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Autore: robyzn7d    04/10/2021    6 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XVII
Il sofferente codice di uno spadaccino 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le sue dita sfioravano impazienti i vetri del logpose. 
Nemmeno lo sapeva il motivo preciso per cui non vedesse l’ora di sbarcare. Forse sentiva la necessità di fare spazio, di mettere una distanza tra lei e quei sentimenti che ora avevano preso la forma di un volto. 
Seduta sugli scalini che conducevano al ponte, Nami era sicura che si trovassero in prossimità di un’isola che tutt’al più avrebbero raggiunto il giorno seguente. Aveva avvertito immediata il capitano che, più impaziente di lei, già fremeva e, nella sua immaginazione, banchettava. 
 
Aveva la bocca ancora indolenzita per la violenza passionale di quel bacio. E pensava di essere ripetitiva verso sé stessa se si sentiva ancora stupita di avere perso il controllo in quel modo; testarda di rivivere quegli attimi in continuazione nella sua testa, quasi analizzandoli in ogni dettaglio, e questo fin da quando si era risvegliata quella mattina con il profumo di Zoro nelle lenzuola. 
Si chiedeva se tutto quello fosse giusto, agire di impulso, stare così tanto a contatto con lui. In fondo il futuro riguardava il futuro, quindi era davvero così necessario affrettare i tempi? 
Non era da biasimare comunque, i dubbi che aveva avuto e che, in parte, ancora aveva, erano leciti. Ma almeno stava iniziando ad abbracciare l’idea che non doveva vederci nessuna connotazione negativa in quel presente e, se ci fosse riuscita, anche in quel futuro. 
 
Quel bocciolo che stava nascendo, anzi crescendo, sarebbe diventato Amore, o lo era già? 
Lei conosceva l’Amore, quello che provava tutti i giorni. Ma con quel bacio - quei baci -  si stava aprendo una porta nuova, non per forza che significasse più amore di quello che viveva per i compagni, per sua sorella, per sua madre, ma racchiudeva qualcosa, non solo di irrinunciabile ma anche inestimabile. Per lei, che capiva subito quando aveva tra le mani qualcosa di unico, un pezzo grosso di enorme valore. 
Più lo guardava, adesso, sul ponte che allenava Rin, e più ci vedeva la chiave per la sua stabilità, in lui, in lei con lui, in loro.
Nami non avrebbe mai potuto immaginare di trovarsi in quel genere di situazione proprio con Zoro. Soprattuto per quanto sentisse la cosa imbarazzante, ripensando a quel loro avvicinamento a cui lei aveva reagito come non si sarebbe mai aspettata di reagire. Aveva sentito così tante esplosioni dentro di sé, che ora non riusciva nemmeno a farci i conti. Ma finire a sbaciucchiarlo così, come una forsennata dagli ormoni e umore impazziti, era qualcosa su cui non avrebbe mai puntato. 
Ma la sorpresa più grande era stata lui, che non aveva saputo dirle no. Non si era rifiutato quell’effusione. Non si era privato di lei. 
Gli altri compagni avrebbero potuto dirle che era testarda, che ancora non capiva, ma erano loro a non capire. Zoro, il più inconquistabile dei guerrieri, il più indomabile, il più fiero, il più risoluto nel tenersi lontano dalle donne, non le aveva detto no. 
Lui che odiava prendere ordini da lei, e che invece poi faceva sempre tutto quello che gli comandava. 
Lei aveva un carattere forte, e riusciva a surclassarlo, è vero. Ma la verità suggeriva che in parte lui lo permetteva. Non poteva essere altrimenti. Un uomo tutto d’un pezzo, così forte com’era che si lasciava bacchettare. O c’era del masochismo in lui, o un significato legato a qualcosa di più profondo. 
Negli ultimi tempi poi, anche fin troppo permissivo, forse a causa dell’inaspettata questione Rin, la loro bambina capitata così tra capo e collo. 
Lo dimostrava il fatto che quella prima mattina libera l’aveva immediatamente passata ad allenarsi in palestra, facendo esercizi estremamente intensivi, nel suo privato, creando perciò una distanza evidente con tutti, e soprattutto con lei. 
Tutta quella faccenda lo aveva distratto dalla sua strada, dalla sua scelta di non avere una vita, poiché doveva dedicare ogni suo sforzo alla realizzazione di una promessa. 
Anche se il futuro suggeriva che in fin dei conti, una vita l’aveva pur sempre costruita. Chissà se questo lo aveva destabilizzato. 
Ma lei non poteva sapere tutto questo, perché ovviamente lui non le parlava di queste cose; “chiacchiere inutili” , così le avrebbe chiamate. 
 
Una folata di vento la raggiunse e fu fin troppo violenta per i suoi gusti. 
Quei due, per fortificarsi, stavano certamente esagerando con i movimenti. Erano delle tigri che prima aspettavano il momento giusto per attaccare, e quando lo facevano però, tutto si muoveva attorno a loro in maniera serrata, e quasi sfibrante. Anche lei veniva smossa, facendo parte di quel raggio d’azione. 
Sbuffò. 
È così che avrebbe passato il suo futuro: nel mondo delle spade? 
Perché sua figlia non era potuta essere invece una eccellente cartografa? Ma l’aveva vista Rin disegnare, ed era davvero negata.
Sbuffò di nuovo e poco velatamente, facendosi sentire di proposito. 
“SMETTILA DI DISTRARCI.” 
Sentì il verde lamentarsi mentre stavano danzando a colpi di spada a pochi centimetri da lei.
 
Zoro, si era occupato di Rin e aveva lasciato lei dormire quella mattina. Al suo risveglio, si era ritrovata sola nella stanza, ma ben avvolta in una coperta che non ricordava di aver usato. Ed era un miracolo, perché quando dormiva profondamente lui non sentiva nemmeno le cannonate o le tempeste abbattersi sulla nave in mare aperto. 
E avevano dormito insieme come fosse stata un’azione naturale. Non era successo niente tra loro quella notte, lui era sicuramente rimasto dove lo aveva lasciato. Non c’era altro uomo su cui ricacciasse in quel modo tutta la sua fiducia. Ogni giorno sembrava farsi sempre più calcata e nitida quella certezza. Stava prendendo la vaga forma di quella che sarebbe stata la sua vita. Non c’erano più da tempo i suoi mostri, non c’era più una maschera da indossare, c’era solo la bellezza da vivere, adesso. 
Nonostante fosse combattuta, e in preda ancora alle sue solite paranoie, il ricordo dell’altro bacio, quello più dolce, era riuscita a quietarla e a farla risplendere di umore migliore. 
Lui era stato volenteroso di essere gentile con lei in quel brevissimo istante. Quindi, se voleva, in qualche modo ne era capace. 
In ogni caso, Nami non distaccava gli occhi dal punto in cui quelle due due ombre si muovevano, agili e veloci, determinate e combattive. 
Lui era palesemente uscito dal caos di lei per un po’, e ora stava godendosi il suo habitat naturale. 
Quell’aria che sventolavano assomigliava ad un’onda d’urto che la investiva in pieno, e in quel frangente le piaceva farne parte. 
Eppure sembrava l’unica a riuscire a vedere o anche solo a percepire ogni cosa di quella bellezza. Nessuno sembrava veramente interessato da loro e al sentimento che sprigionavano nel suo cuore, e questo rese tutto ancora più unico. 
Usop pensava ai suoi esperimenti, trafficando con le sue amate boccette proprio lì accanto, lamentandosi ogni tanto perché padre e figlia facevano cadere a terra una delle provette; di vedetta invece c’era Rufy, anche se chissà quanto ci si poteva fidare della sua attenzione, visto che passava più tempo a seguire l’allenamento o disturbare il cecchino piuttosto che osservare l’orizzonte; e poi Brook che pescando canticchiava, accompagnando quel sottofondo monodico. 
 
