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Autore: M a k o    10/10/2021    16 recensioni
• Challengeshipping (Kaito/Ryoga)
• Mini long Modern!AU
• Dal testo:
(Quei quattro anni di differenza parevano un abisso profondo migliaia di chilometri, quasi potesse arrivare fino al centro del mondo e al contempo una montagna altissima, che con la punta quasi solleticava il cielo).
{…} Erano solo quattro anni, dopotutto.
Quattro anni che a quel tempo pesavano come un macigno di carta vetrata che lacerava la carne, i tessuti e i sentimenti più intimi.
Si erano avvicinati per puro caso e sempre per puro caso, un giorno, si erano ritrovati talmente attaccati da rendersi conto troppo tardi di essersi innamorati l'uno dell'altro.
E il primo amore, quello vero, forse non aveva mai fatto tanto male.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kaito Tenjo/Kite Tenjo, Ryoga/Shark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il nostro tempo pt.1 Dire che sono felicissima è estremamente riduttivo. Questo perché poter finalmente (ri)pubblicare questa storia è non solo un'immensa soddisfazione, ma anche un grande riscatto per la fanfiction stessa, dato che mesi addietro avevo pubblicato la prima parte e poi non l'ho più proseguita, quantomeno non qui su EFP, dato che sul computer avevo già la seconda parte quasi conclusa.
Soprattutto ci tengo a scusarmi con coloro che avevano recensito il primo capitolo della “vecchia storia”, sappiate che ho salvato tutte le vostre recensioni prima di cancellarla e che le custodisco nel computer.

Non ho nulla da dire a mia discolpa, semplicemente mesi addietro c'è stato un periodo in cui ho iniziato un migliaio di progetti diversi tutti in una volta ed è andata a finire malissimo, dato che nessuno si è salvato. Ma almeno questa storia, secondo me, meritava una seconda possibilità. Probabilmente mesi addietro non era ancora il suo tempo.

Andando più nello specifico, non è cambiato molto rispetto alla prima pubblicazione. L'unica differenza è che anziché essere una mini long di tre capitoli, sarà divisa in due parti – in questo primo capitolo, oltre alla parte già pubblicata in precedenza, c'è anche quella che sarebbe dovuta essere nel secondo, dedicata interamente al flashback.
Bello perché quando ho ripreso a scriverla ho pensato: dai che la rendo direttamente una One Shot, solo che è saltato fuori uno scritto di almeno 8k parole e allora no, meglio dividerla in due parti, lol – però quantomeno è già completa e revisionata, quindi ora non mi resta che pubblicare!

• La trama è sempre la stessa: Kaito e Ryoga che si ritrovano dopo sette anni di lontananza sia fisica che emotiva, dopo essersi lasciati in malo modo, senza neanche aver dato una possibilità al sentimento che stava nascendo tra di loro. Avranno modo di ritrovarsi dopo essere cresciuti e aver acquisito nuove consapevolezze e, per quanto riguarda i loro sentimenti, non vi resta che scoprirlo leggendo.

• Anche la canzone è sempre quella: Without You dei My Darkest Days per me è e sarà sempre la canzone di Kaito e Ryoga per eccellenza, penso che descriva appieno quella che è la loro relazione per come li vedo io come coppia.
Ci saranno diverse parti del testo disseminate lungo la storia, anche se non saranno propriamente in ordine – spero non vi dia fastidio questa mia scelta.
Detto ciò, giuro che non vi tedierò ulteriormente con queste N.d.A., infatti a fine capitolo non troverete altro!
Vi auguro buona lettura!



