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Autore: robyzn7d    18/11/2021    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXI 
Passato, presente, futuro  
 
 
 



Seduta sulla sua comoda sdraio adagiata sul ponte della Sunny, Nami sfogliava il giornale con una espressione impassibile sul viso. Le notizie riportate erano come al solito terrificanti, gli scontri tra i pirati della nuova generazione e la Marina si moltiplicavano a vista d’occhio e diventavano ogni giorno più cruenti: il governo stava portando avanti una vera e propria caccia alle streghe. E anche se ormai a quelle notizie era abituata, girava una pagina dopo l’altra del quotidiano con un nervosismo palpabile. Un’agitazione datale però anche da altri fattori consistenti, come ad esempio i suoi due stupidi compagni che ora giacevano privi di sensi sul prato della Sunny, portati in spalla da Chopper che, ritornato a bordo nella sua versione più umana, aveva rovesciato a terra. 
“Ho visto la taverna distrutta”, diceva preoccupato, sotto lo guardo sbieco della navigatrice che osservava fingendo disinteresse. 
“Ma sono vivi?” chiedeva Usop impensierito, mentre stava annaffiando proprio quell’erba medesima con un distributore di sua invenzione che trasformava l’acqua salata del mare in acqua dolce. “E bravo Chopper, hai eseguito perfettamente i miei ordini…” 
 
“Zoro dorme. Sanji è ubriaco.” 
La diagnosi del piccolo dottore, rapida e decisa, lo convinse a lasciarsi alle spalle quella sua iniziale e continua apprensione per i due, convincendosi, non senza adeguato controllo, della non gravità delle loro condizioni. 
Il cecchino, invece, sapendo che i compagni erano in buone mani del medico, preferiva concentrarsi sullo sguardo ambiguo della compagna seduta poco distante da lì, alzando appositamente la voce quando esternava un commento, per farsi sentire anche da lei, che seria, fingeva noncuranza.  
“Hai sentito? Stanno bene.” 
Il viso della rossa sbucava ogni tanto per una sola frazione di secondo da dietro al quotidiano, dettaglio che andava a rivelare che non era certamente così disinteressata alla cosa. 
“Sai che me ne importa.” 
La sentì gracchiare e insultare da dietro alla sua muraglia protettiva fatta di carta e inchiostro, facendogli alzare gli occhi al cielo, sentendosi continuo spettatore di quei giochi infantili. 
“Anzi” la rossa sorprendentemente aveva ancora qualcosa da dire, abbassando quella carta che stringeva tra le mani come fosse una banconota, e da cui si faceva proteggere, in quel modo inquietante quanto morboso, che fece rabbrividire prima Usop, poi Chopper, “perché non giri quel coso di dieci gradi dietro di te?”
Come avevano previsto, i poveretti iniziarono a tremare per quella proposta che sarebbe sicuramente diventata un ricatto da lì a pochi secondi e che sarebbe caduta direttamente sulle loro teste. 
“Ma Nami…” cercò di essere ragionevole il cecchino, mentre Chopper si nascondeva dietro alla colonna portante, cercando di non finire invischiato in quello che sarebbe diventato un problema a tutti gli effetti, “sii ragionevole…poi se la prenderanno di sicuro con me…” 
“Spero che sia fredda!” 
Puntualizzò, con gli occhi assettati di sangue, smettendo volontariamente di ascoltarlo e ignorando il tremare della renna. 
“Namiiii, ti prego…” quasi pianse, supplicando l’amica di risparmiarlo mentre subiva quello sguardo così spaventoso, che faceva dubitare il cecchino sul fatto che fosse lei la meno pericolosa della ciurma. Ma, ignaro del fatto che in quello stesso momento un Rufy super eccitato, che provava un nuova invenzione di Franky, la quale però non era riuscito a gestire premendo tutto il pedale dell’acceleratore e perdendo il controllo della ‘macchina da bordo’, che dal piano superiore scese sul ponte investendolo in pieno, il povero malcapitato pessimista perse il controllo della pompa dalle mani il cui getto dirompente si riversò comunque sulle due vittime ignare di tutto e prive di sensi, che si risvegliarono immediati a contatto con quell’acqua gelida. 
“Perché sempre io…” si lagnò il nasuto, scrollandosi quella macchinetta di dosso, mentre alla sue spalle sentiva dei rumori ambigui, tra cui Franky che si gettava in mare per recuperare il capitano cadutoci dopo lo scontro. 
 
Non c’era posto però per le lamentele del nasuto, dal momento che uno spadaccino brutalmente risvegliato dal suo sonno, e un cuoco, confuso e fastidiosamente irritato, avevano appena iniziato a urlarne di cotte e di crude per quell’acqua così fredda, che unita alla sbornia, stava loro facendo salire i brividi in ogni muscolo del corpo. “Ma dico siete impazziti? Perché sono bagnato?” 
I due avevano urlato sincronizzati, guardandosi poi malamente “Sei stato tu?” 
Soddisfatta, Nami riaprì il giornale, e, ignorandoli, riprese a leggere più leggera, scuotendo quella carta con un gesto deciso che provocò un voluto rumore echeggiante nell’aria. 
“Lascia perdere” Zoro fermò Sanji, il quale stava cercando di interrogare il piccolo e innocente Chopper, per metà nascosto dall’albero maestro, per sapere la verità dietro quell’agguato di cui si sarebbe vendicato, “so bene chi è stato”, disse, mentre aveva lo sguardo puntato dritto sulla navigatrice, seppur coperta sul volto dalla carta, “anzi, chi è stata.” 
“Cosa?” gracchiò il biondo, seguendo lo sguardo del verde e capendo della sua allusione. “Smettila subito…Nami cara non farebbe certe cose!” lo sgridò abbassando la voce, digrignando i denti furioso di quell’orribile pensiero. 
“Farebbe questo e altro…” continuò serissimo Zoro, mentre non distoglieva gli occhi dal giornale, aspettando di vederla sbucare fuori dal un momento all’altro. 
“Ripetilo se hai il coraggio!”
“Ma sei proprio un allocco incurabile!” 
Ma i due dovettero interrompere il loro solito siparietto a causa del freddo che entrava dritto nelle loro ossa, provocando ulteriori crampi e freddure in entrambi i loro corpi. 
“Sto gelando” 
Si lamentò il cuoco, in preda a un malore, il quale non aveva mai raggiunto certi livelli di alcolismo. 
Il verde avrebbe anche voluto concordare ma per orgoglio rimase in silenzio, ugualmente in preda ai brividi. 
“Questo sarebbe il momento adatto per essere scaldato da una delle mie due dee…” espresse a voce alta il biondo con fare sognante, mentre cercava di scaldarsi con il pensiero dell’amore, iniziando a sfilarsi la camicia fradicia di dosso; il tutto sotto però lo sguardo infastidito del compagno seduto a fianco a lui che non aveva intenzione di reggere altre delle sue moine.  
 
Entrambi vennero piacevolmente sorpresi proprio da Nico Robin che, soddisfacendo i loro sogni, almeno quasi, fece comparire delle mani davanti a loro che arrivavano dalla stanza al primo piano reggendo due coperte pulite, regalando loro un momento di tregua e salvandoli dall’imbarazzo a cui Nami li voleva sottoporre, anche se poi era accaduto tutto per uno stupido incidente del capitano.
Il cuoco non poteva certo sperare in qualcosa di migliore, esplodendo di gioia alla vista e al tocco di quel tessuto morbido che gli ricordava di tutta la generosità e bontà della donna. “Roooobin chaaaan….ma che gentileee” vibrò immediato al settimo cielo “…lo sapevo che ti saresti preoccupata per me…” 
Si avvolse immediatamente nella coperta calda, circondato da un alone di cuori rosa che avvolgevano sia lui che la mora, per poi ingelosirsi e guardare malamente Zoro che aveva iniziato a scaldarsi anche lui dopo essersi velocemente denudato. “A te ha dato la coperta solo per pietà”, lo aveva detto cambiando naturalmente tono di voce. 
 
Ritrovata un po’ di forza fisica, Sanji era poi riuscito a rialzarsi, anche se era chiaro come il sole che il suo stato psicofisico era un po’ provato. Con l’aiuto di Robin, che si stava prendendo volentieri cura di lui, cosa che lo mandava, a suo dire, direttamente in paradiso, arrivò in cucina per prepararsi una bevanda adatta a smaltire tutto l’alcol assunto in quella stupida mattina e poter godere di quelle preziose attenzioni con più lucidità. Il medico, anche se non stranamente preoccupato per Sanji, non impiegò poi molto a seguirli sottocoperta. 
Zoro invece era rimasto lì, nella stessa posizione, riuscendo a scorgere il viso di Nami non appena quella voltava la pagina del giornale, cogliendo quella punta di nervosismo che la rossa aveva ancora addosso da che l’aveva vista fuori dalla taverna. 
 