“Sei distratta!” 
Si sentì vociare su tutto il ponte con tono severissimo. I due avevano lasciato le spade vere favorendo quelle di addestramento, costruite dal cecchino con la canna di bambù. Tutto per via del braccio ingessato di Rin, che stava sicuramente facendo una fatica del diavolo a muovere anche già quella con il solo sinistro.
Nami la vedeva affaticava mente sudava in continuazione sulla fronte, ma aveva già provato a mettersi in mezzo e impedirle di allenarsi, ma entrambi le avevano detto di non impicciarsi. Erano fatti della stessa pasta. 
E come avrebbe fatto lei, da sola, contro quei due, per tutta la vita? 
Sono stata debole ieri, fuori da quella taverna…’ le aveva detto la sua miniatura prima di iniziare l’addestramento, ‘una guerriera non sviene così facilmente’. 
Quelle parole l’avevano distrutta, perché lei si era sentita debole esattamente allo stesso modo. 
Aveva ragione allora Zoro, quando diceva che in Rin rivedeva lei. 
Parlava però come se fosse un’adulta. 
E parlava anche come il padre. 
 
“Sono questi capelli.” 
La sentì brontolare, mentre con la mano cercava di portarli lontano dal viso, ma fastidiosi le ricadevano addosso con velocità. 
Lo spadaccino fermò il nuovo attacco riversando la spada al pavimento e rimanendo immobile a qualche centimetro di distanza da lei.   
“Dovresti tagliarli!” 
Ma la sua postura da duro rimase in piedi per circa un secondo e mezzo, quando un pugno ben ponderato lo sbatté sul pavimento. 
“IDIOTA!” 
Aveva involontariamente provocato e fatto indemoniare la rossa. 
“PERCHÈ DIAVOLO L’HAI FATTO!” si lamentò, toccandosi il bernoccolo enorme sulla sua nuca con entrambe le mani. 
“Io non m’impiccio nel vostro mondo di spade, ma tu non t’azzardare ad impicciarti in tutto il resto!”  
Gli urlò, allungando il braccio verso Rin, per portarla via, “vieni con me tu.”
“MA CHE HO DETTO” 
Le ringhiò contro non capendola, esasperato da quei modi di fare violenti. “Anche tu portavi i capelli corti prima, qual é il problema?” 
La rossa si fermò immediata, squadrandolo malissimo, prima ancora di afferrare la bambina per il braccio. “Io non avevo altra scelta. Mi serviva comodità, non potevo certo dedicarmi a me. Rin invece si.” 
“Se vuole diventare forte non deve avere questi punti deboli.” 
“I capelli lunghi non sono certo punti deboli, idiota.” 
“Ma se l’hai appena detto anche tu che gli tagliavi per comodità.” 
Sbuffò, guardandola, toccandosi ancora la testa dolorante, ma senza più aver voglia di obbiettare. 
Ma entrambi furono costretti a voltarsi quando sentirono il rumore sordo del bambù sbattere sul pavimento, scorgendo veloci l’immagine della bambina sugli scalini, affrontati a salti, che andava a rifugiarsi nella stanza delle ragazze. 
“Ma che è successo?” 
Nami la seguì con gli occhi fino a che sentì la porta sbattere, girandosi poi verso Zoro, con lo sguardo preoccupato. 
“Questo l’ha preso da te.” 
Fu l’unica cosa che riuscì invece a dire lui, riferendosi a quell’atteggiamento capriccioso. Rimediandosi però un altro bernoccolo sulla testa a far compagnia al primo. 
Rufy, di vedetta, poggiato al legno, si era affacciato incrociando le braccia e guardando di sotto con espressione confusa. 
“Ma perché è corsa via?” 
“Tu pensa a seguire la rotta, imbecille.” 
 
Un sospiro contrariato accanto a loro si fece sentire di proposito, attirando subito l’ira furente della rossa. 
“Siete due pessimi genitori.” 
Usop, che stava riempendo una nuova boccetta con non si sapeva bene cosa, aveva ascoltato tutto - civettuolo com’era - e beccandosi adesso lui quell’occhiata incattivita, stava sentenziando da bravo moralista qual era. 
“Ha avuto una reazione quando hai parlato dei tuoi capelli corti.” 
Nami lo guardò confusa, gesticolando davanti a lui. “E che ho detto di così strano?” 
“Siete troppo presi da voi stessi per notare certe cose.” 
Il cecchino versò nella boccetta un’altra sostanza che portò ad una piccola esplosione. Aveva quell’aria di supponenza che metteva su quando gli altri non sapevano qualcosa e lui, per puro caso, invece si. “Hai indirettamente accennato al tuo passato. Forse la fa star male.” 
 
A Nami si fermò il cuore. 
Tutte le sue paure erano lì, in quella frase, in quella situazione. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo. I suoi occhi diventarono quasi vitrei, e il corpo immobile, trafitta sulla pelle da diverse lame che però non erano fatte di bambù. 
 
“Dovresti parlarle.” 
Continuò il cecchino, soddisfatto della sua perspicacia e dell’esperimento riuscito. 
Ma la rossa non si mosse di un centimetro, sentiva la voce di Usop in lontananza ma non riusciva a dargli ascolto. Cosa avrebbe dovuto fare secondo lui? Parlare del suo passato a una bambina, per poi farla stare male? Lei aveva il dovere di proteggerla da quell’orrore, non farle venire gli incubi la notte. 
Usop, non ricevendo risposta e vedendola in quello stato catatonico, scambiò un’occhiata incerta con Zoro. Anche lui non sembrava il tipo che sarebbe corso a parlarle. Non era qualcosa che lo riguardava in prima persona, e sicuramente non sarebbe stato per niente bravo con le parole o figurarsi il tatto. Sospirò affranto, accettando quel ruolo di intermediario. Si alzò in piedi, scuotendosi i pantaloni. “Va bene, ho capito, ci vado io.” 
 
Una volta rimasti soli, lo spadaccino, che attendeva silenzioso che la compagna si riprendesse, pensava a recuperare la finta spada di Rin ancora a terra. 
Lei, nel frattempo, stava riprendendo a muoversi, con gli occhi così spenti, e fuori di sé per quella ferita che doveva portarsi sempre dietro. 
In attesa di sapere, riprese posto sugli scalini, piegando le gambe al petto e nascondendoci la testa sopra. 
Era in silenzio. 
Non sapeva proprio come affrontarla una situazione come quella. Non era già abbastanza ciò che le stava capitando così in anticipo coi tempi, doveva pure immergersi in un colpo basso come quello?
L’unica certezza che aveva, era sapere che il compagno era lì, davanti a lei, che l’aspettava. 
Dopo un tempo lunghissimo, alzò leggermente il capo, imbattendosi subito in quell’occhio attento che la scrutava. Nonostante se lo immaginasse, sentì un sobbalzo dall’interno, una strana energia pulsante salirle fino alla gola. 
Lui non aveva detto niente, ma non c’era bisogno che lo facesse. Non si aspettava nemmeno che la coccolasse, sarebbe stato egualmente troppo insolito e inverosimile da sopportare. 
 
“Non voglio che sappia niente.” 
Mormorò, più a sé stessa, forse. 
 
