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Autore: EleWar    09/02/2022    14 recensioni
Nel paese del Sol levante i tifoni sono quasi all'ordine del giorno, una cosa tutto sommato normale, ma potrebbero avere dei risvolti inaspettati. E ai nostri eroi, presi dentro la tempesta, cosa accadrà?
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Dopo tante aspettative, ecco il quarto ed ultimo capitolo, spero che non vi dispiaccia il finale.
Buona lettura e ancora GRAZIE
Eleonora






Cap. 4 Sussurri nel fragore
 
Nonostante Ryo stette via pochi minuti, in quel breve lasso di tempo Kaori si sentì sola e abbandonata, e per la prima volta ebbe paura della tempesta che si stava svolgendo fuori da lì, che stava flagellando il suo quartiere e l’intera città di Tokyo.
D’improvviso le parve che quella notte non dovesse finire mai più, e si scoraggiò.
Pertanto raggiunse il divano, allontanò il tavolino di vetro, e si sedette in terra, con le spalle appoggiate alla seduta del sofà.
Prese tutti i cuscini e si costruì una sorta di riparo intorno a sé e, tirandosi una coperta sulla testa, piegò le ginocchia al petto e si mise lì, così, in preda all’angoscia.
Non le importava che Ryo la trovasse in quella posizione, magari l’avrebbe presa in giro perfino, ma lei aveva veramente paura del tifone, e nulla le avrebbe fatto cambiare idea.
 
Quando il socio ridiscese nell’appartamento, girando la torcia all’interno del soggiorno chiamò:
 
“Kaori? Kaori, ma dove sei?”
 
“Sono qui” rispose con un filo di voce.
 
“Qui dove?” chiese l’uomo, avanzando comunque in direzione della sua voce, mentre diceva: “Senti, io sono bagnato fradicio, vado di sopra, mi cambio e poi penso che andrò a dormire…”
 
“No, ti prego non farlo!” proruppe lei d’impulso, interrompendolo.
 
Ryo l’aveva trovata in quel preciso momento, e la stava illuminando con la torcia elettrica: era un fagotto quasi informe da cui spuntava appena il suo visino.
 
“Kaori, ma…?” le domandò quasi con un sussurro.
 
“Ti prego, Ryo, non andare in camera tua!” e lo guardò con aria implorante.
 
“Ma che stai dicendo?”
 
Ryo era troppo sconvolto dall’atteggiamento della socia per poter anche solo pensare di prenderla in giro: era veramente terrorizzata, e lui non si sentiva di infierire.
 
“Sto dicendo che la tempesta è nel pieno del suo vigore, lo sento, e non è bene stare vicino alle finestre… la tua camera ha le finestre proprio dietro il letto! Potrebbero esplodere e…”
 
“… ma non succederà… stai tranquilla” le disse, cercando di calmarla, e accovacciandosi alla sua altezza.
 
“Gli esperti consigliano di spostarsi al centro delle stanze… come ho fatto io. Questo è il luogo più sicuro di tutta la casa…” e gli rivolse uno sguardo da cerbiatta impaurita.
 
“In realtà sarebbe il poligono…” iniziò spiegandole “…che è un vero e proprio bunker, ma temo che con questo tempo potrebbe finire per allagarsi…” poi, vedendola così inquieta, aggiunse: “Però sì, forse hai ragione”.
 
Indeciso sul da farsi, prese a passarsi una mano fra i capelli intrisi d’acqua; se Kaori non voleva che andasse a dormire in camera sua, che almeno gli permettesse di asciugarsi in qualche modo, ma non sapeva come dirglielo.
Solo a quel punto Kaori si rese conto che, effettivamente, Ryo era bagnato fradicio, e gli disse:
 
“Che stupida che sono! È vero, sei completamente zuppo!!! Dai, vatti a cambiare… ma fai in fretta… e non sostare davanti alle finestre” lo pregò con apprensione.
 