Usop, rimasto l’unico sul ponte insieme a loro, dal momento che anche Franky aveva portato Rufy in cucina, e captando gli sguardi dei due, ne approfittò per avvicinarsi quatto quatto a Nami e, usando come copertura il riordino di tutti i suoi attrezzi da giardino, persi per il ponte, nascondeva anche lui il volto dietro a quella barriera fatta di carta. 
“Nami, questo è il momento giusto…non vedi che aspetta solo te, magari per farsi scalare un po’?”
Le parlò all’orecchio in un filo di voce, sicuro di ciò che diceva. 
“Ma sei scemo?” 
Stupita dell’improvvisata dell’amico e di quelle sue parole, non riuscì a mantenere il controllo sul tono e sull’acuto della sua voce, così da farsi sentire anche da Zoro, che alzò un sopracciglio incuriosito. 
“Shh! Parla piano!”, si avvicinò maggiormente, “é palese che il problema nel vostro rapporto è che non sai cogliere le occasioni, almeno, quando non si tratta di soldi!” 
Le parlò ancora a bassa voce, convinto che fosse quello il modo per spronarla o avvicinarli, ma capendo di aver miseramente fallito quando percepì la imminente sfuriata che la rossa aveva in programma per lui, in meno di un secondo spaccato; ritornando così, in un tempo brevissimo, a prendere pompa e annaffiatoio e filarsela il più lontano possibile da lì. 
Quella, d’altro canto, dovette chiudere il quotidiano, stritolarlo e appallottolarlo nelle mani, immaginando fosse la testa di Usop, che con quelle parole le aveva nuovamente mandato in tilt gli ormoni. Fu in quel momento che si scontrò con l’altro, che non smetteva di toglierle lo sguardo da dosso, da un tempo che Nami nemmeno poteva sapere. Notò i vestiti sparpagliati accanto a lui e la coperta ad avvolgerlo, e le parole di Usop divennero improvvisamente chiare, così come anche la sua agitazione palpabile. Sostenne il suo sguardo, conscia di non avere più tra le mani la sua muraglia protettiva, dal momento che l’aveva totalmente disintegrata, e pure senza aver finito di leggerla!
“Che cosa vuoi?” 
Sbottò isterica cercando di rimanere impassibile, non riuscendo a respirare con quell’occhio così invadente su di lei. 
“Si può sapere che ti prende?” 
Lui era così calmo, nonostante lo scherzo dell’acqua e nonostante la sbornia, cosa che faceva imbestialire Nami ancora di più, poiché lei era incapace di controllare le sue arrabbiature. Cosa poteva rispondere, comunque, per evitare quella domanda, se non cambiare l’argomento? 
“Se tu mi dici in cosa consisteva la scommessa!” 
Un silenzio che sentivano solo loro, s’impossessò dello spazio, inghiottendo ogni rumore e respiro. 
“Ecco appunto” ci tenne a precisare la rossa, distogliendo lo sguardo, sapendo che uno come lui non avrebbe risposto a una domanda simile. 
“Hai detto di non volerlo sapere…”
“Bè, ho cambiato idea, si può?” 
Un broncio scocciato s’infilò preponderante sul viso di Zoro, che però fu costretto a durare ben poco, dal momento che un giramento alla testa lo costrinse a piegarsi a mezzo busto. 
Nami fu obbligata a quel punto a guardarlo ancora, soprattutto quando lo sentì emettere uno strano mugolio di dolore. Rimase immobile e sconvolta, voleva fare l’indifferente ma non era così facile in quella situazione. 
“Stai davvero così male?”
Accennò a chiedere con la voce che voleva essere sicura di sé ma era quasi smorzata da una strana apprensione. 
“Sto bene.” 
Da lui però non si poteva certo aspettare parole differenti da quelle. Le ripeteva in continuazione quando qualcuno si preoccupava per lui. Ma nonostante quella risposta sicura e arrogante come al solito, ancora non aveva rialzato il capo, rimanendo in quella strana posizione, dettaglio che fece allarmare la rossa, che guardandosi intorno, costatava dell’assenza dell’equipaggio dal ponte. Così, insicura se prenderlo o no sul serio, si alzò in piedi, arrivandogli davanti ma continuando ad essere titubante nei suoi movimenti. 
“Vado a cercare Chopper.” 
Ma la sua missione non durò poi tanto, dal momento che, sentendosi strattonata per le pieghe della gonna, fu costretta a fermarsi sul posto. 
“Non essere sciocca…non sto male, deve solo passare…” 
Con sguardo contrariato s’inchinò, arrivando alla sua altezza, e dopo averlo scrutato un po’ decise, seppur consapevole di non poterlo toccare - era fin troppo rischioso - di rimanere accanto a lui. 
“Ma non sei tu quello che ha controllo su tutto? Come è possibile?” 
“Ho solo esagerato.” 
Dubbiosa, fu costretta comunque a toccarlo, posando una mano delicata sulla sua fronte per sentire che la temperatura era solo un po’ più calda dello standard,’ ma quella era la sua normale, dopotutto. 
“Bè, ben ti sta…” decretò, pensando al macello che aveva combinato alla taverna. “Ma chi me lo fa fare ogni volta, dico io?” ringhiava, consapevole di essersi preoccupata per nulla, senza però togliere la mano dalla sua fronte. 
Lo spadaccino alzò la testa, dedicandole un sorriso sghembo che la costrinse a togliere la mano. Ma Nami certamente non poteva capirlo, rimanendo sempre più confusa da lui. 
“Che cosa c’è?” 
“Se ti ho fatto preoccupare, potresti allora occuparti meglio di me…”
Rimase sconvolta da quelle parole, che in parte la ferirono, poiché andavano ad insinuare che lei non si fosse mai preoccupata per lui. Perciò, con quella stessa mano con cui aveva sentito la temperatura, aveva lasciato immediata anche un non indifferente scappellotto sulla stessa testa calda, facendolo bestemmiare in tre lingue diverse. 
“Idiota! Non sono mica tua moglie!” 
Si alzò, allontanandosi in fretta da lui, e da tutto quel calore che, lo sentiva, avrebbe potuto nuovamente nuocerle, farla cadere in quella trappola d’amore in pochissimi secondi. 
“Riposati piuttosto.” 
Continuava a sorridere in quel modo strano, Zoro, mentre la vedeva sparire dalla sua vista. 
Scappare, anzi. 
Era fuggita via da lui come il vento, ed era sempre più difficile affrontarla con gli stessi vestiti addosso, con lo stesso andamento. Occorreva essere agili e intuitivi per adeguarsi alla situazione per poterne uscirne indenni e, soprattutto, vincitori. 
Che ti succede Nami? Non sei poi così ferma e sicura come quella sera? 
Calda e gelida allo stesso tempo, come il giorno e la notte nel deserto mescolati insieme. 
Lei era così. 
 
 
 
 
 
 
 
