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Autore: robyzn7d    16/10/2021    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XVIII
Paura di sé  

 
 
 
 
 
 
 
“Nami sei ancora qua fuo…” 
La voce del piccolo medico si smorzò di colpo quando, sbucando da dietro alla parete, vide che la compagna che cercava non era più sola. Insieme a Zoro, quasi pressati in un angolo, una nell’abbraccio dell’altro, erano persi in un momento tutto loro.
Fu come quella mattina in infermeria, quando aveva provato un gran bel calore dentro di sé solamente ad osservarli nelle loro espressioni beate. 
Chissà perché lui riusciva a captare tutta quella calda energia che rilasciavano nell’aria. Quanto avrebbe voluto che anche gli altri la vedessero allo stesso modo, come anche i diretti interessati. 
Sentiva di avere gli occhi lucidi, forse emozionato, forse stranito anche, ma comunque contento di vedere quanto due persone così difficili come Nami e Zoro cedevano, abbassavano la guardia, aprivano le braccia all’amore. 
Chissà se anche a lui sarebbe successo, se anche lui si sarebbe ritrovato con quell’aurea rara tra le mani che prendeva vita solo in presenza di un’altra persona. Certo, si poteva ritenere abbastanza fortunato, aveva già una famiglia che lo amava incondizionatamente, ma se fosse riuscito a prendersi anche quella fetta di intimità in più, di condivisione con una persona che non prendeva il nome di Usop, non gli sarebbe certo dispiaciuto. 
Perso tra i suoi pensieri, ma con un sollievo nel cuore, decise di lasciar loro il privato e andare via, sentendosi come un occhio di troppo che inquinava quell’idillio. 
 
 
 
Ma se Chopper era capace di captare l’amore col fiuto, non poteva però sapere che cosa nel frattempo aleggiava all’interno di quelle teste così impegnative.  
 
Nami ne stava avendo di consapevolezze particolari. Innanzitutto, non si era mai sentita così vicina a qualcuno; e ancora più sconcertate per lei erano la voglia e paura crescenti di dover condividere quella intimità con lo stesso. Lui che poteva attanagliarle la bocca dello stomaco, anche solo così, guardandola e respirandole vicino. 
Tutte quelle difese che l’avevano sempre protetta stavano iniziando a crollare una ad una, e anche se provava a contrattaccare come era suo solito fare, iniziava a sentirsi inerme, ma non con lui, con sé stessa. 
 
Zoro, d’altra parte, si rendeva conto solo adesso, dentro quell’abbraccio, che quella storia metteva a dura prova tutto il suo lavoro e relative fatiche, sentendosi per primo incapace di controllarsi come avrebbe voluto, e, soprattutto, come avrebbe dovuto.
Era sicuro di non essere la persona più adatta per quel genere di cose, e dover dare delle dimostrazioni senza l’uso della spada era tremendamente difficile. 
Ma standole così vicino non riusciva più a reprimere il desiderio di lei. La stessa persona che ora era appoggiata sul suo petto, quella che non stava più esitando, non lo stava rifiutando, seppur ogni tanto provasse a fare la dura davanti si suoi occhi. Sapeva bene che Nami aveva bisogno di certe rassicurazioni e, anche se lui non aveva questa necessità di dargliele, avrebbe comunque potuto provarci. 
In quella complicata famiglia il suo ruolo era solo quello di combattere, proteggere e vincere. Non sapeva fare altro. E nient’altro aveva da offrirle. 
E lei invece aveva un ruolo molto più complesso, che brillava di sfumature e colori. Lei rappresentava tutto il resto: era le parole, era il caldo e il freddo, la tempesta e il sole, le lacrime e il sorriso, la paura e il coraggio, l’affetto e il distacco, la sofferenza e la superficialità. Non era la sua Nami se non provava un’emozione e allo stesso tempo anche il suo contrario. 
Era dannatamente difficile starle dietro, per lui poi, che aveva spesso più cose da rimproverarle che altro. Ma era anche l’unica donna che riuscisse a farlo agitare, ingelosire, fargli bruciare la pelle come se lei fosse il sole e lui un vampiro. Il suo corpo reagiva a lei, a lei e basta, in quella sensazione incontrollabile che nemmeno sapeva spiegarsi in un modo nuovo e quasi inesplorato. 
 
 
Nami continuava a muovere la sua mano su quel petto allenato a cui era sempre più affezionata. Stava ardentemente accarezzandolo, in silenzio, beandosi del momento. 
Attorno non sentiva nulla, non c’era più nulla. 
Facendo appena pressione sulle spalle di Zoro, in un gesto delicato, lo aveva spinto alla parete dietro di lui, e, per via di un impeto che aveva preso il sopravvento su di lei, aveva iniziato a baciarlo in modo strano sulla pelle, dall’attaccatura del collo verso insenature ruvide e scultoree. Si sentiva un’altra persona mentre lo faceva, ma all’improvviso non poteva farne a meno.
Lui non fu immediato nel reagire a quel tipo di attenzione, dal momento che non si sarebbe certamente aspettato un agguato del genere da parte di Nami, chinandosi sorpreso su di lei con il viso, respirandole piano tra i capelli. 
La rossa non aveva fatto nemmeno caso alla sua dolce e rassicurante reazione, talmente su di giri e, con cautela, come una ladra in una stanza piena di tesori, aveva fatto scivolare silenziosa e delicata la sua piccola e liscia mano destra, che dalla spalla ora scendeva su di lui, percorrendo lentamente tutto quel petto immobile in un movimento armonioso e quasi impercettibile. Un contatto accompagnato sorprendentemente da baci diventati gentili che bruciavano la pelle nuda, che iniziò a prendere fuoco, soprattutto, quando quella mano, ormai insidiata in lui, era scesa così tanto sul suo corpo da arrivare all’apertura dei pantaloni neri, indugiando sul tessuto e giocando con il bottone principale, fino a pigiarlo e liberarlo dalla chiusura.
Lo sentì diventare immediatamente rigido - fin troppo rigido - ma soprattutto agitato. Nami sotto le sue mani riusciva a captare ogni variazione dell’emozione di Zoro, da come contraeva i muscoli in un modo molto specifico e delineato. 
Ma Zoro non era poi colto così impreparato, dal momento che aveva già vissuto tutto quello, oltre che nelle sue migliori fantasie anche nella realtà, in quella mattina da cui difficilmente si era ripreso, scorgendo in sé stesso uno squilibrio che stava diventando inequivocabilmente costante. 
Alzò un attimo lo sguardo su di lui, Nami, coraggiosa, trovandolo in balia di uno strano sentimento, forse ansia, forse tormento, o forse entrambi. 
Lui ricambiò lo sguardo, affrontandola, mentre una consapevolezza devastante prendeva il controllo al suo interno. 
La voleva. E la voleva subito. 
 
