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Autore: vielvisev    01/02/2022    4 recensioni
Questa è la fine dell'era dei Malandrini: Lily e James sono morti. Sirius è accusato di tradimento e imprigionato. Peter Minus creduto morto. Sono rimasti solo due testimoni di quel passato ingombrante: Remus Lupin e Severus Piton.
Mini-Long sulla potenziale amicizia mai nata tra due personaggi simili, ma su due fronti opposti. Sul loro dolore, la loro solitudine e l'accettazione del lutto per loro più difficile da affrontare.
Missing Moments
*
*
DAL TESTO:
Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
-
Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre.
-
“Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco.
Era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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.Pozione Antilupo.



I ricordi per Severus Piton erano sempre stati agrodolci, fin dalla sua infanzia. 
 Lo accarezzavano per un istante e poi affondavano dentro di lui come lame ghiacciate, ma,  coperto com'era di ferite immaginarie, ci aveva ormai fatto l'abitudine, così come si era acclimatato alle pareti di Hogwarts intorno a lui. 
 Gli anni scivolavano via come miele, densi di avvenimenti, ma veloci, impalpabili, tanto da stupirsi di quanto fosse cambiato il suo corpo ogni volta che passava per caso davanti a una superficie riflettente. Si sentiva ancora un ragazzino in cerca di riscatto dentro di sé, con il cuore tremante e la paura nelle ginocchia. Non aveva ancora superato l'umiliazione, la solitudine e l'incapacità di comunicare e a volte la rabbia lo invadeva priva di senso e misura, proprio come quando i Malandrini lo deridevano e lui perdeva l'equilibrio del suo controllo. Eppure era ormai un uomo.
 Non aveva ancora superato Lily e la sua mancanza, il senso di colpa che lo copriva come un velo, non aveva superato il ricordo del gelo che le notti di ronda con le vesti dei Mangiamorte gli avevano imposto nelle vene, non aveva superato gli occhi vitrei di sua madre, gli incubi che facevano cedere la sua integrità, la sensazione di fallire, ma non era più il piccolo Severus, quella visione di sé era stata sbriciolata dal tempo denso. Ora era un giovane adulto con più cicatrici e rimpianti che sogni e speranze. Era un professore in quella scuola che aveva dato un senso di tristezza alle sue giornate.
 Piton si passò una mano sul volto e si fece sfuggire un leggero sospiro di stanchezza, mentre si avviava in fretta verso i sotterranei, pronto a togliere il suo scudo e le sue maschere, una volta al sicuro delle pareti della sua stanza. 
 “Severus” la voce di donna lo fece voltare lentamente, teso. 
 Minerva McGranitt e Silente erano le uniche persone a eccezione forse di Remus Lupin, in quel giorno d'estate di quasi dieci anni prima, al cimitero di Godric's Hollow, a essere in grado di coglierlo di sorpresa. 
 Era una donna dura, Minerva, temprata dall'assenza e la pazienza, intelligente in modo quasi spaventoso, dotata di una dialettica svelta e uno sguardo attento. Non si era mai fatta sfuggire nemmeno uno delle ferite di Severus Piton, lo aveva forse compreso più a fondo di chiunque altro, con quel suo senso materno innato e mai appagato, tra le pieghe delle sue vesti così piene di rigori e fermezza. Lo aveva compreso, ma gli aveva lasciato il suo spazio, accostandosi a lui in maniera gentile e rispettosa, mai invadente, senza dubbi e domande tra loro.

“Minerva” disse secco il giovane uomo “Hai bisogno?”
 “Solo di avere un buon conversatore. Ti va un the insieme?”
Gli scudi si rialzarono intorno alla figura sottile di lui. Era vero, si era abituato alle pareti di Hogwarts e i suoi fantasmi, più quelli reali, che quelli del suo animo. Si era abituato ad essere più temuto che ammirato, da quegli studenti così fragili e spezzabili, che camminavano inconsapevoli della durezza della vita, il sorriso sulle labbra. Si era abituato alle notti insonni e alla placida e insensibile calma di quel castello, che in fondo non poteva evitare di considerare casa... 
Ma non si era ancora arreso alle amichevoli chiacchierate con Minerva, ai the pomeridiani in cui si parlava di magia applicata ad alti livelli e curiosità accademiche, non si era ancora arreso nell'avere una sorta, se non di amica, di persona da rispettare. Non si era arreso alla compagnia. E non solo quella di lei, ma anche di Albus, Pomona, Filius e persino quella Chips, così sempre concentrata e accigliata. 
La parte di Severus che si concedeva di mostrare agli altri, a piccoli brandelli e sospiri, stava trovando il suo posto nel mondo, ma lui non lo avrebbe mai ammesso, non ancora, così abituato ai suoi panni di figura tormentata e solitaria.
 “Minerva le tue miscele sono terribili, lo sai”

 “Sono solo speziate, Severus e tu comunque non vuoi offrirmi le tue, dovremo accontentarci” 
 L'uomo fece uno sbuffo dal naso, per nascondere forse un principio di sorriso. La donna rese il suo sguardo quieto e l'espressione più morbida, mentre osservava quel ragazzo cresciuto che aveva così vistosamente bisogno di affetto.
“Ti aspetto in Sala professori, quindi.” disse Minerva “Pomona non vede l'ora di raccontare per l'ennesima volta come ti abbia battuto nel decotto di Mandragole lo scorso anno e Filius sostiene che la tua presenza darebbe un po' di equilibrio con le futili chiacchiere di Poppy e Sibilla.”
 La professoressa fece un leggero sorriso e un cenno di intesa verso di lui. Severus sospirò appena e chinò il capo.
 “Vi raggiungo a breve” disse, voltandosi per allontanarsi con passo svelto, il mantello che svolazzava alle sue spalle come una scia scura. 
 “Mi fa piacere.” disse quella dietro di lui “Ah, Severus, prima dell'inizio della scuola dobbiamo rivedere completamente il piano di protezione del castello, lì dove le misure sono imposte da noi. Sai dopo Black...”
 “Certo” assentì lui pacato e l'Occlumanzia tremò nella sua mente, incrinando la sua facciata composta. 
Con sforzo mise calma ed equilibrio, fece calare scudi e pensò ad acque tranquille, come ogni sera, per tamponare le sue ferite interiori, per mantenersi in pace tra quello che era e ciò che era stato. Sirius Black.
 Severus Piton pensò a Remus Lupin. Non lo aveva mai più visto in quei dieci anni, ma da quando Harry Potter bazzicava nel castello si chiedeva spesso dove fosse il Malandrino e perché non facesse un passo avanti a presentarsi al figlio del suo migliore amico e di Lily Evans, perché non si riprendesse il suo spazio nel mondo. 
Sirius Black. Severus si chiese come passasse le notti ora Remus Lupin a sapere che Black era in giro.

*

Le notti di Luna piena erano più piacevoli ultimamente, come una valvola di sfogo nei suoi pensieri. 
 Si smaterializzava più volte, Remus Lupin, spingendosi quasi sempre al limite della spaccatura, di bosco in bosco, fino ad arrivare lontanissimo da casa. La nausea degli spostamenti troppo ravvicinati tra loro lo lasciavano stordito sul muschio verde, troppo esausto per articolare qualsiasi pensiero, fino a notte fonda, quando la luna sorgeva e lui smetteva di essere sé stesso. 
 Aveva letto i giornali, Remus Lupin. Anche nei buchi dove si nascondeva, fingendo di non essere più parte di quella società che amava e odiava allo stesso tempo, certe notizie non potevano mancare. 
Sapeva di Sirius. Sirius Black. Sirius che era fuggito da Azkaban. E se una parte di lui ruggiva feroce di orgoglio al pensiero che quel ragazzo dagli occhi di fumo grigio, taglienti e ipnotici, fosse riuscito là dove nessun altro aveva avuto successo, un altro lato di sé tremava di orrore all'idea che Black, il suo Sirius Black, che conosceva ogni sua fragilità e tormento, fosse là fuori, assetato di qualcosa che probabilmente Remus non avrebbe saputo riconoscere. 
Se lo chiedeva ancora, nei momenti confusi che precedevano il dolore della trasformazione, cosa avesse spinto Sirius a tradire i Potter e a uccidere Minus. Se lo chiedeva così tante volte, Remus Lupin, nonostante tutti quegli anni passati a languire e leccarsi le ferite, analizzando nei suoi ricordi ogni singolo dettaglio, ricordando la spossante vita di quei giorni di guerra, le ronde inaspettate, i piani estenuanti, i corpi pallidi e le occhiaie profonde a segnare la stanchezza tenuta a bada dal caffé amaro e i sorrisi tirati. Avevano avuto i loro momenti di crisi, anche nel loro appartamento con le piastrelle e la solita musica, ma Remus aveva sempre pensato di trovare Sirius ogni volta che fosse tornato a casa, che tra tutte le variabili così fragili e dolorose della sua vita, Sirius in realtà fosse una certezza. Si sbagliava. 
 Con fatica si alzò sulle ginocchia, le mani affondate nel muschio e il corpo tremante, controllò il suo stato, si era fatto un profondo taglio su un braccio, ma nulla che non potesse sistemare. Era stata una luna piena intensa, Remus sentiva ancora la tensione sprizzare sulla sua pelle ed era consapevole di essere troppo debole per smaterializzarsi, ma aveva brividi di febbre su tutto il corpo e anelava a un poco di calore e una tazza di the caldo. 
Con un sonoro crack sparì dalla foresta dove si era trasformato. E poi ancora. Ancora. E ancora. 

Tornò al suo piccolo appartamento Babbano, che in dodici anni non aveva mai abbandonato, forse per pigrizia, forse per un primo accenno di codardia, persino nel suo spirito così Grifondoro. Perché non era pronto a lasciare andare quei ricordi, quelle notti di felicità appena dopo il diploma, dove si erano sentiti così adulti. La risata rauca di James dall'angolo vicino al caminetto, Lily che lo aiutava a sistemare i bicchieri, Peter che quasi si addormentava sulla sua tazza di the e poi Sirius. Sirius che gli sorrideva affabile, trovando appena poteva il momento di sfiorargli il gomito, carezzargli una spalla, una presenza labile e gentile nella sua vita.
 L'appartamento era rimasto lo stesso, come sempre. Sul tavolo la tazza vuota del caffé che aveva ingollato per poi fuggire di lì in attesa della luna piena, la tavoletta di cioccolato che si era lasciato per il suo ritorno intatta sul ripiano in formica, la coperta dentro cui si avvolgeva la sera, forse solo per avere una parvenza di abbraccio e calore, giaceva a terra dove l'aveva lasciata. Tutt'intorno ordine. I dischi e i libri perfettamente posizionati sui loro scaffali, il bagno limpido, i ripiani spolverati. Erano anni ormai che non vi era nemmeno più una bottiglia di vino, o di Whiskey, a ricordargli di essere miserabile: dodici anni erano sufficienti ad aggiustare almeno le ferite peggiori, anche se alcuni squarci potevano sempre essere pronti a riprendere a sanguinare.
 Tutto era perfettamente uguale a sempre, in maniera monotona. Remus non vedeva l'ora di gettarsi sotto il getto caldo della doccia, per sciogliere i muscoli contratti e poi lasciarsi cadere nel letto e dormire, probabilmente per due giornate intere, prima che riuscisse a rialzarsi. Non aveva impegni fino al giovedì successivo comunque, come sempre dopo la luna piena, per precauzione. Lo aspettavano solo dei turni noiosi nella biblioteca locale, che gli avrebbero garantito un pasto caldo al giorno e del caffé amaro per fargli compagnia. 
Tutto era identico a sempre. Davvero. Tutto tranne Albus Silente seduto sulla poltrona della sala.

