Metensomatosis
la
migrazione di un’anima da un corpo a
un altro
È un’estate in rovina
e lo straniero dagli occhi verdi impara che bisogna stare attenti, a
ciò che si
desidera.
Albus gli ha svelato ogni cosa – il segreto della bambina
perduta, tutto
quell’orrendo marciume, il ballo dei narcisi.
Gellert non riesce
più a guardarla con gli stessi occhi, quando la osserva fare a pezzi i
fiori
nel giardino sul retro, così innocente eppure, al tempo stesso, così
rotta.
Gellert si affonda le mezze lune delle unghie nei palmi, affilando
sorrisi
mentre Albus parla di un Destino da soggiogare e di artefatti da
trovare –
ma nei suoi pensieri impazziti la rabbia si agita, si gonfia, e non
soccomberle
è difficile come lo è trattenersi dal baciare il collo bianco di lei e
le mani
fredde di lui.
Lo straniero è sempre più irrequieto, ipotesi e possibilità germogliano
nei suoi occhi verdi come le aurore del cielo del nord, e
l’insoddisfazione lo
rende schivo, impaziente, nevrotico. Scoppia in risate
inopportune,
schiavo dei suoi stessi balzi d’umore – “Sei lunatico”, mormora
Albus,
sempre più spesso, e lui gli strappa la preoccupazione dal volto con un
bacio,
ogni volta, sempre più spesso.
Gellert è incapace di accettare che il mondo non sia come lo
desidera,
quindi ha imparato a farlo a pezzi e a plasmarlo a sua immagine e
somiglianza.
È una notte fredda di
un agosto insolitamente inclemente, quando lo straniero dagli occhi
verdi scala
per la prima volta il fianco della casa del suo unico amico.
La pendola nel
salotto di sua zia ha suonato da poco la mezzanotte, quando ha lasciato
il
tepore rassicurante del villino per inoltrarsi nella pioggia battente.
Un lampo
illumina il cielo con ferocia, quando arriva a bussare alla finestra di
Albus è
bagnato fin dentro le ossa, appollaiato sul cornicione in precario
equilibrio con
un sorriso estatico dipinto in faccia.
“Gellert, ma cosa diavolo...”
Albus gli apre, sconcertato, e Gellert piomba nella sua stanza da letto
scrollandosi i capelli fradici d’acqua piovana.
“Volevo vederti.”
“È mezzanotte passata, ed è anche pericoloso darsi alle arrampicate
notturne! E
comunque stavo rispondendo alla tua lettera, se avessi avuto un minimo
di
pazienza, avresti-”
“La pazienza non fa per me, Albus.”
Qualcosa nel tono dello straniero riduce al silenzio l’altro, che lo
fissa da
dietro gli occhiali a mezzaluna con uno sguardo acuto, penetrante –
e
l’azzurro è proprio lo stesso di lei.
Gellert
vacilla nei propri
propositi. Vuole parlargli, deve farlo, ha un’idea che salverà
il mondo,
che salverà loro due, che salverà lei, ma esita, esita appena –
esita
perché non capisce, è tutto distorto, è tutto imperfetto, la bambina
con le
sembianze di un demone che lo tiene sveglio la notte, la bambina la cui
mente
rotta in due gli pare un affronto insopportabile e un ostacolo
insormontabile,
e Albus con quell’intelligenza che lui ama e quella sensibilità di cui
lui ha
un bisogno disperato, Albus che non può fare a meno di desiderare
nonostante
abbia il corpo sbagliato.
Gellert rimpiange che le anime non possano migrare in corpi diversi
da
quelli in cui sono state imprigionate alla nascita, ma è solo un
secondo, prima
che le sue mani si chiudano sui fianchi del suo unico amico e le sue
labbra gli
strappino un respiro ansante.
