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Autore: _Lightning_    10/12/2021    2 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Episodio 5
LA VIA

Parte IV


 

 

“C’è solo una Via. La Via di Mandalore.”
— Din Djarin, Figlio della Ronda

 


 

Trent’anni fa, Lothal,
Accampamento della Ronda della Morte


Il mondo ondeggia e traballa attorno a lui.

Din lo sente sobbalzare sotto le suole consunte delle scarpe, come se le bombe stessero di nuovo cadendo su Aq Vetina. Sopra di lui, in lontananza, si ripete il suono delle porte metalliche che sbattono, tagliando fuori la luce polverosa della città. Non sa perché stia vedendo e sentendo quelle cose. Sono passate, sono ricordi; eppure se le ritrova davanti agli occhi.

Non capisce e non sa se sia meglio concentrarsi su quello o sul dolore che pervade il suo corpo come acqua bollente. Non distingue neanche più le singole ferite e lividi. Tenta solo di non perdere di vista la schiena squadrata di Azi davanti a lui. La sua silhouette blu si staglia sopra l’erba della prateria come un silos, quello che a casa usava come punto di riferimento quando si addentrava troppo nei campi di kisiwa. È un confronto che fa male, quindi lo chiude fuori dalla testa, concentrandosi sul suolo dissestato per non inciampare.

Kyr’ad cammina tra loro due, silenzioso. Di tanto in tanto si gira a controllarlo, con l’orecchio mozzato e sanguinolento che si irrigidisce in modo innaturale, per poi riprendere a trottare con la coda che struscia a terra. Din lo ignora. Dovrebbe fargli paura, adesso, ma non riesce a provarne – non riesce a provare niente.

Quando arrivano all’accampamento, Din si blocca: vede Ruu, ma lei non sta guardando nella loro direzione. È in disparte e parlotta con un altro Mandaloriano che non ha mai visto, di cui non riconosce l’elmo bianco e blu. Pensa solo che la sua armatura è strana e troppo leggera in confronto a quelle della Ronda: gli sembra una donna. Quando volta il capo, si trova a fissare gli occhi di un convor dipinti in blu sulla calotta.

La Mandaloriana fa un cenno verso lui e Azi col mento appuntito dell’elmo e Ruu si volta all’istante per poi venire loro incontro a passo spedito, spiccando quasi in una corsa nell’ultimo tratto. Azi la intercetta bruscamente, ringhiando qualcosa di incomprensibile in Mando’a a cui Ruu risponde altrettanto alterata. L’altra Mandaloriana grida qualcosa che somiglia a un comando, attirando l’attenzione di Azi, per poi proseguire inaspettatamente in Basico:

«Muoviti, Pre ti aspetta. Sai che non è paziente.»

Azi esita un istante, poi scosta via Ruu con una spallata e si dirige verso l’altra guerriera.

«Ne kyr jii» le dice a mezza voce, ma ancora ben udibile.

Non finisce qui. Din abbassa lo sguardo a terra, sulle sue scarpe impolverate.

«Ulik’ad!» sente sibilare Ruu, furente, quando l’alor si allontana e sparisce dentro la sua tenda.

Avverte Ruu che si gira verso di lui, ma non alza ancora lo sguardo. Per un solo attimo si sente distante da lì e da tutto quello che è successo: cerca di aggrapparsi a quella sensazione come se potesse sprofondare nel terreno. Quando infine si azzarda ad alzare la testa, si trova a indietreggiare di scatto, raccogliendo le mani al petto come se impugnassero ancora la vibrolama. Sbatte le palpebre e davanti a lui vede solo l’armatura blu di Azi.

È tornato indietro? Perché non l’ha visto?

L
alor Si inginocchia di fronte a lui. Il visore nero a T lo scruta minaccioso, con le infossature dell’elmo sugli zigomi che sembrano diventare più aguzze.

«Din...»

Una mano guantata gli sfiora il polso, lo stesso che gli stava per spezzare prima – Din si risveglia, un attimo prima di sentire la morsa che lo stritola.

«Non mi toccare!»

Balza all’indietro come se gli avesse dato una scossa elettrica. È affannato e non sa nemmeno perché, ma sente l’aria che brucia e diventa solida quando passa nella gola, espandendosi in tutto il corpo e attraverso graffi e lividi. Gli sembra di vedere doppio, ma adesso riesce a mettere meglio a fuoco l’armatura di fronte a lui: è Ruu, la riconosce dal graffio a spirale sulla calotta dell’elmo e dalla voce che, anche se adesso pronuncia solo un mormorio incomprensibile, è morbida e calda.