 
 
 
Dei passi fecero sussultare Nami e far alzare lo sguardo a Zoro. Ma erano di Usop, che stava tornando da loro. 
Nami lo seguì con gli occhi, fino a vederlo sedersi accanto a lei, aspettando impaziente che dicesse qualcosa. 
“Sta bene” sospirò, mettendosi più comodo, con le gambe spalancate e le braccia poggiate sopra a penzoloni. “Non conosce la verità su quello che ti è successo” guardò prima Zoro, in piedi davanti a loro, e poi lei “ha sentito per caso alcune cose, ma non sa metterle insieme, e questo la fa sentire…” la indicò con il dito, nel suo fare giudizioso “è qualcosa che le tieni costantemente nascosto, e lei ci soffre.” 
  Nami sospirò leggera, sentendosi molto meglio, quasi sollevata. Come se avesse appena scacciato via un peso grande quanto la Sunny da sopra il suo cuore. Forse aveva paura della vergogna che quella ferita sprigionava.
Ma Usop la riportò alla realtà nuda e cruda, posandole un dito sulla fronte. “Guarda che è un male, non un bene!” 
“E per quale motivo?” con la mano aperta lo colpì sul braccio facendo cadere il suo dito. Aveva le palpitazioni. 
“Perché questo la allontana da te.” 
Spalancò gli occhi per lo stupore, quando capì cosa esattamente stava dicendo e cosa significasse. 
Aveva tutto più senso adesso. Forse anche per questo la vedeva più libera e felice con Zoro, piuttosto che con lei. 
Una morsa stretta attorno a quella ferita la fece sanguinare copiosamente dall’interno delle viscere. Il suo passato avrebbe sempre influenzato il suo futuro. 
E nonostante questo, la Nami del futuro, aveva comunque scelto di avere questo rapporto con la figlia ma di non rivelarle niente? 
Ma anche lei avrebbe agito così. Lo sentiva. 
Maledizione.
Nami, infatti, non aveva preso per niente in considerazione l’idea di parlarle, era troppo importante per lei tenerla all’oscuro da quel male. Un male che non avrebbe voluto conoscesse. 
E poi non era ancora realmente sua figlia, non spettava certamente a lei farle questo discorso. Ma visto che la Nami del futuro e quella del presente pensavano allo stesso modo, era chiaro perché Rin si trovasse in quella situazione emotivamente instabile. 
“Non posso”, disse in un sussurro, arresa a sé stessa. 
“MA NAMI” 
E vedere sulla faccia di Usop tutto quel suo essere contrariato le faceva ancora più male, pur sapendo che in parte aveva ragione. 
“Capisco che sia doloroso per te, ma tu devi…” 
“Non voglio!” 
Era come caduta dentro una bolla nera fatta di immagini sbiadite e vecchi dolori. Ma ciò che era peggiore era il sapere di venire giudicata per questo.
“NAMI.” 
L’amico cecchino ebbe la reazione di alzarsi in piedi, avendo visto e sentito il cuore Rin, forse era l’unico a capire davvero il suo dolore sull’argomento. E dunque reagiva di conseguenza 
“BASTA USOP, STÀ ZITTO!”
Stavolta fu Zoro a intervenire, uscendo dal silenzio in cui era caduto e alzando di più il tono della sua voce. Lo vide dedicargli un’occhiata veloce, per poi soffermarsi solo su Nami. 
Si offese.
“Siete due testardi!” 
Ma poi rimase allibito quando sul quel volto implacabile dell’amico ci leggeva un velo di preoccupazione e complicità per la compagna che non si sarebbe mai aspettato di scorgere. Quel volto era così imperscrutabile ma allo stesso tempo era come se stesse proteggendo la cosa più bella del mondo.
Usop fu testimone di una strana verità che lo stava sconvolgendo. Dovette riprendere il controllo del suo respiro, e lasciarsi andare più rilassato sopra quello scalino di legno; si accasciò, più precisamente, perché le gambe non lo avrebbero retto a quella sensazione che gli stava arrivando dritta in petto. 
La realtà più brutale era che secondo lui, Nami non si era resa conto di nulla. Ed era un peccato. Troppo presa da se stessa per guardare dentro Zoro in quel momento - e in altri momenti. E se lo avesse fatto chissà come avrebbe reagito. Forse questa cosa succedeva da troppo tempo; quante volte lei non lo vedeva? 
Come quando a Fishman Island, Zoro aveva affrontato Hody Jones con una glaciale rabbia interiore -“immotivata” direbbero occhi disinformati - col il sangue che ribolliva nel corpo di una bestia assetata dopo aver sentito il nome di Arlong - ancora! - provenire da da quella bocca insulsa; ma lei era andata via, non aveva potuto vederlo, non aveva potuto capirlo. E lui era stato così sollevato di quella sua assenza. Un’anima così pura che voleva proteggerla senza prendersi alcun merito, lasciandolo poi in pasto al suo capitano. 
E quella non era l’unica occasione che si era persa da quando viaggiavano insieme. E nemmeno l’unico sguardo. 
 
Ma i suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta dietro che si chiudeva e dai passi di Rin che indicavano gli stesse raggiungendo. 
“Possiamo tornare all’allenamento?” 
Chiese, una volta arrivata in cima agli scalini. Postura rigida, sguardo fiero, carattere presuntuoso. 
Zoro le sorrise, anche secondo lui quella era un’ottima idea. 
 
In qualche modo, la navigatrice, recuperò il proprio coraggio e, con lo stomaco contratto e il rumore del battito cardiaco che vorticava nelle sue orecchie, cercò di quietarsi all’istante, ripulendosi gli occhi con le dita e rispolverando il suo migliore sorriso, voltandosi verso di lei e porgendole il braccio. 
“Vieni qui che ti sistemo prima i capelli.” 
Rin annuì, facendosi trasportare da quella presa che la condusse davanti alla rossa.  
“Se vuoi tagliarli perché ti piacciono corti, va bene. Ma se non vuoi, non c’è bisogno.” 
La bambina, seduta sullo scalino davanti a Nami, ci pensò su per qualche secondo. In fin dei conti non erano lunghissimi, le arrivavano alle spalle, però le piacevano, e la facevano sentire più vicina alla madre. Alzava gli occhi in aria, guardando il cielo, doveva far contenta sé stessa e nessun altro. Era importante questa lezione, e Nami voleva ben imparatigliela. 
Nel futuro non era ancora mai avvenuto, poiché i capelli le erano cresciuti solo di recente, e nell’ultimo tempo a casa, nella sua epoca, aveva fatto meno allenamento  del solito poiché il padre aveva anche altre responsabilità da portare avanti, come scontri quotidiani con persone che volevano soffiarli il titolo di miglior spadaccino. 
“Mi piacciono così.” 
Ammise, un po’ imbarazzata. 
La rossa sorrise felice, accarezzandole la nuca rossa. 
“Ci penso io.” 
Sciolse i suoi capelli incastrati in una coda di cavallo e tolse le forcine con cui aveva tenuto legati i suoi dannati ciuffi ribelli. 
Per fortuna i capelli di Rin erano più lisci dei suoi, più facili da domare. 
Le fece uno chignon ben stretto sotto la testa, resistente pure al vento più forte. 
“Ti insegnerò a farlo da sola”, con una carezza leggera sulla spalla la salutò, spingendola leggermente in avanti “vai adesso.” 
Un “Grazie mamma” le sfuggì, senza nemmeno accorgersene, mentre scendeva le scale per raggiungere Zoro di sotto, che aspettava seduto, appoggiato all’albero maestro.
Nami aveva sbarrato gli occhi. 
Era così surreale. 
Lo spadaccino aveva le braccia incrociate e la guardava in viso, attento a non perdersi la reazione di lei in quel momento così difficile, cercando di trasmetterle sicurezza e calore da quella distanza. Quei loro sguardi che s’incrociavano, quella complicità invisibile, quelle parole non dette. Mai si sarebbero aspettati di trovare tutto quello in qualcuno oltre se stessi. 
Lei sembrò quasi quietarsi. 
 
Mise su un ghigno, quando vide Rin davanti a lui 
“stai bene.” Le diede la sua spada che lei afferrò in una presa salda. Sorrise di rimando, senza nessun dubbio nella sua scelta. 
“Sei pronta?” 
“Si.” 
 