Entrambi l’avevano capito il significato di tutto quel muoversi dal suono silenzioso ma pieno di ansiti, e dove si sarebbero potuti spingere in quell’esatto istante, se avessero tolto immediatamente il freno. 
La guardò dritto in quegli occhi che sembravano ancora più profondi, gli stessi che sprigionavano un desiderio che non aveva mai scorto in lei; poi le guardò le labbra, che immaginò di prenderle subito, per poi scendere con gli occhi ancora più in basso; e mentre cercava quella mano, in tutto quel trambusto si rese conto che la camicetta, già abbondantemente scollata di Nami, nel loro muoversi avventato, si era aperta maggiormente perdendo un altro bottone, lasciandogli una vista più ampia sul suo corpo. 
“N-non va bene.” 
Riuscì ad esternare a voce alta, trovando la forza di prenderle la mano, intrappolandola nella sua, per toglierla da sopra alla sua pelle, che era ormai alla brace, pensando di dover uscire subito da quella trappola che lui stesso aveva creato. Non che non le avesse mai viste, ma da quella posizione, mentre le schiacciava di proposito su di lui, era tutto un altro bel paio di maniche. 
Per fortuna la mente riusciva ancora a controllarlo, a dargli un contegno. 
“Non va bene?” 
La voce svenevole di Nami lo risvegliò da quei pensieri. E come la sapeva interpretare bene lei quella parte...
La rossa sentiva solo il corpo fremere, e voleva dare ascolto solo a quello, lasciandosi finalmente andare a quel suo lato famelico che non aveva mai conosciuto prima d’ora, prima di quei giorni. Aveva voglia di lui, in una spirale che cresceva e portava verso l’alto, ogni giorno un pò di più; ormai non riusciva a fermare più né il cuore né la mente; perciò, non era sicura stesse ragionando come al suo solito, così come non era sicura si trattasse di amore o se fosse solo in bisogno che il corpo aveva necessità di soddisfare. 
Il suo ghigno era carnalmente lascivo mentre si lasciava divorare dalla passione che le partiva direttamente dall’interno. Era stato lui a cercare la fisicità, era stato lui a toccarla per primo. E aveva acceso un tasto in lei che adesso non riusciva più a silenziare. 
Lo guardò in viso rossa di vergogna per un solo attimo, ma era anche rossa per via di quel calore che saliva e si approfittava del suo stato emotivo. Lui era in difficoltà, ma a lei non importava in quel momento, contava solo una cosa: soddisfare quel suo bisogno diventato ingestibile per il suo corpo. Voleva ascoltare la dritta di Robin, le aveva detto di lasciarsi andare, e sapeva che doveva darle ragione. 
Ma lui le aveva allontanato la mano, e quindi che cosa significava per lei? 
Lasciò perdere, fiondandosi nuovamente su quel collo invitante come se fosse stata una vampira in giorno di festa, addentandolo e leccandolo senza contegno: lo stava facendo letteralmente impazzire. E lo sapeva, lo sentiva caldo e contratto, mentre cercava di contenersi.
Lui aveva chiuso l’occhio, lasciandosi andare, seppur immobilizzava ancora la mano pericolosa di Nami, quella che minacciava di provocargli troppo piacere in una presa decisa tra le sue gambe; e poi le prese anche l’altra, imprigionandola, per preservare la sua incolumità. 
E quei baci non erano da meno, lo stavano mandando in visibilio. Non avrebbe mai pensato di meritarli, di viverli, di riceverli da Nami stessa. 
Per un attimo ricambiò, strofinando il viso su quella guancia appena sotto di lui, annaspando e facendo respiri lunghi, come un malato che stava per perdere tutto il suo ossigeno e ne faceva una scorta per il futuro. 
Nami lo sentiva ispirare contro di lei, annusarla, strofinarla, mentre quella presa sulle mani diventava sempre più forte, sintomo dell’eccitazione di lui che aumentava. 
Quella reazione l’incendiava, raggiungendo la consapevolezza che non sarebbe riuscita a fermarsi da sola. 
Seguendo l’istinto e abbandonando la ragione, e quindi tutti i suoi più buoni propositi, lui, per il piacere che il suo corpo stava vivendo, l’aveva afferrata con la mano aperta da dietro alla schiena, avvinghiandola a sé, come per trattenere tutte le sensazioni che stava provando. Nel farlo, aveva dimenticato, per un solo istante di ardore, di quell’ematoma prorompente e doloroso, sprigionando un brutto ricordo che prese spazio nella sua mente nel momento in cui la sentì gemere di dolore vicino al suo orecchio. 
Tolse subito la mano, cercando quella lucidità che stava perdendo. “Mi dispiace.” 
Ma a Nami non sembrava importare, visto che aveva ripreso immediata a baciarlo, “e di cosa?” gli disse svelta, cercando di essere convincente. Non voleva si fermasse tutto per colpa di uno stupido livido. Ormai erano lì, in quel confine che, se superato, avrebbe potuto condurre in quella direzione che gli tormentava entrambi da molto tempo. “Togliamoci il pensiero, Zoro” aveva aggiunto, dando aria alla bocca e facendo uscire la sua parte caratteriale più problematica; quella sì, istintiva, ma anche avventata e piena di paure e contraddizioni. 
“Sciocca.” 
Allo spadaccino non piacquero affatto quelle parole. 
Era ferita, certo, e sicuramente già solo per questo lui non l’avrebbe più toccata. 
Che diavolo voleva dire, poi, quel togliamoci il pensiero?  
Allontanarla e distanziarsi era così difficile anche per lui, ma sentiva di doverlo fare, doveva provarci, doveva fare lui l’adulto della situazione…lei stava rovinando tutta quella giornata di duro allenamento, di meditazione, con la liberazione dai piaceri carnali che continuavano ad obnubilare la sua mente e il suo corpo. 
“Nami…” 
Quelle bellissime labbra carnose sulla sua pelle erano ciò che più doveva evitare. C’era stato un bacio tra loro, un abbraccio, un toccarsi reciproco, quella sera…erano stati contatti più che sufficienti per lui, per dimostrarle le tracce di un amore che lei aveva bisogno di sentire e toccare con mano… anzi dovevano bastare, o non avrebbe più risposto di sé. 
Ma lei non riusciva a capire quanto fosse difficile per lui non ascoltare sé stesso, il suo codice di spadaccino e le sue regole autoimposte. E perché non ci provava nemmeno? 
“Ab…abbiamo detto un passo alla volta.” 
Quei baci caldi erano la morte del suo dovere. 
Nonostante le mani di Nami fossero al sicuro nella sua trappola, la percepì comunque scendere su di lui con la bocca. 
Era diventato troppo da sopportare a quelle condizioni.
Ma la durezza che sentiva in mezzo alle gambe continuava a tradirlo, rendendo futili tutti i suoi tentativi nel cercare di placarla. 
 