All’arrivo della sera la situazione sembrava leggermente cambiata, con le varie agitazioni quasi placate: i due uomini erano quasi rinsaviti, la navigatrice più rilassata e il capitano ripreso dall’ennesimo tentativo di annegamento.
Però, mentre il sole stava portando via con sé tutta la confusione generale di quella giornata, la luna faceva ritorno riportando inquieti pensieri e infinte emozioni, quelle più personali, più segrete. 
Mentre il sole stava tramontando, una piccola testa rossa perdeva l’entusiasmo insieme a quei magnifici colori, come se lei stessa potesse scivolare in basso insieme a lui, trascinandosi nel lato più buio e profondo del mondo. 
Nami, pronta per la serata in paese, alla quale parte della ciurma era già partecipe, usciva da sottocoperta, salutando sia Robin che Sanji, che alla vista della rossa lasciavano il ponte per andare alla festa. 
Fermandosi a guardare Rin, che le dava le spalle, con una strana preoccupazione addosso che non poteva spiegarsi, sapeva che c’era qualcosa che solo lei poteva provare ad aggiustare. Avvertì una strana sensazione di inquietudine, come una pietra spezzata, una ventata gelida o una goccia d’acqua che continuava a scendere lentamente dal rubinetto. 
La mente iniziò a riempirsi di emozioni e informazioni tutte insieme per poi vuotarsi del tutto non appena aveva iniziato a muoversi verso la bambina, senza prima avere avuto modo di riflettere, di pensare a cosa dirle in caso di problema insormontabile. 
Rin, in piedi sul cornicione bianco della Sunny, si reggeva alla fune della vela maestra con il suo braccio ancora ingessato. Capelli rossi di cui solo le punte, che le accarezzavano le spalle, prendevano a svolazzare in quella leggera brezza, un paio di jeans scuri con un top nero che le lasciava la pancia scoperta e la sua immancabile Wado Ichimonji ben ancorata al suo fianco destro - amica inseparabile che custodiva come il tesoro più prezioso. Quello era il suo migliore vestiario, diceva lei, che la faceva sentire più a suo agio. Mai veramente sola, poiché tenuta a stretto controllo da più membri della ciurma, la bambina passava però un momento di grande solitudine e tristezza, dal momento che si trovava anni e anni lontana da casa, ancora prima della sua effettiva nascita, in cui tutto era così vicino ma anche così distante da lei. 
Quando anche Rin si accorse della sua presenza, voltandosi nella sua direzione con la testa, Nami accennò un sorriso. 
“Sei arrabbiata perché non ti ho accompagnata a prendere il gelato?” Scherzò, capendo benissimo che i suoi problemi non potessero certo essere così leggeri, appoggiandosi con le spalle al parapetto, potendola così guardare in volto. “Non sei stata bene con Chopper, Rufy e Brook?” 
La bambina annuì. Ma i suoi occhi erano lontani e la sua espressione indicava che si trovava sulla soglia di un pianto. 
“Eh allora? Mi dici cosa non va?”
Rin continuava a guardare l’orizzonte, puntando sicura il sole che giaceva sulla linea e che le colorava di giallo, accentuando quel loro bellissimo aranciato dei capelli. 
“Con me puoi parlare, no? Oppure è qualcosa che non devo sapere?” 
La bambina la fissava negli occhi con quel luccichio che solo l’amore e l’ammirazione potevano rendere così importante.  
“Quando sono andata via dalla Sunny…” iniziò finalmente a confidarsi dopo l’interrogatorio amichevole ma insistente di Nami, stringendo la fune nella sua mano “quel giorno…” riportò lo sguardo all’orizzonte facendo un respiro profondo e iniziando ad inquietare Nami che ora la fissava realmente preoccupata, con un’attenzione tale da metterle ansia “era papà che aveva la maggiore responsabilità per me…” 
Una lacrima cadde dal suo occhio sinistro, scivolando su tutta la sua calda e piccola guancia rosea mente ricordava di come era scappata dall’imbarcazione, rubato la spada e imbrogliato il genitore. “Sono passati tantissimi giorni da che non sto a casa…” un’altra lacrima, più decisa, più densa, più lenta, andò a posarsi dritta sul parapetto della nave. 
“Rin…” Nami non sapeva proprio cosa fare o cosa dire. Comprendeva la situazione, e concordava con lei sulla gravità di quel gesto irresponsabile e avventato. S’immaginava nel futuro subire uno spavento del genere e, sorprendentemente, nonostante il suo essere madre fosse ancora così lontano da lei, era certa che avrebbe dato di matto. Sua figlia aveva certamente scompigliato le loro vite nel futuro e, innocentemente, creato tanto dolore quanto tanta apprensione con quella sparizione, con quel richiamo di libertà. Ciononostante, non riusciva a comprendere come mai la bambina né stesse risentendo adesso. 
“Vedervi così separati uno dall’altra mi ha fatto pensare che…” tirò su col naso “per colpa mia…papà, starà senz’altro subendo le pene dell’inferno…” le uscì poi tutto d’un fiato.
A Nami si fermò il cuore. Ora era più chiaro. Ora aveva un senso. 
“Mi dispiace così tanto…” si passò il braccio sugli occhi asciugandosi le nuove copiose lacrime. “E se…e se è finita male tra voi per questo mio gesto?” 
Nami era rimasta immobile con gli occhi sgranati. Com’era possibile che si stava ribaltando tutto in così poco tempo? Dove erano finite tutte le sicurezze di Rin su di loro? Lei in quell’ultimo giorno a quelle si era saldamente ancorata per stare bene. E come poteva confortarla proprio lei, dopo che con Zoro era tutto così complicato? Come poteva tirarle su il morale?
Non riuscì a dire nulla, ma quel silenzio freddo non rimase comunque a lungo una distanza. 
“…se è successo qualcosa a causa mia, se ora stanno litigando tutto il tempo per quello che ho fatto, la colpa non è di papà…ma se la prenderà sicuramente tutta, da te.” Rin, che non la guardava per la vergogna di quelle parole, non sembrava cercasse conforto, quanto le interessava solamente sfogare le sue insicurezze, tirarle fuori, affogarle in quella paura, senza badare troppo a ciò che veniva a galla. 
Una paura in cui Nami era sprofondata come il sole sull’acqua. Era colpa sua se litigavano nel presente. Era colpa sua se litigavano nel futuro. 
Era rimasta ammutolita. E, non riuscendo a parlare, a ribattere, si era voltata, aggrappandosi alla balaustra e abbassando il volto su di essa. La luce del tramonto ancora accesa le illuminava i capelli, ma non più lo sguardo che, nascosto dall’ombra di sé stessa, stava cambiando aspetto, era più buio, era come rimasto freddato da una verità difficile da accettare e da capire. 
“Mi dispiace…” continuò a piangere la sua piccola miniatura resasi conto di cosa aveva appena scatenato, “so che…non è colpa tua, mamma!”
“Si, invece…” sospirò piano la rossa, guardando sempre verso il basso con un vuoto che iniziava a diventare sempre più grande nel suo stomaco, riuscendo a vederne addirittura una forma, “è proprio quello che mi stai dicendo, Rin…” 
La piccola continuò a tirare su col naso, conscia del fatto di aver davvero ferito Nami, di averle innestato altre insicurezze su sé stessa o sulla relazione con Zoro. Si punì, cercando di trattenere dentro sé tutte le altre lacrime che spingevano per voler uscire fuori a tutti i costi. 
“No invece!” 
Era riuscita a farlo, era riuscita a fermarle, per lei, per la sua mamma. Doveva rincuorarla e invece si era fatta sopraffare dalla debolezza. Se lo avesse saputo suo padre si sarebbe sicuramente arrabbiato. 
“Sono una stupida!” Strinse maggiormente la fune nella sua manina ferendosi la pelle, ritornando con lo sguardo a fissare preoccupata Nami che, ancora con il capo abbassato, non riusciva a riemergere da una brutta sensazione.
Rin lasciò la presa e scese dalla balaustra, ancorandosi alla madre con le braccia, cercando il suo calore, il suo spirito, e di riportarla indietro, “sono una stupida!” ripeteva. 
La abbracciava così tanto che non aveva intenzione di arrendersi, doveva rimediare. Amava i suoi genitori a tal punto da farsi risucchiare fin troppo da quelle due energie indomabili, enigmatiche e forti. 
“È perché tu sei così protettiva con me…fa parte di te…, per la paura potresti aver detto le cose peggiori…, ma è solo colpa mia se voi due soffrirete e vi ferirete a vicenda. Solo colpa mia…”
“Ho capito…” sospirò Nami, riuscendo a vedere meglio il problema cadutole sulla testa ma non trovando nessuna soluzione ad esso. Lei che aveva bisogno di garanzie, come poteva darle agli altri? Finalmente alzò il capo, rinsavendo da quella orribile sensazione di paura e incertezza paralizzante. Lei sarebbe stata una madre protettiva? Era quindi riuscita Bellemere a lasciarle la sua parte migliore? 
In ogni caso era lei l’adulta in quel momento. Era lei che doveva consolare sua figlia, non il contrario.
“Rin…” si concentrò su quegli occhi tanto simili ai suoi “fai un bel respiro…” 
“Cosa?” 
“Respira.” 
Ricambiò l’abbraccio stringendola a sé dal fianco, per poi riuscire a rimediare un sorriso felice. “Non alleggerire la verità per proteggermi…sono sicurissima che l’ho spedito all’inferno per essersi distratto.” 
Accanto alla zona polena, Nami teneva ora lo sguardo sul ponte, vedendo sbucare da sottocoperta il protagonista della loro conversazione, osservandolo pararsi il viso dall’ultimo raggio di sole con la mano destra, mentre, dopo essersi guardato intorno e aver lanciato loro un rapido sguardo, si era seduto, aspettandole in silenzio. 
Le braccia di Nami stringevano quelle spalle minute e sottili ma solide, che iniziavano a mettere su una piccola massa che la rendeva stabile e forte da destreggiare spade per adulti. 
“Non c’è soluzione al tuo problema, voglio essere sincera…ma ti prometto che ora cercheremo il più in fretta possibile di rimandarti a casa…” provò a rincuorarla mentre la sentiva annuire, senza vergognarsi di aver bisogno della mamma, del suo profumo e di quel tipo di protezione.  
Lo sguardo della navigatrice era ancora posato sul compagno, e le vedeva ancora più chiare quelle sfumature: era la sua salvezza e la sua disgrazia, l’amicizia e l’amore, la protezione, la durezza ma anche il calore, tanto, tanto calore; un pacchetto pieno zeppo di pregi e difetti che lei avrebbe accettato così com’era. 
Titubante sul da farsi, la bambina decise di quietarsi, calmare i nervi; in effetti lo aveva dimenticato, ma questo lo sapeva fare bene. Poteva controllarsi, poteva respirare. 
“Se può consolarti, comunque, sai quante volte l’ho fatto arrabbiare, sentire in colpa o raggirato a mio piacimento? È rimasto al mio fianco lo stesso. Vedrai che supereremo anche questo evento…” 
“Ma sei tu che mi preoccupi e…”
“Un po’ più di fiducia in tua madre, no?” la sorprese con un sorriso raggiante, mentre sghignazzava, stupendo Rin di quella sicurezza che improvvisamente Nami aveva acquisito “sai, ho avuto un’idea!” 
L’abbraccio si sciolse, e la bambina iniziò a fissarla alzando un sopracciglio, in quel modo così identico a Zoro. 
“Hai presente la foto della mia famiglia che c’è nella mia camera? Scommetto che si trova sempre con me anche nel futuro…”
Rin annuì. 
“Scrivi un biglietto alla me della tua epoca, dicendo dove ti trovi e che sei al sicuro, e infilalo dietro alla cornice…non so se funzionerà, non ho idea se siamo collegati in qualche modo, e in questo modo, ma che male fa provarci? Nei momenti più di sconforto io prendo sempre in mano quella foto…tentar non nuoce…”
“lo faccio subito…” 
Alla bambina si illuminarono gli occhi, quando capì di trovarsi davanti un piccolo barlume di speranza… 
Nami sorrise ancora, lieta che un modo per tirarla sù, nonostante la difficoltà dell’impresa, alla fine lo aveva trovato. Non aveva certamente idea se questo avesse o no un senso, ma solamente il fatto di regalarle un briciolo di quel pò di speranza che aveva perduto e che l’aveva immediatamente resa felice, per lei aveva appena significato qualcosa di molto importante. 
“Ah Rin, aspetta…” la fermò con la parola “ti prometto che proverò ad andarci un po’ più piano con lui…per quanto mi è possibile…lo merita un tentativo…e tu meriti di avere meno preoccupazioni per noi…” 
Continuò ad osservarlo seduto sul ponte come suo solito, come in attesa, sapendo che sulla Sunny erano rimaste solo loro due. 
“Lo merita davvero…” biascicò a bassa voce la cartografa, osservandolo gentile mentre si cingeva ad aspettarle un po’ impacciato; seguendo poi Rin che correva serena verso la stanza delle ragazze. 
 
 
 
 
 