“S-sì… va bene”.
 
 
 
Mentre si avviava verso la sua camera da letto, Ryo non faceva che pensare allo strano comportamento della socia, la quale, forse, non aveva tutti i torti.
Finché erano stati tutti presi a divertirsi avevano dimenticato la gravità della situazione; del resto erano anche soli in quell’enorme palazzo, ed essere due sweeper professionisti non li metteva necessariamente in salvo di fronte alla potenza della natura.
Soprattutto sentì nascere dentro di sé una voglia inestinguibile di starle accanto, di tranquillizzarla, di prendersi cura di lei, di passare la notte con la sua Kaori, anche solo a parlare, aspettando l’alba.
 
Si affrettò salendo a due a due gli scalini delle scale, e vuoi per la soggezione, vuoi per la fretta, non indugiò nella sua stanza e si cambiò in fretta.
Fuggevolmente guardò le finestre, protette semplicemente dalle tapparelle che vibravano come impazzite, e si chiese quanto avrebbero retto alla furia degli elementi.
Per un attimo pensò che, effettivamente, lui e Kaori erano veramente poca cosa nel caos dell’universo.
 
 
 
Quando ritornò in soggiorno notò subito che sul tavolinetto basso di vetro, accanto all’inesauribile candela al sandalo, c’era un enorme pacco di patatine fritte e una vaschetta di gelato bi-gusto.
Sorrise.
 
“Hai fatto scorta di viveri?” le chiese divertito.
 
“Quando è così mi prende la fame nervosa” rispose cupamente la ragazza.
 
“Piccola squaw, posso entrare nel tuo tipì?” domandò lui, riferendosi a quella specie di accampamento che aveva messo su la sua partner, la quale continuava a tenere la coperta sulla testa.
 
Kaori alzò gli occhi a guardarlo, da sotto in su, e gli sorrise felice, e facendogli cenno di accomodarsi, gli disse:
 
“Certo che sì! Prego, sei il benvenuto”.
 
Lui la raggiunse e le si sedette vicino, distendendo le lunghe gambe, che finirono sotto il tavolino; lei istintivamente spostò la coperta a coprire anche lui, e gli sussurrò:
 
“Hai ancora i capelli bagnati…” spostandogli un ciuffo dalla fronte, con la mano.
 
Ryo rimase senza fiato di fronte a quel gesto, e a quelle parole pronunciate con così tanto amore: mai si era sentito così amato e bisognoso di affetto come in quel momento; quasi si commosse.
E se la ragione gli suggeriva che una semplice coperta, al riparo di un divano, alla luce di una candela, non era che un rifugio per bambini che giocano al campeggio, il cuore invece gli gridava che lì dov’era, in quel preciso momento, era protetto da tutti i mali del mondo.
Nulla avrebbe potuto nuocergli, perché lì risiedeva tutta la sua forza e sicurezza; accanto a quella donna stupenda era l’uomo più forte e più debole di tutto l’universo, ed era proprio lì che voleva stare, era il luogo perfetto: nel cuore della sua stessa casa, accanto a Kaori.
Una strana gioia senza nome gli scaldò il cuore.
 
Il senso di benessere che stava provando lo indusse a rilassarsi, e con la schiena appoggiata al divano, socchiuse gli occhi sospirando; dopo un poco la socia gli sussurrò:
 
“Stai dormendo?”
 
“No, affatto. Mi sto rilassando e… ripenso a ben altri accampamenti…” lasciando la frase in sospeso.
 
Kaori si mosse a disagio e gli disse:
 
“A proposito, Ryo, volevo chiederti scusa per prima… quando ti ho preso in giro per il Twister… a volte dimentico il tuo…”
 
“…passato?” finì per lei “Non preoccuparti, non mi sono offeso, e fai bene a dimenticare… Vorrei tanto esserne capace anch’io…” concluse con voce atona, senza tradire emozione alcuna.
 