“Quando l’abbiamo detto?” 
Nami aprì la bocca solo per rispondere mentre era ancora immersa sui suoi addominali, in preda ai bollori e agli istinti più primitivi. 
La ragazza lo sentiva forte e chiaro, che cercava di resisterle in tutti i modi concepibili, ma decise di ignorarlo ancora. 
 
Quel briciolo di lucidità rimasta viva in lui però riuscì alla fine a staccarla e capovolgere la situazione, poggiandola delicatamente alla parete, la stessa che prima accoglieva le sue spalle, stando però attento a non farle colpire la schiena sul muro. Naturalmente era anche un modo per tenerla abbastanza lontana dalla sua pelle per un secondo. 
La guardò negli occhi con intensità, ma vederla ansimare, con le labbra gonfie e umide, lo stava mandando ancora più in estasi di prima. Si chiedeva se questo fosse davvero possibile. 
“S-e- s-ei impazzita?” 
La voce era mozzata dal piacere, però cercava il suo tono più appropriato. E mentre provava a nascondere quanto tutti quei gesti fossero enormemente piaciuti al suo corpo, la rimproverava con lo sguardo. “Togliamoci il pensiero?” , le ripeté quella frase che gli torturava la mente e che non gli andava proprio a genio. Ma lei non voleva ascoltare, non voleva che tutto finisse così, non lo stava provocando a vuoto, aveva appena iniziato a lasciarsi andare e voleva andare fino in fondo senza continuare a rimuginare, pensare, mandare in pappa il cervello; né andava della sua sanità mentale e fisica. 
“Hai così tanta paura di una donna, Zoro?” 
Decise di utilizzare la sua tecnica psicologica più micidiale, riversandogli addosso quel suo tono di sfida, che usava quando voleva manipolarlo e stuzzicarlo nel modo peggiore, più infimo, mentre cercava comunque di allungare le mani per sfiorarlo. 
Ma quelle parole agirono in lui come un insulto, come al solito, facendogli digrignare i denti e rendere più salda quella distanza tra loro.
“Non dire idiozie” 
Lo stesso Zoro, per quanto cercasse di essere serio, sentiva il bisogno di respirare, doveva riuscire a tornare normale e spegnere quel bruciore che stava divampando prima che fosse tardi e prima che lei riuscisse davvero a far di lui ciò che voleva.
Ma era più facile pensarlo che metterlo in atto, era dannatamente difficile rinunciare a lei. 
 
“Ma perché sei così duro con te stesso?” Gli urlò in tono graffiante ma anche liberatorio, quasi ferita di sentirsi rifiutata. “Scegli volontariamente di farti del male!” 
Nami, nel frattempo, cercava di fuggire da quella presa in cui lui la teneva prigioniera, e, nonostante tutto, non stava affatto perdendo quella voglia di lui che era diventata ormai così visibile. 
 
 
Era stato così tempestivo nel fermare quell’impulso perentorio, ma adesso ci stava facendo i conti. Solo ora sentiva quanto lei lo desiderasse, e anche se avrebbe dovuto - voluto - essere in estasi per questo, la cosa lo spaventava. Sapeva che aprire quella porta lo avrebbe distratto per sempre e forse in modo definitivo da tutto il suo dovere.
Nami era la sua spina nel fianco a tutti gli effetti. 
 