Il suono rassicurante e ritmico del bambù riprese ad echeggiare nell’aria. In effetti era più rilassante delle spade vere.  Zoro teneva la sua arma al minimo, capendo probabilmente il fragile stato psicofisico della bambina, che era già provata di suo - in più combattevano da un sacco di tempo. Rin dava sempre il massimo, e stava cercando di affinare più tecniche possibili. Era così determinata, così severa con sé stessa. 
Quel suono melodico era anche accompagnato dal rumore di tessuto che si spostava nel vento. 
E tutto questo però lasciava un solco nell’animo di Nami. 
Ma quei suoni che cominciò a sentire in modo diverso, iniziarono anche a rilassarla. 
“Stai meglio allora?”
Le chiese Usop, ancora accanto a lei. 
Quella annuì con il capo, accennando un sorriso, senza però distogliere gli occhi dai due. 
Ma Usop non aveva smesso di scrutarla di sottecchi, cercando di scorgere altre emozioni in lei, o di capire ancora più a fondo di quel legame. 
“Hai visto che quello scemo mi ha urlato contro?” 
La vide ridere di gusto mentre posava una delle sue mani sotto al collo, con il gomito che la reggeva da sopra il ginocchio.
 “Che vuoi che ti dica, ha un caratteraccio.” 
Solo lui? 
Usop continuò a fissarla, cercando di analizzare quella serenità arrivata d’improvviso. Nami era sempre stata così lunatica, fin da quando l’aveva conosciuta. Starle dietro a volte era facile, altre invece, soprattutto per loro in quanto uomini, era incomprensibile. Certo, con delle zucche vuote come compagni non poteva essere comodo per lei, ne prendeva atto, ma più che volentieri anche lei si rivelava spesso della loro stessa pasta, combinando spesso eguali cretinate. Ma mai, vedeva Nami scombussolata così tanto se non quando si trattava di sentimenti, di amici, di amore. Era dura per lei, tutte le volte. Nonostante fosse da anni ormai leggera e libera di essere sé stessa. 
“In queste condizioni non possiamo cambiare troppo le cose. Rin deve chiarire questo problema nella sua epoca.” 
L’aveva distolto involontariamente dal suo stato pensieroso. Nami aveva appena trovato la scusa per evitare il problema, continuando a parlare senza avere la minima idea dei grattacapi dell’amico di fianco. “Ma grazie, Usop, per quello che hai fatto per noi.” 
Ha detto davvero “per noi”? 
 
 
 
Il rumore di un movimento ritmico, inizialmente accompagnato in sincrono al bambù che sbatteva, ma che a poco a poco era cresciuto di velocità ed era segnato da un aumento di ansiti, era diventata la colonna sonora di quella giornata. Una giornata in cui lei non riusciva proprio a separarsi da lui. O forse da Rin. O da loro insieme. 
Aveva bisogno di liberarsi dei tanti pensieri che le occupavano la mente, e per farlo voleva sbarcare, fare un giro in una bella isola abitata da persone comuni. Fare un bagno, magari. Comprare occorrente da disegno, fare shopping, mangiare fuori. Insomma, un po’ di normalità non solo rispetto alla sua vita piratesca di tutti i giorni, ma anche da quella situazione surreale nella quale si era imbattuta.
In ogni caso, si sentiva meglio per il fatto che Zoro era stato dalla sua parte. O magari non lo era affatto, ma in quel caso lo aveva tenuto per sé. Una volta ogni tanto era bello sentirsi difesi anche con quel senso d’intesa, e non solo in un combattimento fisico. 
Anche quella era dimostrazione d’amore, no? Di amicizia? Che poi sarebbe stato comunque amore. 
Le andava bene. 
 
 
 
 
Fu quando ebbe deciso di andare sottocoperta, per riprendere a respirare, e mettere una distanza significativa tra lei e Zoro, che sentì una presenza sederle accanto. Eppure, Usop era tornato a fare i suoi amati esperimenti che per fortuna quel giorno non davano molte noie a nessuno. 
“Nami - san, una spremuta alla frutta per i tuoi pensieri.” 
Con gli occhi a forma di cuore e un sorriso a trentadue denti, Sanji le porse il bicchiere, con i suoi soliti modi eleganti e gentili. 
“Accetto volentieri.” 
Ricambiò il sorriso, felice, mandandolo in estasi. 
“Se mi guardi così non resisto però…” iniziò a perdere un po’ di sangue dal naso “hai sciolto pure i capelli.” 
“Grazie Sanji. Ma ora, ti prego, stai buono.” 
“Tutto per te!” Cercò di trattenersi. “Ti ho osservata, sembri così assorta… “gli occhi a cuore che avevano ormai preso il sopravvento si placarono non appena vide cosa rubava l’attenzione di Nami “che fai, guardi quei due?” Si voltò anche lui, poggiando i gomiti all’indietro sulle scale, sbuffando annoiato, accendendo il fiammifero da sotto la suola della sua scarpa. “Che noiosi.” 
La rossa aveva davvero bisogno di vitamina C. E ringraziava mentalmente il suo compagno che si premurava sempre di quelle attenzioni nei suoi confronti. 
“Non ti piacciono i combattimenti, Sanji-Kun?”
Lui, d’altro canto, accese la sigaretta con quello stesso fiammifero. “Preferisco altri piaceri.” 
Nami lo guardò per un attimo, attenta, per poi tornare a fissare i due davanti “Sai? Anche io.” 
Una risposta che (poco) inaspettatamente lo mandò ancora più in visibilio, riaccendendo quella luce che per un attimo aveva attenuato. “Se avessimo noi una bambina, sarebbe sicuramente una principessa elegante e posata.” 
Fu proprio sulla base di queste considerazioni che il giovane cuoco decise di prenderle la mano nella propria mente sognava ad occhi aperti, facendo però sospirare la rossa rassegnata. 
“Forse il futuro ci si è presentato davanti per dirti di rivalutare la tua scelta. Perché quella testa d’alga non mi sembra affidabile come padre.” 
 
“Cosa ha detto quel cretino?”
 
Sentirono entrambi la voce arrabbiata dell’amico venire da poco vicino a loro. Ma il tempo di distrarsi per guardare male il cuoco che Rin lo colpì al braccio. 
“Ah-ah” si portò la spada dietro al collo, in posizione statuaria, fierissima di sé stessa “un punto per me!” 
“Mai perdere il ritmo, ragazzina!”  
Con uno scatto si avvicinò a lei con la spada in aria in meno di un secondo “hai solo avuto fortuna” sghignazzò lui. 
“Tu hai perso il ritmo per colpa di zio Sanji.” 
La piccola parò l’attacco giusto in tempo allontanandosi da lui.
“TI SBAGLI” le ringhiò, colpito nell’orgoglio. “E non indietreggiare!”la riprese subito “una spadaccina non indietreggia.” Lei era finita in una buffa posizione di piccolo ma aggressivo animale selvatico, quasi scocciata di essere stata ripresa. 
 
Nami continuò a bere la spremuta, perdendosi ad un certo punto nei suoi pensieri più intimi, mentre davanti agli occhi aveva quei due che continuavano a combattere da ore, e di fianco il suo vicino continuava con il suo pessimo tentativo di farle cambiare idea sul partner scelto, e senza premurarsi di abbassare la voce.
“Dobbiamo vagliare tutte le possibilità, dolce Nami.” 
Continuava a sognare, elettrizzato alla sola idea di adempiere alla sua missione di prossima figura paterna, mentre le sbirciava nella scollatura e perdeva sangue a fiotti per via delle fantasie che stava avendo. “Io e te, che ci diamo da fare nel presente per fare la nostra bambina” il sangue stava triplicando in modo esponenziale “Nami, amore, è forse troppo per il mio cuore? Potrò mai desiderare altro?” 
Di nuovo, Zoro si distrasse, voltandosi verso i due sulle scale “CHE COSA?”
“Due punti per Rin.” 
La ragazzina lo colpì nuovamente, ma sulla spalla stavolta, con la sua fiera spada di bambù. “Ah - ah - ah.” Continuava a ridere, guardandolo soddisfatta. 
“Fossi in te non canterei vittoria così presto.” 
Si ricompose, andandole contro furioso - estremamente furioso. Quella sudò freddo visto come lo aveva provocato, anche se in realtà non era lei il problema, e l’idea di prendersi l’ira di Zoro, per colpa di Sanji, non le piaceva affatto. 
“Scherzavooo.” 
Si rimise in posa al volo, ritrovando velocissima la concentrazione per affrontarlo. 
 