“…perdonami lo stesso” mormorò la ragazza.
 
Lui allora riaprì gli occhi e, voltandosi a guardarla, le sorrise dolcemente; quindi, spostando lo sguardo in un punto indefinibile davanti a sé, iniziò dicendo:
 
“Sai, in realtà ho dimenticato tanto anch’io… Nel bene e nel male non ricordo nulla dei miei genitori, e quindi non ne ho sentito la mancanza. Ero troppo piccolo per ricordare i loro volti, le loro voci, quali sensazioni provassi stando insieme a loro, e forse lo shock dell’incidente ha cancellato i pochi ricordi che avevo. Se non conosci una cosa, non puoi sentirne la mancanza quando la perdi, giusto?” chiese girandosi fugacemente a guardarla.
Lei si strinse nelle spalle, e quasi in un soffio gli disse:
 
“Mi dispiace…”
 
Era al colmo dei sensi di colpa per averlo indotto a riaprire vecchie ferite, che sicuramente facevano ancora male; ma lui, immaginando il suo stato d’animo, la rassicurò dicendo:
 
“Kaori, non devi dispiacerti, non è colpa tua; e anzi, io devo solo ringraziarti… per tutto quello che hai sempre fatto per me”.
 
Dopo una breve pausa riprese:
 
“Quando vivevo nella giungla, con i guerriglieri e con Kaibara, non c’era troppo spazio per i sentimentalismi, e l’affetto che mi dava lui, e l’affiatamento e il cameratismo che c’erano fra me, lui e gli altri, nonché quella specie di rispetto reciproco che ci univa, erano più che sufficienti, per tutto. Il nostro era un mondo popolato da uomini rudi e rare donne abbrutite, perlopiù contadine spaventate, o talmente disperate da vendersi per un tozzo di pane. Nei villaggi più grandi, o in qualche cittadina sulle grandi strade dei commerci, invece, potevi incontrare donne molto più disinibite, e diciamo così, più generose. Ma in generale, tutte queste presenze femminili non mi facevano certo rimpiangere di non avere una madre”.
 
Kaori trattenne il fiato, era una delle rarissime volte in cui Ryo si apriva tantissimo con lei e le raccontava la sua storia passata.
Taceva per rispetto ed era, al contempo, timorosa che una sua parola detta male potesse distoglierlo dai suoi racconti e farlo decidere di zittirsi.
Ryo continuò:
 
“In realtà nemmeno tutte le altre donne che ho incontrato poi, sia in America che quando sono tornato in Giappone, hanno mai suscitato in me un qualche bisogno filiale di avere anch’io una mamma, e di conseguenza non mi struggevo per la perdita della mia… Certo, dirai tu, quelle che vai cercando sembrano tutto tranne che madri!” e ridacchiò leggermente “…Però hai ragione” e si voltò a guardarla con occhi limpidi, che, malgrado fossero illuminati appena dal fioco chiarore della candela lontana, la ragazza riconobbe come sinceri.
E seppe che Ryo, nonostante la particolarità del momento, era profondamente sé stesso, senza finzioni.
 
Kaori si commosse e si strinse a lui, permettendosi di appoggiare la testa alla sua spalla, e l’uomo chinò la sua quasi a sfiorargliela.
Era convinta che Ryo le avesse detto tutto, ma si stupì quando riprese a parlare:
 
“Poi però è successa una cosa strana… In mezzo alla moltitudine di donne che ho conosciuto, ne ho trovata una che mi ha risvegliato quel desiderio, quel bisogno. Era così amorevole, così gentile, così premurosa, che subito mi sono chiesto che effetto avrebbe fatto essere l’oggetto delle sue attenzioni. E ho provato una sensazione particolare, per la prima volta, come uno struggimento, una nostalgia, e ho invidiato tuo fratello…”
 
Kaori sobbalzò leggermente e si voltò a guardarlo: i suoi occhi sgranati sembravano popolati di mille lucine brillanti, e il riflesso della fiamma della candela vi danzava dentro.
 
