amica da più di quindici anni, si metta in fila.”
“E io sono quello che sfama tutti, come la mettiamo?”
“La sua cucina è eccezionale ma sapremmo sfamarci anche senza di lei, Chef. Cioè, io no, ho sempre avuto qualcuno pronto a cucinare per me, ma Clara sì e di sicuro non mi farebbe morire di fame.”
Corinne accennò all’amica stringendosi nelle spalle mentre Lenox, dietro di lei, rifletteva su quale potesse essere la propria utilità sul treno, ma dovette tristemente giungere alla conclusione che non gli venne in mente granché.
“Beh… io conosco bene Asriel, magari lui me lo direbbe.” 
Lenox sorrise allegro e Corinne, sbuffando, gesticolò animatamente verso di lui con la mano che reggeva la sigaretta accesa:
“E allora che aspetta, vada a chiederlo al suo amico!”
“Ma non posso, starà interrogando la Signorina Ollivander… e di sicuro non voglio interromperlo mentre lavora, ci tengo alla mia salute.”
Rabbrividendo solo immaginando a quale destino sarebbe andato incontro interrompendo il lavoro di Asriel, Lenox si strinse istintivamente nel cappotto blu notte che indossava mentre Clara si rivolgeva a Ruven con tono cantilenante:
“Magari se mi prepara qualcosa di buono le dico che cosa succede…”
“Stasera a cena c’è la Tarte Tatin per dessert.”
A quelle parole il volto di Clara si illuminò e la strega, sorridendo, guardò lo chef con occhi scintillanti:
“Dice davvero? Me ne tiene da parte una fetta extra?”
“Forse, ma alla minima critica la do al gatto, è avvisata.”
 

*

 
“Questa lavagna è tutta traballante… non potevate evocarne una di più stabile, almeno?”
Armeggiando con le gambe instabili della lavagna, Asriel sbuffò mentre Clodagh dava da mangiare a Zorba e James era impegnato a mettere delle crocette su una rivista con una delle sue matite natalizie:
“Asriel, non sfogare la tua frustrazione su Geraldine, non ti fa bene.”
“Qualcuno mi spiega perché una lavagna deve chiamarsi Geraldine? È un nome orrendo.”
“Ehy!”  A quelle parole Clodagh, sollevato di scatto lo sguardo da Zorba – che continuava a strusciarsi sulle sua gambe girandole intorno –, si rivolse in tono d’accusa verso il collega incrociando persino le braccia al petto e scoccandogli l’occhiata più torva di cui era capace:
Mia nonna si chiama Geraldine!”
“Cazzo, è vero… Scusa Clo, me l’ero scordato. Geraldine è un nome assolutamente meraviglioso.”
Il sorriso di scuse dell’amico fece sbuffare la strega, che si chinò per dare una grattatina sulla testa di Zorba senza smettere di guardarlo di traverso:
“Vorrei ben dire. E tua nonna come si chiama, visto che hai tanto da criticare?”
“Mia nonna paterna si chiamava Adelfriede…”
“Ah, beh, certo, questo sì che è un gran bel nome… ti dà proprio l’idea di qualcuno pronto ad invadere la Polonia…”
Mentre Clodagh – borbottando in gaelico – sedeva sul letto per rileggere il resoconto dell’interrogatorio di Renèe, Asriel si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a rivolgersi, invece, in direzione di James, presissimo dalla sua rivista: di discussioni su quanto ciascuno trovasse, rispettosamente, orrendi i nomi irlandesi e quelli tedeschi i due ne avevano già avute un’infinità, e decise di lasciar perdere.
“James, ti dispiacerebbe lasciar perdere quella rivista e aiutarmi e controllare le informazioni che ci hanno mandato quegli inetti dei nostri colleghi?”
“Ma sto finendo il test “Che tipo di patata sei”…”
“Ma dove l’hai presa?”
“Me l’ha data Prospero.”
“Sfere contenenti antiche maledizioni misteriose, riviste inutili pieni di test da bambine di sei anni… c’è qualcosa che quel tipo non si porta in valigia?!”
 