Il nostro tempo

Parte 1



If I had my way
I'd spend every day right by your side
And I if could stop time
Believe me I'd try for you and I



1

Non era il nostro tempo. Sette anni fa. Non lo era affatto.
Quelle parole
    (dodici parole, per l'esattezza)
gli riecheggiavano nella mente senza tregua alcuna.
Il suo intero corpo tremava interiormente, facendo vacillare con poco garbo la dura scorza che lo rivestiva, la quale si era lentamente inspessita nel corso degli anni. Anni che, in quel momento, parevano quasi sciogliersi tra le dita come neve baciata dal sole.
Aveva lasciato qualcosa
    (qualcuno)
indietro. Un pezzo di anima che voleva assolutamente ritrovare e riattaccare al suo posto di appartenenza, quello che gli spettava di diritto.
Vivere con un buco nel cuore e nella memoria per tanto tempo era stato difficile, a tratti tremendo: i giorni trascorsi a domandarsi come stesse o cosa stesse facendo si erano rivelati laceranti, un vero e proprio esercito di spilli agguerriti e avvelenati che vessavano ogni più piccolo frammento di serenità conquistato con tanta fatica.
Kaito ricordava bene quei giorni, avrebbe potuto raccontarli a menadito tutti, dal primo all'ultimo, senza tralasciare alcun particolare
    (in fin dei conti erano la reiterazione di un unico giorno e quell'unico giorno gli si era talmente impresso sottopelle da conoscerlo ormai bene, come un fidato compagno di viaggi che altro non aveva da fare se non seguirlo ovunque come una seconda ombra)
e alla fine il risultato sarebbe stato sempre lo stesso: gli mancava.
Non c'era altro da ammettere se non quello: Ryoga gli mancava.


2

La loro storia non era nemmeno iniziata, sette anni addietro. Si erano conosciuti in quel periodo di vita in cui tutto risultava molto più delicato e compromettente – e anche molto più grande rispetto al normale.
Kaito non poteva ammettere apertamente di essersi innamorato di un ragazzino di quattordici anni che ancora frequentava la seconda media e Ryoga non poteva fare altrettanto, confessando a cuore aperto di avere una cotta
    (la prima cotta, quella adolescenziale, quella che difficilmente sbiadisce nel tempo e alcune volte te la porti dentro tutta la vita)
per un ragazzo di diciotto anni in procinto di terminare la terza superiore per poi, una volta ottenuto il diploma, affacciarsi al mondo dell'università.
Era tutto dannatamente amplificato. E faceva male. Faceva davvero tanto male. Con ogni probabilità – anzi no, era una certezza assoluta – si erano incontrati e soprattutto si erano innamorati nel momento sbagliato. Semplicemente, non era il loro tempo.
    (E qualcosa, nei meandri del cuore, scricchiolò appena. Ma fece rumore. Fece davvero tanto rumore).


3

Kaito avanzava guardando dritto davanti a sé, anche se i suoi occhi non erano propriamente attenti e se si fosse trovato qualcuno di fronte, molto probabilmente ci avrebbe sbattuto contro senza neanche accorgersene. Ma era solo, in realtà. Era solo, a guidarlo le stelle incastonate nel cielo e la luna che lo fissava con cieco splendore.
Il suono delle onde che placide si infrangevano sulla riva e il profumo dell'aria salmastra che gli punzecchiava le narici – le quali negli ultimi sette anni si erano troppo abituate allo smog cittadino – lo portarono a vagare con la mente
    (e con il cuore)
a tutti i momenti trascorsi con Ryoga, fino ad arrivare all'ultimo, svoltosi davanti la porta di casa sua. Era strano che proprio il mare lo portasse con la mente a pensare a Ryoga: non ci erano mai andati insieme, era qualcosa che mancava in quella che era stata la loro quotidianità
    (e in realtà a loro mancava proprio tutto).
Come un cerchio che si chiudeva. O come un compasso poggiato su un foglio di carta vergine, pronto a tracciarne uno nuovo, perfetto e intoccabile.