“Non mi vuoi?” balbettò lei con un sorriso impacciato ma furbo sulle labbra, con la voce che sembrava di qualcun’altra. 
Lui si arrestò all’istante, tornando a guardarla quasi con timore. I loro occhi si incrociarono per alcuni, interminabili istanti, e ciò che Zoro lesse in quelli di lei ebbe il potere di mutare il suo stato d’animo. Lo stava come implorando con lo sguardo di non lasciarla sola in quel momento. 
Mentre, invece, ogni esitazione da parte sua stava sconvolgendo Nami sempre più in modo negativo. Lui avvertiva il suo desiderio, si, e questo dettaglio continuava a farlo eccitare come un ragazzino alla sua prima festa con gli amici, ma avvertiva anche la paura e la confusione in lei. Sarebbe stato da vero incosciente buttarsi in qualcosa che avrebbe potuto spezzarli, solo per soddisfare un desiderio o allontanare una paura temporanea. Non avrebbe mai acconsentito a prendere parte a qualcosa che poi le avrebbe forse fatto male dentro per via di un tempismo completamente sbagliato e arrivato probabilmente con troppo anticipo. 
 
Senza pensarci oltre, Zoro provò ad abbozzare un sorriso. Sperava che la voce non troppo ferma e la sua eccitazione non lo tradissero. “Non dobbiamo farlo adesso, Nami.” 
Nel frattempo, aveva allentato la presa sulle mani di lei, quelle che ancora teneva intrappolate, preparato a quell’atteggiamento imprevedibile. 
Era bastato un attimo come quello per dimostrare quanto a lungo tempo avevano possessivamente messo a tacere i loro istinti, le loro emozioni più intime, i loro desideri carnali mai confessati. 
 Ma in quel momento però gli sembrava anche di aver percepito l'esatto istante in cui il respiro di Nami si era spezzato, per via di un senso di disperazione. 
Come al solito, lei aveva frainteso tutte le sue azioni e tutte le sue parole; come al solito non aveva notato niente, guardandolo solo con superficialità, come sempre temeva facesse. 
Rese la presa più morbida, avvicinandosi pericolosamente a lei, poggiando la fronte sulla sua tempia. Zoro sembrava quasi come volesse ricordarle del suo amore persistente. 
Ma lei era troppo spiazzata per farci caso. 
Nami, che non riusciva a spegnere il fuoco che era imploso dentro di lei, dal petto allo stomaco al basso ventre, sentiva quel respiro pesante sulla pelle, e non capiva niente di quei suoi gesti contraddittori. 
Ovviamente era lui l’unico uomo sulla terra che avrebbe messo un freno alla sua passione, chiunque altro ne avrebbe probabilmente approfittato subito di lei, di quel suo stato stranamente sincero e vulnerabile. 
 
Ignorava però che le emozioni che Zoro aveva provato in quel frangente lo avevano travolto come una tempesta, sconquassando il suo cuore e mandandolo in estasi. 
Dirle no era sicuramente il suo esercizio più duro, difficile, rigido, e quasi impossibile da superare tra tutti quelli che aveva affrontato. 
Portare pietre sulle spalle fin da ragazzino sembrava così facile adesso; e fare bagni in acqua ghiacciata non era nulla in confronto a quello. E probabilmente non avrebbe saputo rifarlo più, stava al limite di sé stesso. 
 
Ma in un impeto di rabbia la rossa riuscì a scivolare via dalla presa che lui aveva su di lei, non facendosi intenerire da quel gesto gentile, spingendolo sul petto e allontanandolo furiosa. “Vai al diavolo!” Con passò felpato lo superò, recuperando tutta la sua dignità, alzando la testa in modo fiero, e rimettendo i capelli in ordine. 
“Ma dove vai stupida!?”
Lo sentì grugnire, dietro di lei, infastidito. Ma lo lasciò perdere, senza più degnarlo di uno sguardo o attenzione. 
 
“Nami!” 
 
 
 
 
Aveva bisogno d’aria per spegnersi. Quasi che si sarebbe pure gettata nell’acqua gelida dell’oceano, se solo avesse avuto la sicurezza che avrebbe funzionato.
Ecco, proprio come faceva lui, per scacciare via i pensieri del cavolo. 
Era così furiosa - e ora il calore delle sue gote era dovuto anche a questo. Solo lui era in grado di farla ribollire in quel modo. E niente tranne lui in quel momento avrebbe potuto spegnere l’incendio che ancora le ardeva dentro. 
Che stupida era stata.
E che stupida ancora adesso a pensare a quel corpo nudo del compagno sotto alle sue labbra. 
Scosse la testa.
Ma come era finita così? Da quando la sua mente ragionava come quella di un uomo?*
Non faceva altro che esporsi ormai.
E si preoccupava di essere lui quello vulnerabile. 
Come no…
 
Ma quanto è bravo a controllarsi quell’idiota. 
 
 
Ormai aveva rinunciato a comprenderlo.
Era chiaro come il sole, Nami gli uomini proprio non riusciva a capirli, e seppur avesse sempre saputo di riuscire a manipolarli, né aveva incontrati almeno due che erano fuori da ogni schema esistente, almeno, sotto certi punti di vista. E quell’altro era proprio lì fuori in quel momento, al piano inferiore, seduto sul pavimento del ponte, sotto le stelle, mentre parlava animatamente con Rin. 
Forse qualcuno in grado di rincuorarla, e qualcosa che poteva farle tornare il sorriso, alla fine, c’era sempre su quella nave. 
 