Nami, percorrendo la strada dalla zona polena fino alla parte del ponte col prato, con indosso il vestito nuovo - nero, corto con le maniche a tre quarti, perfettamente aderente al suo corpo con la solita scollatura portata con orgoglio e i capelli lasciati liberi - aveva affiancato Zoro che, seduto a terra, occhio chiuso e yukata nero, già l’aveva adocchiata, non riuscendo a reprimere un imprecazione silenziosa che aveva preso vita solo nella sua testa. 
“Smettila di fingere di non guardarmi, Zoro.” 
Nami ora iniziava ad accorgersi di più di quelle invisibili osservazioni del compagno su di sé, che normalmente perdeva per strada - forse perché iniziava a concentrarsi su di lui alla pari di sé stessa. 
Lo vide sorridere, seppur con ancora l’occhio perfettamente chiuso. “Perché mai dovrei guardarti?” 
La rossa incrociava le braccia sotto il petto, fingendo di essere offesa, mentre la brezza leggera le scompigliava appena la frangia sulla fronte. 
“Come se fosse la prima volta…” 
Nami non cambiò espressione, mantenendo visibili tutte le sue sfumature insieme nello stesso momento. E di rimando, lui continuava a sorridere, contento di quel piccolo duello che pensava gli fosse precluso. Aprì l’occhio, voltandosi verso di lei, dovendo nuovamente trattenere un groppo in gola - per quanto cercasse di allontanare i pensieri, il suo corpo reagiva costantemente a quella visione imbronciata, altezzosa e dolce allo stesso tempo, scompigliandogli tutti gli ormoni. Ma non si trattava solo di quel corpo formoso, era Nami stessa a scombussolarlo. Poteva pure indossare una busta della spazzatura, ormai il suo corpo reagiva a lei, al suo profumo, alla sua voce, a quelle espressioni variopinte, dal suo tono freddo, alla sua gioia calda, e, anche, a quel modo particolare che aveva di proteggere Rin. 
“Così”, indicò il vestito con una mossa del mento, tenendo lo sguardo incollato al suo “il cuoco rischia di rimanerci.” 
Nami sorrise sorniona, arrossendo interiormente per evitare di dargli chissà quale soddisfazione. Sapeva benissimo che non era il cuoco il solo che rischiava un malore, però volle andarci piano…e, nonostante volesse mantenere un portamento distaccato, i suoi occhi brillavano da soli. 
“Che è successo con Rin?” 
Zoro non riusciva a capire il motivo per cui si sentiva senza fiato per così poco. Forse gli sembrava che fosse passato fin troppo tempo da quando si erano uniti in un bacio. Così aveva deciso di cambiare argomento prima di finire in una strana conversazione pericolosa. 
“Inizia a sentirsi lontana da casa… noi non ci stiamo impegnando abbastanza per lei, Zoro! Non siamo nemmeno lontanamente vicini ai suoi genitori!” 
Non era ancora la stessa Nami di sempre per lui, tanto ancora la turbava di quella situazione surreale, ma almeno emanava un po’ di quella luce che aveva perduto negli ultimi giorni, e che, ultimamente troppo spesso, dimenticava di avere. E reprimendo ancora ogni suo suo istinto, la lasciò libera dal suo sguardo. 
“Perché non siamo ancora genitori…” 
Nelle loro espressioni indecifrabili si celava in realtà una forte apprensione, dovuta principalmente a quanto accaduto la notte precedente tra loro, ma tutt’al più era anche bello poter comunque andare avanti, in qualche modo, senza doversi per forza affrontare.  
Era stato sul punto di dirle qualcosa che sembrava essere importante, per poi cambiare idea, non riuscendo a farsi avanti per primo e lasciando all’aria quella frase severa, che ricordava sempre la realtà dei fatti e della situazione. 
E Nami lo aveva capito, ma evitò di esprimerlo ad alta voce, sapeva per esperienza che la cocciutaggine e l’orgoglio di Zoro gli avrebbero impedito di parlarne e che quel suo modo così severo era il suo modo di affrontare la verità. Ma tanto non le importava in quel momento che fosse lui a parlare, aveva lei delle domande da fare e una situazione da chiarire. 
“Perché hai esagerato in quel modo oggi?” 
Fu costretto a guardarla ancora. Non era difficile trattenersi, lui non era un pervertito, e non era impossibile nemmeno mantenere saldi i suoi principi, quanto piuttosto decidere di amarla da lontano, senza poter esprimere tutti i suoi sentimenti per non aggravare la situazione. “Umh? Siamo pirati, noi esageriamo…”
“No, perché l’hai fatto proprio oggi, mi chiedo!”
“Perché oggi è un giorno particolare?” 
“Il giorno dopo ieri…dopo ieri notte…dopo la nostra conversazione. Vuoi farmi credere che sia stato casuale?” Ora le braccia le aveva spostate sui fianchi. 
“La tua conversazione vorrai dire…”
“E non fare il bambino!”
“E tu non decidere per me.”
“Se mi dicessi che cosa vuoi…”
“Potrei aver esagerato…ma per colpa tua!”
“Che cosa?”
“Si, diamine, per colpa tua”
“Ma sei scemo?”
Nami si volse a fissarlo con gli occhi spalancati, certa di non aver udito bene ciò che lui le aveva appena detto. Lo vide portarsi una mano dietro la nuca, come faceva sempre quand’era in imbarazzo. 
“Da quando bevi con Sanji, poi?” 
“Ehi “ la indicò con la mano, subito sulla difensiva “è stato lui a disturbarmi…” si alzò in piedi, trovandosi ora faccia a faccia con lei, “lo scemo si era messo in testa di…”
“Di?” 
Lo incitò la rossa avvicinandosi ancora a lui “parla!”
“Aaah…ma lascia stare…quello lì nemmeno lo regge l’alcol poi…” sogghignò come un bambino immaturo, contento di ‘batterlo’ a quella sfida, come se quello fosse motivo di orgoglio. 
Nami alzò gli occhi al cielo, accettando di trovarsi sempre in mezzo a due fuochi fatti di testosterone, per poi però rendersi conto di quanto erano nuovamente vicini; lui con ancora sul viso quella espressione di chi vuole dire qualcosa d’importante ma senza però riuscirci. 
Sospirò, arresa, sapeva che non avrebbe ottenuto ciò che voleva, che non avrebbe avuto il lui totalmente aperto a lei così facilmente. Continuava a non lasciarsi andare, ad essere poco espansivo in fatto di sentimenti, che poi era tutto quello che invece lei stava cercando di insegnare a Rin, ma che certamente non avrebbe potuto insegnarlo anche a Zoro, non era suo compito, e nemmeno sapeva se sarebbe mai stato possibile. Doveva continuare ad essere forte, a lasciare il tempo e lo spazio necessari al compagno per parlare quando avrebbe sentito di farlo, e ne frattempo sperare in un risvolto positivo. Anche se a chi voleva darla a bere, quando mai lei era stata una tipa così paziente? 
Fin quando ci fu un attimo, in lui, nel suo sguardo su di lei, in cui lo vide ancora, nonostante tutto, nonostante la rabbia e la delusione di quei giorni, quel luccichio nel suo occhio in cui nella pupilla si vedeva riflessa lei, in tutto il suo essere. 
Era così dannatamente vicino che sentiva il respiro di lui addosso, troppo controllato, quasi come fosse finto. L’aveva già vissuta quella vicinanza. E aveva già assaggiato quello che poteva offrirle. E come le mancavano quei primi e ultimi baci, che ancora non pensava fossero reali, che aveva condiviso proprio con Zoro. Lui sembrava provare lo stesso, nonostante quel modo imposto di trattenersi fosse così complesso, inscalfibile. 
“Zoro…” 
Quando capì che le loro labbra erano davvero troppo vicine, e sapendo che lei fisicamente non era in grado di avere lo stesso autocontrollo di lui, provò a salvarsi, “non ho cambiato idea, credo ancora in quello che ti ho detto ieri…” 
Lui fu come risvegliato da uno strano effetto ipnotico. Quei baci erano ancora così assurdi, ma allo stesso tempo ora gli era quasi venuto naturale pensare di poter solo chinare la testa su di lei e baciarla come aveva fatto il giorno prima dopo gli allenamenti. Era stato per lui un momento tanto eccitante quanto spaventoso, in quella frazione di tempo in cui, dopo essersi esercitato con la spada per tutta la sera e seguito i suoi rigidi allenamenti, era poi crollato come un ragazzino, cercando Nami per tutta la nave, aspettando indirettamente di baciarla. Ma ora, quel diritto che pensava di aver ottenuto, non esisteva più. Lei aveva messo un fermo, sicura e irremovibile sulla sua scelta. Almeno, così voleva far credere. 
Allontanò il volto dal suo, guardando da un’altra parte e incamminandosi da solo verso la scaletta della Sunny, pronto a sbarcare. 
Dietro di lui, Nami si sentì sofferente e sicura della sua scelta allo stesso tempo, solo che, al contrario di Zoro, lei non riusciva e non provava nemmeno a rassicurarlo, a fargli sapere che era lì, che lo stava solo aspettando. 
Uno sguardo triste si impossessò nuovamente del suo volto, che venne riportato alla realtà solamente dalla mano di Rin che la scuoteva per il fianco, con un accenno di preoccupazione. 
 
 
 
I tre percorsero insieme, inizialmente in silenzio, la strada che li separava dalla festa e dagli amici. Rin, al centro tra loro, faceva da paciere, mentre sentiva entrambi i cuori dei suoi prematuri genitori in tumulto. 
Pieni di un groviglio di emozioni in petto che non riuscivano del tutto a decifrare, i due continuavano a camminare, lui guardando avanti sulla strada senza mai distogliere lo sguardo da essa, e lei che ogni tanto gli dedicava un’occhiata preoccupata. Non avrebbe voluto vederlo nuovamente in preda all’alcol come quella mattina, non per colpa sua soprattutto. Anche se sapeva che in realtà era la conseguenza dell’atteggiamento confuso di entrambi, ma soprattutto di lui, che faticava ad aprisi con lei. 
“Sapete…” 
Iniziò, appena più serena la bambina che, vista la missione speranzosa compiuta poco prima, decise che se non poteva aggiustare le cose nel futuro, poteva provarci nel presente.
“Al mio quarto compleanno, ho conosciuto zia Nojiko…” 
Nami ebbe un mancamento, che Zoro riuscì ad avvertire senza il bisogno di voltarsi. 
“Sei stata a Coco?” 
Annuì. 
“Con tutta la ciurma?” 
“No, solo noi” rispose fiera e felice di rivelare qualcosa di così privato ma che non avrebbe causato oramai danni peggiori di quelli che aveva già fatto. “Quella volta, ricordo che abbiamo navigato fino al mare orientale, siamo rimasti lì per un anno circa, ma a sbarcare a Coco siamo stati solo noi, e siamo rimasti a vivere lì per dei mesi. Non ricordo quanto tempo di preciso…ma è stato così strano sbarcare lì, rammento il come siamo stati accolti! Persino papà è stato abbracciato…anche se non si trattava della sua isola natale…e mi sono sempre chiesta il come mai fossero così gentili con lui. Solitamente la gente scappa a gambe levate quando lo vede…” lo indicò con il dito “per chi non lo conosce ha sempre quest’aria minacciosa…” lo imitò nello sguardo in un gesto che le riusciva così facile. 
Zoro sorrise leggermente, sentendo la verità in quella descrizione, come fosse un vanto dare quella impressione agli altri. Ma un sorriso che durò quanto il tempo di un battito, poiché la ragione lo condusse a smettere subito, consapevole che la compagna non avrebbe risposto a Rin con la verità, e che forse questa cosa l’avrebbe turbata. 
Nami, infatti, era rimasta stranita, e anche un po’ messa alle strette, nel dover affrontare questioni private senza avere il controllo pieno delle informazioni. 
“Sono ospitali a Coco…” aveva biascicato, sorridente, ma sempre con quell’aurea di tristezza a contornarle la frase, senza però insospettire la bambina, che, felice, accennava un ingenuo ‘sì’ con la testa. 
“Ma perché siamo sbarcati solo noi?” 
La cartografa non era riuscita a trattenersi dal chiedere, curiosa, seppur conscia del fatto che avrebbe dovuto continuare a non sapere; doveva smetterla di avere ricordi che nemmeno aveva vissuto. La curiosità era lecita, ma forse le informazioni le impedivano di vivere il presente come avrebbe dovuto. 
Pur sapendolo però, la voglia di conoscere era sempre più grande di lei e non riuscì a frenare la sua domanda. 
Zoro, invece, se né stava in silenzio, non si lamentava ma nemmeno partecipava attivamente al racconto, nonostante l’evidente agitazione dei suoi movimenti - le sue mani erano infossate nelle tasche dello yukata, concentrato sulla strada da percorrere. 
Ma invece la bambina fece spallucce, sorprendendoli entrambi. “Non so…per stare un po’ soli, forse? 
Non importa comunque il motivo, ma ricordo che siamo stati insieme senza gli altri per la prima volta da quando sono nata, ed eravamo lo stesso molto felici.” 
Per distrazione, gli sguardi dei due entrarono in contatto per una manciata di secondi, distogliendoli poi svelti. 
Rin ne sapeva una più del diavolo, con quel suo fare ingenuo del padre ma furbo della madre. 
In effetti, avevano sempre fatto i conti con la loro vita sulla nave, con gli amici, con tutta la routine che conoscevano; questo in un certo modo garantiva una certa comfort zone, in cui non sarebbero mai stati veramente soli. Ma realizzare che loro tre sarebbero stati in effetti un’altra piccola famiglia dentro una famiglia più grande, e che come tale aveva dei bisogni, e viveva di personali momenti speciali, era tutto un altro bel paio di maniche. Significava che loro sarebbero stati soli anche senza gli altri. Perciò il fatto di bastarsi a vicenda all’improvviso era diventato così importante. 
In entrambi vigeva quello stesso pensiero, del come si sarebbe evoluto il loro rapporto, che gli avrebbe condotti in modo definitivo a trovare nell’altro il proprio porto sicuro, che avrebbe retto anche in mancanza della ciurma. 
Loro due insieme, così uniti, come un piccolo nucleo che si separava da una cellula maggiore e si muoveva in simultanea. 
Mentre Zoro realizzava che probabilmente non sarebbe mai più stato solo nella sua vita, pensiero che, per quanto strano, lo faceva sentire bene, Nami capiva che con Zoro al suo fianco, anche in quei momenti così personali come il ritorno a casa, si sentiva al sicuro, dettaglio che non le dispiaceva affatto. 
“Ho capito…” Nami sorrise sincera sotto lo sguardo sbieco dello spadaccino, perdendo quel tono di tristezza che si era per un attimo impossessato di lei “non importa il motivo.” 
Rin ricambiò il sorriso “è stato zio Yosaku a dirmelo…” disse, mentre correva verso Robin e Sanji, avvistati davanti una bancarella, lasciandosi dietro i due poveri malcapitati, che avevano appena sbiancato. 
“Zio…Yosaku?” 
Sgranarono entrambi gli occhi, senza capire. 
 