Non si sente rassicurato, anzi, fa un altro passo indietro, rifuggendo la sua mano che si tende di nuovo. Fissa l
’elmo blu che ha significato fiducia e affidabilità fino a meno di un’ora fa e vorrebbe avere di nuovo la vibrolama in mano – vuole combattere col mondo intero, con Ruu, con Azi, con gli altri Mandaloriani e i droidi e suo padre e sua madre che sono morti e non l’hanno portato con loro.

Quando la guerriera fa per avvicinarsi di nuovo, scaccia via le sue mani e si sottrae alla sua presa.

«Perché non hai fatto niente?!» grida, con una voce che non sapeva di avere e che gli scartavetra la gola.

Afferra il ciondolo in beskar e se lo strappa dal collo, spezzando il legaccio di cuoio e incidendosi la pelle. Non gli importa. Lo getta nella polvere, ai piedi di Ruu. La fissa per un singolo istante, affannato, poi le volta le spalle e schizza via, verso l’erba alta della steppa.

«Din!»

Ignora quel richiamo acuto, già inghiottito dal mare giallastro e scricchiolante. Corre, con gli occhi puntati verso il cielo sempre più scuro e i piedi che urtano sassi e avvallamenti una storta dopo l’altra. Si aspetta di sentire il suono di un blaster o i ringhi di Kyr’ad o le mani di Azi che lo agguantano e lo frantumano e lo fanno a pezzi perché sta scappando e non è un vero Mandaloriano.

L’unico suono è il suo respiro convulso, lo scalpiccio dei suoi passi e il fruscio degli steli spezzati. Sente di tanto in tanto uno zampettare di animali in fuga e vede insetti arancioni che smettono di frinire e balzano via sfiorandogli le gambe. Non si ferma, neanche quando tra l’erba scorge un’ombra, più grande e massiccia che scivola via come uno spettro.

Non si ferma finché la steppa rinsecchita non si apre in una piccola radura, un isolotto di terra riarsa in mezzo a quell’immenso fiume ondeggiante. Una roccia oblunga svetta al suo centro, offrendogli un appoggio mentre cerca di riprendere fiato coi polmoni che vanno a fuoco e la milza che gli invia coltellate. Il suo stomaco cede e si ritrova carponi per terra, scosso da un conato che lo piega in due. Rimette solo bile acre e si lascia cadere contro la roccia con gli occhi che lacrimano per lo sforzo.

Nel cielo ormai buio cerca il profilo del Guerriero, sapendo che non lo troverà. L’intricato tappeto di stelle gli offre solo costellazioni sconosciute in cui non riconosce nulla di familiare, nemmeno tentando di inventarne di nuove.

Si stringe la tunica sullo sterno, strizzando la stoffa tra le dita senza sentire il profilo aguzzo del ciondolo al di sotto. Si pente di averlo gettato via. Si sente nudo e ha freddo, anche se la notte è calda e rivoli di sudore gli incollano i capelli alla fronte. Se la asciuga con la mano e la ritira sporca di sangue.

Ripiega le ginocchia contro il petto e vi poggia il mento, col respiro ancora affannato che non riesce a placarsi, come se avesse qualcosa di vivo dentro al petto che gli ruba tutta l’aria. Non sa cosa gli stia succedendo, vuole solo scacciare via quella cosa estranea che gli impedisce di respirare. Ce l’ha dentro il petto da quando le porte dello scantinato si sono chiuse sopra di lui e gli sembra che diventi sempre più grande, più pesante – lo schiaccia, come Kyr’ad quando lo ha sbattuto nella polvere e Azi quando lo ha afferrato e–

Preme la bocca contro le ginocchia e si tira con uno scatto il cappuccio sopra la testa, creando un’oscurità rassicurante attorno a lui che taglia fuori tutto il resto del mondo. Lì, riesce a scorgere le stelle del Guerriero impresse dietro le palpebre. Cerca di seguirle per scappare dalla vertigini, ma rimane bloccato nello stesso punto, dentro lo scantinato scosso dalle bombe. Vuole scappare, ma non riesce a muoversi, come quella volta.