 
“Ed é stato questo Buggy a far del male alla mamma?” 
Chiedeva la bambina, agitata, che venuta a sapere delle avventure del pirata Buggy il clown approfittava per porre domande personali; mentre stava seduta accanto a lui, e con le mani tremanti scioglieva i capelli e gli accarezzava, stanca e sudata dal duro allenamento della giornata. 
“Chi? Buggy? Ma se è proprio Nami che l’ha fregato!” 
Rin Rise di gusto, contagiando il capitando che si fece prendere dai ricordi, toccandosi la pancia dal dolore delle troppe risate. 
La bambina si fece forza di tutto il suo coraggio, smettendo di manifestare quel sentimento allegro, e guardando Rufy sicura in viso. “Ma quindi…è su quell’isola che si sono conosciuti?” 
Il capitano gommoso smise di sbellicarsi, fermando ogni movimento corporeo all’istante. La guardò, accennando un mezzo sorriso, per poi annuire, convinto che le bastasse quello per essere felice. “Ma come, non te ne hanno mai parlato?”
Rin gonfiò le guance. “Valla a capire tu qual è la verità…” continuava a districare i capelli, facendoli svolazzare poi al vento, “papà dice sempre che se non fosse stato per lui, che le ha salvato le chiappe, la mamma non avrebbe avuto oggi nessuna possibilità di disegnare nemmeno un’isola sulla sua cartina…”, vide Rufy illuminarsi e sogghignare, “e la mamma dice, ovviamente, che senza di lei sareste sicuramente naufragati entrambi, e quindi che è stata lei a salvarvi.”
Il capitano si fece impossessare da risa sincere che si sentivano su tutti i piani del ponte della Sunny. “Bè ma sono entrambe la verità. Non ti sta bene?” continuava a ridere, proteggendo il cappello da una folata di vento. 
“Ecco, dici sempre la stessa cosa pure tu!” mise il broncio lei “mai nessuno che sappia raccontare con chiarezza…solo Usop lo fa, ma racconta questa storia piena di dettagli nonostante lui nemmeno l’abbia vissuta, così ho capito che non può essere vera la sua versione…! Uffa!” 
Sentiva lo sguardo di Rufy su di lei, con quegli occhi così sorridenti e pieni di vita che la scrutavano, facendola sentire a disagio. “Che c’è?” Si sentiva così scoperta se osservata in quel modo da lui. Ma quello continuava a ridere a crepapelle. 
“Si vede così tanto che sei figlia loro…ora sembri proprio Nami…”, spalancò la bocca meravigliato, sfiorandole una ciocca di capelli rossi con il dito. 
Incrociò le braccia al petto come risposta, sbuffando infastidita da quei sentimentalismi. 
“Ecco, ora sei Zoro!” 
“E piantala! Io sono Rin! Rin e basta!” 
Il capitano aveva le lacrime agli occhi, era così buffa a vederla, così piccola ma così uguale ai suoi migliori amici. 
“Va bene, va bene!” 
 
La vide assaporare l’aria fresca, appoggiandosi ancora più al parapetto e portandosi le gambe corte al petto. Quanta gioia e allo stesso tempo quanto dolore racchiudeva il cuore di quella bambina? 
 
La voce più calma e sincera del ragazzo però le assicurò un nuovo sorriso, cullandola in quello stato emotivo problematico, forse pieno di mancanze. 
“Nami ha spento con le mani una miccia di cannone…la cui bomba era destinata a me.” Rin alzò la testa immediata, guardandolo curiosa. “Ma mentre pensava a salvarmi…i pirati di Buggy sono accorsi per aggredirla alle spalle.” 
Sentiva il respiro della bambina trattenuto, come se stesse raccontando una storia dell’orrore, talmente piena di suspence da tenerla col fiato sospeso. 
E Rin fu sollevata di scorgere su quella faccia di gomma un sorriso grande quanto una mezza luna, anticipando mentalmente il risvolto quasi scontato di quell’accenno di storia. “È stato lì che è arrivato Zoro…mettendo al tappeto i pirati di Buggy.” 
Una lacrima scese sulla guancia di Rin, depositandosi sul braccio col gesso. Chiuse gli occhi, ispirando un frammento di una storia che nessuno sembrava mai volerle raccontare per davvero. Come se quei genitori non avessero mai smesso di avere paura dei loro sentimenti. 
 
Un’identica lacrima calda scivolava ora sulla guancia di Nami, seduta in terra al piano di sopra, ma nascosta dal legno. Una lacrima che asciugò svelta con il palmo della mano, poiché consapevole di una presenza costante che la osservava, Zoro, con indosso la maglietta, che le stava seduto davanti, poco lontano da lei. 
Anche lui aveva sentito tutto, nonostante pensasse che origliare non era certo la cosa più giusta da fare. 
Ancora una volta scoperta davanti a lui. 
Che maledizione.  
Aveva girato il viso dall’altra parte per non farsi vedere, non prima di avergli fatto un cenno con la testa che era più un ordine silenzioso dal sapore scontroso che voleva dire qualcosa come “trovati un altro posto”; ma lui non parlava e non si muoveva, rimaneva lì seduto in silenzio ad ascoltare quella storia che conosceva così bene. 
 
 
“…io e Zoro eravamo persi senza Nami.” 
Ancora Rufy che faceva da drammaturgo, rubando il posto ad Usop, che se lo avesse saputo, sarebbe sicuramente intervenuto riprendendosi la scena per raccontare tutte le sue di storie. “Sai? Credo che sia stato davvero un incontro fortunato…” 
Due piccole mani lo avvolsero sul collo, ritrovandosi dentro un abbraccio sincero. Rufy sorrise di gioia, avvertendo quanto l’avesse fatta felice con quelle parole. “Attenta a quel gesso…se ti fai male quei due mi uccideranno.” 
Ma Rin rideva e piangeva, non le importava nulla del suo braccio, non sentiva nessun dolore e anche se l’avesse sentito non le sarebbe importato. “Grazie, Rufy.” 
“Ehi, non è da te piagnucolare.” 
La prese in giro lui, beccandosi però un pugno in testa dalla mano sana.
“E sta’ zitto!” 
 