*


“Remus Lupin insegnerà in questa scuola” ripeté lentamente Piton.
 Teneva le labbra tese, la confusione per una volta visibile sul volto pallido, mentre camminava per il parco del castello insieme a Silente, il clima estivo insolitamente mite intorno a loro. 
 “Sei sorpreso Severus?” chiese quieto il preside, un vago sorriso sul volto. 
 E sorpreso forse non era nemmeno un termine adatto a descrivere le sensazioni contraddittorie che scuotevano l'uomo accanto a lui. Ci aveva messo dodici anni in fondo, Severus Piton, ad abbassare qualche muro e ad aggiustare qualche crepa di sé stesso, dodici anni dove aveva mantenuto la sua flebile quiete, sopravvivendo a due tentativi di Voldemort di tornare alla vita e allo sguardo verde e accusatorio del figlio di Lily Evans. Dodici anni per concedersi un the qualche volta con gli altri professori e cedere a un conversazione puramente accademica. 
 Remus Lupin non era previsto in quell'equilibrio attentamente costruito, non era previsto il suo sarcasmo sottile e quella tristezza così simile alla sua, che sapeva di umidità e un'arresa solitudine. Severus si vedeva costretto a rialzare pareti e riformare scudi intorno a sé, per non farsi cogliere di sorpresa, umano e in grado di essere ferito. 
“Avrei potuto coprire io la cattedra di Difesa” disse solo, con il suo tono strascicato. 
 “Oh, senza dubbio” sorrise quieto Silente “ma ho altri piani per te.”
 “Non stento a crederlo” strascicò Piton “Ma si fida di Lupin? Voglio dire, lui... e Black!”
 “Mi fido” chiuse il discorso l'anziano.
Arrivarono al limite del parco e rimasero in attesa che qualcosa accadesse. Non parlavano e questa era una delle cose che Severus aveva imparato ad apprezzare di Albus, così come di Minerva e di tutti quelli che in quel castello l'avevano accolto senza remore: il silenzio era rispettato, lo lasciavano libero di macerare nella sua calma, il più delle volte senza inferire, permettendogli di trasformarsi in qualunque cosa volesse, allungandosi a sfiorarlo con la punta delle dita solo quando rischiava di soffocare nel suo astio e nella sua solitudine. 
 Remus apparve all'orizzonte, non con una smaterializzazione come chiunque si sarebbe aspettato. Apparve come un puntolino minuscolo che si faceva man mano sempre più alto e lungo. Non sembravano passati dieci anni per lui dall'ultima volta che Severus lo aveva visto. Era quasi lo stesso. Piton ebbe modo di osservarlo in ogni suo dettaglio mentre si avvicinava, riconoscendone il corpo magro e allampanato nel pastrano pesante, le spalle piegate, la solitudine mischiata ai suoi lineamenti, i capelli arruffati. 
Aveva delle cicatrici in più. Severus se ne accorse subito. Aveva sempre avuto una memoria prodigiosamente visiva e un'attenzione spasmodica ai dettagli, a distanza di vent'anni avrebbe potuto tracciare su un foglio la forma delle lentiggini di Lily il giorno in cui si erano incontrati, senza errore, poteva quindi anche accorgersi della cicatrice chiara che sfiorava il naso del mannaro e di quella che tracciava un leggero solco sulla gota sinistra.

“Remus” lo salutò affettuosamente Albus “è un piacere rivederti”
“Spero di poter rispondere allo stesso modo, Silente” rispose rauco Lupin. 
 “Mantengo le mie promesse, Remus. Sarai ben accolto” disse il preside. 
 “Per questo ha scelto di farsi accompagnare da Piton? Non il massimo dell'accoglienza” 
Ci fu un sottile gelo, che si insinuò sotto la pelle di Severus, inaspettato, mentre il suo equilibrio interiore si sgretolava e la confusione faceva quasi breccia nei suoi occhi scuri, sussultando per quella stoccata inattesa. Aveva sottovalutato Lupin?
 
Ma Remus scoppiò a ridere, tra i denti, quasi sincero, nonostante tutta quella stanchezza nei suoi occhi color cioccolato, si sporse a stringere brevemente la spalla di Severus, come fossero vecchi amici, ignorando quanto l'uomo di fronte a lui sembrasse sorpreso e poi prese a parlare con naturalezza insieme al preside, un fiume di parole composte e gentili, equilibrate e distaccate. 
 Severus cercò di rimanere impassibile, di non sentirsi turbato per il modo in cui Remus Lupin interagiva con lui, per quella strana sensazione che sentiva nello stomaco, un misto di ciò che aveva provato con Lily, ma anche con Lucius e Mulciber: quella sensazione di essere per qualche motivo accettato e compreso. 
 Risalirono i prati del castello, mentre Lupin diceva che sarebbe arrivato il primo settembre con l'espresso di Hogwarts, perché aveva un'altra luna piena in mezzo e alcune faccende da sbrigare. 
 “Ah, Severus nei periodi di luna piena ti sostituirà a lezione e si occuperà della tua pozione Antilupo mentre sarai qui a insegnare” disse Silente, riportando improvvisamente Piton ad essere lucido. 
Remus lo guardava con un sorriso vago sulle labbra, l'espressione composta, gli occhi così stanchi.
 “Lo farai tu, Severus? Davvero?” chiese e sembrava davvero aspettare una risposta. 
“Ovviamente” rispose con distacco Piton, gli occhi onice freddi e illeggibili, pareti, muri e scudi che si alzavano metaforicamente intorno a lui a difenderlo dalla gentilezza di Remus Lupin. 
“Grazie allora. Sono onorato.”

*

La prima volta che aveva visto Harry Potter, Remus Lupin, aveva sentito il suo mondo capovolgersi e tutta quell'integrità, quel distacco, quella voglia di giustizia che lo aveva portato ad accettare la proposta di Silente di tornare ad Hogwarts, si erano sbriciolate come sabbia davanti allo sguardo verde di quel ragazzo uguale al suo amico di gioventù. Uguale a James, ma con gli occhi di Lily. 
 
Lo avevano descritto tutti così, ma nessuno gli aveva detto che fosse davvero così. 
Remus doveva sforzarsi di non sobbalzare quando incrociava quel ragazzino tutto “pelle, ossa e James”, stupendosi ogni volta che dentro quelle fattezze così specifiche non ci fosse la risata scoppiettante del suo amico, con il suo fare caldo e gradasso, il suo buon cuore tiepido, la sua cattiveria dosata, la sua passione trascinante, ma ci fosse invece la calma di Lily, in tutta la sua fragilità e dolcezza, così piena di dubbi e rispetto, mentre si addentrava in un mondo che ancora non riusciva a sentire completamente suo. Harry era inaspettatamente... giusto
E questo aggiungeva confusione e timore per quella scelta avventata che lui aveva preso di tornare al castello. Perché lo aveva fatto? In realtà ne era perfettamente consapevole. Non aveva mai avuto voglia di tornare nei ranghi per un mondo migliore, il mondo intero era franato anni prima per lui. Non aveva particolare rispetto di Silente, che lo aveva dimenticato in un angolo a macerare dolore e tristezza. Non era nemmeno davvero per il desiderio di rivalsa della sua condizione, o di giustizia, o della possibilità di fare qualcosa. La sua era solo codardia. 
 Aveva sempre vissuto agli angoli, Remus Lupin e gli era andato bene così. C'era un senso compiuto nel suo essere il più quieto dei Malandrini, più spesso nascosto in un libro che su un manico di scopa. Aveva amato le possibilità che la vita gli aveva fatto accarezzare e aveva masticato con rassegnato dolore il vuoto che lo aveva colto quando ogni cosa gli era stata tolta. Non aveva più provato né amore, né sollievo, Remus Lupin, ed era atroce non avere nessuno a cui poterlo raccontare, ma non era tornato ad Hogwarts nemmeno in cerca di comprensione e conforto. 
 Remus era lì perché sapeva che, tra le tante cose che non comprendeva più di Sirius Black, l'unica certezza era che sarebbe venuto a cercarlo e, da quando questo gli era apparso chiaro ed ovvio, nella sua mente il dolore del solo pensiero era stato insopportabile. 
Perché non avrebbe retto quello sguardo grigio e le spiegazioni rarefatte che gli avrebbe dato. Perché non poteva scegliere tra il suo cuore e i suoi polmoni, tra Sirius e quello che per lui erano stati James e Lily, ed era codardo Remus Lupin, per il suo spirito Grifondoro, aveva ingoiato il coraggio e la stanchezza e aveva preferito cedere alla protezione delle mura di Hogwarts. Aveva preferito parlare con un ragazzino uguale a James che lo chiamava 'Professor Lupin' al posto che zio come avrebbe fatto in un'altra vita, un ragazzino che non ricordava di aver mangiato pezzi di mela che Remus aveva sbucciato per lui, saltando orgoglioso tra le braccia del padre, sotto lo sguardo di Sirius Black, bruciante di quello che pensava fosse affetto. Un ragazzino che non poteva ricordare la benevole carezza della madre e le risate dei Malandrini intorno a lui. 
 Aveva preferito tornare tra gli spezzati, riconcedendosi al giogo benevolo di Silente, alla maschera di pacata gentilezza che si costringeva a portare con il mondo, persino allo sguardo sospettoso e accusatorio di Severus Piton. 
 Preferiva quello, quella commedia in cui lui recitava nelle parti di un Remus Lupin che avrebbe potuto essere se non fosse stato spezzato dodici anni prima, piuttosto che affrontare il passato nelle vesti di Sirius Black.