Vuole che Ruu apra di nuovo quella porta e per portarlo via da lì.


 



Quando Ruu lo trova, Din ha fatto in tempo a elencare più volte in Mando’a tutti i colori attorno a sé, sussurrandoli contro la stoffa della tunica – ge’tal, rosso. Quello lo ripete più volte, soffermandosi sull’ultima sillaba: tal. Vuol dire sangue, come quello secco che ha sulle mani e sul viso.

Alza gli occhi quando sente un tramestio di steli spezzati. La vede subito, aggiungendo un colore alla sua lista: kebiin. Blu, un’ombra che supera gli steli essiccati della steppa e avanza verso di lui.

Davanti a lei c’è Kyr’ad. Din non scatta in piedi come ha fatto qualche ora fa, ma rimane a fissare l’animale coi pugni serrati, mordendosi l’interno della guancia e sentendo scariche elettriche lungo le gambe che gli gridano di riprendere a correre.

«Jate, Kyr’ad. Yaim» ordina seccamente la guerriera, frapponendosi tra lui e lo strill, che zampetta subito via con un uggiolio sommesso.

Din batte le palpebre, solo per un istante – almeno così crede. Ora però Ruu è di fronte a lui, piegata come sempre su un ginocchio per portarsi alla sua altezza. Sulla corazza spicca il ciondolo di beskar che ha gettato via. Trattiene l’impulso di afferrarlo: non sa se è ancora suo.

«Ruu...»

Lei fa un movimento rapido che non riesce a cogliere e subito dopo Din sobbalza, colto da un dolore breve e acuto all’orecchio.

«Non farlo mai più» gli intima lei, con la mano che gli ha appena tirato l’orecchio adagiata sulla sua guancia, improvvisamente delicata.

Non indossa i guanti e c’è qualcosa di strano nella sua voce. Quando parla di nuovo, capisce che sta tremando:

«Non farlo mai più.»

Din non ha controllo sul singhiozzo che gli sfugge dalle labbra, né su tutti i successivi e sulle lacrime che gli inondano le guance. Si alza in piedi e porta di scatto i palmi agli occhi, sfregandoli e premendo così forte da farsi male alle orbite, nel tentativo di ricacciarle indietro e bloccare quell’ondata di sale.

Oltre i singulti che sembrano spezzarlo in due sente un fruscio, un tonfo metallico, poi Ruu gli scosta le mani dal volto. Un mare di treccine lo avvolge quando lo stringe a sé. Din sobbalza e per un attimo vuole di nuovo scappare. Vuole essere ancora arrabbiato con lei, vuole rianimare quella scintilla che gli bruciava il viso e il petto fino a poco fa. Sposta gli occhi sul suo elmo, posato tra i ciuffi d
erba secca – solo allora si arrende e sceglie di confondersi nell’abbraccio.

Cerca di ricordare quello di sua madre: l’impronta fresca di vestiti appena lavati che gli lasciava nel naso, il sentore di farina di kisiwa sulle mani callose, i baci sulla fronte nelle notti di tempesta, i capelli lunghi, neri e lisci come i suoi con cui si divertiva a giocare da piccolo. Tutto ciò che fino a qualche mese fa chiamava casa – ma lui ormai è un Mandaloriano e casa è solo una parola lontana.

Cerca a tentoni il ciondolo di beskar, stringendolo nel pugno e sentendosi un po’ più forte anche solo così, anche se non riesce a smettere di piangere.

«Voglio anch’io un elmo» riesce a dire confusamente, non sa nemmeno perché.

«Così non ti vede nessuno lo stesso, ad’ika» risponde Ruu, come se invece avesse capito tutto.

Lo avvolge più strettamente e gli fa nascondere il viso contro la sua corazza. Solo allora Din smette di combattere per quella che gli sembra la notte intera.



 




«Sei calmo, adesso?»

La voce di Ruu è bassa ma sembra rimbombare nella corazza, dopo quel silenzio infinito rotto solo dal frinire degli insetti. Din annuisce, passandosi la manica sul naso.

«Jate

Non lo scansa né lo trattiene e lui tiene la testa poggiata contro il metallo ormai scaldato dalla sua guancia. Passa ancora un momento, prima che riesca a staccarsi da lei e dal suo tepore. Si trova a incrociare i suoi occhi color miele e lei gli rivolge un sorriso appena accennato. Abbassa lo sguardo: gli sta porgendo il ciondolo in beskar. Lo prende senza nemmeno pensarci, seguendo con le dita il profilo affilato del teschio di mitosauro. Alza fugacemente gli occhi su di lei, incerto su cosa dire.