I due protagonisti di quella breve storia, erano immobili, in silenzio. 
No, non era davvero una passeggiata per loro affrontare tutto quello. 
Gli altri potevano ridere, luccicare di gioia, stupirsi, fare battutine ammiccanti, ma nessuno dei compagni poteva capire cosa c’era veramente dentro di loro. Non facevano altro che lacerarsi e ricucirsi, per poi lacerarsi di nuovo. 
Come poteva il destino aver messo insieme proprio loro. 
Se entrambi avessero scelto altre persone, si sarebbero sicuramente resi la vita più facile. Erano forse due masochisti? 
Lo sentiva, Nami, che lui ogni tanto apriva l’occhio e la guardava di sottecchi. Ma lei aveva la sua dignità, e nessuna voglia di dargliela vinta. Continuava ad ignorarlo, facendo finta che lui non fosse lì. 
Voleva alzarsi e fuggire, ma se lo avesse fatto avrebbe rischiato di farsi scoprire da Rin e Rufy. 
E la avvertiva, Zoro, quella confusa emozione che provava lei, tradita dalle lacrime. Ma nonostante quel ritorno al passato avesse stranito anche lui, non si sarebbe certo lasciato andare al facile sentimentalismo. 
Loro erano questo, dunque. 
Lui una presenza costante, un’ombra che le stava intorno, che la proteggeva, che la osservava, ma era interiormente così chiuso e così distante, tanto da non capirlo quanto male le facesse a lei il suo silenzio. 
E lei, che invece voleva analizzare ogni dettaglio che li riguardava per bene, si preoccupava per lui in altro modo, occupandosi di tutte le cose che lo tenevano in vita, evitando che si perdesse, ma senza rendersi mai conto della profondità dei sentimenti forti di Zoro, in grado di poterli trasmettere anche solo con lo sguardo. 
 
“Rufy?” 
“Umh?” 
“Secondo te, c’è stato qualcosa tra loro fin dall’inizio?” 
 
Il cuore di Nami sussultò. 
Zoro aprì l’occhio di scatto. 
 
Ma una voce che conoscevano bene distrasse tutti da quella tortura psicologica. 
 
“Basta farneticare!” 
Sanji aveva fatto capolino sul ponte d’improvviso, con tanto di mestolo in mano. 
“Per i bambini è già orario di dormire.” 
“EHI!” Rin lo guardò malissimo, gonfiando le guance. 
“Hai sentito?” Rufy indicò la rossa junior “dice a te!” 
“Veramente dico anche a te!” il cuoco gli tirò un calcio sulla testa, per poi inchinarsi appena su Rin e concentrare solo su di lei le attenzioni. 
“La dolce Robin dice che devi fare il bagno!” le sorrise “…ma che carina con i capelli sciolti! Ora per fortuna mi ricordi solo Nami…” si alzò, guardandosi intorno sul ponte “che non vedo da ore…sapete dov’è finita la mia adorata?” 
“Guarda che non é la TUA adorata…” sottolineò la piccola, sempre imbronciata, beccandosi però una pacca dolce sulla testa dal cuoco che le scompigliò i capelli rossi. “Fila dentro, da brava. La cena é quasi pronta!” 
Parole che ovviamente fecero perdere la testa al capitano che si fiondò sottocoperta, trascinando con sé Rin, dopo averla alzata per le braccia. 
“RUUUUUUUUUUFYYYYYY MALEDETTOOOO.” 
Sanji lanciò un’altra occhiata intorno, sperando di scorgere l’altra chioma rossa, ritornando poi in cucina nervoso. Mancava anche testa d’alga all’appello, e dunque qualcosa lo insospettiva. 
 
 
Sentita la porta chiudersi, Nami versò un’altra lacrima, commossa da come tutti i suoi amici si occupassero di sua figlia, allo stesso modo di come si erano presi cura di lei tanti anni fa, salvandola e confortandola con la sola presenza e poi con la premura di aiutarla a farla stare bene. Approfittò immediata della situazione, alzandosi frettolosamente, lasciando però da solo lo spadaccino, senza dirgli una parola. 
Si sentiva davvero male, perché lo sapeva che lui ci stava provando a modo suo a trovare un contatto. Ma l’aveva ferita davvero, anche se non sapeva spiegarsi in che modo esattamente. 
Quella specie di rifiuto poteva significare tutto o niente, si sentiva così ferita e derubata del suo orgoglio che adesso non riusciva a pensare ad altro, sebbene quel tuffo nel passato le aveva appena risvegliato una strana nostalgia che ora le stava lasciando anche dei sensi di colpa per come lo stava trattando. Non che lui facesse molto di più, stando in silenzio, senza dirle niente. 
Batté un pugno sulla ringhiera, facendosi volutamente sentire, prima di rientrare sottocoperta. 
 
 
 