4

C'erano almeno una decina di battiti cardiaci che non gli sarebbero mai stati restituiti. Come potesse ancora camminare e respirare e avvertire la brezza sull'epidermide e tremare interiormente restava un mistero, ma di una cosa era certo: quei dieci battiti li aveva persi tutti, uno dietro l'altro, nel momento in cui Ryoga, quel pomeriggio, aveva risposto al suo messaggio, acconsentendo alla sua richiesta, dicendogli sì, vediamoci questa sera.
Kaito non lo aveva chiamato. Non voleva udire la sua voce. Non ancora. Gli sarebbe parsa troppo lontana e lui necessitava di sentirla da vicino. Voleva perdersi in quelle labbra sottili che si muovevano mentre articolavano ogni parola, in quella lingua che sapeva essere tagliente e dolce al tempo stesso. Voleva perdersi nel sorriso sghembo che tanto lo rendeva lui, che tanto lo rendeva Ryoga.
    (Chissà se sghignazzava ancora in quel modo).
Ryoga che quando aveva quattordici anni si credeva già grande, si credeva il padrone del mondo e cercava di imitare gli adulti senza rendersi conto di essere solo un riflesso sbiadito del giovane uomo che ancora non era. Non a quei tempi, almeno.
    (Non sette anni fa, quando ancora non era il loro tempo, quando tutto era compromettente, quando tutto faceva ancora tanto male. Quando i dilemmi adolescenziali parevano gineprai dai quali era impossibile uscire, quando ci si attaccava talmente tanto a qualcosa – qualcuno – da farne il centro del proprio universo e non ci si schiodava da lì neanche sotto tortura).
    (Quei quattro anni di differenza parevano un abisso profondo migliaia di chilometri, quasi potesse arrivare fino al centro del mondo e al contempo una montagna altissima, che con la punta quasi solleticava il cielo).
A quei tempi, poi, non si sopportavano nemmeno. O meglio, all'inizio era stato proprio così: per Kaito, Ryoga era un ragazzino troppo esagitato che si cacciava costantemente nei guai; per Ryoga, invece, Kaito era un ragazzo che si credeva chissà chi solo perché frequentava l'ultimo anno delle superiori e aveva la patente e poteva fare cose che a lui erano proibite poiché ancora troppo piccolo.
Erano solo quattro anni, dopotutto. Quattro anni che a quel tempo pesavano come un macigno di carta vetrata che lacerava la carne, i tessuti e i sentimenti più intimi.
Si erano avvicinati per puro caso e sempre per puro caso, un giorno, si erano ritrovati talmente attaccati da rendersi conto troppo tardi di essersi innamorati l'uno dell'altro. E il primo amore, quello vero, forse non aveva mai fatto tanto male.


5

If the world ceased to spin
You could start it again with just one smile
If the seas turn to sand
With the wave of your hand it would rain for miles


Kaito ricordava bene il giorno in cui comprese di essersi innamorato di Ryoga. L'inverno di sette anni addietro era ancora troppo presto, eppure al contempo era già troppo tardi per far sbocciare del tutto quel bellissimo sentimento.
Ryoga aveva riso. Semplicemente questo. I capelli gli erano ricaduti sulla fronte e ai lati della bocca e li aveva scostati, senza smettere di sghignazzare. Il motivo di tutta quella ilarità era contornato da bordi sfocati, anche perché Kaito era troppo impegnato a osservare Ryoga ridere e scoprire un mondo tutto nuovo per badare a cosa – o a chi – avesse scatenato tutta quell'esagitazione.
    (Molto probabilmente Yuma era scivolato. Oppure cercava di tenersi goffamente in equilibrio sull'immensa lastra di ghiaccio che aveva preso il posto dell'asfalto).
    (Yuma).
    (Sì, proprio Yuma).
    (Se non fosse stato per lui, Kaito e Ryoga non si sarebbero mai incontrati).
Mille supernovae gli erano esplose nel cervello e la loro scia si era diramata in ogni parte del corpo. Nonostante quel giorno facesse alquanto freddo, Kaito rimembrava senza difficoltà alcuna tutto il calore che aveva provato all'altezza del petto. Era forte, ma non invasivo, anzi: lo avvolgeva e lo faceva sentire inspiegabilmente bene
    (e confuso e agitato e oh cielo, cosa avrebbe dovuto fare?)
e più guardava Ryoga con lo specchio della propria anima, più si perdeva chissà dove.
Quello era stato, senza ombra di dubbio, il pomeriggio più strano di tutta la sua vita… ma anche il più bello. L'afferrare nuove consapevolezze con dita tremanti era stato, in un primo momento, alquanto arduo
    (ed era inutile negarlo, il primo amore sapeva essere anche spaventoso, perché più splendeva e più le ombre diventavano scure e spesse e tremende)
ma al contempo liberatorio.
Anche se, dopo sette anni, aveva capito di non essere più libero. E forse aveva smesso di esserlo nell'esatto momento in cui aveva voltato le spalle a Ryoga per l'ultima volta.