*

“Lupin”
 Severus scivolò di lato per farlo passare e richiuse la porta del suo studio alla spalle del mannaro. 
 Remus come sempre non avanzò troppo nella stanza, rimase accanto all'ingresso, lo sguardo puntato sull'altro uomo, ben deciso a non dimostrarsi curioso nel guardarsi intorno. Non era timore il suo, né timidezza, Severus lo sapeva bene: era semplicemente rispetto. Lupin gli mostrava che non voleva invadere i suoi spazi, non voleva forzare le barriere tra loro e Severus apprezzava il gesto senza mai farlo capire all'altro.
Scorrevano sempre veloci i mesi scolastici a Hogwarts, al contrario delle estati pigre e umide a Spinner's End, forse era l'accavallarsi di momenti di pace ai momenti chiassosi e pieni di studenti, forse era la tensione che Severus provava nello sforzo di assicurarsi che tutto fosse al posto giusto, che Harry Potter fosse vivo, Silente vigile, Minerva rassicurata. Era già quasi Natale e la pozione Antilupo gorgogliava lenta, con il suo odore sgradevole. 
 “Ho letto ieri della preparazione della pozione Antilupo” disse Remus “Speravo di poterla fare da solo a un certo punto dell'anno, per sgravarti del compito, ma è piuttosto complessa.”
 “Lo è” rispose Severus distrattamente, abbassando il fuoco e Lupin sospirò appena, per quel silenzio tagliente che quell'uomo imponeva, per quei momenti di condivisione dilatati dall'amarezza, mai distesi, mai confortevoli. 
 “Sei gentile a prepararla ogni mese per me” insistette e teneva le mani dietro la schiena, la smorfia apatica, il sorriso solo lieve su quel viso accartocciato da ricordi e cicatrici.
 “È Silente che mi chiede di farlo, Lupin. Non lo faccio certo per te.”
 “Gli sei molto devoto, vero?” chiese il mannaro, raschiando il fondo della gola con una mezza risata tra l'esasperato e l'amichevole, con l'intenzione di provare almeno un po' a capire quell'uomo che sapeva di vecchi libri e spezie, con cui gli sembrava di condividere il peso del passato e che eppure rimaneva chiuso e distante con feroce ostinazione. 
 “Servono altri quindici minuti alla pozione, Lupin. Puoi ripassare tra poco se preferisci”
 “No. Ti va di fare una passeggiata piuttosto?”
La proposta arrivava così inattesa e diretta che Severus quasi sobbalzò, sentì i muscoli irrigidirsi contro la reazione istintiva e alzò il capo curioso, osservando quell'uomo allampanato e gentile che stava cercando di evitare con tutte le sue forze. Perché per Severus, Remus Lupin, sapeva troppo di rancore e passato. Perché lo ricordava lungo e accartocciato sui libri di scuola, mentre godeva dell'ombra del cortile, mai troppo distante dai suoi amici, eppure così solitario. Lo ricordava con un mezzo sorriso al tavolo dei Grifondoro, spalla a spalla con Black, o con quella sua camminata lenta e distesa a pochi passi dalla figura sottile di Lily. E faceva male ricordare il passato.

 “Mi stai proponendo di passeggiare, Lupin? Hai picchiato la testa per caso?”
 “Penso solo che siamo rimasti gli ultimi testimoni di molto, Severus e non ne abbiamo mai parlato. Potremmo tentare di essere civili. Ci siamo evitati a lungo per...”
 “Preferirei continuare a farlo, grazie”
 “Ci siamo evitati a lungo dicevo” riprese Remus come se non fosse mai stato interrotto “Per scelte che nemmeno abbiamo preso, ma se ti fermi a pensarci abbiamo molto in comune. Lily era amica di entrambi e...”
Il volto di Severus si fece livido e l'espressione contratta, mentre dentro di lui come una cascata acida qualcosa gli si contraeva nel petto. Aveva accettato il rimorso e il dolore, li aveva trasformati in un mantello che pesava costantemente sulle sue spalle, aveva mormorato scuse alla tomba di Lily Evans, persino a James Potter, aveva accettato ogni prova che Silente gli poneva davanti, nel tentativo di scrostare dai suoi respiri il senso di colpa. Aveva costruito un personaggio detestabile, dispotico immorale intorno alla sua magra figura, per tenere tutti a distanza, per non lasciare nemmeno uno spiraglio di luce e sollievo nella sua anima, per non permettersi mai più di affezionarsi a qualcuno, o accettare che qualcuno si affezionasse a lui. 
 E per questo agiva con violenza insensata contro gli studenti più bravi, si dimostrava accondiscendente e imperioso con i Serpeverde, gelido, scuro, senza alcun sentimento contro chiunque altro, specie con i Grifondoro, specie con Harry Potter. Perché lo conosceva il buon cuore dei Grifoni, Severus Piton, sapeva quanto sotto quella scorza di boria e coraggio potessero essere bravi ad ascoltare, a sorreggere, ad apprezzare, quanto il loro spirito fosse atto più a curare che distruggere e Severus Piton non voleva cedervi, non un'altra volta. 
 Eppure quello stupido Remus Lupin era lì, a guardarlo oltre i suoi scudi e il suo rancore, con quegli occhi color cioccolato così liquidi di fatica. Era lì pieno di cicatrici bianche sul volto e di ferite grondanti nella sua anima, con un passato così denso e pesante sulle sue spalle tanto che Severus poteva percepirlo.
 “Possiamo passeggiare. Non dobbiamo parlare. D'accordo, Lupin?”
 “D'accordo.”


*

Le passeggiate con Severus erano sempre silenziose, ma almeno non solitarie. Erano i rari momenti in cui Lupin si lasciava andare a ciò che era stato, che si permetteva di intravedere le ombre di quelle che erano Lily, James, Peter, persino Sirius, nell'oscurità benevola della sera. Non dicevano nulla all'altro, camminavano solo a passo lento, intorno alla scuola, con la scusa di controllare le difese del castello. 
 “Cosa faresti se una di queste sere incontrassimo Black?” chiese Piton a bruciapelo, gli occhi scuri distratti a osservare le cime degli alberi lontani della Foresta Proibita. 
Il cuore di Lupin ebbe un tonfo e all'improvviso l'immagine del vecchio amico che ormai tappezzava tutti i giornali gli saltò davanti al viso. Non c'era nulla di Sirius in quell'uomo che gridava disperato con occhi sgranati strabordanti di rabbia, nulla di quel ragazzo che gli si era steso accanto dopo ogni trasformazione, che lo aveva aiutato a fare il suo primo volo con la scopa, che aveva spinto sulla spavalderia di James e la voglia di avere un gruppo di amici di Peter, per trasformarsi tutti in Animagi e stare insieme a lui, Remus Lupin. 
 Non c'era nulla in quell'immagine acre di Sirius Black che ricordasse il suo odore di menta, polvere e lucido da scopa, quel ragazzo dai capelli scuri e gli occhi grigi, tanto strafottenti quanto magnetici, che se ne stava stravaccato sulla poltrona della Sala Comune, la risata graffiante contro tutti, almeno fino a quando non si chinava verso di lui, cercando il suo sguardo, un braccio sempre pronto a circondargli le spalle, ad aiutarlo a stare fermo sulle gambe.

 Sono qui accanto a te Moony. 
 “Lo fermerei e porterei alle autorità, Severus” si obbligò a dire, in un respiro che era esausto e spaventato.

Piton rise amaro e disilluso, simile a un'ombra scura nella notte. 
“Non ti ci vedo a consegnare Black, Lupin” 
 “Ha tradito Lily e James.” disse secco lui e l'altro scosse il capo.
“Non sai quanto io lo odi per questo.” disse sprezzante il Serpeverde, con il volto tagliente e pronto a cadere in pezzi “Ma non ti ci vedo proprio a consegnarlo. Mi ricordo di voi a scuola. Eravate... qualcosa. Se lo porti alle autorità lo aspetta il bacio dei Dissennatori, Lupin e saresti pronto a dannare per sempre l'anima di Black?”
Era crudele, freddo, preciso, Severus Piton. Dopo tutti quegli anni ancora in grado di colpire dritto al punto. 
“Ha tradito Lily e James” ripeté Remus con semplice fermezza, quasi in cantilena, come a volersi davvero convincere di quel concetto così difficile da digerire, mentre strisciava i piedi nell'erba umida e pensava: non stasera Padfoot. Non stasera.
Perché se li ricordava James e Sirius. Quell'amicizia così profonda e simbiotica, quella fiducia fraterna. Tutte quelle volte che li aveva osservati volare insieme, o accanirsi sui loro compiti senza nessun risultato, pronti a scoppiare a ridere all'unisono, le teste vicine e sempre al lavoro, prima che lo sguardo di James si alzasse su Lily e quello di Sirius su di lui.
 “Come sai che è stato lui?” chiese Severus e quella era davvero la sera in cui sembrava aver più voglia di parlare.

 “A tradirli?”
 “Sì. Come ne hai la certezza?”  
 “Era il custode segreto. Sirius era il custode segreto dei Potter”


 E Severus Piton scoppiò a ridere, con una rabbia che colava di rimpianto, i lineamenti contratti in quella smorfia inusuale per lui, lo sguardo disperato. Si chinò in avanti con le mani sulle ginocchia quasi contorcendosi in quella risata amara, sotto lo sguardo sgranato di Lupin, che lo osservava pieno di sconcerto, perché non capiva come quell'uomo sempre così controllato stesse ridendo di una cosa così dolorosa per entrambi.
 “Severus, ma cosa...” 
 “Credevate di essere perfetti, vero?” sibilò l'altro in un brillio malvagio, rancoroso.
 “Chi?” sussurrò Remus basito, scrutando l'uomo davanti a lui. 
“Voi. I Malandrini. Tu, Potter, Black, Minus. Che vi siete presi tanto gioco di me sezionando con cura i miei difetti e i miei errori, vi siete accaniti con quella vostra cattiveria travestita da gioventù...”
 “Severus, io non ho mai detto una sola parola contro di te...”
“Tu sei più codardo di tutti loro messi insieme infatti” sbottò Piton, gli occhi onice che sembravano due tunnel neri, le guance sgradevolmente chiazzate di rosso “Tu hai scelto il silenzio. Tu che sei uno spezzato, come me. Tu potevi comprendere la mia solitudine, il mio disagio e la mia vergogna. Potevi capire che ero solo un ragazzino privo di amici con i vestiti di seconda mano tanto consumati che mi si scioglievano addosso. Potevi capire, ma hai taciuto. Hai lasciato che mi umiliassero, che schiacciassero la mia autostima, rendendo solo Mulciber, Avery e Malfoy quasi umani ai miei occhi. Hai lasciato che loro mi ferissero tanto a fondo da farmi rantolare nel mio fallimento. Hai lasciato che io inciampassi nei miei errori e nelle mi crepe, senza imparare che ci fosse altro oltre all'accusa e al rancore. Hai lasciato che io continuassi a cadere, che perdessi Lily. Sei stato in silenzio.”

