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Autore: Mary Black    15/10/2021    1 recensioni
Lo straniero dagli occhi verdi ricorda perfettamente la prima volta in cui l’ha vista – abbandonata sul prato, il vestito bianco schiuso come una corolla attorno alle gambe snelle, il grembo inondato di fiori, le dita graffiate.
Il suo nuovo amico, il vicino dalla mente acuta e i capelli ramati, si torce le mani al suo fianco. Quel fratello solitario che si ritrova ha un’espressione ostile incisa nei lineamenti duri e macina disprezzo ad ogni sbuffo. [...]
Lei sospira. Un respiro svagato, un po’ tremulo. Le sue ciglia dorate sbattono piano, il sole le fa scintillare.
Le sue dita sottili si adoperano, ostinate, attorno ai fiori. Scivolano, impacciate, sgraziate, su una corona di petali sgualciti. Perdono il filo e ricominciano, instancabili – lui si chiede se lei non stia semplicemente cercando di ricordare, ricordare come si fa a intrecciare i fiori, ricordare come si fa a ritrovare la strada in una realtà fatta di riverberi infiniti e fruscii di narcisi bianchi.
[Gellert/Ariana, Gellert/Albus]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Metensomatosis

la migrazione di un’anima da un corpo a un altro


È un’estate in rovina e lo straniero dagli occhi verdi impara che bisogna stare attenti, a ciò che si desidera.
Albus gli ha svelato ogni cosa – il segreto della bambina perduta, tutto quell’orrendo marciume, il ballo dei narcisi.

Gellert non riesce più a guardarla con gli stessi occhi, quando la osserva fare a pezzi i fiori nel giardino sul retro, così innocente eppure, al tempo stesso, così rotta. Gellert si affonda le mezze lune delle unghie nei palmi, affilando sorrisi mentre Albus parla di un Destino da soggiogare e di artefatti da trovare – ma nei suoi pensieri impazziti la rabbia si agita, si gonfia, e non soccomberle è difficile come lo è trattenersi dal baciare il collo bianco di lei e le mani fredde di lui.
Lo straniero è sempre più irrequieto, ipotesi e possibilità germogliano nei suoi occhi verdi come le aurore del cielo del nord, e l’insoddisfazione lo rende schivo, impaziente, nevrotico. Scoppia in risate inopportune, schiavo dei suoi stessi balzi d’umore – “Sei lunatico”, mormora Albus, sempre più spesso, e lui gli strappa la preoccupazione dal volto con un bacio, ogni volta, sempre più spesso.
Gellert è incapace di accettare che il mondo non sia come lo desidera, quindi ha imparato a farlo a pezzi e a plasmarlo a sua immagine e somiglianza.

 

È una notte fredda di un agosto insolitamente inclemente, quando lo straniero dagli occhi verdi scala per la prima volta il fianco della casa del suo unico amico.
La pendola nel salotto di sua zia ha suonato da poco la mezzanotte, quando ha lasciato il tepore rassicurante del villino per inoltrarsi nella pioggia battente. Un lampo illumina il cielo con ferocia, quando arriva a bussare alla finestra di Albus è bagnato fin dentro le ossa, appollaiato sul cornicione in precario equilibrio con un sorriso estatico dipinto in faccia.
“Gellert, ma cosa diavolo...”
Albus gli apre, sconcertato, e Gellert piomba nella sua stanza da letto scrollandosi i capelli fradici d’acqua piovana.
“Volevo vederti.”
“È mezzanotte passata, ed è anche pericoloso darsi alle arrampicate notturne! E comunque stavo rispondendo alla tua lettera, se avessi avuto un minimo di pazienza, avresti-”
“La pazienza non fa per me, Albus.”
Qualcosa nel tono dello straniero riduce al silenzio l’altro, che lo fissa da dietro gli occhiali a mezzaluna con uno sguardo acuto, penetrante ­– e l’azzurro è proprio lo stesso di lei.