6

Kaito ricordava bene anche come si era comportato a riguardo: male. Non solo dopo aver realizzato l'immensità di quel sentimento aveva deciso caparbiamente di allontanarsi sia fisicamente che emotivamente
    (e più lo faceva, più Ryoga si avvicinava, forse senza neanche rendersene conto)
ma gli aveva anche dato il colpo di grazia quella lontana sera di fine inverno, davanti casa di Ryoga, quando gli aveva detto che si sarebbe trasferito a Den City per studiare Giurisprudenza. Den City, a ore e ore di treno da lì, da Heartland City. A centinaia di chilometri di distanza dalla persona che aveva iniziato ad amare troppo presto e al contempo troppo tardi.
Rimembrava bene le sfumature che gli occhi di Ryoga avevano assunto. E le ricordava così bene perché non vi era assolutamente nulla da imprimere nella memoria: il blu scuro aveva lasciato posto al nero pece, denso e apatico. Nessuna sfumatura faceva capolino in quelle iridi tanto vuote. Nessun guizzo di luce le irradiava e abbelliva. Erano la desolazione più assoluta.
Di Ryoga non era rimasto nulla, solo una maschera di pietra muta e distaccata. Una corazza che invano tentava di proteggerlo dalle tonnellate di dolore che gli si erano appollaiate sulle spalle, affondando gli artigli nella tenera carne
    (faceva male, faceva male da morire)
mentre Kaito recitava il suo copione mentale alla lettera, senza interruzione alcuna, talmente perfetto da risultare falso.
E poi arrivarono. Sei parole soltanto. Sei parole dalla potenza di un bombardamento aereo.
    («Non è il nostro tempo, Ryoga»).
    («E allora quando lo sarà?»)
    (Nessuna risposta. Nessun segnale).
    (Niente. Niente di niente).


7

Kaito si bloccò di colpo. Alzò lo sguardo al cielo stellato, respirando profondamente.
    (Inspirò).
Era in anticipo, dopotutto.
    (Ed espirò).
Poteva fermarsi qualche attimo prima di proseguire. Solo, nella speranza che la mente non vagasse troppo in là, andando a toccare alcuni nervi scoperti e il suo cuore pulsante. Le immagini di ciò che lui e Ryoga
    (non)
erano stati erano nitide e colme di particolari che a distanza di anni ancora non aveva smesso di scoprire.
Inspirò ed espirò ancora. E il suo ultimo ricordo con lui gli carezzò la pelle, trasportato da una salmastra folata di vento.