Piton era a un passo, livido di rabbia e Remus parve farsi più piccolo. Piegato da quel risentimento così velenoso.
 “Severus io...”
“Taci” lo fermò l'altro “Vi credevate invincibili e superiori, ma in realtà siete dei fallimenti anche tutti voi, degli spezzati. Potter è morto e tu e Black e Minus...”
 “Anche Minus è morto”

 “Venne da Voldemort lo sai? Peter Minus. Me lo ricordo. Venne a parlare con Voldermort”
 Lo sguardo di Remus si fece vacuo a quelle parole, un clic all'interno del suo corpo causò qualcosa che lo fece tremare. Riuscì a vederlo, Peter. Con quei capelli biondicci e lo sguardo azzurro ansioso. Pallido come un cencio, sempre un passo dietro a James, il sorriso teso e la camminata nervosa. Le camice inamidate sul corpo sottile, non adatto al volo sulla scopa come gli altri due. Le guance che arrossivano con una facilità disarmante a ogni appunto che gli veniva fatto e quell'orgoglio ferito che subito lo accendeva davanti a una presa in giro di troppo, facendogli gonfiare ridicolmente il petto. Se lo ricordava bene Peter, Remus Lupin. Era con lui che aveva corso nella notte per tracciare la mappa del Malandrino. Lui che sotto forma di topo perlustrava ogni angolo del castello per poi tornare indietro da lui, e inseme disegnavano, studiavano e creavano, imprimendo su carta quella che per tutti loro era casa.
 “Severus... ma cosa...” tentò, la gola arsa.
“Non so cosa facesse lì” rispose secco Piton e fece un passo indietro come a prendere spazio “L'ho detto a Silente. Pensavo c'entrasse qualcosa con i Potter, ma se era Black il custode... sai. Tutti macchiati di colpe, no?”
 Piton si voltò con uno svolazzo del mantello nero e si allontanò a grandi falcate, lasciando Remus da solo, intontito dalle sue parole, ferito di squarci invisibili e grondanti di sofferenza, alla luce di tre quarti di insensibile luna.


*

Qualcuno bussò con uno strusciare leggero di nocche.
Severus sapeva riconoscere ormai il modo con cui Lupin si presentava alla sua porta e un fastidio immediato gli si irradiò sulla pelle. Non riusciva a capirlo quello. Non riusciva a leggerlo con la stessa disarmante facilità con cui classificava chiunque incontrasse nella sua vita. C'era qualcosa di soffice e sincero in Remus Lupin, affogato in tutto quel masticare dolore e pena. C'era qualcosa di estremamente umano, in quell'uomo costretto a trasformarsi ad ogni luna in bestia. 
Ma Severus Piton era all'erta. Pronto a chiudersi ermeticamente e fuggire a quella parvenza di comprensione, non sapeva gestirla l'amicizia Severus, a volte si sentiva quasi consumato dentro da quella parola. I nervi tremanti e i legamenti scoperti dall'usura e i tradimenti che portava sulla schiena. Non poteva fidarsi di nessuno. 
 Lo fece attendere per qualche minuto prima di andare alla porta ad aprire. La fece girare sui cardini di un spiraglio e lo vide, il capo chino, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, l'aria mesta. 
 “Lupin”
“Severus...”

“La pozione ha bisogno di riposare almeno per quindici minuti. Torna dopo”
 Gli sbatté la porta in faccia, ma non si mosse di un passo, rimanendo a fissare il legno scuro. Perché lo sapeva che lui era ancora lì dietro, che Remus Lupin rimaneva uno stupido Grifondoro che voleva andare in fondo alle cose, anche a costo di distruggersi. Lo sapeva perché aveva conosciuto ogni respiro e pensiero di Lily Evans prima di lui. 
 Lo strusciare di nocche come previsto riprese sul legno. Piton trattenne il respiro. 
“Severus. Per favore. Voglio solo parlare. So che sei arrabbiato per qualcosa, se solo tu...”

L'uomo riaprì la porta di scatto e Remus, che doveva essere appoggiato allo stipite, arreso al fatto che l'altro non sarebbe uscito tanto presto, quasi perse l'equilibrio e si aggrappò al muro all'ultimo, lungo e goffo com'era.   
 “Severus!” disse sorpreso.
 “Che cosa cerchi Lupin? Mi dai rogna da giorni”
L'altro fece un leggero sorriso, gentile, gli occhi per un istante quasi divertiti. Era vero. Aveva provato a parlargli in ogni modo, sia al tavolo della colazione, che seguendolo per i corridoi con fare disinteressato, ma Severus Piton sapeva essere gelido come l'inverno e stoico come solo i sopravvissuti sanno essere, quando voleva.
 “Si può sapere perché sei sempre così arrabbiato?” domandò il mannaro.
 “Non sono arrabbiato, Lupin, ma non amo perdere tempo con le persone che non apprezzo, come te. Solo questo. Faccio quella pozione solo perché me lo ha...”
 “Ordinato Silente, lo so. So che gli sei molto devoto.”
 Annuì il mannaro, alzando un palmo della mano come in segno di accettazione verso di lui. Perché la vedeva quanta fiducia riponeva l'altro nel preside probabilmente, fiducia di cui Severus si sentiva orgoglioso in modo quasi ubriaco. Perché credere in Silente, inghiottire l'onore e l'orgoglio, abbassarsi a chiedergli aiuto, era stata la scelta che gli aveva cambiato la vita, che aveva portato il suo dolore su una giusta direzione. 
E non poteva permetterselo, Severus Piton, di lasciare che un mannaro, un tempo Malandrino, cambiasse la sua stoica calma, che con la sua gentile pazienza rimestasse quegli equilibri interiori tenuti insieme con un soffio leggero e molta ostinazione. Perché si era accorto, Severus Piton, di come la presenza di Lupin non lo infastidisse più così tanto, come le loro passeggiate quasi silenziose non gli dessero fastidio, come il confronto fosse accettabile. Non poteva.

Severus Piton non aveva mai avuto un amico oltre a Lily Evans, ma Lupin era la persona che più si avvicinava a quell'insulsa descrizione solo perché, oltre ad Albus Silente, era la persona vivente che più cose sapeva di lui. Ma proprio quando si era quasi rilassato, quando aveva cominciato a credere che Lupin non l'avrebbe pugnalato appena la sua guardia si fosse fatta più soffice, ecco che i risolini nel castello erano ricominciati, le occhiate di scherno scivolate negli angoli, mentre gli studenti si coprivano la bocca con la mano al suo passaggio, per nascondere insolenza e risate. 
Piton vestito come la nonna di Paciock nell'ora del professor Lupin.
Severus lo aveva sentito chiaramente dalle parole di un Grifondoro, alle sue spalle, e il panico del ragazzino che un tempo era stato gli aveva serrato la gola. Ad Hogwarts era temuto ora, rispettato, alla peggio disprezzato, ma nessuno si era più permesso di ridere di lui, gli occhi brillanti di scherno e soddisfazione. Nessuno aveva mai più messo in dodici anni in dubbio le sue capacità, la sua integrità, la sua figura. Era diventato un uomo sagace e bidimensionale agli sguardi esterni, sempre scuro ed ermetico, ma efficace, si era tenuto lontano dalla morbidezza dei sentimenti, dalla friabilità dei rapporti positivi. Fino a quel momento. Fino a Remus Lupin.
  
“Severus. Ascolta so che non ami molto la compagnia e...”
 “Non è la compagnia il problema, Lupin. Apprezzo la socievolezza di Minerva. Non la tua.”

“Perché?” chiese l'altro perplesso, lo sguardo color cioccolato appena aggrottato e Severus ebbe il forte istinto di richiudergli violentemente la porta in faccia, ma temette la sua ostinazione.
“Vieni qui a cercare di fare l'amico e ti prendi gioco di me con i tuoi studenti, Lupin.”
Remus sbatté le ciglia in modo perplesso un paio di volte, prima di mettere a fuoco le parole di Severus, poi un ghigno sghembo e stanco che sembrava arrivare dal passato gli si aprì sul volto, illuminandolo. Rise. Rise di gusto.
 “Avanti, Severus. Intendi per Paciock? È stato divertente. Quel ragazzo aveva bisogno di una spinta”
Piton si irrigidì ulteriormente, le labbra pressate in un'espressione dura. 
 “Non lo trovo divertente io.”
 E c'era qualcosa di così amaro e dal sapore di ruggine e lacrime in quelle parole, che Remus si raddrizzò appena, guardandolo attentamente, smise di ridere, la testa leggermente piegata verso di lui.
 “Hai ragione, Severus. Ho pensato a Neville e non a te. Sono stato superficiale. Scusami”
Scusami. Quella parola parve bruciare come un marchio sulla pelle di Piton che si irrigidì imperioso. Scusa.
 “Non c'è bisogno che vieni qui a dire patetiche scuse Lupin, se...”
 “No, Severus” lo fermò l'altro “Lo intendo davvero. Per questo e per tutto quello che c'è stato. Ti chiedo scusa.”
Si creò un silenzio strano tra loro, scomodo. Severus sentì il cuore che gli batteva forte nel petto, destabilizzante, traditore. Nessuno gli aveva mai chiesto scusa. Nessuno. Lui si era spaccato le labbra a forza di mormorare le sue scuse inascoltate a Lily e persino a James Potter, sulla sua tomba. Aveva chiesto scusa singhiozzando nella sua solitudine, sperso e disperato. Aveva chiesto scusa sanguinando rimorso da ogni ferita, ma nessuno gli aveva mai detto quella parola e Severus ne aveva dimenticato quasi il suono, ma Remus Lupin lo fissava pacifico e sincero, a un solo passo di distanza, e gli aveva chiesto scusa, e lui non sapeva cosa dire o provare. 