«Non sono arrabbiata, ad’ika. Mi hai fatto paura, tutto qui.»

«Tu mi hai fatto male» replica lui con voce arrochita, strofinandosi l’orecchio e sentendosi sbagliato nel dirlo.

Azi gli ha fatto male. Gli ha quasi rotto un polso e l’ha scaraventato per terra e ha detto a Kyr’ad di sbranarlo. Voleva ucciderlo. Una tirata d’orecchio in confronto è quasi una carezza – però lo dice lo stesso, risentito, perché lei non l’ha fermato e non ha fatto niente per aiutarlo.

«Scusa» risponde soltanto Ruu, tornando seria. Gli chiude le dita sul ciondolo. «Non perderlo mai.»

Din fa un cenno col capo in silenzio, come ha visto fare spesso ai Mandaloriani. Non ha voglia di parlare. Gli sembra che le lacrime gli abbiano portato via tutte le parole.

Si rigira il ciondolo nei palmi prima di rimetterselo al collo, sotto la tunica che ormai è uno straccio. Ruu gli raddrizza il colletto, sfiorando con una nocca l’escoriazione sulla mandibola, dove la stoffa è affondata con violenza mentre Kyr’ad lo azzannava. Din sobbalza senza volerlo e Ruu gli inclina il viso per vedere meglio la ferita.

«Dove ti fa male?»

Din scuote la testa, distratto. Sente i graffi ancora umidi sulla schiena che tirano e troppi lividi per contarli, molti più di quella volta che è ruzzolato giù da un tetto per aver messo un piede in fallo. Anche quella volta si era rimediato un paio di scappellotti dai suoi genitori. Ripiega le labbra su se stesse, strizzando gli occhi.

Un fruscio più forte degli altri scuote la steppa e si ritrova di nuovo all’erta, con le pupille che corrono di loro volontà verso la direzione in cui si trova l’accampamento, aspettandosi di veder spuntare Azi o Kyr’ad. Tira su col naso, più piano che può.

«L’alor dov’è?»

«È impegnato. Ci penso io a lui» sembra leggergli nel pensiero lei, alzando poi gli occhi rattristati. «Ad’ika, fai sempre quello che ti dice.»

Din non la guarda ma sente il volto indurirsi, con la bocca che si piega verso il basso. Per un momento, gli viene in mente suo padre quando era contrariato per qualcosa. Si chiede se in questo momento gli assomigli. Si gira verso Ruu, senza poter fare nulla per non sembrare arrabbiato.

«Non voglio.»

«Fallo e basta. Io non posso proteggerti, se scappi via così.»

Ruu è sempre pacata, non alza mai la voce: a Din ricorda il vento gentile che soffiava su Concord Dawn d’autunno. Adesso gli sembra solo stanca, ed è peggio di qualsiasi altra cosa.

«Non mi importa.»

«A me sì. Quindi obbedisci a me e all’alor

«Tu non vuoi davvero» ribatte Din a voce più alta, soffiando aria dal naso.

«Io non voglio che ti uccida.» Fa una pausa, lasciando cadere quelle parole pesanti tra loro. «Perché lo farà, se non ti comporti come dovresti

Din lo sa già. Prima lo ha quasi fatto. Alza il mento, sfidando Ruu.

«Come un vero Mandaloriano?»

Ruu lo fissa sgranando appena gli occhi. Lo prende per le spalle, con un’improvvisa energia che lo fa irrigidire.

«Non c’è niente, niente di davvero “mandaloriano” in ciò che ti dice lui. Non è quella, la Via. Non lo è mai stata, né lo sarà mai.»

Din scuote la testa e stringe le sopracciglia in una ruga interrogativa.

«E allora perché lo segui? Perché non te ne vai?»

Ruu inclina un poco la testa di lato, con un velo che va ad appannarle gli occhi. La sua tristezza dura un istante, poi arriccia la fronte e stringe appena la presa sulla stoffa, ritirando la mano macchiata di rosso.

«Togliti la tunica: stai sanguinando» tronca il discorso, esortandolo con un colpetto sul braccio.

Din non si muove, deluso.

«Perché non te ne vai?»