 
 
La festa di paese che gli abitanti della zona avevano organizzato per quella sera era diventata motivo di baldoria per tutti i mugiwara, miracolosamente non ancora stati banditi in quanto pirati che, stranamente lontani dai guai, ne approfittavano, prima di dover affrontare la prossima situazione problematica. Le intenzioni erano chiare: abbuffarsi e divertirsi insieme come sempre. Liberi in mezzo alla folla e impossibilitati di darsi un freno, soprattutto il capitano e conseguenti elementi chiassosi che prendevano il nome di Franky, Usop e Brook. Tra musica, luci e odori che vorticavano nelle narici di tutti i presenti, Rufy cappello di paglia gioiva allegro, facendo nuove conoscenze, ma con lo sguardo che più si illuminava quando incrociava quello dei suoi amici. 
 
 
“Pensi mai che non sia giusto tutto questo?” domandò improvvisamente Nami a Zoro nel momento in cui avevano cessato di camminare, spostando lo sguardo verso i vari banchetti e bancarelle, fermandolo prima che potesse svignarsela. 
“Penso sia solo un altro scherzo della vita che va affrontato, lo sai” rispose lui, guardandosi ugualmente attorno. “Piuttosto, sei sicura di star bene? Non è che quello che ha raccontato Rin ti ha turbata?” 
Zoro sapeva che quelle continue domande, quei dubbi, che arrivavano nei momenti più delicati, rappresentavano tutta l’incertezza e le paure costanti di Nami. E lui oltre che essere sé stesso, rispondendo ciò che pensava fosse più giusto dire, non sapeva proprio in che altro modo aiutarla. 
Nami aveva distolto lo guardo dalla festa per dedicarlo a Zoro, ma era intenso e sorpreso, stavolta. Si stava domandando con insistenza se il compagno non avesse proseguito verso il banchetto a bere perché in pena per lei. 
“Non so se essere commossa dalla tua preoccupazione o più turbata dal fatto che tu abbia dei sentimenti di questo tipo…” 
Nami scoppiò a ridere di gusto; non lo sapeva ancora, ma era stato per la felicità che quelle parole le avevano scaturito in meno di un secondo. 
Ma lui sbuffò, offeso.
“Lo scemo sono io che ci casco sempre…” 
Fece per andarsene, quando lei lo prese per il braccio, tirandolo forte e decisa verso di sé. 
“Umh? Che vuoi adesso!” 
Avvicinandoselo, e mandando al diavolo tutti i suoi buoni propositi di non toccarlo, gli passò una mano sulla cute, accarezzandogli i capelli con una improbabile delicatezza. 
“Grazie di averlo detto. Adesso sto bene.” 
Lo guardò con un’attenzione delicata, mentre lui continuava ad avere quell’aspetto imbronciato, nonostante quel tocco prezioso avesse sempre l’abilità di quietarlo e irrigidirlo allo stesso tempo. La mano di Nami, come avesse una volontà propria, scivolò sulla guancia e poi sulle labbra, tastandole con il pollice. Avrebbe voluto provarle ancora, in quello stesso istante, ma oltre ad essere così maledettamente strano avere questo fisso desiderio nella testa, era anche fuori luogo, dopo quello che aveva deciso la sera prima. 
“Non posso…” le uscì, quasi rammaricata, come se stesse parlando con sé stessa. 
“Namiii! Zoro!!” 
Una voce e un braccio alzato avevano interrotto quel contatto diventato in fretta troppo intimo. Ormai qualunque cosa succedesse, andava a finire così, non si poteva pensare di evitarlo a lungo. 
La navigatrice, rompendo tristemente quel tocco e facendo scivolare via la mano dal compagno, si voltò nuovamente sulla strada, incrociando lo sguardo di Rufy che, seduto a uno dei tanti folli banchetti, stava divorando cibo a non finire. 
 
“Forza venite!” 
 
 
 
 
La serata era passata a suon di abbuffate, liti chiassose e corteggiamenti ambigui, non solo da parte del cuoco, ma anche dagli abitanti del posto, soprattutto uomini, che non solo avevano innervosito il cuoco stesso, ma anche altri membri della ciurma. 
“Se non la smettono di guardarle, farò una strage…” 
Un cyborg guardingo sospirava a intermittenza, dopo essersi messo in mostra per gran parte della serata, “guarda che fanno proprio quello che fai tu!” lo punzecchiò, alzando un sopracciglio irritato, mentre vedeva il compagno dare lo zucchero filato a Robin. 
La mora, seduta proprio accanto al cyborg, aveva preso il bastoncino tra le mani, ringraziando di cuore Sanji per quell’attenzione sentita, ridacchiando però per il fatto che non l’avrebbe mai mangiato a quell’ora tarda. 
“Non è un po’ fuori luogo adesso?” disse, beccandosi un ‘non è mai fuori luogo la dolcezza dell’amore’ che la fece comunque ridere di gusto e indiavolare Franky, che continuava a storcere il naso. 
Aspettando di vedere il biondino distratto, Robin avvicinò la stecca, piena di soffice zucchero rosa, alla renna che, avendola già adocchiata dall’inizio, fu subito entusiasta della generosità della compagna, gustando il dolce seduto sul suo grembo, in estasi. 
“Dov’è Nami san?” urlava gamba nera come un mentecatto, mentre volteggiava a destra e sinistra con in mano un’altra stecca dello stesso colore e contenuto, destinata all’amica. 
“È andata di là…” gli fece notare Brook, indicando un tavolo poco distante da lì, in cui quella partecipava a una gara di bevute per soldi e non stava certo pensando a lui.
Il capitano, preso da un’improvvisa illuminazione, si accese in viso, “Ah! Ma ho dimenticato di chiedere a Nami quanto dovremmo restare su quest’isola…” bofonchiò per-nulla-ancora-sazio, “io rimarrei per un altro banchetto domani, per poi ripartire all’avventura…”
“Sei il capitano, avresti dovuto informarti subito di queste cose!” 
Rin sbuffò, avvicinandosi a quella tavolata, poggiando le braccia conserte sul legno del tavolo che le tenevano il mento. 
“Che ti prende?” le chiese Robin, in un tono paziente. 
“Mi annoio…” sbuffò ancora “qua nessun ragazzo vuole combattere…sono tutti fifoni. Ah, ma posso assaggiare quello?” indicò il liquore al centro della tavola, che venne però preso al volo da una mano comparsa all’improvviso da dietro e sopra di lei. 
“Questa è mia, ragazzina.” 
Zoro aveva sequestrato la bottiglia svelto, per poi allontanarsi da lì e sedersi su una panca poco dietro. La bambina lo seguì strizzando gli occhi, imbronciata da quell’affronto, “e dai, fammene assaggiare solo un po’…” 
“Fammi capire, hai rubato la mia spada ma non hai mai pensato di rubare una po’ d’alcol, se volevi tanto assaggiarlo?” 
“Ma che razza di insegnamenti dà a sua figlia?”
Mugugnò Usop, passando accanto a loro mentre raggiungeva il tavolo che raggruppava più membri della ciurma insieme, superando così padre e figlia. 
“Non ho la combinazione del frigo…” 
Incrociò le braccia al petto sbuffando, la piccola, cercando attenzioni, mentre notava il verde lanciare uno sguardo furtivo nella direzione di Nami e tornando poi veloce su di lei. 
“D’accordo. Ma solo un po’.” 
Le passò la bottiglia appena stappata, vedendo in lei quella curiosità che era difficile da abbattere. Non appena la sentì tossire le riprese svelto il liquore dalle mani.
“Ti è passata l’idea, adesso?” 
La rossa junior annuì, prendendo posto accanto a lui. “Perché vi piace così tanto questo schifo?” 
Zoro sorrise, riportandosi la bottiglia all’altezza del viso, per poi fermarla che era quasi sulle sue labbra “vi piace?” 
“A te e alla mamma.” 
Anche la piccola si concentrò sulla donna che sembrava essere in testa alla gara, conscia del fatto che avrebbe vinto sicuramente. “Non dovresti proteggerla anziché stare qua a bere solo?” 
“Tsk…” poggiò la bottiglia in terra affianco a lui, incrociando le braccia dietro alla testa “credimi, si sa proteggere benissimo da sola…tu piuttosto, che fai qua, in disparte?” 
Rimasero in silenzio per un po’, un silenzio che entrambi condividevano allo stesso modo, sentendosi comunque a loro agio. 
“Sto bene con te.” 
Zoro le dedicò uno sguardo per poi chiudere l’occhio. 
Stava bene anche lui. 
 