La ragazza riconobbe, dal tono della voce del socio, che si era andato via via abbassando, che stava sorridendo quando le disse:
 
“Solo con te ho provato quell’antico desiderio, in parte soddisfatto, perché quando passavo da voi ero sempre un ospite gradito. Però poi dopo, quando sei venuta ad abitare con me, io mi sono sentito coccolato, amato… e non ti ho mai nemmeno ringraziato per questo. Ho sempre preferito buttarla sullo scherzo, sminuire il tuo lavoro, le tue attenzioni disinteressate, perché mi terrorizzava ammettere che invece dipendevo da quelle, e da te che me le rivolgevi. Lo so, mi sono comportato sempre da stronzo, ma nessuno mi aveva mai insegnato che anche l’uomo più duro ha bisogno delle gentilezze di una donna affezionata, e che ammetterlo, e ancor di più essergliene grati, non fa di lui un debole”
 
“Oh, Ryo!” esclamò la ragazza, incapace di dire altro, con la testa piena delle sue parole e dei suoi mille pensieri.
 
“È troppo tardi, se grazie te lo dico ora?” le domandò lui appoggiandole una mano sulle ginocchia ripiegate, che ancora si ostinava a tenere attaccate al petto.
 
“No-no…” Kaori era così emozionata che non avrebbe saputo e potuto chiedere di più; aveva aspettato tutta la vita di poter sentire uscire dalla bocca di quello stupido ingrato parole di ringraziamento e apprezzamento, ed ora la sua confessione l’aveva annientata.
 
“Bene, allora. E visto che, a parte il tifone fuori, non si è verificato nessun ulteriore cataclisma nel momento esatto in cui ti ho detto grazie, vorrà dire che mi sforzerò di dirtelo più presto!” concluse Ryo, ridacchiando e alleggerendo in parte l’atmosfera cupa che si era venuta a creare, a cui la ragazza rispose dandogli una piccola spinta con la spalla e sorridendo a sua volta.
 
“Ti ho detto che non ho ricordi di mia madre” riprese l’uomo dopo una brevissima pausa, “ma ora, quando ci penso, vorrei tanto che ti assomigliasse”.
 
A quelle parole Kaori prese la mano di Ryo, quella che lui aveva appoggiato sul suo ginocchio, e gliela strinse forte.
Lo sweeper continuò, spiegando:
 
“Perché sei forte e anche dolce; gentile, ma una furia quando ti ci metti; testarda, generosa e molto altro ancora… E credo che se avessimo avuto una vita diversa e insieme, io e lei, avrebbe dovuto essere tutto questo per poter combattere con uno come me” e scoppiò in una risatina divertita.
 
“Io penso, invece, che fosse sicuramente una donna speciale” disse Kaori, “così come tuo padre, perché hanno messo al mondo uno come te” e insistette su questo punto. “E anche se non hanno avuto la fortuna di poterti veder crescere ed educare, sei venuto su comunque come un uomo giusto, buono… E queste cose non s’insegnano, ce le portiamo dentro dalla nascita e rimangono qui…” e gli posò la mano sul cuore “Fanno parte di noi”.
 
Ryo, turbato dalle parole della ragazza, ma col cuore colmo di commozione, avvicinò il viso alla testolina della partner e le depositò un bacio dolcissimo fra i capelli, molto più intenso di quello che le aveva dato quel lontanissimo giorno, di sopra, sulla loro terrazza, quando lei gli aveva trovato un compleanno.
Si attardò a respirare il suo inconfondibile profumo, poi lentamente si staccò e ritornò alla sua posizione, socchiudendo gli occhi.
Non si era mai aperto così tanto con lei, ma si sentiva stranamente bene, in pace con sé stesso e con il mondo intero.
Mentre fuori infuriava la tempesta, nel suo cuore, al contrario, c’era una dolce pace che lo colmava di gioia.
 
