0: Il Matto – Dialogo con la follia
Si
porta una mano alla bocca e l'odore della morte si
fa più forte. Abbassa gli occhi e l'unico colore che vede
è il cremisi. Non
ricorda cos'ha fatto, perché ha le mani sporche di sangue?
Si
guarda intorno, ma non riconosce dov'è e la poca
luce delle stelle non aiuta. È tutto così
familiare che un senso di nausea lo
pervade, eppure non riesce a dare un nome a quel luogo. Non riesce a
ricordare.
La sua mente è una tela bianca in attesa di essere dipinta.
In attesa che i
suoi ricordi sboccino come macchie di vernice.
Ma
non arrivano e il bianco rimane.
Un
rantolo attira la sua attenzione.
Strizza
gli occhi nelle tenebre, avanza di qualche
passo, a tentoni, e inciampa. Il dolore al ginocchio sopprime qualsiasi
altro
senso e per un lungo attimo rimane carponi su se stesso, i denti
digrignati,
l'articolazione pulsante.
Di
nuovo il rantolo, questa volta più vicino, simile
al fischio di un mantice.
Allunga
una mano e sfiora qualcosa di viscido e caldo,
come un lembo di stoffa zuppo di acqua melmosa. Lo afferra e si rende
conto che
si tratta di un arto, forse una gamba. Un nodo alla gola gli sopprime
il fiato,
mentre tasta alla cieca in direzione del viso. Se è una
persona, forse ha
bisogno di aiuto.
Una
lama bianca taglia le nuvole sopra di lui e
illumina la tunica scura del Gran Sacerdote, il volto esangue solcato
da
profonde rughe e i lunghi capelli di neve. Nel mezzo del petto, il blu
dell'abito ha assunto tonalità più scure;
tutt'intorno una pozza cremisi
macchia la pietra bianca.
«Sa…ga…»
Saga
afferra la mano dell'uomo e la stringe tra le
sue.
«Non
parlate, vi prego» mormora, «siete ferito, non
dovete sforzarvi. Al Grande Tempio vi salveranno, ma voi dovete
resistere. Vi
scongiuro.»
Il
Gran Sacerdote stringe appena le dita intorno alla
sua mano, il suo volto assume un'espressione triste. Mormora qualcosa
che Saga
non comprende, poi la sua forza si fa sempre più debole
finché anche il respiro
ansimante non cessa. Gli occhi vitrei fissano il cielo nero della notte
senza
vedere più nulla.
Saga
lascia andare la sua mano e si alza, gli occhi
sgranati non riescono a spostarsi dal corpo senza vita del Gran
Sacerdote. Perché
gli viene da vomitare? Perché ha il desiderio di strapparsi
la pelle di dosso?
L'abbiamo
ucciso.
Saga
sussulta, si volta, ma non c'è nessuno. Eppure ha
udito una voce, ne è certo, gli risuonava in testa come
se…
Come
se fosse parte di sé.
«No
no no no no» mormora. «È tutto
sbagliato! Io non…»
Si porta le mani ancora macchiate alla testa, affonda le unghie nella
cute. «Cosa
ho fatto? Cosa ho fatto?»
Ci
siamo intrufolati qui apposta per
coglierlo alle spalle. L'Altura delle Stelle è un luogo
vietato anche per noi.
«Bugiardo!
Questa non…»
La
voce gli muore in gola, nel momento in cui si
guarda intorno e realizza che si trova davvero sull'Altura delle
Stelle. Che
forse quella piccola voce che gli risuona in testa da quando ha
rinchiuso Kanon
a Capo Sounion ha ragione.
L'hai
ucciso. Abbiamo fatto ciò che
dovevamo. Noi dovevamo essere il nuovo Gran Sacerdote, era un nostro
diritto!
Non Aiolos, ma noi!
«No!»
urla. La sua voce si perde nelle tenebre. «No,
tu sei pazzo! Sei un folle! Non era un nostro diritto!»
Non
siamo forse adorati al pari di un dio?
Non siamo forse più intelligenti e forti di Aiolos? Non
siamo forse i migliori
tra i Santi d'oro?
Sprazzi
di ricordi sbocciano sulla tela bianca della
sua mente: il volto sorpreso di Shion, la sua mano tesa verso di lui in
un
gesto accogliente. Un'altra mano che stringe la daga sacra celata
dietro la
schiena, il rumore delle ossa spezzate e della carne dilaniata nel
momento in
cui affonda. E il sangue che gli cola sul braccio, viscido e caldo,
mentre il
silenzio è squarciato da una risata folle.
«Oh
Atena, perdonami» mormora Saga, gli occhi fissi
sulle proprie colpe; lacrime calde stillano dai suoi occhi.
«Perdonatemi tutti.
Non volevo, io non volevo, lo giuro...»
Bugiardo!
Lo abbiamo sempre desiderato, la
sua morte, la morte di Atena, il mondo nelle nostre mani. È
un nostro diritto,
noi siamo Dio, siamo Giustizia! Shion era uno stupido e ha meritato la
morte!
Saga
scuote il capo, le dita che affondano nel cuoio
capelluto e strappano capelli.
«Non
è vero, non è vero! Io non ti conosco, tu non sei
me, io non sono…» Si morde il labbro.
«Fuori dalla mia testa, fuori!»
Una
risata violenta risuona nelle orecchie, gli occhi
si asciugano da tutte le lacrime che ha versato. Un sorriso ebbro gli
distorce
il volto, le dita abbandonano la sua testa. Di nuovo quella risata, ma
questa
volta non è più confinata nella sua mente.
Serra
i pugni e si rialza in piedi, raccoglie la daga
dal pavimento e la cela di nuovo dietro la schiena.
Non
puoi farlo, non puoi macchiarti anche
del suo sangue. Fermati, finché sei in tempo! Torna sui tuoi
passi.
Invece
può, e niente, nemmeno quella stupida e debole
voce che gli risuona in testa, potrà fermarlo. Ha ucciso il
Gran Sacerdote,
adesso è il turno di uccidere Atena.
«Il
mondo, ormai, appartiene a me.»