Nami non stava veramente più ascoltando il cuoco, ma alcune sue parole le erano rimaste impresse. 
Lei aveva dunque scelto Zoro? 
Effettivamente era così che erano andate le cose nel passato del futuro, e così che stavano andando anche adesso. 
Si era più volte sorpresa nel ritrovarsi a osservarlo quel giorno. Era capitato altre volte in modo sporadico, ma stavolta non riusciva proprio a staccargli gli occhi di dosso, desiderosa di scorgerci tutto ciò che lui non diceva in quei lineamenti ed espressioni facciali, ma anche in quei piccoli cambiamenti avvenuti nella sua persona, curiosa di scoprire quanto potesse essere davvero cambiato da quando aveva scoperto che la madre di sua figlia era lei. 
Quasi che ebbe un mancamento improvviso a causa di quella consapevolezza, che però non passò inosservato al cuoco, che tempestivo ne approfittava. 
“Ti sei resa conto anche tu che è impossibile aver scelto quel bifolco?”
 
“Ora lo ammazzo.” 
 
Lo spadaccino aveva parlato a denti stretti, proprio quando aveva morso un’altra spada di bambù, riprendendo la sua tecnica a tre spade anche con quelle di addestramento. 
“È tutto inutile.” 
Rin lo leggeva bene nel labiale, facendogli capire con lo sguardo che niente l’avrebbe mai cambiato, nemmeno nel futuro. Tutto ciò mentre perdeva la spada sul pavimento per via di un crampo alla mano, che gli costrinse entrambi a fermarsi. 
“Ce la fai?” 
Lasciò cadere a terra le altre due spade, scegliendo di usarne solo una per non far diventare troppo impegnativo lo scontro. 
Lei annuì “posso continuare.” 
Ma a sentire ancora la voce del cuoco gli venne un attacco di rabbia dei suoi, di quelli impossibili da controllare. 
“Solo un attimo”
le disse, mentre quella era già rassegnata alla cosa, abbandonandosi a terra sul pavimento per riposare, consapevole che sarebbe andata per le lunghe. 
 
“Hai finito di dire idiozie?” 
Zoro, era davanti agli scalini, ansimante e sudato. Ne aveva abbastanza di sentirlo blaterare, gli stava facendo esplodere il cervello in tanti minuscoli pezzi che non sapeva proprio ricomporre senza prima insultarlo. 
Sanji allora riprese immediatamente colore, alzandosi in piedi e indicando la spada di bambù “Vuoi menarmi con quella?”il suo tono era ironico e tendente alla provocazione. 
Di gesto spontaneo quello se la posizionò sulle spalle, con tanto di sorriso sghembo ad accompagnarlo. “Perché no. Vincerei lo stesso.” 
“Illuso.” 
Nami ancora persa nelle sue riflessioni, sentiva il loro battibecco in lontananza; aveva visto Zoro avvicinarsi, ma lasciò perdere, sbuffando, ancora persa in quella riflessione impossibile che le stava martoriando la testa. 
“Che c’è, pensi che Nami non possa cambiare idea? Hai paura?”Gli disse scendendo gli scalini e rimanendo sull’ultimo, per essere più alto di lui. 
“Hai visto o no chi c’è alle mie spalle?” 
Un ghigno pazzo invase il viso dello spadaccino, vendicandosi per tutte quelle insinuazioni nei suoi confronti. Di solito evitava di cascarci, ma stavolta ne andava del suo orgoglio. 
Lo fece infatti infuriare, con il fumo che gli usciva dalle orecchie. 
Scese anche l’ultimo scalino, il cuoco, preso dal fastidio che gli invadeva l’interno. “Un figlio non significa un bel niente.” 
A Zoro per poco non s’incrinarono le costole dalla rabbia che gli si montava dentro e risputava fuori.  
“CHE COSA?”
“PUÒ AVERNE UNO CON ME LO STESSO.” 
“PERVERTITO SENZA SPERANZA.” 
“Uno zotico come te non si merita una simile bellezza.” 
“Rin dovrebbe tornare indietro nel tempo e impedire la tua di nascita. Vivremo tutti più sereni.”
“Se invece tu morissi in uno scontro avrei Nami tutta per me.”  
“Sei un depravato!” 
“Lo dici perché non capisci niente dei piaceri della vita” 
“Perché non sono un pervertito disgustoso?” 
 
Nami e Rin stavano sospirando in sincrono adesso, seppur sedute lontane, erano entrambe abituate e a quelle liti. Ma forse la piccola aveva assistito pure a scenette ben peggiori di quelle, talmente non se ne curava. 
Nami si concentrò su quest’ultima, la vide guardarsi il polso dolorante, sconsolata del fatto che si fosse nuovamente fatta male. Quanto ancora avrebbe sofferto per quelle spade? E stavolta erano solo di bambù. 
Una spadaccina avanza e combatte, a qualsiasi costo, le aveva detto quell’oggi, quando lei le aveva fatto notare che avere un gesso al braccio avrebbe potuto evitarle l’allenamento. 
Era contenta che condividesse questa passione con Zoro, ma le faceva anche male vederla soffrire e faticare così. 
Che in effetti era una brutta sensazione che anche lui le aveva fatto provare più volte, quando era rimasta guardarlo fare allenamenti estenuanti. E mai che potesse dirgli di fermarsi. Mai che potesse intromettersi. 
Che diamine, lui non capiva per nulla che quando lei s’intrometteva era perché si preoccupava per lui. Come quando voleva tagliarsi i piedi a Little Garden. 
E invece, quello scemo, le diceva pure di stare zitta; le montava su una rabbia quando pensava a questi dettagli.
E le aveva pure reso la figlia così, come lui. 
Ma lei come e perché lo aveva permesso? 
Vide Rin guardare i due litigare e sbattersi la mano sulla faccia, ma era quella del gesso, e quindi si fece automaticamente male. 
Tutto perché i due malcapitati avevano anche iniziato a darsele di sana pianta, questo non appena Sanji aveva insinuato con leggerezza che l’esistenza di Rin poteva era legata al fatto che Zoro aveva sicuramente obbligato Nami con la forza in prestazioni sessuali. 
La rossa, risvegliata dal suo stato di trance, poiché disturbata nei pensieri fino all’ultimo angolo più privato della sua mente dalle loro voci e scazzotate boriose, e per la mano ferita di Rin, si mise in piedi nevrotica. 
“MI AVETE STANCATA!” 
Aveva perso più energie del solito nel metterli a terra, ma quei nuovi pugni che stava testando stavano funzionando molto bene. 
“Nami – San…io ti amo lo stesso.” 
“Falla finita, idiota.” 
I due stesi a terra supini avevano ancora di che ribattere, doloranti e feriti nell‘orgoglio, almeno per Zoro, mentre sentivano Rufy ridacchiare dall’alto. Lo guardarono minacciosi e neri in viso, nonostante fossero pieni di bernoccoli in una scena imbarazzante. 
“Non è giusto…” piagnucolava il cuoco, mettendosi seduto, afflitto nell’animo, “tu sei così noioso.” 
Anche lo spadaccino si stava rimettendo in piedi, “ma senti chi parla.” 
“Io sono un uomo passionale, un perfetto amante, colmo di diverse tonalità, tu pensi solo alle tue dannate spade. Nami merita di più.” 
Zoro sbuffò ignorandolo e recuperando la sua spada d’allenamento, pronto per rimettersi al lavoro. 
“La tua taglia non è nemmeno così alta!” Continuava invece Sanji a brontolare con insistenza. 
“STAI ZITTO!” Si voltò a guardarlo con i denti aguzzi. “È comunque più alta della tua!”
“EHI, se avessi io Nami tutta per me la mia taglia salirebbe a dismisura!” Si alzò anche lui. 
“E CHE DIAVOLO CENTRA!” 
“Per la forza dell’amore, idiota! Ma tu cosa vuoi capirne?”
Sarebbe sicuramente iniziato il secondo round se Rin non fosse intervenuta a placare quello scontro verbale. 
“BASTA!” 
Mise la spada sotto il braccio sano e mostrò il pugno. “Sapete chi mi ha allenato a dare questi?” 
I due quasi si strozzarono, sospirando. 
“L’avete fatta andare via, comunque.” 
“Colpa della sua stupida gelosia e depravazione!” 
Zoro indicò Sanji, con una faccia indemoniata. 
“Ah, la mia di gelosia?” rispose quello contrariato, stringendo gli occhi in due piccole fessure, scuotendo la testa a destra e sinistra “non sai quando mi fa incavolare che tu sia geloso.” 
Rin mostrò di nuovo il pugno sano “ne avete ancora per molto?” 
Ma Zoro si alzò in silenzio, andandole incontro. 
 