“Nemmeno io ricordo nulla dei miei genitori” sussurrò a quel punto Kaori, senza interrompere il flusso armonioso che aleggiava su di loro “A quanto mi dissero, mio padre mi rapì a mia madre che ero ancora piccolissima, e quando mi portarono dai Makimura non avevo un passato, vuoi per la tenera età, vuoi perché non c’era nessuno a raccontarmelo… intendo un parente qualsiasi, una nonna, una zia. E comunque, per come era il mio padre biologico, sarebbe stato meglio dimenticare… forse. Accanto ai Makimura però sono stata felice, Hideyuki era il mio eroe, il mio modello, stravedevo per lui e suo padre, nostro padre; mi amava come fossi realmente figlia sua: l’amore non mi mancava”.
 
Fece una piccola pausa, e si perse a rimembrare i momenti felici passati accanto a quelle persone fantastiche, e a pensare a quanto le mancassero, soprattutto suo fratello; riprese:
 
“Quando ho conosciuto Sayuri e ho capito che era mia sorella…”
 
“L’avevi capito?” l’interruppe Ryo, allarmato, poiché le aveva mentito, in qualche modo, sull’identità della donna, e non era stato in grado di dirle la verità nemmeno molto dopo.
Neanche del famoso anello che le aveva lasciato Hide le aveva ancora detto niente, e si ripromise che lo avrebbe fatto prestissimo, anche se la socia gli stava dimostrando di sapere molto di più di ciò che lui sospettava.
 
Kaori gli rispose prontamente:
 
“Sì, e poi certe cose, come dire, si sentono” e gli sorrise. Quindi riprese il discorso lasciato a metà: “Sayuri è una così brava persona, così bella che, mi sono detta, nostra madre doveva essere per forza come lei”
 
“È vero, Sayuri è molto bella e tu le somigli tantissimo” si lasciò scappare Ryo.
 
Era un complimento contorto, alla sua maniera, ma Kaori lo apprezzò e lo ringraziò.
 
Ricominciò dicendo:
 
“Dei nostri genitori non mi ha detto molto, anzi quasi nulla, ma, del resto, avrebbe dovuto ammettere apertamente che eravamo sorelle, e forse sperava di dirmelo in seguito, quando sarei partita con lei…”
 
“Se avevi capito tutto, allora perché sei rimasta?” si azzardò a chiedere l’uomo.
 
All’epoca Ryo aveva vissuto con sollievo la sua decisione di rimanere in Giappone, ma non si spingeva mai a considerare che, forse, la vera ragione per cui era restata era proprio lui.
Non si era fatto troppe domande, e gli era andata bene così, e anche se aveva sempre pensato che solo lontano da lui Kaori sarebbe stata al sicuro e felice, non se l’era sentita di rivelarle la verità su Sayuri, la sua vera ed unica sorella biologica.
 
“Strano che mi fai questa domanda…” gli disse lei con una nota maliziosa nella voce, che lo mise enormemente a disagio “Io avrò anche capito tutto ma tu invece…” e scoppiò in una risatina divertita al termine della quale gli chiese “Secondo te perché sono rimasta qui?”
 
Messo alle strette Ryo non seppe cosa dire, sperava o forse sapeva che lei non era voluta partire per stare con lui, ma non si sentiva pronto a dirlo apertamente; la ragazza gli venne incontro:
 
“Sono rimasta perché la mia vita è qui, a Tokyo, in Giappone. Dove sono nata e cresciuta, dove risiedono tutti i miei ricordi, belli e brutti, dove riposa mio fratello. Qui ho il mio lavoro, anche se tu hai sempre fatto di tutto per dissuadermi” e Ryo tossicchiò a disagio “ho i miei amici e… sì, ho anche te” ammise con coraggio, nonostante stesse arrossendo mentre lo diceva.
 