“Ro, ce l’hai un piede di porco? Abbiamo una serratura da scassinare.”
“Cavolo, l’ho lasciato in valigia! Però ho un coltellino svizzero, prova con questo.”

 
Sollevato di essere risultato una patatina fritta riccia (non avrebbe retto la delusione di risultare una comunissima patata lessa) James abbandonò la sua rivista sulla poltrona per andare ad aiutare Asriel, rovistando nello scatolone alla ricerca del fascicolo su Renèe.
“Eccolo! Mi sembra sottile, evidentemente non hanno trovato un granché.”
Incuriosito, James lo aprì sedendo sul bordo del letto di Asriel, che si vide costretto ad imitarlo: quando si ritrovavano tutti e tre nella cabina con tanto di Geraldine, l’Auror non sapeva mai dove mettersi.
“Dimentichi che al Dipartimento ci lavora anche suo fratello Achilles… spero vivamente che Potter abbia avuto il buonsenso di tenerlo lontano da una raccolta di informazioni sulla sua sorellina, ma da uno che si è imboscato nella Foresta Proibita a 12 anni seguendo ragni non mi aspetto granché.”
Asriel si sporse verso il collega per leggere il contenuto del fascicolo di cartoncino marrone da sopra la spalla di James mentre Zorba gli saltava in grembo per acciambellarsi sulle sue ginocchia.
“C’è la sua pagella dei MAGO e dei GUFO… Ricordo che era una delle migliori del nostro anno, prendeva voti davvero altissimi. Ci sono un mucchio di vecchi articoli della Gazzetta del Profeta su di lei, pare che sia la prima strega ad avere un ruolo così in primo piano negli affari della sua famiglia.”
“Siete dello stesso anno. Per caso ricordi se ha mentito riguardo ad Alexandra e se le hai mai viste insieme ad Hogwarts?”
“In realtà no, ma io e Renèe non siamo mai stati amici… e poi Alexandra era parecchio più avanti di noi, a scuola quattro anni sono un vero e proprio abisso.”
“Ha ragione. E Alexandra non era tipo da considerare gli studenti più piccoli, a meno che non le potessero essere utili a qualcosa. Renèe veniva da una famiglia famosa e interessante, ma penso che Alexandra la vedesse solo come una ragazzina. Rivolgeva a malapena la parola a noi, che avevamo solo un anno in meno di lei.”
Clodagh alzò lo sguardo dal resoconto dell’interrogatorio di una dei passeggeri più giovani accennando una smorfia con le labbra nel ricordare l’atteggiamento di superiorità che la vittima era solita sfoggiare nei corridoi. Non l’aveva mai potuta sopportare.
 
“Qui c’è un articolo con delle parti sottolineate…”
“Un’intervista ad Alexandra? Solo quella deficiente della Skeeter poteva scriverla, mi chiedo chi abbia corrotto o incantato per lavorare ancora in una redazione.”
“Ce l’hai con lei per quella volta in cui ha scritto del processo di Gustav Eriksen sottolineando il modo in cui i tuoi muscoli si tendevano sotto la giacca del tuo completo, parlando dei tuoi begli occhi e ignorando il nostro duro lavoro per acciuffarlo?” 
Clodagh parlò sbattendo vistosamente le ciglia e con un tono civettuolo che poco le si addiceva, ridacchiando quando il collega grugnì qualche insulto in tedesco prima di borbottare sommessamente: una delle cose che Asriel non tollerava era quando le persone si concentravano più sul suo aspetto che sul suo rendimento professionale.
“Dovevo immaginarlo che si era seduta dietro di noi per un motivo… Megera pitonata.”
“Credo che la borsa fosse di coccodrillo.”
“Sempre uno schifo era, e sempre di rettili orrendi si parla. James, tralasciando la Skeeter, hai letto di che cosa parla?”
“Sì, la nostra cara Rita ha chiesto ad Alexandra dove comprasse tutti i suoi abiti meravigliosi – Asriel sospirò rumorosamente, chiedendosi perché mai si dovesse fare una domanda così assolutamente inutile ad un’intervista ad un avvocato brillante – e lei ha risposto che gran parte sono fatti su misura da una sua amica che fa la sarta in Francia… Corinne Ollivander.”
“Almeno sappiamo che Renée non ha mentito. C’è qualcosa su questa Corinne?”
“È la sorella maggiore di Renèe e ha studiato a Beauxbatons. Ha 27 anni.”
“Allora forse le nostre passeggeri francesi la conoscono. Pare che dovremo convocarle di nuovo.”
“Ne saranno estasiate…”
 