 “Entra” sputò solo, scostandosi per farlo passare e tornando in fretta alla pozione. 
 Lupin lo seguì, ma come al solito non si accomodò e non si guardò intorno, rimase solo accanto alla porta, le mani dietro la schiena, paziente e Piton lasciò che il silenzio tra loro si dilatasse, come sempre, facendo grondare tra loro il non detto. Rimase chino sulla pozione, ultimandola, lasciando che il suo corpo si abituasse alla presenza del mannaro. Sentiva lo sguardo di Lupin, ma cercava di ignorarlo. 
 “Non devi farti per forza odiare, Severus, lo sai? Dai tuoi studenti intendo”
Lui fece uno sbuffò ferito e sarcastico, lanciando lui solo una veloce occhiata. 
“Farsi odiare è più pratico e semplice, Lupin. Mi permette di non essere coinvolto, di essere lucido, efficace, a distanza. Nessuna fazione mi considererà mai un elemento completamente comodo così, né perfettamente inserito. È l'unico modo che conosco per stare a galla. Tu hai trovato l'alcool, io l'odio” 
Lupin annuì mesto, passandosi una mano sul volto con fare distacco.
“Posso farti una confessione, Severus?” chiese infine e Piton avrebbe voluto gridare che 'No. Non poteva'
 Perché scambiarsi segreti tra loro, conoscersi più a fondo, significava condividere qualcosa e Severus era convinto di spartire già fin troppo con quell'uomo fragile che lo fissava dall'altra parte della stanza.  Rimase in silenzio, senza dare risposta, chiuso nel suo scudo di rigore, ma Lupin sembrò non farci caso. 
 “Non so se riuscirei mai a consegnare Black.” disse serafico. 
Severus spense il fuoco da sotto la pozione e alzò il capo lentamente, fissandolo con curiosità.
 “Perché me lo dici, Lupin?”
 “Perché mi fido di te.” rispose Remus e qualcosa di caldo si espanse nel petto di Piton, come melassa, come camomilla, come qualcosa che sapeva di tepore e infanzia, una rivalsa tardiva di quel bambino che si stringeva le ginocchia al petto nel feroce tentativo di trovare il suo posto nel mondo. 
 “Black... lui è....”
 “Non sei riuscito a consegnare Lily Evans, tu.” rispose pacato Remus e Severus inghiottì saliva. 
 “No, non sono riuscito.” ammise rauco.
 “Nemmeno io potrei consegnare, Sirius. Se mai dovessimo incontrarlo in una delle nostre passeggiate, Severus, dovrai essere tu ad aiutarmi. Avrò bisogno che tu ci sia. Ti cercherò. Perché io da solo non potrei mai alzare nemmeno un dito su di lui. Devi aiutarmi a fare la cosa giusta, mi fido di te, Severus. Puoi fidarti anche tu?”
 Piton inghiottì un boccone di aria che sembrò lacerargli la gola. Le lunghe pallide dita si muovevano sul tavolo di preparazione, imbottigliando la pozione di Lupin. Si prese tempo, controllando ogni respiro e movimento, prima di tornare a guardarlo, senza sapere se sul volto fosse riuscito a cesellare la smorfia distaccata che sperava di avere.
 “Posso provarci, Lupin” rispose infine.


*


Severus Piton era la cosa più simile a un amico che Remus Lupin si sentiva di avere in quel momento della vita. 
Si sentiva solo. Spesso. Si sentiva quasi sempre annegare dalla mancanza e dall'odio per Sirius. Lo sognava di notte, sussultava ogni volta che incontrava la sua foto sui giornali e se anche Silente aveva avuto ragione sul suo incarico da insegnante e lui si era sentito trascinato da un'insana euforia in quel ruolo, reso vitale dagli studenti, e se anche il suo cuore rallentava il suo battito di sollievo e gratitudine ogni volta che passava del tempo con Harry, quel povero ragazzo come tutti così famelico di risposte e confuso dai suoi perché, Remus era solo. Inevitabilmente solo. 
 Aveva un intero passato a gravargli sulle spalle, nessuno con cui scambiare più che della sottile cortesia, tranne Severus.
 Con lui era diverso. Non si aiutavano, non si supportavano e a malapena si ascoltavano. Non c'era della simpatia tra loro, forse solo qualche curiosa similitudine, non c'era un rapporto basato sull'affetto e sullo scambio, c'erano invece del rancore incrostato nel loro quieto convivere negli stessi spazi. 
Eppure si sopportavano e quando facevano le loro passeggiate, in bilico sulla precaria fiducia che stavano costruendo, potevano almeno permettersi di togliersi le maschere, di condividere il peso della solitudine e delle sofferenze che intuivano dell'altro. Potevano permettersi di stare in silenzio senza dover dare spiegazioni, di guardare lo stesso punto del castello, sapendo in quale ricordo stavano affondando le dita dell'altro. 
 Era un equilibrio strano, ma per cui Remus era pur sempre grato, così come era grato per la menta che Severus aggiungeva alla sua pozione Antilupo per togliere un po' di amarezza, per il modo in cui quell'uomo affilato e ferito, rimesso insieme da mani incerte, stesse provando quantomeno ad accettarlo.
 Si era stupito di non ricevere alcun commento a riguardo di lui e Sirius. Era evidente che Severus sapesse che la loro non era solo un'amicizia particolarmente forte, che molto si celava dietro quegli sguardi, quei sorrisi, quegli abbracci e strette di mano che si erano scambiati da studenti, ma non ne sembrava turbato. Anzi. A ferirlo dei Malandrini era l'atteggiamento, la rabbia giovanile che lo aveva investito, non certo i rapporti tra due uomini. 
 Era curiosamente retto Severus, stoico, complicato e più volte Remus si era chiesto cosa fosse successo a tutti loro se al posto che tediarlo e umiliarlo, avessero provato a spiegare il loro punto di vista.

Erano solo giochi, scherzi.  Lo aveva detto lui stesso a Piton quando l'aveva scoperto qualche giorno prima a requisire la mappa del Malandrino a Potter e quella si era rivolta contro di lui e il suo naso in maniera poco gentile. Uno scherzo di qualche burlone, Severus. Niente di più. Nulla di oscuro. Ma guarda che cosa erano diventati. 
E quando Piton era tornato al suo ufficio, più tardi, osservandolo con sospetto e chiedendo 'È quella mappa con cui ve ne andavate sempre in giro, vero?', Lupin non aveva avuto coraggio di mentire e aveva risposto semplicemente 'Sì' ed era rimasto incredulo nel vedere Severus annuire e tornare sui suoi passi, senza chiedere lui la mappa indietro, senza accusarlo, senza fare alcun tipo di commento. Aveva annuito e gli aveva lasciato la mappa. Si era fidato. 

Lupin sospirò lentamente, indebolito dalla luna piena in arrivo. Si passò una mano sul volto e si chinò nuovamente sulla Mappa del Malandrino, curioso, scivolando con la punta delle dita su quella pergamena sottile e osservando quei nomi che si muovevano lenti alla luce della candela. Era affascinante cosa erano riusciti a creare e sorrise debolmente, come se non riuscisse a contenere quello strabordante entusiasmo che un tempo era appartenuto a James Potter. 
Fece scivolare i polpastrelli tra quei corridoio ben conosciuti, in ogni angolo dove lui, Peter, Sirius e James avevano corso e riso, parlato e pianto, vivendo quella loro gioventù al massimo, assetati di quella normale adolescenza che si sarebbe infranta nella guerra che li attendeva finita la scuola.
Sentì quasi un sussulto simile a un singhiozzo chiudergli la gola, Remus Lupin e quasi lasciandosi scivolare in quella malinconia, quasi dimentico di Piton e la sua pozione, che probabilmente lo stavano aspettando, inciampò in un nome: Peter Minus. Peter Minus che si stava muovendo verso il Platano Picchiatore, insieme a Harry, Hermione, Ron e... Sirius.
Sbatté le ciglia due volte Remus Lupin e il dolore al petto lo fece rendere conto che stava trattenendo il respiro, gli si annebbiò la vista e le gambe già indebolite dalla luna in arrivo presero a tremare. Si aggrappò al legno della scrivania ripetendosi come una litania 'Peter è morto, Remus, è stato Sirius a ucciderlo, Sirius che ha tradito Lily e James', ma non riusciva nemmeno più a credere a quelle parole. Perché Peter Minus si muoveva sulla pergamena sgualcita della Mappa del Malandrino e Remus sapeva che la mappa non mentiva, perché l'aveva creata lui. 
Si costrinse a prendere respiro, nel panico, dilatando quasi con disperazione la sua cassa toracica per permettere all'aria di invadergli i polmoni e forse dargli un po' di lucidità. Peter era vivo. Questo cambiava tutto, questo frantumava i castelli di bugie che si era creato per tamponare il suo dolore. Si ricordò di Severus, di come lui glielo avesse detto di aver visto Minus da Voldemort e si accorse di tutte le crepe di quel quartetto che lui aveva creduto perfetto e in cui aveva riversato tutto il suo affetto. 
 Barcollò sul posto prima di afferrare la bacchetta e correre fuori dal suo ufficio. Per un istante pensò di raggiungere Piton nei sotterranei di avvisarlo che qualcosa non andava, che mantenesse la guardia alta, ma c'era qualcuno che gridava nella sua mente più forte di qualunque cosa: il sé stesso ragazzo che gli implorava di affrettarsi. 
 Doveva andare da Sirius. Adesso. Subito. Dopo dodici anni non sentì mai più la mancanza di Sirius Black, come in quel frangente di tempo in cui corse dal suo ufficio attraverso il parco, fino al Platano Picchiatore. 

*


Severus Piton non si preoccupava per qualcuno da anni. Aveva imparato a distaccarsi dai sentimenti, dall'ansia, dalla paura. Si era abituato a non reagire davanti a scene disumane e inaccettabili, si era costruito uno scudo, fatto di Occlumanzia e controllo, raffinando la sua arte nel parlare e nel muoversi nell'ombra. Aveva imparato a vivere da solo, a non farsi domande, a non meritare comprensione. Cedeva all'essere sé stesso, non a diminuire il controllo, né essere meno all'erta, ma solo a concedere spiragli di sé stesso, solo con Silente e a volte, solo a volte, con Remus Lupin.
 Il mannaro gli aveva chiesto fiducia. Severus non l'aveva davvero concessa, ma lo tollerava e per la prima volta dopo molti anni non poteva impedirsi di preoccuparsi lievemente nel non sentire il solito bussare leggero, quella strusciata di nocche sul legno che aveva imparato a riconoscere giorno dopo giorno. Lupin non arrivava e Severus si rifiutava di andarlo a cercare, ma quando i minuti diventarono ore e la sera si avvicinò, lei e la sua luna piena, diventò inquieto. 
Aveva camminato per il suo studio sistemando libri e ingredienti, fingendo noncuranza per quell'assenza, ma ora era intervenuta una vaga apprensione, l'idea che potesse essere colpa sua se Remus non avesse preso la pozione e si soffermò ad analizzare le conseguenze. Magari si è sentito male nel suo ufficio, ma se si trasforma avremo un lupo mannaro senza controllo all'interno del castello.
 