Albus non cerca nemmeno di resistere – non vuole – e si
ritrova a
stringerlo tra le braccia con un desiderio febbrile che lo strema. I
vestiti di
entrambi si accasciano per terra, sgualciti, lo straniero dagli occhi
verdi sa
di pioggia e immortalità e promesse impossibili, e Albus trema appena
sotto
l’impeto di tutto quel bisogno che è metà estasi e metà disperazione,
metà
piacere e metà dolore – come l’espressione indecifrabile che coglie
sul suo
viso attraverso i riccioli biondi, mentre muore sotto di lui, le unghie
conficcate tra le sue scapole e la sua bocca a due centimetri dalla
propria.
Quando tutto finisce, Gellert resta steso al suo fianco, insolitamente
silenzioso e insolitamente serio – niente risate, niente sbalzi
d’umore. Il suo
sguardo acuminato è perso oltre i vetri sfigurati dalla pioggia, e
Albus ha
l’impressione che basterebbe una parola sbagliata per rovinare tutto
quanto –
così resta in silenzio.
Gellert tace, apparentemente calmo, i pensieri vibranti di elettricità –
nella sua mente si accumulano colpe e palpiti indesiderati, fastidio,
lancinante piacere, con Albus è stato tutto corrotto e tutto giusto,
una
sinfonia assordante sporca di perfezione, ma il suo corpo, Mein Gott,
il suo
corpo così maledettamente sbagliato (perché non puoi essere una
donna
perché non puoi essere tua sorella) lo fa impazzire (perché non posso
strapparti
l’anima e portarla altrove), e anche sapere che lei dorme i suoi incubi
a sole
due porte di distanza lo fa impazzire (se non posso far migrare le
anime perché
non posso avervi entrambi).
Gellert serra le palpebre, mordendosi le labbra – il profumo di Albus
saccheggia le sue ritrosie, la rabbia soffia e il desiderio ride ride
ride.
“Non hai mai paura di lei?” sbotta, per spezzare quel silenzio carico
di
lascivia.
Albus esita appena, stupefatto.
“È mia sorella, Gellert.”
“Albus.”
“Mi fa pena. Una pena che mi spezza il cuore in due.”
Gellert si sente torcere lo stomaco nell’udire la sua voce fragile –
non
vuole vederlo soffrire, non vuole che lui sia triste, Albus ha il corpo
sbagliato ma la sua mente è la perfezione assoluta, e lo straniero
pensa che, forse,
può perdonare, forse può dimenticare, le anime non migrano ma non hanno
nemmeno
un sesso.
“Aggiustiamola.”
Gli occhi di Albus sono velati di lacrime, il suo corpo semi nudo è un
richiamo
irresistibile e una ferita infetta cosparsa di sale.
“Che cosa significa?”
“La Bacchetta di Sambuco può ogni cosa. Possiamo curarla.”
E, se non si potesse aggiustare quell’anima spaccata, il suo corpo
potresti
prenderlo tu – ma questo non lo dice.
“Gellert, no...”
“No, amore mio” esala lo straniero, affondando le dita tra i
suoi
capelli ramati, “Noi possiamo ogni cosa. Lasciami compiere il
miracolo.”
Albus ha uno sguardo incerto e pensieri increduli che arpeggiano un
preludio di
delusione, ma Gellert assale la sua bocca e tutte quelle crepe nemmeno
le nota.
Note dell’Autrice
Eccoci
qui, miei cari lettori, con uno
dei capitoli di cui sono più soddisfatta in assoluto.
Qui Gellert è proprio il mio Gellert, come lo immagino (ad
eccezione dei
sensi di colpa per l’essere attratto da un uomo, che sono in
abbinamento alla
Gellert/Ariana e non rispecchiano i miei soliti headcanon). Mi dà una
soddisfazione
particolare averne scritto, e spero che questo capitolo piaccia anche a
voi.
Dal prossimo tornerà anche Ariana e sì, prima o poi anche a voi verrà
svelato
il mistero della bambina perduta, “il ballo dei narcisi”.
Fatemi sapere la vostra opinione!
Mary