 
Sapeva che Robin sarebbe andata a fare il bagno con Rin, così avrebbe avuto qualche minuto per stendersi da sola sul suo letto a riposare e riprendersi da tutte quelle forti emozioni.
I vestiti che aveva addosso avevano come l’odore di Zoro, forse era anche quello che la stava deconcentrando. E quando si tolse la maglietta, capì che anche quelle lenzuola dove si stava per adagiare erano impegnate del suo profumo. 
D’improvviso le tolse tutte dai letti, gettandole a terra in un gesto collerico. Ma fu proprio in quel momento inaspettato che sentì la porta sbattere, facendola sussultare, poiché in un sol attimo aveva pensato di venire sorpresa dalla intuitiva compagna, che avrebbe sicuramente capito tutto il suo malessere e avrebbe chiesto delucidazioni. Ma quando si voltò, invece, vide lui, arrogante, dentro alla sua stanza, che girava la chiave nella serratura in un gesto preoccupante. Gesto che, non solo non era passato inosservato, ma le aveva provocato una dose massiccia di ansia. 
“Cosa vuoi?!” di reazione si coprì il petto, inutilmente, dal momento che era consapevole del fatto che si sentiva scoperta non tanto fisicamente quanto a livello emotivo “non puoi entrare così in camera mia.” 
Ma lui si stava avvicinando in silenzio, con un’espressione ben poco rassicurante, spostando le lenzuola che stavano in terra con un calcio. 
Forse in quel momento si stava spaventando, in quel momento lui era diventato imprevedibile.
“Che ti prende si può sap…” 
“Adesso parliamo un attimo io e te!” 
Era lì, davanti a lei, e sembrava così strano, tra l’arrabbiato e il ferito. Ma a lei poco importava delle sue stupide emozioni da uomo frustrato in quel momento delicato in cui maggiormente doveva pensare a sé stessa. 
“L’ultima cosa che voglio fare é parlare con te!” 
“Stupida, cocciuta e testarda!”
 
Si, ora poteva dirlo di sentirsi davvero nuda davanti a lui come non lo era mai stata prima. Aveva avuto voglia di lui, e lui l’aveva frenata. Aveva versato una lacrima nel sentire una storia così sciocca che non avrebbe di certo dovuto sconvolgerla - A lei? Ma andiamo… -, e lui era stato lì a osservarla cadere. Era in prenda alla vergogna di sé stessa per essere stata così scoperta, e ora che stava racimolando i pezzi, lui era di nuovo lì a guardare. 
No, era troppo. 
 
“Non voglio parlare con te!”
Stava prendendo una felpa dal cassetto, che indossò svelta, evitando di guardarlo. 
Ma lui, d’altro canto, si era seduto sul letto, non molto lontano da lei, inarcando un sopracciglio nel sentire quel suo tono troppo duro per la situazione, ma spostando lo sguardo altrove, in attesa di vederla con indosso qualcosa di più coprente. 
“Dobbiamo parlare di quella cosa.” 
“Quella cosa?”, annaspò, tornando a respirare, quando si rese conto che Zoro si era quietato, abbassando così per un attimo anche le sue difese. 
“Si, quella cosa…” continuò lui, riuscendo a guardarla negli occhi solo per un attimo, appena lei si era voltata verso di lui. 
 