 
 
Nami aveva naturalmente vinto la gara di bevute del paese, dalla quale aveva categoricamente evitato di far partecipare Zoro, che tra l’altro non ne aveva avuto intenzione, per via di tutto l’alcol che aveva ingurgitato la mattina. 
Arrivata alla tavolata dove i membri della sua ciurma si erano riuniti, aveva sbattuto sul legno, e con forza, il sacchetto dei denari che aveva vinto, soddisfatta e felice, ma anche barcollante e completamente in preda ad un forte stato di ebbrezza.
“Ben fatto mio amor…”
Sanji, che mentre la guardava con quel vestito scollato, aveva colto l’occasione per aiutarla a sedersi e coprirla con la sua giacca, non faceva altro che sgocciolare sangue dal naso “come posso lasciarvi?” disse, mentre salutava le donne dall’altra parte della strada e guardava, girando la testa compulsivamente, le sue due compagne, indeciso da chi andare. 
“Vai pure” fu lapidario Franky nel rispondere, spingendolo a buttarsi tra le donne del paese e farsi coccolare da loro. Tutto pur di far sì che togliesse le sue infinite attenzioni da Robin. 
Abbandonato Sanji, Chopper si concentrò preoccupato su Nami “hai esagerato anche tu, oggi…” le prese il polso per controllarlo “la testa come va?” 
La rossa scosse il capo in segno di negazione, con tanto di guance arrossate e occhi a forma di berry. “Sssto  bene …soldi…vvvvinto” 
“Hei, Nami parla come un robot, proprio come Franky, ehhehe” rise il capitano, agguantando l’ennesimo cosciotto. 
Il cyborg, di risposta, lo colpì, rubandogli poi il contorno dal piatto “io non parlo certo come un ubriaco!” 
“Quei soldi mi farebbero comodo visto che ho speso tutto per quel bagno stama…” 
Il cecchino non finì la frase poiché vide la mano Nami prendere il sacchetto e nasconderlo nella tasca della giacca di Sanji che aveva indosso, seppur poggiata al tavolo sconvolta e fiacca. 
“Qu-quali ssssol-di” biascicò, furba. 
 
 
 
 
 
 
 
“Sei arrabbiato con lei?” 
Chiese Rin, mentre cercava di scacciare via la nausea dallo stomaco per via di quella schifosissima bevanda che le aveva sconvolto il palato. 
“Non sono arrabbiato…” teneva ancora l’occhio chiuso. 
“Eh allora, mi dici che cosa non va tra voi?” 
Zoro prese qualche minuto per sé prima di rispondere, non sapeva cosa avrebbe dovuto dirle di preciso, forse perché nemmeno a lui la situazione era così chiara e limpida in cui poter evidenziare il problema dalla superficie. Ma una cosa era sicura per lui, una cosa era certa come la loro stessa esistenza. “Lei…deve credere di più in sé stessa.” 
Rin ci pensò su, non capendo esattamente il significato di quelle parole. Iniziava a sentire freddo, e la nausea non accennava a scomparire. Ma fece di tutto per concentrarsi.  
“Ma lei è straordinaria, è sarà anche più forte nel futuro!”
La bambina si avvicinò di più a lui, cercando di rubare quel calore che, se fosse stata ‘a casa’, avrebbe ottenuto subito, senza problemi. 
Era pensierosa. Non riusciva ad afferrare del tutto la situazione, perché nonostante lei conoscesse il futuro, non sapeva niente del passato. Aveva un potere con un punto debole considerevole. Fintanto che Zoro improvvisamente l’anticipò. 
“Oggi non ti ha accompagnata a prendere il gelato perché ha paura di non riuscire a proteggerti. È stupido!” sospirò, riprendendo la bottiglia di rum da terra “…e di queste decisioni simili, per paura, ne prende a bizzeffe!” riprese a tracannare, aprendo però l’occhio, dal momento che aveva sentito Rin vibrare accanto a lui - d’improvviso alla bambina era venuta come la pelle d’oca. Stava tremando. 
“Stai bene?” le chiese preoccupato, osservandola di sottecchi. Mai come in quel momento rivide Nami in lei, da quella durezza esteriore, alla fragilità di quel corpo gracile, al portarsi sulle spalle un carico pesante di sofferenza che non poteva evidentemente condividere. “Qualcosa che succede nel futuro e che non puoi dire?” 
Rin annuì, con ancora quegli occhi che nascondevano una ferita che aveva intravisto fin da quando era salita a bordo, ma che era impossibile da decifrare. 
“Riguarda Nami, non è così?”
Annuì di nuovo. 
“E il suo istinto protettivo…”
Sgranò gli occhi, voltandosi verso di lui stupefatta di quella constatazione che aveva fatto con tanta tranquillità e sicurezza “come hai fatto a…”
Prima di risponderle decise che era meglio ingurgitare tutto l’alcol rimasto nell’ultima bottiglia che aveva fatto giusto in tempo a rifilare ai compagni. 
“La ferita sulla spalla, il proiettile che ha preso per difenderti… E ho visto come la cosa ti aveva turbata!”
“Non ti sfugge mai niente…” annuì con il capo, “ma come hai detto anche tu, non posso dirti questo…” 
“Lo capisco.” 
 
 
 
 
 
 
“Tran-tranquilli…state trqnu-qui-mmm-lli ora mi riprendooo.” 
Nami era al settimo cielo per aver vinto quella cospicua somma di denaro, pavoneggiandosi ubriaca al tavolo degli amici sostenendo di essere la migliore di tutti loro a reggere l’alcol, rinfacciando la sua bravura anche nei confronti di Sanji e Zoro, che quella mattina erano svenuti come allocchi. 
“Secondo me hai bevuto per dimenticare qualcosa…” Usop approfittò per stuzzicarla mentre non era del tutto sé stessa, mettendola così alla prova. 
“E che cosa?” chiese Rufy divertito, amplificando però la risata del cecchino, che ridendo da solo si reggeva lo stomaco. “è meglio che tu non lo sappia.”
Il moro ricciuto fu però costretto a smettere di ridere quando sentì la compagna grugnire, senza avere però la capacità di alzarsi e menarlo. “S-se ti prendooo” 
“Stai bevendo per non pensare a quel tuo problema, ammettilo!” 
“Ti ammmmmazzoo Ussssop” 
“Mi dite quale problema?” la curiosità di Rufy continuava a non essere soddisfatta, ma tutt’al più non se ne preoccupava molto, contento comunque di festeggiare con gli amici. 
“È un problemino che si chiama…Zoro…” continuò il nasuto imperterrito. 
“Allora non penso che si tratti di un problemino…” s’intromise il cyborg facendo gioco di squadra.
Il cecchino annuì, anche lui un po’ alticcio, soddisfatto di aver catturato l’attenzione.
Dal momento che la tavolata comprendeva non solo la ciurma ma anche gente del posto che gli ascoltava incuriosita da loro, una delle ragazze si intromise. 
“Zoro è quel ragazzo muscoloso che sta con voi?” 
“Si è proprio lui…muscoloso, vero, Nami?” 
“P-p-iantala subito!”  
“A Nami piacciono tanto i muscoli di Zoro, yohohoh…per quello che a me non mi guarda nemmeno, sono fatto di ossa…” 
Per la prima volta la battuta di Brook, mista all’imbarazzo della rossa, aveva suscitato grasse risate ai membri della ciurma presenti, tranne che a quest’ultima.
 
 
 
 
“È ubriaca!” 
La voce di Rin, che osservava la mamma dalla distanza di qualche metro, lo risvegliò dalla sua pace. Aprì l’occhio anche lui, osservandola e vedendola instabile, mentre non riusciva né a stare seduta decentemente, né a stare in piedi, poiché quando provava ad alzarsi barcollava. 
“E ha avuto la faccia tosta di fare la morale a me per stamattina…”
“Lo sai che avete un problema, vero?” lo fulminò la figlia, incrociando le braccia al petto, “durante gli allenamenti non mi fai distrarre con niente. Quindi nemmeno tu dovresti bere.” 
“Io sono l’adulto. Dico io cosa fare!”
“Ma quale adulto…ti ricordo che in questo momento hai appena più di me.” 
“Non esagerare” l’ammonì, ma non era infastidito, richiudendo l’occhio. “Quando sono stato allenato io, non ho bevuto un goccio.” 
“Lo so, da Mihawk.” 
Quello stesso occhio chiuso fu costretto a riaprirsi rapidamente. “Sai tutto, eh?” 
“Non proprio” puntualizzò la piccola, ripensando a tutto quello che invece non sapeva, come il passato della madre “questa parte non è a me che l’hai raccontata, ma ad un’altra persona di cui non posso proprio parlarti, nel modo più assoluto…” sospirò, continuando ad immergersi nei ricordi della sua vita, quelli più cari, quelli più importanti, quelli più pericolosi “c’è una cosa che hai detto a questa persona, una volta, e se ora te la riportassi, potrebbe aiutarti…”
“No” la risposta di Zoro fu fulminea e totalmente inaspettata, “è meglio non sapere nient’altro del futuro.” 
“Ma questa non è esattamente del futuro” lo guardò con fare curioso, attingendo alla sua memoria per cercare di ricordarla per intero, “viene dal passato.” 
 
 
 
 
“Sempre  la solita taccagna…ma dove è andata se non si reggeva in piedi?” tuonò il cecchino, mentre si rialzava dal tavolo, dal momento che i racconti delle sue gesta erano ora reclamati dagli abitanti della tavolata situata dall’altra parte della strada “arrivo subito!” 
“Non riesco più a vederla…in effetti” precisò l’archeologa che si guardava intorno. “Chopper riesci a sentire il suo profumo?” 
La renna chiuse gli occhi e iniziò a concentrare il suo potente olfatto, annuendo subito dopo. 
“È laggiù!” 
 
 
 
 
 
“Ti ho sentito raccontare del tuo primo scontro con Mihawk…e di ciò che ti disse per spronarti a essere più forte. Forse, lo hai dimenticato?” 
“Come potrei” 
Rin continuò a frugare nei suoi ricordi, era difficile ripescare ogni parola di quel discorso che da bambina di soli quattro anni aveva origliato, nascosta nell’agrumeto di Cocoyasi Village. 
“Devi conoscere il mondo. Devi scoprire il vero te stesso.” Le disse Zoro, anticipandola. 
Rin si avvicinò a lui, poggiando la testa al suo braccio, sicura di trovare un appoggio saldo. “Hai però dimenticato la parte più importante…” si lasciò scappare uno sbadiglio “‘per diventare più forte, devi allenare il tuo cuore.’” Quella piccola manina lo strinse forte, facendosi spazio in lui, in entrambi i sensi. Le mancava tanto accoccolarsi al papà la sera dopo cena. 
Esternamente rimase impassibile, Zoro, ma dentro era rimasto colpito. Non aveva dimenticato quelle parole, le aveva solo evitate. E secondo Rin erano il segreto che lo avrebbero poi cambiato nel futuro, o, per lo meno, lo avrebbero reso un padre e un marito amato. Quelle frasi gli avrebbero permesso di vivere una vita a cui lui invece aveva rinunciato per diventare il miglior spadaccino del mondo. 
Non disse niente. 
Ma il suo braccio, in un gesto istintivo, aveva circondando la spalle della bambina. Era strano per lui, ma allo stesso tempo lei lo rendeva così naturale. Quello scricciolo che sentiva fragile sotto di sé, era così simile a Nami, così forte e intelligente, ma al contrario di lei, anche più ingenua e leale, come lui. 
“Ti consiglio però di non fartela soffiare da sotto al naso.” 
Sentì la vocina assonata di Rin vicina al suo orecchio. Confuso da quelle parole si guardò intorno cercando una risposta, dal momento che la bambina era crollata su di lui un secondo dopo aver parlato. 
 