E si convinse una volta di più che quello fosse il motivo, rigore, rispetto e la sicurezza del castello, per cui si affrettò  fuori dal suo studio in uno svolazzo di mantello, affannandosi lungo i corridoi, ma lasciando comunque la pozione sulla sua scrivania nel caso in cui Remus si aggirasse per il castello e arrivasse da lui in ritardo. Si convinse che era per eccesso di sicurezza che aumentava il passo fino a quasi correre per i corridoi quasi deserti nel pomeriggio tardo e buio. Si convinse che non fosse preoccupazione quella che gli pungolava lo stomaco mentre lo cercava.
Arrivò allo studio di Lupin con il viso rigido, ma il fiato spezzato. Lo trovò vuoto e la sensazione che la terra gli scivolasse via da sotto i piedi lo destabilizzò per un istante. Il mannaro doveva essere corso via di fretta perché una candela morente brillava ancora sulla scrivania. Severus avanzò con grandi falcate, percorso da urgenza e ci volle un solo istante perché si accorgesse che la pergamena sul tavolo era la mappa. Quella mappa. 
Rimase assorto, suo malgrado impressionato dalla minuziosità di quei dettagli, lasciò scorrere lo sguardo su tutti quei nomi e quelle persone ignare nell'essere spiate e si chiese quante volte James Potter doveva aver sibilato tra i denti nel vedere il nome di Lily Evans accanto al suo, Severus Piton. Appoggiò delicatamente una mano sulla pergamena e si fece più attento, scacciando l'immagine di Lily Evans dalla sua mente quasi con rabbia, chiudendola dietro un muro di Occlumanzia e con sguardo analitico cercò il nome di Lupin in quei ghirigori di corridoi e persone. 

Quando infine lo trovò il fiato gli si spezzò nel petto e tutto il suo rigore sparì dal suo viso, macchiato improvvisamente da una smorfia di sincero stupore. I Malandrini. Potter, Black, Minus e Lupin. 
 I loro nomi che galleggiavano nella Stamberga Strillante come non fosse passato un solo giorno e poco importava che fosse Harry il nome, e non James, accanto al cognome Potter. Poco importava che Peter Minus avrebbe dovuto essere morto, che Black poteva essere pericoloso e che Remus Lupin era quasi un suo amico, che gli aveva detto di avere fiducia in lui, poco importa che sono tutti adulti e cresciuti ora. 
 L'acido in fondo alla gola di Severus sapeva di paura e vendetta mentre barcollava indietro, confuso. Faticava a essere lucido ed era la prima volta dopo molto che gli capitava. Sentì i muscoli intorpiditi e il bisogno irrazionale di fuggire, andare via di lì, perché la storia non dovesse ripetersi ancora una volta. Perché ci aveva messo ben più di dodici anni Severus Piton, per accettare di essere solo, non degno di affetto, sgradevole. Ci aveva messo così tanto a ricucire le sue ferite e i cocci del suo orgoglio nel comprendere che non lo attendeva dietro l'angolo il futuro brillante di cui gli aveva parlato sua madre, ma solo fatica, prese in giro e rassegnazione. Ci era voluto così tanto tempo e fatica a cedere alle moine dei Mangiamorte e credere che lui valesse davvero, che potesse davvero essere utile a qualcosa, a qualcuno.
Gli occhi scuri di Piton inciamparono ancora una volta nel nome di Lupin, ma scorsero oltre, mettendo a fuoco altri tre nomi: Potter, Granger e Weasley. E non si sentì mosso a compassione, né nutriva affetto o rispetto per quei tre ragazzini, ma avevano tredici anni ed erano dentro una battaglia non loro, vecchia di troppi anni pieni di silenzio, differenze e rancore ed erano soli al cospetto di un lupo mannaro, di un probabile Mangiamorte e di un fantasma che non dovrebbe più esistere, forse con la presunzione di uscirne anche vivi.

Severus Piton afferrò la bacchetta e la mappa e si affrettò fuori dall'ufficio. Non erano lodevoli le sue intenzioni, sentiva la vendetta e il desiderio di giustizia mischiarsi nelle sue viscere con la paura e l'ostinazione, ma aveva fatto una scelta anni prima, andando a chiedere aiuto ad Albus Silente e non poteva certo tirarsi indietro. 
 La luce stava calando là fuori e per un istante Piton si chiese se non dovesse tornare a prendere la pozione, ma sapeva in cuor suo di non avere tempo. Avrebbe preso i tre ragazzi, li avrebbe portati al castello, avrebbe lasciato che ciò che rimaneva dei Malandrini si dilaniasse da solo e sarebbe andato a dare la posizione di Black.
 Qualcosa si rimestò nel suo petto, al pensiero di Lupin, gli occhi color cioccolato, la camminata strascicata, il corpo lungo e gentile avvolto nel suo pastrano. Si chiese cosa gli sarebbe successo se quella notte si fosse trasformato e avesse ucciso qualcuno, magari proprio Black e qualcosa di simile alla compassione fece breccia nei suoi pensieri. 
 Coordinò di nuovo i suoi piani: avrebbe preso Black, lo avrebbe portato insieme ai ragazzi al castello, Lupin si sarebbe trasformato nella Stamberga come da ragazzino, sarebbe stato doloroso, ma Severus non vedeva alternative.
 L'indomani mattina, con il mondo rimesso in equilibrio, sarebbe andato insieme a Poppy alla Stamberga per assicurarsi che stesse bene, gli avrebbe portato una pozione rinvigorente e forse messo una mano sulla spalla, giusto per fargli sapere che capiva quanto amaro fosse il retrogusto del fallimento. Piton aumentò il passo. 

*

Si era immaginato tante volte di rivedere quegli occhi, Remus Lupin.
 Si era visualizzato il sollievo, l'apprensione, la paura, ma niente assomigliava a quello che provava a quel momento, quel desiderio amaro di piangere e ridere insieme davanti al corpo massacrato di Sirius Black.
 “Remus, non capisci? Dobbiamo ucciderlo”. 
C'era follia dietro quel grigio, c'erano ore, giorni, anni, di gelo e umidità ad Azkaban. C'era qualcosa che offuscava la baldanzosa irruenza di Sirius Black, qualcosa che aveva avvelenato la sua flemmatica eleganza. Era un corpo affamato e maltrattato, ora, come non fosse più abituato ad essere umano, tormentato fino al midollo, tenuto in piedi solo da una vorace vendetta che gli trasfigurava i lineamenti delicati.
 “Sirius” sussurrò Remus, incapace di credere che lo stava davvero abbracciando, che sotto quello sporco, quella sofferenza, quei muscoli atrofizzati e tremanti, ci fosse quel ragazzo con cui aveva ascoltato musica nel loro piccolo appartamento Babbano pieno di piastrelle, con cui aveva immaginato un futuro che non era mai arrivato, passato i pomeriggio al tepore del sole, affondando sotto la sua pelle come fossero una persona sola.

“Non c'è tempo, Remus” ripeté Sirius, il corpo che vibrava di agitazione, qualcosa di simile alla paura e l'adorazione nascosta nei suoi lineamenti contratti, in quegli occhi così sgranati.
“Harry merita di sapere.” spiegò Lupin, lo sguardo che correva su quel viso che stava imparando di nuovo a riconoscere come non fosse passato un solo giorno e gli sembrò quasi di abbandonare il suo corpo, mentre le grida di Hermione lo insultavano e accusavano di qualcosa che non aveva mai fatto
 'Lei lo ha aiutato tutto il tempo vero. Io mi fidavo. Non ho detto a nessuno che era un lupo mannaro'.
 'Da quanto lo sai, Hermione?'

'Da secoli, da quando Piton ci ha fatto quella lezione in classe'

E si costrinse a spiegare, Remus Lupin, sempre più pallido e affaticato, obbligandosi a mormorare la verità lettera dopo lettera, raccontando di quando erano solo ragazzi entusiasti e ingenui, di come avevano corso insieme nella notte, di quale irrefrenabile felicità lo avesse colto nel trovare degli amici come loro: James, Peter, Sirius. 
Si costrinse a dire la verità, raccontare a Padfoot di Severus Piton che ora insegnava ad Hogwarts, dello scherzo che Sirius fece lui e quanto potesse finire male. Si sforzò di essere sincero, quando avrebbe solo voluto prendere il viso dell'altro uomo tra le mani, appoggiare la fronte sulla sua, sentirlo respirare vita e pregarlo di perdonarlo, di aggiustarsi insieme, dopo tutti quegli anni di dolore e solitudine.

“Per questo lei non piace al professor Piton?” chiese Harry dolcemente “Lui aveva scoperto che eri un lupo mannaro e pensava che fossi coinvolto nello scherzo? Vero?”
 Per un momento qualcosa nella mente annebbiata di Remus tremò e il pensiero corse a Severus. Si rese conto di non essere andato da lui quella sera, si chiese se lo stesse cercando, se fosse mosso più da senso di amicizia o di dovere nel provare a capire perché non avesse bussato alla sua porta. Si sentì quasi in colpa, Remus Lupin, per non aver Piton al suo fianco come gli aveva promesso, perché forse sarebbe stato migliore di lui a gestire quella situazione.

“Professor Lupin” chiese di nuovo Harry, benedetto ragazzo, con quegli occhi così simili a quelli di Lily “Per questo lei non piace al professor Piton?” 
Remus fece per rispondere, lo sguardo di Sirius, interrogativo, che scivolava sul suo volto, ma qualcuno lo anticipò. 
 “È per questo Potter, sì”
Si voltarono tutti e il cuore di Remus percosse violentemente la sua gabbia toracica, mentre Severus appariva da sotto il mantello dell'invisibilità che era appartenuto a James Potter. Sorrise malevolo ai tre ragazzi, dicendo un “L'ho trovato ai piedi del Platano, molto utile Potter, ti ringrazio”, prima di voltarsi verso lui e Sirius. 
 E lo vide chiaramente, Remus Lupin, quel senso di delusione sul viso contratto dell'uomo di fronte a lui e ripercorse di nuovo le sue parole e il suo racconto e si rese conto di aver abbozzato Piton come qualcuno di ingannato e rancoroso, così furente per il loro scherzo, così spezzato da voler dire a chiunque che lui era un lupo mannaro e sentì le scuse pronte a uscire della sue labbra, di nuovo. 
 Vide il dolore, la stanchezza, la rabbia e la vendetta passare come un lampo confuso sui lineamenti pallidi di Severus, lo vide fremere come se scegliesse accuratamente come ferirli. Non erano più due adulti che si fronteggiavano, non erano due amici, non erano due insegnanti di Hogwarts: erano due ragazzini con un passato doloroso, che si erano aggiustati insieme forzati dal destino e che ora forse si sarebbero bruciati a vicenda, pieni di rancore. 
 “Severus, lascia che io...” iniziò Lupin, cercando il suo sguardo, pensando che forse poteva mettere una mano sulla spalla e ripetergli ancora una volta che poteva fidarsi di lui, che doveva ascoltarlo, ma l'altro fece un passo indietro, gli occhi neri brulicanti di rabbia e vergogna e si sentì stupido, Remus Lupin, per non aver davvero capito quanto a fondo quell'uomo fosse spezzato, quanto l'avesse profondamente ferito, di nuovo.
 “Taci” disse Piton e fece uscire dalla sua bacchetta dei nastri che gli si strinsero intorno ai polsi e sulla bocca. 
 Remus non sussultò, non disse nulla, lo guardò con dispiacere e speranza, il cuore che batteva nel petto, la stanchezza che gli scuoteva le membra e i pensieri. 