“Riprendiamo!” 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                       
 
 
 
 
“Nami” 
Cominciò la mora, con la sua voce fredda. Gli occhi di lei indugiarono un attimo, dal momento che un foglio appeso sulla parete, con la lista della spesa e uno strano disegno sopra, aveva catturato la sua attenzione, ma poi si alzarono su quelli della compagna “Umh?” 
“C’è una cosa che vorrei chiederti” continuò Robin, quando la vide avvicinarsi al tavolo della cucina “com’è andata ieri notte?” 
Nami fissò l’amica con disattenzione, senza ben riflettere a ciò che le stava chiedendo, “com’è andata cosa?” Che cos’era quella strana, allarmante sensazione di smarrimento? Ma poi capì, e quando si rese conto che non erano sole, ebbe un mancamento “ROBIN!” 
L’archeologa sorrise, curiosa, scambiandosi uno sguardo divertito con Franky, seduto a tavola a consumare la sua porzione di cibo, poiché svegliato da poco per via del turno di guardia della notte passata. 
Nami s’irrigidì.  
“Ma voi veramente state aspettando che io e Zoro…?” 
Esplose, rossa in viso, sbattendo le mani sul tavolo. Reazione che fece sbellicare ancora di più il cyborg. 
Si stava chiedendo quando fosse diventata così timida, lei, che era sempre stata audace, maliziosa, inopportuna e spesso peccaminosa.
Era Zoro, era per lui che si sentiva così in imbarazzo tutte le volte che qualcuno accennava alla loro ‘unione’. 
“Non fare tanto la pudica…vi ho visti ieri sera, sul ponte.” 
“EH!?” lo guardò seria “sei un guardone?” 
“Ma sei stata Super, sorella!” 
Quella voleva sbattere la testa sul tavolo più volte, oppure sbattere direttamente quella di lui con la sua sola forza. Ma con Franky era più difficile, rischiava di farsi male lei se lo colpiva nei punti metallici. 
Sbuffò arresa, prendendo posto al tavolo insieme a loro.
Ci fu un momento d’inquietante silenzio, in cui i tre si guardarono, immergendo Nami nella più profonda vergogna; la stessa che poi capì che quei due stavano davvero aspettando un responso sulla sua serata “MA FATE SUL SERIO?”
Robin si limitò a sorriderle, dal suo sguardo non riusciva però a comprendere se fosse seria o se stesse scherzando. 
“Avresti dovuto vederli come ci davano dentro” Franky stava sgraffignando il suo amato hamburger, perdendo tutta la salsa sul piatto, con le labbra circondate dalle briciole. Guardava Robin, tutto eccitato, allungando poi il braccio verso il bicchiere con la cola, scolandosela senza fare troppi complimenti. 
Si voltò allora verso Nami malizioso e curioso di saperne di più, pentendosi però all’istante di quel suo atteggiamento avventato e troppo leggero, dal momento che aveva scordato di chi stava parlando “non mi piace affatto quel tuo sguardo, giovanotta.”  
Pronta a colpirlo, con il volto diventato improvvisamente oscuro, venne però interrotta dalla semplice e pacata voce di Nico Robin, composta e sempre sicura del suo tono.  
“Avete dormito insieme, no?” 
Nami dimenticò l’agguato a Franky, che sospirò sollevato, e fissò l’amica negli occhi perdendo tutta la sua durezza “in effetti si.” 
Ripensò alla facilità con cui quello scemo le era rimasto accanto, e la normalità con la quale lei lo aveva permesso. Spalancò la bocca che le cadde fino al tavolo. “Me l’ha fatta sotto il naso!”
I due la guardarono confusi, non capendo di quell’improvvisa nota drammatica. 
Perché ora Nami si sentiva seccata? 
Forse aveva paura di ammettere che era stata bene? Che le era piaciuto quel profumo sulle lenzuola? Quell’essere stata così a suo agio con lui?
Strinse le piccole mani sottili sul bordo del tavolo, abbassando leggermente lo sguardo sulla tovaglia; non era davvero sicura che quello che provava fosse fastidio, quanto più una sensazione di disagio, causata da quegli occhi indagatori e dallo sguardo incuriosito e fin troppo acceso dei due che sembravano sapere già tutto. Era diventata il pettegolezzo della Sunny. 
“É davvero innamorato di te, non si tratta solo di Rin. L’hai capito, no?” Robin interruppe quella che stava per essere una nuova provocazione da parte dell’amico, arrivando dritta al sodo. 
Nami strinse i denti, in trappola. 
Zoro innamorato di lei. 
Non nel futuro, ma nel presente. Una verità che si è rifiutata di vedere troppe volte, insistendo per giustificare ogni stranezza, ogni sguardo, ogni parola. 
Se ci avesse pensato ancora e ancora le sarebbero venuti i brividi, e sapeva che non c’era modo di ragionare in quelle condizioni. 
“Quindi Sanji aveva ragione? C’è già quel sentimento.” Concluse il robot. “Ma tu lo ami, Nami?” 
La rossa, testa alta e spalle dritte, lo sguardo fisso davanti agli amici, e le braccia piegate improvvisamente sotto al petto. 
“Non sono affari che vi riguardano.” 
Forse qualche giorno prima avrebbe continuato a condividere tutte quelle informazioni con gli amici di viaggio, soprattutto per imbarazzare Zoro, ma oggi non poteva più farlo. Non poteva più schernirlo. Quel tempo sembrava così lontano che nemmeno se lo ricordava più; ora era tutto diverso, ogni piccola cosa stava cambiando. 
“Lo ama.”  
Confermò il cyborg a Robin, beccandosi un ceffone sulla testa. 
“Vuoi prenderle?” 
Le gote le stavano per scoppiare da quanto erano diventate rosse e bollenti. 
Ormai tutto quello sarebbe dovuto essere normale? 
Non ci doveva pensare, dopo tutto non erano nemmeno problemi loro. Eppure, qualcosa le scoppiava in petto. Qualcosa che voleva uscire. 
“Nami?” 
L’archeologa volle attirare la sua attenzione, cercando di dedicarle l’occhiata più rassicurante che poteva. “Ci dici cosa c’è che non va?” 
Il robot si alzò, andando al bancone della cucina dove era rimasta una bottiglia di rum che il cuoco aveva usato per cucinare, la prese e la portò al tavolo. Non prima di dedicare anche lui l’occhiata al foglio che stava guardando prima Nami, quello appeso sulla parete: una lista della spesa stilata dal cuoco, ma in fondo c’era un disegno un po’ grottesco, fatto da lui, che lo ritraeva chiaramente mentre vinceva uno scontro con lo spadaccino, disegnato morto stecchito a terra. 
È a questo che pensa quando fa la spesa?
Versò quel rum fresco in un bicchiere, avvicinandolo alla rossa. “Tò, bevine un po’.” 
Stupita da quella premura, accettò, pur sapendo che dopo la spremuta d’arancia non era certamente la bevanda più salutare da assumere in pieno giorno. 
Dopo aver bevuto si portò le mani alle tempie, lasciandosi andare. “In un certo senso, Sanji mi ha fatta riflettere.” 
“Ah, andiamo bene…” Franky esternò il suo pensiero non proprio concorde. 
“Lui non mi dice mai niente di quel che prova…” scosse la testa “e non capisco, ma perché ho scelto lui? Con quelle dannate spade…ogni giorno, per sempre. Ha trasformato mia figlia in una spadaccina!” batté una mano sul tavolo. 
Il cyborg le riempì un’altra tazza di rum, che lei accettò, scolandosela immediata.  
“Rin mi farà soffrire per colpa sua, sua e basta.” 
L’archeologa aveva poggiato una mano sotto al mento, col suo charme pacifico e un tono di voce quieto. “Ma proprio tu dicevi che in Rin c’era il cuore di Zoro.” 
Sentì il suo petto implodere, accelerare la sua corsa. 
É vero, lo aveva detto. 
“Perché ora lo stai dimenticando?” 
“Lo penso davvero” sospirò rammaricata per averlo messo in dubbio, “solo non avevo pensato potesse trasmettergli anche i suoi lati peggiori.” 
“E lo sono davvero, peggiori?” 
Continuò la mora, sempre con sguardo sereno, complice di ciò che diceva, convinta di stare proponendo le soluzioni più giuste per aiutarla. 
“Io non lo so.” 
Scosse la testa in segno di negazione, mentre Franky le ricordava che non si sceglie chi amare. 
Forse anche lei era imbevuta di un simil potere su di lui e per questo non riusciva a dirle mai di no?
Ebbe un sussulto. 
Se hai bisogno di scuse per non amarlo, ne troverai a bizzeffe. 
La voce di Usop le ritornò in mente come una critica, per aver dubitato ancora dell’amore di Zoro. 
“Solo, non capisco, perché proprio lui…fa tutte le cose che mi fanno più arrabbiare.” 
Sentì Robin ridere davanti a lei “ma che stai dicendo?” 
La rossa indugiò ancora un po’ prima di parlare “Usop mi ha detto che se cerco scuse per non amarlo ne troverò a bizzeffe.” 
“Ha ragione.” Sottolineò l’ovvietà Franky. “Penso che questo valga anche per lui, non credi?” 
Si beccò un altro bel ceffone sulla testa. 
“MA NAMI!” 
Incrociò le braccia al petto, altezzosa “io sono fin troppo perfetta per lui.” 
La guardò contrariato con una gocciolina dietro alla testa. “Non sviare il discorso e prenditi le tue responsabilità sulla crescita di Rin!” 
L’aveva colpita nel segno. 
Senza nemmeno saperlo, Franky aveva capito che c’era qualcosa in quei lati più difficili della bambina che veniva direttamente da lei. 
Distolse con fare precipitoso gli occhi dal compagno cyborg, portandosi, impacciata, la mano destra al petto, la sinistra che ancora stringeva il boccale con il rum. 
Aveva ragione. Lei aveva metà della colpa.
Accortosi di questa reazione, Franky si massaggiò la nuca dolorante con una mano, sospirando: non sapeva cosa provasse la ragazza, ma poteva provare a capirlo. 
“Forse dovresti farti meno problemi e lasciarti andare.” Robin arrivava sempre dritta al punto. 
 