 
 
 
“Un’altra gara dici? C’è un premio?” 
Una rossa barcollante si girava tra le dita il suo solito ciuffo ribelle, mentre si impegnava a mantenere l’equilibrio. 
“No”, rispose l’uomo davanti a lei, “ti ho invitata a bere qualcosa…” 
“Dal momento che è tutto gratis, perché no!” rispose su di giri, prendendo posto a quel piccolo tavolino fuori dal locale, accompagnata da un giovane alto e snello e dalla folta capigliatura nera; occhi verdi come le banconote, per Nami, e un viso piuttosto spigoloso, ma tutt’al più affascinante e galante, almeno per quanto riusciva a vedere con quella sua lucidità fuggevole nella testa che le girava vorticosamente. 
Le era rimasto impresso il viso di quel ragazzo da quella mattina al negozietto che vendeva oggetti di valore, in cui il suo sguardo attento aveva anche avvistato delle pietre preziose che erano state prese per essere mostrate ad una cliente per poi essere nuovamente custodite in cassaforte. E se lei fosse riuscita a colpirlo in qualche modo, magari avrebbe potuto guadagnarci qualcosa. 
“Così ti chiami Nami?” le chiedeva curioso, affascinato da quella figura femminile che aveva davanti, così eccitante, seppur dal comportamento spigliato e mascolino a causa dell’alcol.
 
 
 
 
Zoro, mentre si alzava dalla panca con Rin addormentata tra le braccia, notò i compagni abbandonare il tavolo e raggiungerlo. Robin, con addosso il piccolo dottore, che da sazio non aveva nessuna intenzione di trasformarsi e di camminare, gli era arrivata davanti con un sopracciglio alzato per lo stupore di vederlo in quella veste così premurosa. 
“Ti serve aiuto con la bambina?” chiese, sorridente, accertandosi che fosse addormentata. 
“Si” rispose lo spadaccino, con lo sguardo posato sull’altro lato della strada. 
“Vuoi darla a me?” l’archeologa era così affezionata a Rin che le veniva spontaneo prendersene cura, preoccupando però il piccolo Chopper che non aveva intenzione di scendere dalle sue braccia. La mora aveva però notato che lo sguardo del ragazzo era focalizzato altrove, capendo immediatamente la situazione pochi secondi dopo. 
“Non mi riferivo a Rin” specificò infastidito, ma più che altro sarcastico.  
Zoro si sistemò meglio la piccola addosso, con le gambe a penzoloni sul suo busto. Sentì quelle braccine muoversi appena e abbracciarlo sul collo con il respiro profondo e la pelle che tremava. “Per le bambine è ora di andare a dormire. E intendo tutte...” 
 
 
 
Il verde si incamminò svelto preso da un’azione spontanea, verso quel tavolo che aveva adocchiato, palesandosi con fare minaccioso davanti ai due che lo abitavano. 
Quando Nami aveva poggiato il bicchiere sul tavolo, l’uomo sedutole davanti aveva approfittato per posarle la mano sopra la sua con fare romantico, fingendo uno sfioramento involontario. 
“Oh” aveva esclamato, convinto di trovarsi davanti una persona comune che poteva cascarci. La rossa, che nonostante l’ubriachezza era ancora in grado di capire certe dinamiche, fece finta di credergli, assecondandolo, vedendo solo una gigantesca pietra luccicante al posto del viso dell’uomo che aveva davanti, sentendo però grugnire lo spadaccino arrivato proprio in quell’istante. 
I due rimasero a fissare quella presenza ingombrante, vedendolo immobile davanti al tavolo. Nami stava in silenzio, ma difficilmente stava riuscendo a contenere il divertimento, non vedendolo né andarsene e né reagire. D’altra parte, quell’uomo estraneo era così inquietato dallo sguardo e dal mutismo dello spadaccino, ma soprattutto dalle tre spade che portava al fianco, che si fece intimorire senza alcunché di più di quello. 
La rossa scostò appena la testa e vide che dietro il compagno c’erano sia Franky che Robin con Chopper in braccio, capendo che era arrivata la fine dei giochi ed era ora di rientrare. 
“Zoro…che vuoi?” finse di essere sorpresa, seppur la sua espressione diceva tutt’altro. Ma prima che lo spadaccino potesse rispondere, l’uomo di cui Nami non ricordava nemmeno il nome, era balzato in piedi come per volerla difendere, facendola divertire ancora di più sotto lo sguardo arreso di Zoro, che già aveva capito lo scherzo. 
“Diglielo!” 
Il verde indicò l’uomo, fermando le stupide e inutili parole cavalleresche che avrebbe probabilmente tirato fuori a vuoto mettendosi in ridicolo. “Forza!” 
Ora era Nami a guardarlo stranita, non capendo a cosa alludesse, rimasta in silenzio con un sopracciglio alzato. Fu così che vide quel fastidioso sorriso che conosceva bene sul volto del compagno, quello che tirava fuori quando sapeva di averla vinta, non aspettandosi nulla di buono. “Questa è nostra figlia.” 
Distolse immediato l’occhio da Nami per dedicarlo all’uomo al tavolo con quello sguardo minaccioso che aveva solo lui quando voleva spaventare malamente qualcuno. L’uomo aveva immediatamente sgranato i suoi, spaventato di averci provato con la donna sbagliata, nel momento sbagliato, facendo un torto all’uomo sbagliato. “V-vo-vostra figlia?”, le parole tremanti nella bocca e lo sguardo che continuava a focalizzarsi sulle tre spade, sapendo benissimo chi aveva davanti. “Sei sposata…con lui?” guardò Nami un solo attimo con fare allarmante, probabilmente insultandola in silenzio per averlo messo in quella situazione, a confrontarsi con un pirata di quel calibro, vedendola sospirare fintamente scocciata. 
“Mi dispiace…” biascicò, ritornando a fissare Zoro, per poi allontanarsi veloce dal tavolo in una camminata all’indietro per paura di essere attaccato alle spalle, correndo via il più velocemente possibile. 
Si sentirono le risatine dei compagni dietro di loro, insieme a un “poverino!” di Robin, e un “c’era bisogno di essere così crudele?”di Franky, ma soprattutto seguito da un chiarissimo “Zoro sei un idiota! Stavo concludendo un affare!” 
Nami prese il bicchiere e lo buttò giù, infastidita ma anche estremamente divertita da ciò a cui aveva appena assistito, seppur con una nota di dispiacere per non poterselo godere da sobria. 
“Hai finito di bere e fare la smorfiosa?” 
“Sei geloso?” 
 
 
 
L’alcol le andò dritto alla testa tutto insieme nel momento stesso in cui fece per scendere dalla sedia e, presa da un capogiro, riuscì a fermare per tempo una caduta certa. 
“Sposata con te…quando mai!”, nonostante il suo stato psicofisico allarmante, trovava lo stesso la voglia per stuzzicarlo. “Quindi è così, se qualcuno proverà ad avvicinarsi a me lo spaventerai con la tua pessima fama basata sulla finzione?” 
“Stai farneticando! Riesci, piuttosto, a camminare?” 
“C-erto… c-he no” 
“Beh, fallo lo stesso!” 
“Eccolo…l’ava-avaro maritinoo…e questo sarebbe un matrimonio?”
“Vuoi piantarla?!” 
La rossa aveva fatto capolinea davanti a tutti loro con un braccio sulla testa e uno sul fianco, pronta a cantarne altre quattro, ma la visione di Zoro con Rin tra le braccia, in quella dolce posizione, la investì in pieno, non riuscendo più a punzecchiarlo come avrebbe dovuto.  
“Finalmente ti prendi cura di tua figlia!” 
“Se non la smetti di fare casino starnazzando come al tuo solito, la sveglierai” lo spadaccino indicò la bambina addormentata su di lui con in volto un broncio impacciato. 
La cartografa si tolse, non senza un notevole sforzo, la giacca di Sanji dalle spalle, posandola su quelle della minore. Seppur con gesti instabili e col passo incerto, riusciva ancora ad avere un leggero barlume di lucidità, dedicandole anche una carezza sulla nuca. 
“Dovresti tenerla tu, anche se è del cuoco” digrignò i denti infastidito, senza nemmeno cercare di nasconderlo. 
La rossa fece spallucce provando a camminare in avanti, superandolo, ma una volta lasciato alle spalle l’ingresso del paese fu costretta ad inchinarsi presa da un conato di vomito che però non arrivò mai. 
Lui la squadrò sospirando, capendo che anche lei quella volta aveva superato il limite - sapendo però che il problema era anche l’abbassamento delle temperature. 
Franky avanzò rapido, arrivando davanti a Zoro e, adocchiando la rossa ancora inchinata e incapace di alzarsi, si propose “Dalla a me. La porto al caldo.” 
I due si scambiarono un’occhiata complice e, con un gesto delicato, attento nel non svegliarla, Zoro passò la figlia dalle sue alle braccia del cyborg che, senza necessariamente proferir parola, intimò a Robin di continuare la strada verso la Sunny con lui, lasciandoli soli.  
 
 
 
 
“Se rimani così immobile continuerai a prendere freddo.” 
Nami sentì uno strano calore avvolgerla, e sapeva perfettamente che non dipendeva solamente dall’alcol. Riuscì ad alzarsi, sotto lo sguardo dello spadaccino, che oltre lei, osservava anche i movimenti di Rufy, Usop e Brook, in lontananza. 
“Solo un attimo” la cartografa cercava di riacquistare il controllo della propria mente e del corpo, con una dose massiccia di difficoltà, dal momento che appena chiudeva l’occhio vedeva tutto instabile e confuso. “Mi serve il ba-bagno. Aspett a mi qui…” 
Approfittando di quella che credeva essere la distrazione di Zoro, entrò nella taverna più vicina, scomparendo dalla sua vista e dal suo sguardo costante su di lei che in quella specifica condizione la metteva maggiormente in crisi. 
 