*


Non si era fidato di nessuno per anni, Severus Piton. Nemmeno di Silente. 
Aveva dato la sua bacchetta e il suo tempo per la causa, aveva direzionato i suoi sforzi, compreso i suoi errori, ma la fiducia, addirittura l'affezione per qualcuno era tutt'altra storia. 
Però aveva ceduto a Remus Lupin, ai suoi 'scusa', alla sua compostezza, alla sua gentilezza, al fatto che gli lasciasse la sua porzione di vita per soffrire insieme. Aveva ceduto quanto bastava per abituarsi ai suoi consigli non richiesti, alle loro camminate silenziose, alle loro confidenze caute. Abbastanza per dire che avrebbe potuto fare il tentativo di fidarsi di lui. 
Ed era davanti a lui Remus Lupin, mentre lo descriveva nelle sue debolezze a tre ragazzini, fermo nelle sue scelte mediocri, con quell'aria affettata e sempre troppo soffice. Eccolo Remus Lupin, capitolare nuovamente nella sua gentilezza, lo sguardo che, anche mentre era legato e muto, d'istinto si muoveva verso Sirius Black. 
C'era qualcosa che sapeva di acidità e pena nei pensieri di Severus e aveva voluto fargli male a Remus Lupin, offenderlo e ferirlo là dove forse non aveva ancora cicatrici. Perché ancora una volta, lui che poteva capirlo, lui che era uno spezzato, lui che lo conosceva, almeno un poco, lo aveva tradito. Lo aveva ferito e umiliato, venendo meno a quella labile fiducia tra loro, alle sue promesse, alle sue parole ricamate. Come mille altre persone avevano fatto nella vita dilaniata e confusa di Severus Piton, come Lily Evans aveva fatto, quando al suo “Noi saremo amici per sempre Sev e quando fallirai, se cadrai, io ti verrò a cercare e ti porterò con me” aveva invece lasciato solo la solitudine, il silenzio e la sua pena. Maledetti Grifondoro, maledette promesse. 
 E se il bambino che era stato, così pieno di fiducia e grandi sogni, avrebbe voluto piangere in quel momento, nascondendosi sotto un tavolo, l'uomo che era diventato, così avvelenato dall'ingiustizia della cattiva stella sotto cui era nato, sentiva solo il senso di vendetta a scuoterlo, insieme a una feroce voglia di sentirsi davvero superiore a tutti loro. 
 “Professor Piton, forse dovremmo ascoltarli” mormorò Hermione, torcendosi le mani e distogliendolo dal suo rancore per un breve istante.
 “Per una buona volta, signorina Granger, chiuda quella bocca. Non sa di cosa sta parlando.”
 “Ma...”

E sentì l'esasperazione, Severus Piton, di essere messo sempre in discussione, di non poter essere ascoltato, di non aver mai sufficiente credito. Tremò di rabbia e di impazienza, perché malgrado avesse detto a Lupin che avrebbe portato Sirius dai Dissennatori non avrebbe mai preso quell'assurda responsabilità. Perché voleva andare al castello con quel marasma di incoscienti il prima possibile, per chiudere quella notte di errori e ricordi amari una volta per tutte. Non avrebbe permesso a Sirius e a quel ratto, se davvero era Peter Minus, di spezzare un'altra volta la sua credibilità, non l'avrebbe permesso nemmeno a Potter e quella banda di ragazzini. 
Non l'avrebbe permesso a Remus Lupin. Si era fidato di lui. Lo aveva accettato nella sua vita e lui aveva ribaltato ogni cosa, ancora e ancora, come ogni volta che Severus si concedeva di abbassare la guardia.

Si voltò verso l'uscita e trovò Harry di fronte a sé. Lo sguardo verde così pieno di ostinazione che gli parve quasi di conoscerlo. Sentì la stanchezza Severus, di combattere in maniera ciclica le stesse battaglie. Ancora e ancora.
“Potter, levati immediatamente”
E fu buio. 

*


Remus si svegliò lentamente, vagamente confuso, le palpebre pesanti sugli occhi. 
Si mosse lentamente e allungò la mano a tentoni a sfiorare il profilo di Sirius. Era sveglio, gli occhi grigi a fissare il soffitto, leggermente sgranati. Lupin si allungò per afferrarlo e portarlo contro di sé, lo sentì sospirare dolcemente, buttare aria fuori dai polmoni e rilassare i muscoli. 
 “Buongiorno” disse rauco, il sonno ancora attorcigliato sulle corde vocali. 
 “Buongiorno” rispose Sirius “è presto. Dormi.”

 “Quanto presto?”
 “Sono le sette di mattina”
 “Non è così presto. Perché tu non dormi, Sirius?” 
 “Non riesco.”
Remus sospirò lieve, lo strinse ancora per un istante a sé, inebriandosi sempre più di quell'odore che lentamente stava tornando a essere quello dei suoi ricordi: menta, polvere, lucido da scopa.
“Vado a preparare la colazione, ok? Raggiungimi quando vuoi”
E lo sapeva, Remus Lupin, che Sirius non l'avrebbe raggiunto di sua volontà, che finita di preparare la colazione sarebbe dovuto andare da lui e forzarlo a uscire da quel letto. Che ci erano voluti giorni, mesi, lentissimi e difficili perché quell'essere di sola pelle e ossa, intarsiato di tatuaggi sconosciuti, tornasse ad essere l'ombra della persona che era stata un tempo. Lo sapeva, Remus Lupin, che Sirius era spezzato, che si svegliava di notte con gli occhi sgranati, come a cercare l'aria sufficiente per vivere, che a volte il corpo gli tremava incontrollabile e una strana smania di fare qualcosa lo scuoteva dal profondo. E aveva provato a calmarlo, Remus Lupin, ad accarezzare le sue cicatrice, ad accogliere i suoi pianti e i suoi occhi sgranati, a ricomporlo con la punta delle dita, quello che era stato Sirius Black, con tutto quell'amore che era riuscito a racimolare dal suo cuore che aveva ormai creduto arido di affetto.

 C'erano giorni buoni, a volte, in cui Sirius quasi sorrideva, i respiri più quieti, il capo poggiato sulla spalla di Lupin, le labbra screpolate che sussurravano le parole delle melodie sui loro dischi. C'erano giorni in cui quegli occhi grigi tornavano placidi e divertiti, in cui Sirius per primo si avvicinava ad abbracciarlo, senza vergogna, senza pensare a quando Remus era andato a prenderlo, rinchiuso in una grotta come un animale e l'aveva costretto ad andare a casa con lui, l'aveva lavato e curato con pena e dolore, ritrovando quel corpo amato accartocciato quasi su sé stesso.
 C'erano giorni buoni, in cui Sirius sembrava quasi adulto e chiedeva notizie di Harry e dell'Ordine e ascoltava mite Remus, annuendo piano tra sé, ragionando, pianificando. Giorni in cui sembrava che a tenerlo in vita non fosse solo il rancore, ma anche l'amore che Remus gli dava ogni giorno, lentamente. 
 Ma c'erano anche giorni in cui Sirius sembrava irraggiungibile nella sua rabbia, in cui si graffiava il corpo, convinto che qualcosa lo stesse mangiando dall'interno, in cui Remus lo trovava in lacrime, le mani a coprirsi le orecchie, raggomitolato nella vasca, tremante come un bambino. C'erano giorni in cui la calma e gli abbracci non erano sufficienti, in cui il gelo di tutti quegli anni passati divisi nel reciproco dolore sembravano insinuarsi tra loro. In cui gli incubi e le torture facevano tremare il loro rapporto e Sirius singhiozzava disperato come una bambino, mentre Remus lo stringeva a sé. C'erano giorni in cui Sirius affogava in sé stesso, mormorava il nome di Regulus, di James, di Lily, con terrore, chiudendosi in un nodo di asprezza e dolore e toccava a lui scioglierlo, con pazienza e riportarlo all luce.

Quel giorno era una buona giornata. Sirius lo raggiunse a sorpresa mentre l'acqua del the bolliva.

“Ehi tu” gli sorrise Remus e anche le labbra dell'altro si tesero quasi in risposta. 
 “Dovresti parlare con Piton” disse Black dal nulla, sedendosi sulla sedia di fronte a lui e sgranocchiando un biscotto.
Lupin inarcò un sopracciglio, osservandolo stupito, si mosse lentamente nello spazio, quasi temesse di spaventarlo.
“Perché dici?” chiese cauto, versando lentamente l'acqua bollente nella tazza.
 “Mi hai detto che hai capito perché ha detto a tutti che sei un lupo mannaro. Mi hai detto che vi siete conosciuti meglio quest'anno, che probabilmente l'hai ferito troppo a fondo.” snocciolò Sirius, gli occhi grigi fissi su di lui. 
 “È così.” ammise quieto Lupin “Durante quest'anno lui mi è stato di grande aiuto, mi ha preparato la pozione Antilupo ogni mese, è stato umano, si è quasi aperto con me, ma io l'ho ferito più volte, o meglio, credo di avergli riaperto ferite già esistenti. Mi sono scusato, gli ho chiesto di fidarsi di me, ma Severus è una persona fragile dal punto di vista emotivo e...”

 “Come me.” lo interruppe Sirius incerto.
 “Come tutti noi.” lo corresse Remus, sorridendogli dolcemente “Siamo tutti degli spezzati.”

 “Non avrebbe dovuto comunque dire a tutti che sei un lupo mannaro.”
 “No, non avrebbe dovuto” concesse l'altro “Ma è successo. Ne capisco il motivo e non mi sento di accusarlo. Severus quando si sente messo alle strette ha l'istinto di attaccare. Quest'anno avevamo raggiunto un equilibrio che io l'ho più volte rotto. Gli avevo promesso che lo avrei coinvolto se ti avessi trovato, ma non l'ho fatto. Mi ero scusato per il passato, ma nella Stamberga Strillante nei miei racconti l'ho fatto passare per uno sprovveduto pieno di rancore. Gli ho tenuto nascosto molto, quando gli avevo detto di fidarsi di me. In un certo senso ho dato ragione agli innumerevoli dubbi sulla mia persona che aveva largamente espresso a Silente. Sai quanto può essere ostinato.”
“Merlino, lo odio Mocciosus” sputò Sirius e rise rauco e sincero, tanto che per un attimo sembrò quel ragazzo strafottente e sicuro di sé che aveva camminato per Hogwarts e riuscì quasi a tracciare a memoria i tratti di quella sicurezza, Remus Lupin, di quello sfacciato fascino che Sirius sapeva tirare fuori all'occorrenza, che ancora si intravedeva quando scriveva a Harry, o si vedevano con gli altri dell'Ordine. 
 Black sapeva ricostruirsi quando era in mezzo agli altri, e sapeva dare il meglio di sé nell'essere di nuovo l'arrogante e coraggioso Grifondoro che aveva rimescolato più volte le carte della sua esistenza, quella testa calda amorevole che Remus Lupin sentiva di conoscere.  Solo con lui si permetteva di andare in pezzi, di essere fragile, ma Remus era talmente grato di averlo di nuovo con sé che sarebbe stato disposto a passare la vita intera a ricomporre Sirius Black. 
Sorrise debolmente in risposta a lui, bevendo un sorso di the. 
 “Perché se lo odi tanto vuoi che parli con lui?” chiese curioso, il cuore che riprese a battere nel vedere sul volto dell'altro il ghigno aprirsi ancora un poco, arrivando fino agli occhi grigi. 
 “Voglio odiarlo liberamente e con tutto me stesso, Moony. Non voglio sentirmi in colpa per qualcosa. Se voi due fate la pace e tornate grandi amici tutto sarà come prima. Tu sei libero di essere gentile, io di odiarlo cordialmente.”