I die every day that you're away from me


8

Avvertiva il suo respiro sul collo. Era caldo e maldestro, come se avesse trovato appiglio tra la stoffa della sciarpa grigia, intrufolandosi a suo piacimento in mezzo al tessuto per carezzare l'epidermide scossa dai tremiti. Kaito maledì se stesso per non essere uscito in macchina, quella sera. Certo, all'inizio non l'aveva reputata necessaria, dato che casa sua non distava molto dal punto di ritrovo; i problemi erano arrivati dopo, quando Ryoga si era cacciato nei guai – o meglio: era in procinto di farlo – per l'ennesima volta.
Lo aveva fermato in tempo, stringendogli il polso e facendolo voltare verso di lui. Lo aveva osservato qualche istante e quelle brevi frazioni di secondo gli erano bastate per constatare che Ryoga non fosse affatto in forma: era stanco, probabilmente aveva anche qualche linea di febbre e tutto quella sera avrebbe dovuto fare tranne che uscire di casa con l'intento di scatenare un casino.
Erano trascorse tre settimane da quando Kaito aveva compreso e realizzato di provare qualcosa per Ryoga. Tre settimane in cui aveva cercato in ogni modo possibile e immaginabile di evitarlo sotto tutti i punti di vista, allontanandosi da lui e dal resto del suo gruppo. In fin dei conti frequentava il terzo – e ultimo – anno delle superiori e aveva tantissimo da studiare, quindi appoggiarsi a quella scusa non era neanche una vera e propria bugia. Inoltre, si stava anche preparando per il test d'ammissione all'università, dato che mancava una sola settimana e il tempo scivolava sempre più tra le dita.
    (Tempo. Test d'ammissione. Università. Facoltà di Giurisprudenza).
    (Non lì. Non a Heartland City).
    (Lontano da Ryoga).


9

All'ennesimo fremito dovuto al respiro caldo di Ryoga sul collo, Kaito si ridestò dai suoi pensieri. Ryoga era molto più leggero di quanto immaginasse e non gravava affatto sulla sua schiena. A preoccuparlo maggiormente erano le sue
    (le loro)
sensazioni.
    «Come stai?» domandò mentre avanzava per la lunga via che portava a casa di Ryoga. In macchina sarebbero arrivati molto prima anche se, in tutta onestà, per quanto compromettente potesse essere, quel momento dedicato a loro e a loro soltanto era contornato da sfumature meravigliose. Era la prima volta che si trovavano soli. Forse era davvero il loro momento.
    (O forse no. Non ancora).
    «Che fai, ora ti preoccupi?» borbottò Ryoga, il mento poggiato sulla sua spalla. «Mi eviti per settimane intere e ora mi stai addirittura accompagnando a casa» rincarò la dose, una punta di acidità nel tono di voce e la presa delle braccia lievemente allentata.
    «Tieniti, per favore. E ascoltami: è stato Yuma a chiamarmi, ed era anche molto preoccupato per te. Ha detto che questa sera, con molta probabilità, ne avresti combinata un'altra delle tue e–»
    «E così ti sei improvvisato paladino della giustizia per venire in mio soccorso? Che carino, grazie per avermi prestato aiuto quando non solo non ne avevo bisogno, ma non te l'avevo neanche chiesto».
Kaito alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Si può sapere che ti prende?» domandò, un moto di frustrazione nel tono di voce e le mani che tremavano appena
    (e no, non poteva permetterselo, doveva sorreggerlo).
    «Vuoi davvero saperlo?»
Tutto mutò all'istante. Le parole di Ryoga non erano più sarcastiche e intrise di acidità. Erano, invece, velate da una spessa patina di serietà. Si strinse un po' più forte contro di lui e Kaito comprese che qualcosa era in procinto di emergere dagli abissi. Gli stessi abissi che avevano preso il posto del cielo quella sera: scuro come un buco nero, privo di stelle e nebulose.
    (Nudo, inerme, esposto).
    «Sì, voglio saperlo».