Schiuse le labbra tremule, Nami, e infine acconsentì a quelle parole, quasi come se fosse una verità da confessare, fra la vergogna che provava per essere stata così avventata con lui, e il fatto che stavolta era lei a sentirsi stranamente vulnerabile. Pensare a lei e Zoro insieme, così la faceva sentire. 
Se quello era un destino da cui non si poteva sfuggire, tanto valeva farsene una ragione. Zoro era diventato il suo privato enigma da risolvere. Seppur fosse tutto tranne che complicato. 
“Basta, m’è venuto mal di testa” sospirò la navigatrice esausta, con una mano alla fronte “ho bisogno di un po’ d’aria.” Intenta a fuggire dalla conversazione, si era ricordata che aveva un appuntamento in infermeria. 
 
 
 
 
 
 
Nami non dubitava di Zoro come persona, pensava di conoscerlo abbastanza bene, seppur il fatto che provava dei forti sentimenti per lei, tanto da sentirsi a suo agio a dormirci insieme e baciarla, mostrandosi vulnerabile, fosse ancora scioccante. Non così tanto come pensava, ma comunque lo era abbastanza. Semplicemente, non era sicura di riuscire a sopportare il peso delle sue scelte, prese di corsa per via della situazione. Terrorizzata dalle possibili implicazioni future, da quello che quelle decisioni avrebbero comportato sul suo futuro, di loro, di Rin. 
Non per questo, tuttavia, aveva intenzione di prendere in considerazione la possibilità di non scegliere Zoro. In realtà questo era fuori discussione, indirettamente lo era sempre stato. 
Aveva sulle spalle il peso del suo passato e adesso anche quello del futuro. Seppur lo avesse visto litigare con Sanji, allenarsi con Rin, allenarsi solo, era chiaro avesse tracciato una linea di demarcazione con lei. Dopo quei giorni pieni di contatti e scambi tra loro, quella giornata, in un certo senso, senza un loro personale momento, era stata difficile e liberatoria allo stesso tempo. 
Era a questo a cui aveva pensato Nami durante la visita a cui Chopper l’aveva sottoposta. 
Il medico aveva confermato l’assenza di danni interni; ma quel livido sulla schiena era diventato viola pesto, e vederlo dava un senso di inquietudine. 
Ti fa davvero molto male, vero Nami? 
La rossa aveva annuito, ammettendolo per la prima volta. Tanto era praticamente impossibile imbrogliare il suo dottore. 
Non dirlo agli altri, non dirlo a Zoro. 
In altre occasioni non l’avrebbe protetto, anzi, si sarebbe fatta vedere brutalmente ammalata, magari per farlo sentire pure in colpa, ma, stavolta, non se la sentiva. 
 
E, quando all’uscita dall’infermeria se l’era trovato inaspettatamente davanti, si era sentita nuovamente bloccata in sé stessa, stupita sì, ma anche gelata. 
“Non dirlo a Zoro, cosa?” 
Petto nudo, asciugamano bianco dietro al collo, braccia conserte, tipica posizione da arrogante. Aveva probabilmente appena fatto la doccia e non trovandola, l’aveva forse cercata? 
“Allora?” 
“Zoro…che fai qui?” 
Si sentiva strana quella sera, e per nulla pronta ad affrontarlo. Neanche avesse dovuto lottarci veramente a suon di pugni. 
“Ti ho fatto una domanda!”   
Anche lei incrociò le braccia al petto per sostenere quella sua iniziale posa arrogante, prima con i movimenti del corpo e poi a parole. 
“Non ho niente da risponderti. Dove hai lasciato Rin?” 
Lui l’aveva guardata male, e con tanto di grugnito ad accompagnarlo, cambiando svelto il suo umore; per poi rispondere comunque alla sua domanda. 
“Con Rufy.”  
Lo vide massaggiarsi la nuca con una mano, sospirando pesantemente. Nami sapeva che lui era a disagio, ma pensando più a sé stessa, strinse gli occhi per un solo secondo per poi trovare la forza di andarsene e lasciarlo “vado da loro!” 
Zoro la sentì irrigidirsi da quella distanza, quasi si fosse appena scottata da quello sguardo pesante che continuava ad indagare su di lei.
“Mi dici che ti prende?” 
Lo affrontava fiera, ma i suoi occhi non reggevano a cotanta sincerità, e allora rifuggivano lontani. 
“È da questo pomeriggio che sei più nervosa e sfuggente del solito.” 
Zoro voleva capire, ma desiderava anche farle sapere che con lui poteva confidarsi; ecco perché aveva aspettato di rimanere da solo con lei per parlarle. “È per la storia di oggi, riguardo al tuo passato?” 
Non reggendo più l’imponente figura dello spadaccino, e la sua preoccupazione per lei, la rossa cercò di rispolverare un bel sorriso, ma con ben scarso successo; anche perché quell’espressione era più agitata che felice, più spaesata che solare. 
“Nami…” la guardò sconsolato scuotendo leggermente la testa contrariato dal suo atteggiamento “pensi veramente che io sia così idiota?”
Lei lasciò cadere immediata quel sorriso dal suo volto, non aveva nemmeno la forza per portarlo avanti “mi serve solo un po’ di tempo!” gli rivelò senza guardarlo. 
“Mi spieghi cosa é cambiato da ieri?” 
Il povero spadaccino non riusciva proprio a starle dietro. Aveva dei cambiamenti troppo repentini, seppur sapesse con certezza che era sempre lei, la solita Nami. E quello era semplicemente il suo carattere, il suo modo di affrontare le cose - molto diverso dal suo. 
Venne risvegliato da un doloroso pizzico sulla guancia, “oh, e lo dice proprio quello che ha passato la giornata intera ad allenarsi per tenerci tutti a distanza?”
“Ma che diavolo stai farneticando?” 
“Se pensi che passerò le mie giornate a vederti tirare di spada, scordatelo!” 
“Ma chi cavolo te l’ha chiesto!” 
Cadde dalle nuvole, digrignando ancora i denti, agitato. 
“Tu non fai altro!” 
“IO MI ALLENO SEMPRE, PER ME, PER IL MIO OBIETTIVO…SCIOCCA! Non ho di certo secondi fini!” Sospirò arrabbiato. “È quel cuoco, non é vero? Ti ha messo quest’idea in testa?”
“Non c’è bisogno che qualcuno me lo faccia notare.” 
“Hai sempre saputo qual è la mia strada da compiere, e proprio ora questo ti mette in crisi?” 
“Si tratta di Rin! Mi farete soffrire entrambi con il vostro codice di samurai del cavolo.” 
Lo spinse via, uscendo da quella trappola, prima di sentire il cuore scoppiarle nel petto, o peggio, farlo sentire a lui. 
“Torna qui!” 
Zoro l’afferrò tempestivo, trascinandola contro di sé con la stessa facilità con cui avrebbe preso una sua spada dal fodero. La sua mano scivolò lungo la guancia di Nami, allargando le dita e facendo una leggera pressione, come se bastasse per fermarla, per calmarla, per entrare dentro alla sua testa. 
L’aveva attratta a sé. 
 