Gellert vacilla nei propri propositi. Vuole parlargli, deve farlo, ha un’idea che salverà il mondo, che salverà loro due, che salverà lei, ma esita, esita appena – esita perché non capisce, è tutto distorto, è tutto imperfetto, la bambina con le sembianze di un demone che lo tiene sveglio la notte, la bambina la cui mente rotta in due gli pare un affronto insopportabile e un ostacolo insormontabile, e Albus con quell’intelligenza che lui ama e quella sensibilità di cui lui ha un bisogno disperato, Albus che non può fare a meno di desiderare nonostante abbia il corpo sbagliato.
Gellert rimpiange che le anime non possano migrare in corpi diversi da quelli in cui sono state imprigionate alla nascita, ma è solo un secondo, prima che le sue mani si chiudano sui fianchi del suo unico amico e le sue labbra gli strappino un respiro ansante.
Albus non cerca nemmeno di resistere – non vuole ­– e si ritrova a stringerlo tra le braccia con un desiderio febbrile che lo strema. I vestiti di entrambi si accasciano per terra, sgualciti, lo straniero dagli occhi verdi sa di pioggia e immortalità e promesse impossibili, e Albus trema appena sotto l’impeto di tutto quel bisogno che è metà estasi e metà disperazione, metà piacere e metà dolore – come l’espressione indecifrabile che coglie sul suo viso attraverso i riccioli biondi, mentre muore sotto di lui, le unghie conficcate tra le sue scapole e la sua bocca a due centimetri dalla propria.
Quando tutto finisce, Gellert resta steso al suo fianco, insolitamente silenzioso e insolitamente serio – niente risate, niente sbalzi d’umore. Il suo sguardo acuminato è perso oltre i vetri sfigurati dalla pioggia, e Albus ha l’impressione che basterebbe una parola sbagliata per rovinare tutto quanto – così resta in silenzio.
Gellert tace, apparentemente calmo, i pensieri vibranti di elettricità – nella sua mente si accumulano colpe e palpiti indesiderati, fastidio, lancinante piacere, con Albus è stato tutto corrotto e tutto giusto, una sinfonia assordante sporca di perfezione, ma il suo corpo, Mein Gott, il suo corpo così maledettamente sbagliato (perché non puoi essere una donna perché non puoi essere tua sorella) lo fa impazzire (perché non posso strapparti l’anima e portarla altrove), e anche sapere che lei dorme i suoi incubi a sole due porte di distanza lo fa impazzire (se non posso far migrare le anime perché non posso avervi entrambi).
Gellert serra le palpebre, mordendosi le labbra – il profumo di Albus saccheggia le sue ritrosie, la rabbia soffia e il desiderio ride ride ride.
“Non hai mai paura di lei?” sbotta, per spezzare quel silenzio carico di lascivia.
Albus esita appena, stupefatto.
“È mia sorella, Gellert.”
“Albus.”
“Mi fa pena. Una pena che mi spezza il cuore in due.”
Gellert si sente torcere lo stomaco nell’udire la sua voce fragile – non vuole vederlo soffrire, non vuole che lui sia triste, Albus ha il corpo sbagliato ma la sua mente è la perfezione assoluta, e lo straniero pensa che, forse, può perdonare, forse può dimenticare, le anime non migrano ma non hanno nemmeno un sesso.
“Aggiustiamola.”
Gli occhi di Albus sono velati di lacrime, il suo corpo semi nudo è un richiamo irresistibile e una ferita infetta cosparsa di sale.
“Che cosa significa?”
“La Bacchetta di Sambuco può ogni cosa. Possiamo curarla.”
E, se non si potesse aggiustare quell’anima spaccata, il suo corpo potresti prenderlo tu – ma questo non lo dice.
“Gellert, no...”
No, amore mio” esala lo straniero, affondando le dita tra i suoi capelli ramati, “Noi possiamo ogni cosa. Lasciami compiere il miracolo.”
Albus ha uno sguardo incerto e pensieri increduli che arpeggiano un preludio di delusione, ma Gellert assale la sua bocca e tutte quelle crepe nemmeno le nota.

 

 

Note dell’Autrice
Eccoci qui, miei cari lettori, con uno dei capitoli di cui sono più soddisfatta in assoluto.
Qui Gellert è proprio il mio Gellert, come lo immagino (ad eccezione dei sensi di colpa per l’essere attratto da un uomo, che sono in abbinamento alla Gellert/Ariana e non rispecchiano i miei soliti headcanon). Mi dà una soddisfazione particolare averne scritto, e spero che questo capitolo piaccia anche a voi.
Dal prossimo tornerà anche Ariana e sì, prima o poi anche a voi verrà svelato il mistero della bambina perduta, “il ballo dei narcisi”.
Fatemi sapere la vostra opinione!

Mary

  
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