10

Fu Ryoga a sospirare, questa volta. Si morse il labbro inferiore e poi parlò: «Mia sorella frequenta un ragazzo».
Nonostante fosse ben conscio di aver appena scoperto solo la punta dell'iceberg, Kaito non riuscì a trattenersi: «Non ci vedo nulla di male» commentò infatti, guardando sempre dritto davanti a sé. Intravide l'abitazione di Ryoga pochi istanti prima che quest'ultimo replicasse e che il mondo gli crollasse addosso.
    «Thomas ha diciassette anni».
Kaito si bloccò. Lì, in mezzo alla strada, con Ryoga che pareva lo stesse goffamente abbracciando da dietro. Si irrigidì e deglutì a fatica, continuando a guardare dritto davanti a sé, anche se in realtà non stava più osservando nulla.
    (Cosa stava fissando, se non la cruda realtà dei fatti?)
    «Quel tipo non mi piace. Girano strane voci sul suo conto e non voglio che Rio soffra per causa sua. Lei ha quattordici anni. Insomma, lui è… è…»
    «Troppo grande per lei» concluse Kaito al posto suo.
Sapeva quanto Ryoga fosse visceralmente legato alla gemella. Con ogni probabilità, non avrebbe accettato neanche un coetaneo come frequentazione per lei. Certo, Rio era libera di vivere le proprie esperienze e Ryoga non poteva sindacare più di quel tanto, motivo per il quale accadeva spesso che si cacciasse nei guai al solo scopo di proteggerla. La facciata da “cattivo ragazzo” era una mera leggenda metropolitana: Ryoga non finiva nei casini per divertimento o perché gli andava o per mostrare chissà quale superiorità; lui finiva nei casini quando la preoccupazione per Rio raggiungeva picchi esponenziali.
Concludere la frase per lui fu una pugnalata al cuore. Qualcosa, nei meandri dell'anima, si spezzò. Il mondo era sordo, ma lui no: quel frammento di anima si staccò e cadde a terra, frantumandosi in pezzi ancora più piccoli e lui lo sentì. Il suono che gli giunse ai timpani era un lamento intriso di sangue e dolore, un vuoto nel quale si era inabissato senza più riuscire a riemergere.
    (Viveva nell'illusione di nuotare verso la superficie, quando invece stava sprofondando sempre più. Ed era orribile, perché più il tempo passava e più realizzava che non poteva fare a meno di lui).
    «Troppo grande per lei» ripeté in un sussurro, quasi volesse dare una forma concreta a quel concetto torbido e dilaniante.
    «Già. Quantomeno per il momento. Ma io non posso dirlo» ammise Ryoga, sorridendo amaramente. «Sarei ipocrita se lo facessi». Si strinse ancora più forte a Kaito, premendo il petto contro la sua schiena. «Perché lo stesso vale per me. E sai, nel mio caso la persona in questione è anche più grande di Thomas. Solo di un anno, ma la differenza c'è».


11

L'aria tardò ad arrivare ai polmoni. Kaito deglutì ancora e questa volta avvertì la gola pizzicare. Si umettò le labbra, fattesi improvvisamente secche, articolando parole mute che Ryoga non poteva né vedere né sentire.
    «È per questo che hai iniziato a evitarmi, vero? Perché l'hai capito e non mi vuoi. È così?»
    «No, non è così. L'ho fatto per l'esatto opposto».
Avrebbe potuto mentirgli spudoratamente e chiuderla lì. Dirgli che sì, si era allontanato da lui per quello, perché aveva intuito qualcosa e non era affatto interessato a prendersi cura dei suoi sentimenti. La verità era che Kaito non aveva capito proprio un bel niente dei sentimenti di Ryoga, il quale era stato assai abile nel celarli sotto strati e strati di indifferenza. Un'indifferenza che per Kaito era stata quasi un'ancora di salvezza, perché se Ryoga non ricambiava ciò che provava per lui, allora aveva più probabilità di dimenticarlo nel minor tempo possibile.
La stessa maschera impassibile che Kaito aveva sfoggiato ogniqualvolta si erano incontrati, anche solo di sfuggita, durante le tre settimane in cui aveva tentato in ogni modo di allontanarsi da lui.
Non avrebbe mai immaginato che Ryoga ricambiasse i suoi sentimenti. Doveva ancora realizzarlo del tutto, ma quantomeno tornò a respirare. Anche se la situazione si era fatta mille volte più delicata.