Ruu sospira.

«Perché non posso. Ho un debito con lui.»

Din schiude la bocca per chiedere altro, ma gli occhi cupi di Ruu gli dicono di non insistere ancora, di non oltrepassare quella linea che sembra essersi tracciata tra loro. Obbedisce e si toglie la tunica, sentendo i graffi sulla schiena che adesso sembrano essere diventati più profondi e caldi.

Ruu non parla per tutto il tempo che impiega a disinfettare ogni singolo taglio e sbucciatura con il flacone di bacta che estrae dalla bisaccia. I graffi sulla schiena fanno malissimo, ora, e Din teme di vederla prendere da un momento all’altro il cauterizzatore che le ha visto a volte usare su di sé o sui compagni per le ferite più profonde. Per fortuna, si limita a mettergli solo dei punti a strappo fastidiosi. Alla fine Din si rimette la tunica, anche se ormai è poco più di uno straccio strappato in più punti.

Ruu ripone il bacta al suo posto e passa a ripulirgli il viso dal sangue rappreso con un lembo della sua cappa inumidito dalla borraccia. Attorno a loro hanno iniziato a fluttuare degli strani insetti luminosi che emanano un chiarore azzurrino. Din ne segue i ghirigori nell’aria, dimenticandosi per un momento dov’è e cosa sia successo. Visti così contro il cielo nero, gli sembrano mille altre stelle galleggianti e vorrebbe poterle spostare come vuole lui per rivedere le costellazioni che conosce. Anche così, non saprebbe dove andare.

«Come faccio a capire cosa devo fare per seguire la Via?» si sente chiedere, da molto lontano. «Non basta essere Mandaloriani?»

Ruu finisce di lavargli via una macchia dal sopracciglio, prima di rispondere:

«Cosa ti ha detto Azi?»

Din batte le palpebre, con gli occhi che ancora bruciano di sale e sangue.

«Che adesso sono un Mandaloriano.»

Ruu annuisce, passando a pulirgli i palmi e le unghie spezzate con la bocca tirata in una riga dura.

«E basta?»

«Ha detto anche una cosa in Mando’a che non ho capito» rivela a bassa voce.

Non dice di come Azi lo ha afferrato e ha premuto la fronte contro la sua, facendolo sentire indifeso, incapace di sfuggire a quel contatto non voluto. Sente ancora il puzzo acre di tihaar e fumo in gola. Sente ancora l’impulso che guida la sua mano non più armata verso la gola scoperta dell’alor. Si sente sporco. Sfrega le nocche della mano libera contro i pantaloni come se potesse pulirle, non solo dal sangue.

«Te la ricordi? Sapresti ripeterla?»

Gli echi delle sue parole gli battono ancora contro i timpani, nitidi.

«Kyr’tsad kar’tayl... gai sa’ad» ripete subito, incespicando nella pronuncia.

Il volto di Ruu si paralizza in una maschera di gelo. Lascia andare la cappa e gli stringe le mani così forte da fargli quasi male. Din sobbalza e Ruu gliele lascia di colpo. Al sollievo segue il vuoto, la sensazione di precipitare.

«Sei sicuro? Ti ha detto proprio queste parole?»

La sua voce è affannata, incastrata in gola. Din sente il cuore che inizia a correre come se Kyr’ad gli stesse di nuovo per saltare addosso per sbranarlo. Annuisce e basta, con un tremore incontrollabile che lo scuote da capo a piedi nel vedere gli occhi adesso impauriti di Ruu. Non l’ha mai vista così. Cosa c’è di peggio di quello che è appena successo? Cosa la spaventa così tanto?

«Che vuol dire?» domanda, senza riuscire a trattenere uno stridio nella voce.

«Che adesso sei un Figlio della Ronda.»

Din legge di nuovo la paura negli occhi di Ruu, nel modo in cui il suo volto spigoloso si tende.

Come te?

Non riesce a chiederglielo, perché lei lo stringe a sé senza preavviso, senza un’altra parola. Per un battito Din ha l’istinto violento di urlare, scansarla e scappare di nuovo negli steli alti della prateria – di perdersi nel nulla e non essere più ritrovato perché un
 giorno anche Ruu lo lascerà, come i suoi genitori lo hanno lasciato nella cantina e come Azi lha lasciato nella polvere. 