“Grazie…” le sussurrò allora l’uomo; si era impegnato a dirglielo più spesso e qui doveva valere molto di più.
 
A quel punto, le passò una mano dietro la schiena e la strinse leggermente a sé; Kaori appoggiò nuovamente la testa alla sua spalla e socchiuse gli occhi.
 
Quella sera avevano avuto un riavvicinamento impensabile fino a qualche ora prima, e lei non voleva sprecare nemmeno un secondo di quei magnifici momenti che stavano passando insieme.
E visto che c’erano, voleva andare in fondo all’argomento, confidargli una volta per tutte il perché della sua decisione, quindi aggiunse:
 
“Inoltre… nonostante con Sayuri io abbia effettivamente un legame di sangue, quando ci conoscemmo, lei non era altro che una perfetta sconosciuta, di cui non sapevo nulla, né lei sapeva niente di me. Quei pochi giorni passati insieme mi sono serviti a capire che persona amabile fosse, ad affezionarmi, ma sono stati comunque pochi per poter decidere, su due piedi, di lasciare tutto e ricominciare una nuova vita da zero accanto lei…”
 
“Capisco…” si limitò a commentare Ryo, sprofondato in quel tepore avvolgente che gli rendeva semplici tutte le cose, anche aprirle il cuore e affrontare argomenti restati tabù per così tanto tempo.
 
E anche Kaori, forte di quella rinnovata sicurezza, di quel senso di intima pace che stava sperimentando, dimentica della tempesta che, fuori dal loro appartamento, non faceva più così tanta paura, si azzardò a fargli una domanda che da parecchio tempo la tormentava.
In realtà all’epoca lei gliel’aveva posta ugualmente, ma la risposta che lui le aveva dato era stata così incompleta, quasi deludente, e poi aveva finito per fare lo stupido che… insomma, voleva sapere:
 
“Ryo, invece tu… lo so che te l’avevo chiesto anche quella volta, ma io non ho mai creduto fino in fondo a ciò che mi rispondesti allora… e adesso, sincerità per sincerità, mi piacerebbe che tu mi dicessi la verità…”
 
“Cosa vuoi sapere?” le chiese incuriosito, ma totalmente rilassato e sereno; anche lui voleva essere sincero come non lo era mai stato.
 
“Quando abbiamo avuto a che fare con il nonno, con tuo nonno, alla fine hai preferito fargli credere che non fossi tu il suo nipote disperso, eppure… eppure tantissimi indizi portavano a te…”
 
Kaori ricordava benissimo quel periodo, quando si era presentato quel signore benestante, che ricercava un nipote sopravvissuto ad un disastro aereo sui cieli dell’America Latina; che aveva bella pronta una nuova vita per Ryo, con tanto di promessa sposa, una casa, un posto in società e soprattutto soldi, sufficienti per non dover più lavorare nemmeno come sweeper.
Il nonno le aveva chiesto esplicitamente di farsi da parte, che se era vero che Kaori lo amava e voleva unicamente il suo bene, doveva lasciarlo andare, e lei… era stata disposta a farlo.
Ma poi Ryo, quasi a sorpresa, aveva disconosciuto tutto, aveva mandato all’aria ogni progetto del vegliardo, e nonostante il sollievo provato per la decisione presa dal socio, la ragazza sentiva che non era propriamente così come lui voleva farle credere.
Lo stesso Ryo sapeva quanto avesse sofferto la sua amata Kaori in quei giorni, e quanto avesse fatto per lui: sì le doveva la sincerità.
 
“Hai ragione… tutto portava a me: così tanti indizi che veramente avrei potuto essere io suo nipote. Ma quel bambino che lui vagheggiava non esisteva più… Io non avrei mai potuto cambiare vita da un giorno all’altro, rientrare nella società dalla porta principale, smettere di fare il mio mestiere, rinnegare il mio passato, godere dei beni di famiglia, sposarmi con chi voleva lui, assumermi obblighi e doveri che altri avevano stabilito per me. Tu sai che vivo delle mie regole, non amo i legami, se non quelli che scelgo da me… Avrei dovuto rinunciare a tutto… a tutto questo” e fece un ampio gesto con la mano “Avrei dovuto rinunciare anche…  a te”.
 