12

    «Fammi scendere».
Solo in quel momento Kaito realizzò di essersi fermato in mezzo alla strada. Un venticello freddo aveva fatto il suo timido ingresso in città, pizzicando le gote e portando con sé sospiri impercettibili. E Ryoga aveva la febbre, non poteva continuare a stare lì fuori. Mancava poco e lo avrebbe riportato a casa. Era quasi finita.
    (Come poteva essere finita quando era appena iniziata?)
Ignorando la richiesta – o meglio: l'ordine – di Ryoga, Kaito riprese a camminare, tentando nel mentre di non sprofondare nel subbuglio emotivo nel quale si era ritrovato a vorticare senza preavviso alcuno.
    «Kaito, fammi scendere».
    «No».
    (Un dimenarsi debole e traballante).
    «Voglio scendere».
    «Ho detto di no».
    (Un ringhio di frustrazione).
    «Tanto tra poco dovrò farlo per forza…»
    «Ecco, quindi vedi di calmarti».
    (A quelle parole, Ryoga si agitò ancora di più).
    «Non puoi fare finta di nulla! Ti rendi conto di ciò che hai detto?»
    «Non sto facendo finta di nulla e sì, mi rendo conto di ciò che ho detto».
    «Allora fammi scendere, voltati e diciamocelo in faccia».
    «Ryoga, non possiamo».
    «Perché?»
    «Perché…»
    (Perché non è il nostro tempo).
Nessuna risposta.


13

My heart breaks with every beat
I can't explain what you do to me
So just say you'll promise me
Please, take me if you ever leave


Ryoga poggiò nuovamente i piedi a terra quando giunsero dinanzi la porta di casa sua. Era talmente annichilito che pareva sul punto di svenire da un momento all'altro; al contempo, però, i suoi occhi erano lucidi non solo a causa della febbre, ma anche per il desiderio sconfinato di chiarire una volta per tutte la loro situazione.
Si strinse forte nel cappotto pesante, ora che non poteva più farlo con Kaito, guardandolo intensamente con gli abissi profondi che aveva al posto delle iridi.
    «Voglio sapere
perché» riprese il discorso, intenzionato più che mai a ricevere una risposta.
    «Per lo stesso motivo che ti porta all'esasperazione non appena scopri che tua sorella ha un appuntamento con un ragazzo di diciassette anni» rispose Kaito con un tono di voce molto più tagliente di quanto lui stesso si aspettasse.
    «La situazione è diversa perché Thomas ci sta,
a differenza tua» obiettò Ryoga, sempre più intestardito a riguardo. Avvampò nel momento in cui realizzò di aver detto qualcosa di altamente fraintendibile. «Cioè, con Rio. Thomas con Rio – anche se non lo approvo».
    «Sì, lo avevo capito» lo tranquillizzò Kaito. Si umettò le labbra, passandosi poi una mano tra i capelli. «Ryoga… non possiamo».
E Ryoga sussultò. «Voglio capire
perché» disse, tirando poi su col naso.
   
(No, non stava affatto bene. Necessitava di barricarsi sotto le coperte calde il più presto possibile. E Kaito non voleva essere la causa di un ulteriore dolore per lui).
    «Tra una settimana sosterrò l'esame per entrare all'università».
    «E diamo per scontato il fatto che lo supererai. Ancora non capisco quale sia il problema».
Kaito lo ringraziò mentalmente anche se, con ogni probabilità, Ryoga non lo avrebbe ringraziato a sua volta con ciò che stava per dirgli. Qualcosa che Ryoga stava solo
fingendo di non capire perché, Kaito lo aveva notato e anche fin troppo bene, stava solo glissando sulla cosa più importante per non renderla reale.
    (Il nocciolo della questione, il nucleo, l'abisso più scuro e profondo e spaventoso).