Invece rimane immobile, con le braccia molli e il volto nascosto tra il suo spallaccio e il collo. Non capisce più niente e fa finta di non essere lì. Di essere ancora su Concord Dawn, ad Aq Vetina. Non ci riesce, perché è tutto troppo diverso. Inala a fondo contro la corazza di Ruu. Sente solo odore di metallo e cuoio, con l’orma ferrosa del suo stesso sangue sullo sfondo. Stringe le dita attorno al ciondolo in beskar e le sente ancora sporche. Non si è mai sentito così stanco, così pronto a raggomitolarsi e non muoversi più.

«Voglio andare a casa.»

Ruu sospira, tirandogli il cappuccio logoro sulla testa. Porta una mano dietro alle sue ginocchia e lo solleva da terra come se non pesasse nulla. È di nuovo un ramoscello di veshok, ma stavolta non è una sensazione spiacevole e non si oppone.

Sotto di lui gli insetti luminosi svolazzano pigri, seguendo rotte imprevedibili come stelle mobili. Alza la testa: guarda il cielo buio e infiammato da miliardi di stelle, senza riconoscerne nessuna. Da qualche parte, lassù, c’è anche Aq Vetina.

«Un giorno ti porto via» sussurra Ruu, premendogli una mano sulla schiena.

Ha il capo reclinato all’indietro: sta guardando anche lei le stelle.

«A casa?»

Lei sospira piano e Din sente il suo petto alzarsi e abbassarsi a tempo col suo.

«In un posto che potrai chiamare casa.»

Din le passa un braccio attorno al collo, sentendo le vertigini a forza di guardare il cielo così lontano.

«Promettilo.»

Quella richiesta si getta fuori dalle sue labbra senza nemmeno dargli il tempo di pensarla. Rimane sospesa tra loro, nel buio punteggiato di lumicini volanti. Ruu lo scosta da sé, tenendolo saldamente. Gli fa alzare il viso con una nocca sotto il mento e lo fissa negli occhi.

«Haat, ijaa, haa’it» mormora, solenne. «È un giuramento, e i Mandaloriani mantengono sempre la parola data.»

Din la fissa negli occhi. Sono lucidi e sulla sua pelle bronzea si scorgono delle striature più scure e umide, che rilucono appena nella luce fioca delle stelle sopra e sotto di loro.

«Allora prometti che vieni anche tu.»

Ruu tace per un lungo secondo che gli risucchia via il cuore dal petto, ma non distoglie lo sguardo.

«Non posso.»

Poi gli si accosta appena, sfiorandogli la fronte con la propria. Din, per un istante, ha l’istinto di ritrarsi – vede Azi, il suo volto glaciale, avverte la stretta dietro la nuca che gli tira i capelli e sente la patina di sangue e sudore sulla pelle – poi le treccine di Ruu gli solleticano le guance, il suo tocco gentile gli sostiene il mento e un velo di frescura si posa contro la sua fronte bollente. Oltre il metallo e il cuoio e il sangue coglie una nota più soffice, di fiori, spezie e calore lontano.

«Ma tornerò sempre, ad’ika, questo te lo prometto. Tu devi solo aspettarmi.»

Din chiude gli occhi pesanti di stanchezza, col profumo di una casa ancora estranea ma un po’ più vicina che lo culla. Il peso nel suo petto diventa più lieve, solo un’ombra indistinta tenuta a bada dal ciondolo in beskar.

«Va bene.»

Si addormenta così, aggrappato a quella promessa che gli fa già da corazza.


 


Glossario:

haat, ijaa, haa'it: lett. "verità, onore, visione". Formula di giuramento.
ulik'ad: bastardo
yaim: casa


Note dell’Autrice:

Cari Lettori, eccoci qui con la diretta continuazione (e finale) di questo lungo flashback.
So che potrebbe sembrare fine a se stesso, ma in realtà cela molti dettagli che diverranno più chiari con gli sviluppi futuri, soprattutto a livello di sviluppo ed evoluzione dei personaggi.
Ovviamente, questa storia non tiene conto della seconda stagione, per questo l'entità dei "Figli della Ronda" si discosterà leggermente da quella presentata nel canone, anche se rimarrà coerente con esso.

Ringrazio di cuore i pochi intrepidi che continuano a leggere e seguire questa storia ♥
Alla prossima, spero con un aggiornamento altrettanto pronto,

-Light-



 

   
 
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