*
 

 
“Fammi indovinare, l’idea del panino l’hai suggerita tu a Clodagh e a James.”
“Non so di che panino parli, ma spero che fosse di tuo gusto.”
Sorridendo allegro, Lenox allungò una sigaretta ad Asriel, che però la rifiutò con un educato cenno della mano. Poco prima Clodagh e James lo avevano incastrato ad una specie di estenuante e raccapricciante presentazione sugli effetti nocivi del fumo usando Geraldine, e ora gli era scaduta persino la sola sigaretta al giorno che di norma si concedeva.
“Estremamente di mio gusto. Tu pensa, era il mio preferito.”
“Che bella coincidenza!”
“Oh sì, una vera coincidenza. Ho un vago ricordo di qualcuno che, finita la finale del VI anno, corre da me con quello stesso panino in mano. Non è che per caso eri tu?”
Asriel continuò a parlare senza guardare l’ex compagno di scuola, potendo comunque immaginare chiaramente il suo sorriso prima che Lenox parlasse con il tono più vago di cui era capace:
“Non mi ricordo di quella finale, se devo essere sincero. Perdeste?”
“Già. Sai Lenox, penso davvero che sarai un ottimo avvocato.”
Lenox non rispose, però sorrise comunque: da quando Amelie non faceva più parte della sua vita, era difficile trovare qualcuno che credesse nella sua carriera forense. Ancora stentava a credere che stesse finalmente per avere inizio.
“Magari ti troverò in aula coinvolto in qualche caso a cui avrò lavorato, chissà. Ma non metterti a difendere quelli che arresto come faceva Alexandra, o un panino non riuscirà a salvarti.”
 
 
 
(1): “Pagherei oro per avere la tua vita”
(2): “È interessante da leggere?”



 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buonasera a tutti.
So che probabilmente avete pensato che fossi sparita dalla circolazione e mi scuso tantissimo per questa lunga attesa, ma devo dire che una pausa estiva mi ci voleva.
Una nota veloce per informarvi che Finn è stato regredito al ruolo di personaggio secondario, temo di non avere modo di eliminarlo nel vero senso della parola in un contesto simile e smettere di menzionarlo arrivati a questo punto non avrebbe alcun senso rispetto alla trama. Ergo, Finn verrà menzionato e apparirà a seconda delle esigenze narrative ma non avrà più spazi dedicati esclusivamente a lui.
Sperando di non dover allungare la lista dei personaggi falciati – già dovendo “eliminare” Finn mi trovo in difficoltà per motivi narrativi, ma ormai ci sono abituata a dover modificare le idee mentre una storia è in svolgimento – ringrazio come sempre tutti quelli che hanno commentato e invito chi non si fa sentire spesso a palesare la propria presenza. Anche ricevere un commento in privato e non per forza una recensione sarebbe cosa gradita, altrimenti poi non venite a lamentarvi se il vostro personaggio non è troppo presente.
Detesto risultare pesante e sono sempre estremamente gentile e comprensiva, ma ci sono persone che metà delle volte non mi hanno nemmeno mandato i voti, attività per la quale era necessario spendere circa 5 secondi di tempo e un quarto di caloria. Evidentemente lo sforzo che chiedo è troppo eccesivo, ma mangiatevi un KitKat e vi assicuro che recupererete subito le forze dopo questo abissale impiego di energie.
Per quanto riguarda il Camp: salvo picchi di ispirazione e produttività improvvisi temo che aggiornerò dopo il 17, superato lo scoglio di un esame. Il 22 ho un intervento quindi spero di aggiornare nella finestra tra le due date.
Buona serata e a presto, spero, con il capitolo di Ro Ro.
Signorina Granger
   
 
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