    «Ryoga…»
    «Sì…?»

    (Si stava lentamente accartocciando su se stesso. Così piccolo, perso, solo e spaventato).

    «La Facoltà di Giurisprudenza…»
    «Si trova dall'altra parte di Heartland City, che vuoi che sia?»
    «Ryoga, smettila. So che hai capito».
Ryoga si irrigidì. Deglutì a vuoto una, due, tre volte, provò a replicare senza però riuscirci.
    «Ora ascoltami. E vedi di fartene una ragione in fretta, perché non lo ripeterò una seconda volta: la prossima settimana sosterrò l'esame per entrare all'università. Ma non qui. Andrò a Den City». Sapeva che con quelle parole lo stava uccidendo. Poco per volta, come un veleno che agiva lentamente e martoriava il corpo portando con sé una lenta agonia.
Ryoga sgranò gli occhi, quasi volesse portarli oltre il limite consentito. «Come, scusa?» domandò con un filo di voce. «Che
stronzata è mai questa?»
E allora Kaito capì. E si diede mentalmente dell'imbecille: Ryoga non lo sapeva, ignorava che l'università che aveva scelto si trovasse in un'altra città – la quale era anche molto lontana da Heartland City.
Per tutta la conversazione aveva creduto fermamente che Ryoga non volesse ammettere la realtà dei fatti e che negasse l'evidenza con ogni mezzo a sua disposizione. Ma non era così, era l'esatto opposto: Ryoga non immaginava affatto che Kaito se ne sarebbe andato da quella città, credeva che sarebbe rimasto. Per questo trovava
incomprensibile il fatto che Kaito non volesse dare loro una possibilità: perché la distanza, sia fisica che emotiva, non l'aveva mai contemplata.
    «Tu… tu credevi che sarei rimasto qui» parlò, rivolgendosi più a se stesso che a Ryoga.
    «Già. Avresti potuto avere la
decenza di dirmelo» lo attaccò quest'ultimo, con voce e gambe tremanti.
    «E tu quella di entrare in casa a riposarti».
Ryoga digrignò i denti come una belva inferocita. «Vedi come sei? Cerchi di evitare il discorso con ogni mezzo a tua disposizione! Sei un codardo!»
Kaito si inalberò. «Un codardo?
Io? Credi sia facile per me tenerti alla larga quando l'unica cosa che vorrei è avere più tempo per stare con te? Come credi ci sia rimasto quando ho realizzato troppo tardi di provare qualcosa per te? O come credi che stia ora? Credi che abbia scelto a cuor leggero di fare tutto ciò che ho fatto?»
Si avvicinò a lui e lo prese per le spalle, scuotendolo appena. «Cresci, Ryoga,
cresci. Il mondo non gira intorno a te, intorno a noi…
    (la voce si incrinò)
… anche se vorrei fosse davvero così».
Sciolse la presa sulle sue spalle e si voltò, scendendo i tre scalini con ginocchia tremanti.
    «Questo è il tuo discorso di addio?» gli domandò Ryoga, stringendosi nuovamente nel cappotto pesante. Anche la sua voce si era ormai incrinata del tutto, nonostante mantenesse una certa parvenza di dignità. «Perché se è così, fa davvero schifo».
Kaito si bloccò, respirando a fondo. «Non mi sembri il tipo da preferire un'illusione alla verità».
    «Infatti. Ed è proprio per questo che non capisco perché tu non voglia rendere reale quello che proviamo l'uno per l'altro. Perché non possiamo stare insieme?»
    «Non è il nostro tempo, Ryoga».
    «E allora quando lo sarà?»
   
(Gli diede addio senza rispondere a quella domanda).


But the thought of you gone
Makes everything wrong in my life
So stay right here, right now...
   
 
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