Dopo aver osservato i compagni di viaggio ancora perfettamente in balia della festa, osservato quanto la natura circostante fosse silenziosa rispetto a loro, letto le insegne dei negozi più vicini, il verde iniziò a scocciarsi e a sentire freddo. 
Ma dov’è finita quella? 
Che fosse svenuta nel bagno? In un bagno in cui ovviamente non sarebbe potuto entrare… 
Seccato, avvicinò l’orecchio all’entrata del locale, dal momento che se si fosse sentita male qualcuna l’avrebbe sicuramente trovata. Ma nessun urlo e nessuno schiamazzo allarmante arrivò al suo orecchio. Fintanto che, avvicinandosi ancora un po’, iniziò a sentire delle voci alticce che festeggiavano, e in mezzo a quelle, poté distinguere chiaramente anche quella della compagna. 
Ma non è che…
Impostando la peggiore espressione che poteva regalarle, s’avviò all’interno, valicando la porta di entrata con passo spedito. La trovò a brindare con perfetti sconosciuti che ancora la coprivano di complimenti per aver vinto la gara di bevute, con il boccale nella mano riverso verso l’alto. 
 
 
 
Con un passo avanti all’altro, lo spadaccino avanzava nervoso per il sentiero che portava alla Sunny, con dietro Nami che lo seguiva a stento, barcollando ogni tanto a destra e sinistra, ma divertita dalla scena. Lo aveva fatto proprio arrabbiare con quell’atteggiamento sconclusionato, lasciandolo fuori al freddo ad aspettarla mentre lei era solo fuggita da quella pericolosa vicinanza, continuando a bere. 
Avrei potuto bere anche io“ aveva replicato infastidito mentre la spingeva verso l’uscita. Ma fermarsi ancora lì non era stato più possibile, dal momento che il proprietario stava mandando via tutti per poter chiudere i battenti per quella sera e andare finalmente a dormire. “E piantala di ridere o ti lascio da sola” lamentava continuamente parole poco credibili lo spadaccino, almeno, lo erano per Nami, che continuava a ridacchiare infischiandosene altamente delle sue proteste. 
“Non è successo niente, Zoro!” 
Ma quello non rispondeva nemmeno più, con il viso sprofondato nell’indignazione per averlo lasciato fuori come un cane da guardia. Almeno, fintanto che, quando la compagna, fermandosi d’improvviso aveva ammesso una strana verità, riuscendo a fermare per un attimo la sua arrabbiatura.
“…ho voluto allontanarmi da te…” 
Parole che non lo sconvolgevano tanto per il contenuto, quanto piuttosto per quell’ammissione, e che lo costrinsero a fermare quella falcata senza però voltarsi a guardarla. 
“Quel tuo sguardo costantemente addosso…io…smettila di cercare di guardarmi dentro! Se vuoi sapere qualcosa chiedimela direttamente!” 
Ancora senza voltarsi, sentì i passi barcollanti di Nami spostarsi, avvicinarsi alla parete di una casa, non troppo lontana dal punto in cui avevano ormeggiato la nave; la sentiva muoversi, la sentiva ansimante mentre si reggeva ad essa, con un pugno che aveva battuto per due volte sul muro frastagliato. 
Che stava succedendo d’improvviso? 
 
La motivazione con cui s’era giustificata non era stata accettabile per lui, però quel tono, affatto falso, era servito a quietarlo, almeno nella rabbia di quel momento, anche se non nelle emozioni. E, consapevole della risposta di circostanza, Zoro non replicò, lasciando morire il battibecco prima ancora di iniziarlo, nella notte fredda che li circondava.
Nami aveva però immediatamente già rimpianto quella scelta che più avrebbe dovuto spiegare, ma ancora di più l’aver ceduto all’alcol così tanto quella sera: la testa le girava vorticosamente e non era sicura che sarebbe riuscita a reggersi in piedi ancora a lungo. 
Aveva esaurito ogni forma di energia, anche quelle che non aveva mai avuto, usandole per farsi da scudo a lui, per qualsiasi cosa la tenesse lontana da Zoro. Ormai ogni vicinanza con lo spadaccino era diventata insostenibile, ma soprattutto era lui, con quel fare enigmatico, che non faceva altro che scrutarla quando la sentiva instabile, mandandola fuori di testa. Non voleva che ogni sua debolezza, fragilità, forte emozione fosse analizzata costantemente da quel suo occhio, arrivando a chissà quali conclusioni su di lei. Ma non fece in tempo a rifletterci che, quando sentì il suo corpo cedere, stare per cadere a terra, lasciarsi andare senza più un briciolo di forza nei polsi, sentì una presa afferrarla saldamente per la vita, tenendola inchiodata alla parete che stava per lasciare. 
Spaventata, Nami aprì gli occhi, lasciandosi scappare un gemito accorgendosi che si trattava di Zoro stesso. Un suono che però venne subito soffocato quando sentì la sua bocca sulla propria. 
La rossa si aggrappò a lui in un gesto spontaneo e lo seguì in quel bacio all’istante, senza remore, impossibilitata al combatterlo, dal trattenersi. Al diavolo le luci, il cibo, gli odori invitanti che si stavano lasciando alle spalle. Al diavolo i buoni propositi. Al diavolo la pazienza. Al diavolo la rabbia, perché il suo desiderio di amarlo era appena ritornato preponderante ad impossessarsi di lei. Era troppo stordita per rendersi conto che ci stava ricascando. 
 
Il bacio si sciolse, con tanto di sensazione della loro saliva ancora sulle labbra, guardandosi in quel modo penetrante e concentrato che ormai gli aveva messi nudi uno di fronte all’altra già da tempo, dettaglio che loro ignoravano continuamente. 
“Sei troppo presuntuoso!” 
“E tu sai di alcol!” 
Aveva risposto, entusiasta, passandosi la lingua sulle labbra, per via di quel sapore di liquore mischiato a quello di Nami, mentre lei nascondeva il viso in quel collo maestoso, reggendosi a lui, e cercando da qualche parte una coerenza che aveva perduto. 
Sentì Zoro cercare la sua pelle rosea e calda, costantemente attento però a ciò che sfiorava.  
La strinse a sé con più foga, quasi volesse affondarci in lei, respirandole la pelle, assaggiandola, in un contatto altamente ricambiato, poiché la rossa non era spettatrice o ‘vittima’, ma partecipava famelica, ricambiando i baci sulla pelle, il tocco delle mani che lo stringevano ovunque potevano. 
“Anche tu sai di alcol!”
Lei premeva forte il suo corpo contro quello di lui, voleva sentire ogni suo muscolo su di lei, mentre il pensiero che non doveva permetterlo iniziò ad innestarsi nella sua memoria. 
E Zoro l’abbracciava tutta quella provocante e prorompente femminilità, mentre una voce gli urlava di smetterla, di separarsi da lei, di fermarsi subito. 
Poi, per un attimo, si fissarono in silenzio, con i volti un po’ imbronciati. Sembrava che entrambi avessero vinto l’orgoglio, e quello che avevano ottenuto era infatti già un risultato per loro, ma, nonostante quei continui contatti o sguardi o parole, non avevano del tutto quella certezza, quella sensazione di esserci davvero riusciti. Non ne parlavano, perché in quei momenti andava bene così. L’importante era esser consapevoli di provare quel sentimento reciproco e potersi lasciare andare, pur con la paura o l’imbarazzo che questo comportava. 
Il cuore di Nami aveva tremato forte nel petto quando aveva sentito per un attimo quelle mani forti sulle sue cosce, una ad alzarle leggermente il vestito, e l’altra insidiata più verso l’interno, il tutto per una frazione di secondo, riprendendo a respirare quando aveva capito che Zoro si era tirato indietro.
Nonostante avesse tremato con un groppo rimasto bloccato in gola per la paura, la stessa che Zoro aveva sentito forte e chiara, si avvicinò lo stesso a lui, testarda di voler andare fino in fondo, ancorandosi ancora più saldamente a quel corpo, schiudendo appena le labbra al fianco del suo orecchio, pronta a rassicurarlo “è normale…non devi impedirlo…” 
Ma lui aveva smesso di guardarla, recuperando la lucidità mentre fissava un punto imprecisato sul muro. Ma lei continuava a torturarlo.
“È chiaro che non possiamo più evitarci…” gli baciò una guancia, tirandogli volontariamente la pelle, mentre poggiava le mani all’altezza dei suoi fianchi, “ed evitarlo…” 
Non fu mai interrotta dallo spadaccino che, anzi, l’aveva ascoltata con estrema attenzione. Anche fin troppo in fondo. Aveva lo sguardo stupito e l’espressione imbronciata, però non pareva assolutamente essere dispiaciuto o arrabbiato, quanto in apprensione per la paura di aver appena commesso un errore imperdonabile. 
“Ti prometto che non succederà più.” 
“Ma io non voglio che prometti questo, razza di idiota.” 
“Non sei stata tu a dire di lasciare perdere il futuro e concentrarci sul presente? Io le tue decisioni le rispetto…” 
“Ed è proprio questo il presente, stupido!” 
Ma lui si allontanò da lei, lasciandola scivolare a terra, e, respirando aria fresca, buttava giù per la gola un sentimento e una eccitazione che lo confondevano, scindendo fin troppo le due cose e non riuscendo ad amalgamarle insieme. 
“Rimango sulla mia idea!” 
“E quale sarebbe la tua idea, lo vuoi spiegare?”
“Non ti farò del male…”
“E secondo te questo che c’è tra noi mi farebbe del male?” 
Continuò a proseguire per la stradina, cercando di svignarsela da quella brutta piega che aveva preso la serata.
“Zoro! Maledizione!” 
Ma lui continuò imperterrito ad avanzare, nonostante non gli piacesse lasciare le battaglie a metà. 
“Il nostro sentimento non dipende da Rin, me l’hai detto anche tu..”
È vero, l’aveva detto. E ci credeva effettivamente in tale condizione. Non era stata Rin ad avvicinarlo a Nami, al suo arrivo loro erano già così consolidati, seppur troppo orgogliosi e stupidi per rendersene conto. 
“È così…” disse solo. 
“Allora in che modo dovresti farmi del male?” 
Lui fece un respiro profondo, allo stesso modo di Rin, cercava di quietare i suoi nervi e le sue emozioni all’istante. Spesso perdeva le staffe, ma sapeva comunque gestirsi. 
“Nami…” sentire il suo nome con quella sua voce rassicurante, le rincuorò per un attimo l’anima e improvvisamente si riscoprì essere più tranquilla, “aspettiamo che questa situazione si risolva…” 
“Zoro!” 
“È questo che ho deciso!” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice________________________________
 
Il capitolo più lungo di tutti. 
Non sono stata capace di dividerlo in due. . . non odiatemi per questo! 
Come sempre vi aspetto. 
Un abbraccio. 
 
Robi
 
   
 
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