 Remus rise sincero, scuotendo appena la testa, Sirius appoggiò il capo sul braccio, osservandolo con un mezzo sorriso, poi allungò la mano verso di lui, il palmo verso l'alto, le dita dolcemente protese nella sua direzione. 
 “Ci parlerò oggi pomeriggio, ok?” chiese soffice Lupin e appoggiò la tazza sul tavolo di legno e allungò anche lui piano la sua mano, intrecciando le dita con quelle dell'altro e sospirarono appena, si guardarono per un lungo istante.
 “Mi sei mancato, Moony.”
 “Anche tu, Padfoot”
Si sorrisero.


*


Quando sentì quello strusciare di nocche leggero Severus sapeva perfettamente chi aspettarsi sull'uscio e per un momento fu quasi tentato di non andare ad aprire, di ignorare Remus Lupin e le sue scuse, ma prima che potesse prendere quella decisione le gambe gli si mossero come un automatismo, trascinandolo fino alla porta. 
Remus era avvolto nel suo pastrano, la barba sfatta di qualche giorno i capelli arruffati. Sembrava un elemento fuori posto, lì, nell'umida Spinner's, una volta tanto con uno sguardo curioso mentre osservava assorto l'ingresso della casa.
 “Severus” lo salutò con un mezzo sorriso.
 “Lupin”
 “Mi fai entrare?”
“No”

L'altro rise rauco e scosse appena il capo, ma poi mise le mani nelle tasche e annuì appena. 
 “D'accordo. Sono qui a portarti le mie scuse, ma immagino che tu non le voglia accettare”
 “Immagini bene”
 “C'è qualcosa che possa risistemare le cose tra noi, Severus?”
 “Non c'è nulla da risistemare, Lupin. Non eravamo amici, non lo siamo nemmeno ora”
 E sentì puzza di bugia, Severus Piton, nelle sue stesse parole, perché in tutte quei silenzi che avevano condiviso c'era stata dell'amicizia e, se non quella, del sano rispetto. Perché entrambi avevano sofferto. Entrambi provavano vergogna. Entrambi erano stati soli al mondo a lungo, ma ora le cose erano sbilanciate, le ferite erano esposte e se Remus non era più solo a ricucirle, nulla aveva portato sollievo a Severus. Non aveva meritato né riconoscenza, né perdono. Nessuno era più venuto a cercarlo la notte in cui Sirius Black era fuggito. 
 “Chi ti ha dato l'indirizzo di casa mia?” chiese nervosamente al mannaro.
 “Silente, ovvio” rispose quello, ancora sorridente.
 “Ovvio” sillabò Piton, con un'ombra di fastidio, ma indurì subito lo sguardo e fece quasi un passo indietro.
 Ed era certo che Lupin l'avrebbe lasciato andare, perché la gentilezza ha un limite entro cui doveva valerne la pena e non si dovevano niente loro due, l'unica cosa a legarli era la sofferenza e anche quella può passare e si cicatrizza con il tempo. 
 “Lily mi parlava molto di te.” sussurrò Remus e Severus si sentì gelare e sentì quelle parole pugnalarlo nel petto.
 “Come dici?” esalò, improvvisamente pallido.

“Lily mi parlava molto di te. Diceva che sei intelligente, gentile, attento. Io sorridevo” disse Remus lentamente “Perché non riuscivo a vederti in quella descrizione, ma lei era insistente e mi diceva talmente tante volte che io e te in fondo eravamo simili, che ho finito per crederci anche io. Era distrutta quando avete litigato. Diceva che separarvi era necessario, perché lei ti avrebbe perdonato qualunque cosa, che era la cosa giusta, perché forse non si sentiva al sicuro, ma le mancavi terribilmente. Ogni giorno.”
Severus prese un profondo respiro, ma rimase immobile, come fosse fatto di pietra. Poi sciolse lentamente la posa, muscolo dopo muscolo, controllando ogni micro movimento, prima di alzare lo sguardo verso il mannaro. 
 “Nessuno ti dà il diritto di venire qui a torturarmi Lupin” sibilò.
 “Non voglio torturarti.” disse subito l'altro “una volta mi hai detto che noi Malandrini ti abbiamo a costretto a vedere dell'umanità solo nel marcio dei Mangiamorte. Avevi ragione. Ma siamo cresciuti tutti, Severus. Volevo farti sapere che anche allora c'era qualcun altro che ti considerava abbastanza.”
 Piton sbatté le ciglia una sola volta, sentì un ruggito di dolore nel petto, ma lo ignorò, raddrizzandosi. Lupin era più alto di lui, eppure la vide quella micro contrazione sotto l'occhio di lui, di vaga preoccupazione. Perché Piton sapeva di poter fare terrore se voleva, di poter incutere rispetto, di trasudare potere e controllo. Conosceva i suoi limiti, aveva imparato a inscatolare i suoi sentimenti, sapeva come modulare il suo sguardo e la sua rabbia. 
 “Lily è morta, Lupin” disse arido.
 “Lo so.” rispose subito quello “ma non era l'unica a pensare bene di te.”
Sorrise, con aria da ragazzaccio, ma Severus non colse e fece un passo indietro, pronto a chiudersi la porta alle spalle, a schermarsi nel suo mondo di vecchi e libri e spezie. Sicuro. Stabile. Facilmente controllabile.

La mano di Remus fermò la porta. Severus si congelò e lo vide sospirare con stanchezza, combattuto.
 “Ascolta Severus, non ti chiedo di nuovo di avere fiducia in me solo...”
 “Solo cosa? Cosa stai cercando di dirmi? Non ho tutto il giorno e su una cosa concordiamo, non ho nessuna fiducia in te.”
 “Non voglio che stai solo” mormorò l'uomo “non voglio che soffri più del necessario”
Severus fece appena un sibilo scuotendo il capo, rise amaro, facendo un altro passo indietro dentro la casa.
“Passare del tempo con il cane ti ha reso sentimentale, Lupin. Torna da Black, non sono certo che apprezzerebbe sapere che cerchi di essere in maniera così testarda amico di Mocciosus. E su una cosa devo concordare con lui: io e te ci odiamo, Lupin. Ci siamo sempre odiati. Il fatto che ora siamo più adulti e feriti non cambia le carte in tavola.”
 “Credevo che avessimo già superato questo punto, Severus. Io non ti odio”
“Come vuoi” ribatté esasperato l'altro, cercando di chiudere la porta “Ora mi stai stancando, vattene.”
 “Avanti, Severus, hai detto a tutti che sono un lupo mannaro. Dovrei essere io a odiarti! Sono qui a implorarti invece, non so, di essere civili. Ci vedremo spesso con l'Ordine, dovremo comunque collaborare, concedimi due parole qualche volta, concedimi di avere riconoscenza.”

 “Riconoscenza?” disse Severus e per la prima volta in molti anni si sentì confuso, un vago rossore sulle guance, sorpreso che qualcuno avesse davvero fatto caso a lui.
 Sbatté le ciglia perplesso davanti al sorriso morbido di Lupin, si rese conto di quanto fosse ridicola quella situazione, soffriva la sua solitudine da quando era un bambino in quella stessa casa. Perché rifiutava così tenacemente l'offerta di Lupin? Perché aveva così tanta paura di essere ferito quando non gli rimaneva addosso nemmeno un lembo di pelle senza segni e rabbia?
“Riconoscenza Severus. Mi hai preparato la pozione Antilupo per un anno. Sei stato gentile.”
 “Albus...”

 “Silente non ti chiedeva di mettere la menta perché risultasse meno amara. Non ti ha costretto a passeggiare con me. Non ti ha spinto a concedermi la tua fiducia, né a raccontarmi qualcosa di te. Volevo solo dirti grazie.”
 Severus inghiottì aria e fece un leggero cenno con il capo, vagamente sconfitto, confuso.
 “Prego” disse rauco infine e si sentì incredibilmente più leggero, perché era la prima volta che rispondeva con quella parola a qualcuno, era la prima volta forse che qualcuno lo ringraziava così apertamente. 
Lupin sorrise, ora più soddisfatto, vagamente più giovane e allegro.
 “Ci vediamo alle riunioni allora, Severus” disse, arretrando nel piccolo giardinetto di fronte alla casa. 
“Torni dal cane?”
 “Qualcuno deve pur dargli da mangiare” rise. 
 E Severus Piton sentì le labbra arricciarsi vagamente in un sorriso, osservando la figura alta e sottile di Remus Lupin che si allontanava nella luce della sera, trascinando i piedi sul terreno, lungo e dinoccolato. Una figura riconoscibile. Una figura quasi amica.



*Angolo Autrice*

Ciao Lettori! 
Scusate il leggero ritardo, ma è stata una settimana complicata. 
Nuovo capitolo di questa storia a cui tengo davvero molto. Devo dire che è stato piuttosto intenso tentare di entrare nei panni e nei fragili equilibri di Severus e Remus, ma spero di esserci riuscita. Mi piace moltissimo questa amicizia tra loro, che per me è credibile e per questo cerco di rendere i personaggi più IC possibile. D'altronde della storia noi conosciamo il punto di vista di Harry, ma sia Remus che Severus sono due adulti indiendenti e con un passato ingombrante.
Trovo divertente il fatto che Severus non abbia mai chiamato Remus per nome, ma il mannaro invece si ostini a nominare l'altro quasi in ogni frase. 

Volevo solo avvisarvi che oltre al terzo capitolo ci sarà anche un epilogo :)
Grazie infinite a coloro che hanno lasciato un parere e una recensione nel precedente capitolo, ma grazie anche ai lettori silenziosi. Il vostro parere è per me sempre molto importante.
Prossimo capitolo uscirà probabilmente tra una settimana e mezza circa. 
A presto, con affetto.
vi

  
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