Si vergognò Nami, di quello sguardo, scivolando a terra accanto alla parete, guardando solo il pavimento. “Non voglio parlarne.” 
Lui si sentiva in dovere di fare il responsabile; quando si trattava di lei doveva sempre andarci piano…Ma vide Nami scivolargli via dallo sguardo, mentre si oscurava minuto dopo minuto. 
Forse il motivo di tanto nervosismo da parte sua, quel giorno, era dovuto al sesso, a loro due e il sesso, oppure ai sentimenti, oppure a tutto l’insieme. E ora entrambi si trovavano a voler chiarire una situazione che non volevano chiarire. 
“Tu” iniziò lui prendendo le redini del discorso, “è come se volessi anche toglierti una paura o un peso di dosso.” 
Zoro spostò la propria attenzione sulle lenzuola a terra, aspettando di ricevere una risposta concreta. 
“Ma che ne sai di cosa voglio io! Secondo te è questo che mi ha fatto aver voglia di…”, voleva dire amarti ma non ci riuscì. Si sentiva nuovamente calda sulle gote, ma per via della collera che prendeva il sopravvento quando lui faceva così il saccente. 
“Non ho mai detto che è stato solo per questo, ‘ma anche per questo’, certo che quando vuoi diventi proprio sorda a quelle orecchie!" 
“Anche se fosse, che male c’è?”
Continuava a tenere la testa sopra le gambe mentre guardava il legno del pavimento della nave e scorgeva gli stivali di Zoro nel suo raggio d’azione - il massimo che riusciva ad affrontare in quel momento. Quello non era proprio un discorso adatto a loro!
“Senti”, aveva ritrovato il suo tono fermo, ignorando quella momentanea chiusura e paura di Nami di affrontarlo, sapendo che poteva comunque sfuggire all’ascoltare quello che aveva da dire “abbiamo già incasinato tutto per via di quello che è piombato sulle nostre teste da un giorno all’altro. Tu non sei emotivamente stabile e di certo non approfitterò di te. Mai.” 
“Maledetto!” 
Di risposta ‘matura’, la rossa aveva iniziato a lanciargli contro tutto ciò che gli capitava a tiro, dalle le sue scarpe a un libro di Robin, da un reggiseno a una spazzola, fino addirittura la sua amata Wado, nonostante quella appartenesse all’epoca di Rin, enfatizzando proprio su quest’ultimo oggetto “e tieniti pure la tua dannata spada.” 
Lui riuscì ad afferrarla in tempo, frignando indemoniato per la poca cura che ogni volta riservava a quell’accessorio così importante per lui. “Sei egoista e cieca come sempre!” Aveva sbottato senza risparmiarselo, per poi togliersi il reggiseno da sopra alla spalla, “spero almeno sia tuo!”, pensando a quanto potesse essere inappropriato toccare la biancheria di Robin, consapevole che quel pensiero l’avrebbe poi tormentato a lungo. 
“Il primo e unico che toccherai mai!” Gli urlò sofferente e pungente allo stesso tempo mostrando tutto il suo status emozionale, irascibile e sputa veleno come al solito. “Che razza di scuse usi? Non sono emotivamente stabile? Perché non dici la verità e basta?” 
“E quale sarebbe?” 
Strinse le mani sulle sue ginocchia scoperte “…hai così tanta paura di cosa potrebbe cambiare nella tua vita se ti avvicini troppo a me che mi respingi. E la cosa peggiore é che non vuoi ammetterlo, usando le mie emozioni come scusa per proteggerti!” 
“Stupida, sciocca, testarda, cieca…” ringhiava, toccato forse in un punto dolente “e tu vuoi solo usarmi per toglierti un peso di dosso. Hai pensato alle conseguenze? A cosa potrebbe succederci se tu non fossi ancora pronta ad accettarmi?” 
I toni si fecero improvvisamente più accesi. Zoro si era alzato in piedi, con il viso di un colorito lontanamente violaceo, come fosse in preda ad un conato di vomito, mentre Nami continuava a stringere le mani sulle ginocchia, graffiandosi la pelle con le unghie. 
“Che diavolo stai dicendo?" 
La rossa non smetteva di guardarlo ora, e anche se si era alzato, manteneva la testa sollevata in un gesto di arroganza e di superiorità. “Come osi” strinse più forte le mani “come ti azzardi a decidere tu per me…dicendo che non sono pronta…per te? E di questo che stai parlando?” aveva stretto anche i denti, e il corpo in una morsa contratta, in una pressione che le stava per far implodere il petto, “sei proprio un arrogante, stupido e supponente uomo che non capisce niente!” 
“Se io non capisco niente allora tu non vedi niente!” 
Aveva sgranato l’occhio. “Quando si tratta di noi” la indicò con il dito, “pensi sempre e solo a te stessa.” 
Entrambi incapaci di tenere a freno la lingua, continuavano a farsi del male. 
Lei sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi, si stava controllando per non esplodere. Voleva picchiarlo quasi, per via di quel tono supponente, per averla giudicata in quel modo avventato, per aver giudicato in quel modo quella passione che aveva sprigionato solo per lui. Ferita del fatto che lui non vedesse che lei voleva amarlo davvero. Non era un gioco. Non voleva usarlo. 
“Sei davvero un uomo arrogante e fastidioso!” Le era uscito in quel modo così leggero, anche se in realtà racchiudeva una pesantezza legata al suo sentirsi ferita dentro, in quanto donna, in quanto donna che lo amava, che lo voleva, e in quanto era stata davvero vulnerabile davanti a lui.
Dove era finita la passione di quei baci passati? 
Dove erano finite la dolcezza, la naturalezza e la genuina voglia di contatto dei giorni precedenti? 
In qualche modo doveva aver minato a qualche sua severa imposizione da samurai, vista quella reazione così dura. 
Non sapeva se piangere o urlare dentro di lei, non sapeva come mostrare quella sua delusione che aveva preso la forma di un buco nero. Impaurita dal fatto che non riuscisse a trasmettergli i suoi sentimenti; impaurita dal fatto che lui la vedeva sempre la solita fredda donna calcolatrice.  
“Se pensi che non valiamo lo sforzo di aspettare, di prenderci il nostro tempo, allora forse non ne vale la pena, non credi?” Era così sincero, ma anche graffiante come sapeva essere quando era veramente arrabbiato. Ferito a suo modo dal sentirsi un peso a cui lei voleva mettere fine. Ferito dal fatto che lei non si accorgesse minimamente dei suoi sforzi, dei suoi sacrifici, delle difficoltà che un uomo come lui aveva nell’affrontare una simile situazione, un simile amore, quando sulle spalle portava l’ombra di una promessa che era un macigno da mantenere, e di cui lei non se ne curava e preoccupava affatto. 
 
 
Zoro si stava dirigendo convinto verso la porta. 
Stavolta aveva deciso lui di mettere fine a quella conversazione. 
Se ne sarebbe andato così? Senza risolvere? 
 
 
“Hai sentito anche tu la conversazione tra Rufy e Rin. No?” 
Prima di vederlo lasciare la sua stanza lo fermò con una domanda. 
Lui non disse niente, ma era una risposta sottintesa. 
“Che persone siamo se non abbiamo nemmeno raccontato chiaramente di come ci siamo conosciuti a nostra figlia?” 
Lui non capiva il punto, ma lei non aveva finito di parlare. “C’è qualcosa che non va in noi. E queste paure ci saranno anche domani!” 
“È per questo che hai pianto?”  
“È perché ho pianto che mi giudichi instabile?” 
Non rispose, allungando la mano sulla maniglia della porta, girando prima la chiave dall’altra parte della serratura. 
 
“Esprimere emozioni non è segno di instabilità, Zoro.”
“No. Ma non si tratta solo questo, e lo sai.” 
“Perché non butti giù quel codice da samurai del cavolo?”Non stava più guardando nella sua direzione, scorgendo sotto i suoi occhi nuovamente il marrone del legno, ma quando sentì la porta chiudersi, seppe con certezza che aveva lasciato la stanza, anche senza alzare la testa. Lasciandola sola come lei aveva chiesto. 
 
“Perché sei così…difficile.” 
Batté la mano sul legno del pavimento, lasciandosi andare ad uno strano senso di disperazione. Come se da un momento all’altro, avesse perso tutto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Note dell’autrice____________________________________
 
Salve ciurma, 
non sono scomparsa – anche se, visti i miei soliti aggiornamenti, questo arriva dopo un secolo - ma “la mia agenda” è sempre più fitta ultimamente. 
Ci siamo lasciati nell’ultimo capitolo con un bel finale, e adesso ho rovinato tutto, è vero, anzi l’hanno rovinato loro. 
L’ho scritto in un tempo brevissimo, e spero di non pentirmene. Un po’ di tristezza settimanale ci voleva, insomma. Fatemi sapere se non vi ha troppo rattristati. 
Che stupidini. 
 
 
*” come un uomo” 
perché spesso nel manga ragionano facendo queste differenze. Alla prossima, 
Roby 
 
   
 
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