Nami aveva usato per la prima volta la parole soffrire. Soffriva per lui? 
 
Perché tutt’a un tratto le pareva che la troppa vicinanza con Zoro potesse farla svenire? 
Le mancò l’aria, le gambe le tremarono e la cosa peggiore era che lei desiderava una cosa soltanto in quel momento…sentendosi così inopportuna e fuori controllo. 
 
L’Amore che risvegliava le paure più antiche. L’amore che vuole perdonarsi delle proprie fragilità per aver perso (o vinto) la battaglia con esso - una verità fondamentale per entrambi da accettare. 
 
Quel contatto fisico inaspettato era come una secchiata d’acqua bollente dritta in testa. Nami sgranò le orbite, non si aspettava che lui l’avrebbe presa in quel modo; tutto mentre le gambe le diventarono improvvisamente pesanti come piombo. Il colorito di Zoro era diverso. Qualcosa era cambiato in lui. 
Nessuna distanza c’era tra i loro volti, tra i loro corpi. Lui se la teneva stretta addosso, non l’avrebbe lasciata andare facilmente, a meno che lei non lo avesse voluto. 
Con l'animo fremente e una pazienza e una tranquillità, difficile da mantenere in momenti come quello, probabilmente grazie ai suoi estenuanti esercizi di meditazione, le sue mani avevano iniziato a sfiorarla, con una eccitazione fin troppo crescente. Scendevano dalla guancia, alle braccia, alla vita, ai fianchi, ma si erano bloccate per il sentito nervosismo di Nami.
“Stai cercando un modo facile per scappare dalle parole, Zoro?” 
Quella che però stava mentalmente scappando dai quei contatti, era lei. Eppure lo voleva come nient’altro al mondo in quel momento. 
“Uno spadaccino non scappa mai!” 
La fissava cercando di ottenere una reazione comprensibile in quegli occhi. Era rimasto lì, in attesa, guardandola con uno sguardo così famelico. 
“Che intenzioni hai?” gli chiese in preda all’ansia, quando lo vide scendere ancora di più su di lei, sulle sue labbra. 
“Non ci starai facendo l’abitudine?” Continuava a parlare e a chiedere, Nami, capendo bene le sue intenzioni e cercando di distrarsi col suono della sua voce per la paura di dover vivere ancora quella strana intimità. “Guarda che il tuo conto sta iniziando ad essere alquanto salato…ti costerà caro e…”  
“Vuoi star zitta?” 
Aveva osato. Aveva appena appoggiato le sue labbra calde a quelle ora fredde di lei. Al tocco delle loro bocche era quasi impazzito per il cuore che gli batteva in petto. 
Un altro bacio ancora. 
Era irrinunciabile. 
Una sofferenza per lui, che doveva restare a digiuno di lei. E invece, ci aveva pensato per tutta la giornata a volerla baciare, nonostante l’allenamento era stato propizio. 
Ma ora era lui, quello da reazione feroce. Muovendosi così rapidamente che non le aveva lasciato il tempo di prendere il controllo, stavolta. 
La pressione che Nami sentiva nel petto si era liberata e le aveva avvolto tutto il corpo, rendendolo instabile, e persino la mente, rendendola completamente vuota, se non per il pensiero delle loro bocche che si fondevano ancora una volta. Era questo allora, il modo per scacciare via i pensieri. L’unico funzionante. 
 
Zoro aveva dovuto staccarsi un momento per riprendere fiato, o sarebbe imploso dal troppo piacere. La consapevolezza razionale di quello che era appena successo lo fece innervosire violentemente e serrare forte l’occhio, come per fermare quella sensazione dal lasciargli il corpo. Si sentiva sempre così nei confronti di Nami, quando gli era accanto in quel modo e, solo di recente, quando finiva in queste situazioni che lui non poteva permettersi di vivere.
“Hai bevuto rum senza di me?” La guardò poi, spazientito. 
“Solo un po’ “, rispose lei, perdendosi in lui e cercando di riprendere il controllo, poggiando prima una mano delicata sul suo torace e poi anche la testa. 
“Zoro…” 
Una voce spezzata, che quasi lo impietosì. La guardò, poggiata su di lui, avvertendo quel calore innaturale bruciargli anche i muscoli che non si potevano vedere. Era esplosivo sentirla lì sopra, ne doveva avere di autocontrollo per non portare a galla tutto quel sentimento e pulsione a lungo repressi. 
“per questo bacio fanno 800 mila berry, più altri 600 mila aver dormito nel mio letto ieri notte.” 
“EEEEHHHH?” 
Quella espressione quasi addolcita, per quanto lui riuscisse ad averla, si trasformò in un volto pieno di denti da squalo. “E POI, MA NON TI SEMBRA TROPPO?” 
 
Come si poteva non cadere nella trappola della vita nonostante tutte le paure, regole, maschere autoimposte? 
 
Nami però era al settimo cielo. Felice del suo affare, felice di potersi appoggiare su di lui, chiudendo gli occhi e beandosi di quel posto caldo. Era davvero surreale avere quella libertà su Zoro. Si sarebbe senz’altro vergognata poi, ma non in quel momento, perché non c’era alcuna fretta. 
 
Ma la voce di Rufy, che stava ‘combattendo amorevolmente’ con Rin, spezzò quel loro idillio. Lo spadaccino borbottò un’imprecazione volgare per via della della preoccupazione che aveva avuto per lei, facendosi ingannare come un babbeo… quella magia che li stava tenendo assieme si era frantumata.
 
“Non dirmi che ha chiesto a Rufy di allenarla, adesso?” 
Nami era ancora su di lui, con lo sguardo di chi non avrebbe mai capito quell’atteggiamento masochista e pieno di orgoglio.
“È così.”
Ma Zoro sorrideva, per nulla preoccupato sulla questione, lasciandola ancora appoggiata a lui. “Gli ho detto che salterà un pasto per ogni piccolo graffio che Rin ripoterà sul corpo.” 
 
“Sei diventato un perfetto ricattatore.”
 
 
Di una cosa Nami era certa, e lo era sempre stata, in realtà. La comprendeva davvero la Nami del futuro. 
E del perché avesse scelto proprio Zoro. 
 
 
 
   
 
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