Ecco, l’aveva detto, stavolta chiaramente, perché allora le aveva fatto capire che lei era la sua unica famiglia, che insieme erano una famiglia, ma poi tanti altri avvenimenti si erano succeduti, e quante volte Kaori aveva avuto la sensazione che quelle fossero state solo vuote parole, che quella non fosse la verità.
Ma adesso non c’erano possibilità di fraintendimenti: lui le aveva detto chiaro e tondo che non aveva voluto rinunciare a lei, che se avesse riconosciuto il nonno come il suo parente più prossimo, nella sua nuova vita non ci sarebbe stato posto per Kaori, per Kaori Makimura.
 
“Ryo, non sai quanto tu mi stia rendendo felice in questo momento” disse lei, e gli si rannicchiò contro, cingendogli il collo con le braccia.
 
Occhi negli occhi, nel caos calmo della tempesta che infuriava fuori e dentro i loro cuori, seppero che era finito il tempo dei rimandi, di quell’assurdo gioco di maschere; che lì, in quel preciso momento, al sicuro nella loro casa, potevano essere finalmente sé stessi, fino in fondo.
 
Erano diventati grandi e non se ne erano accorti.
 
E così, con naturalezza, le labbra si avvicinarono, a cercarsi, pregustando già l’attimo in cui si sarebbero toccate, non più divise da uno stupido vetro.
Ma un secondo prima che ciò accadesse, con un breve guizzo fulmineo, ritornò all’improvviso la luce, accecandoli e stordendoli.
 
Ryo, allora, sbuffando, afferrò un cucchiaino dalla vaschetta del gelato, prese bene la mira e lo lanciò in direzione dell’interruttore della luce, facendo centro.
Nuovamente tornò il buio morbido e la penombra di poco prima, e riaccomodandosi accanto a Kaori, piegò il capo per tornare al riparo della coperta che ora la ragazza teneva tesa sopra la testa.
 
“Dove… eravamo rimasti?” le chiese lui con un sorriso, a metà fra il malizioso e l’imbarazzato.
 
Non ci fu bisogno che la ragazza gli rispondesse, perché istintivamente i loro visi si riavvicinarono e finalmente le bocche si trovarono.
 
Fu un bacio dolcissimo, emozionante, e se anche fu, all’inizio, un semplice sfiorarsi di labbra, ebbe il potere di frastornarli enormemente.
Poi Ryo si fece più audace, e di nuovo cercò un contatto, un altro bacio ancora, lento, esplorativo, a gustarsi la sensazione di farlo con Kaori.
E quando si staccò, stavolta fu il turno della giovane di cercarlo, e fatta scivolare la coperta sulle teste, sulle spalle, incurante, abbassò le braccia a cingergli il collo e la nuca, e con le dita prese ad accarezzargli i capelli.
 
E non ci fu più altro da dire o da pensare.
Finalmente liberi dai legacci con cui si erano imprigionati nel tempo, si lasciarono andare all’amore reciproco, alla gioiosa e curiosa voglia di assaggiarsi, scoprirsi, e riscoprirsi.
Di verificare se tutte le fantasie avute sull’altro, quando sognavano di baciarsi, di toccarsi, di stare insieme, fossero così come le avevano pensate oppure diverse.
E, ovviamente, furono decisamente migliori!
Entrambi non erano preparati a quell’esplosione di emozioni che gli provocava anche il più piccolo tocco, bacio, carezza, così vivi e reali, che niente avevano a che fare anche con la più fervida immaginazione.
Era come se non si fossero mai toccati, sfiorati, afferrati… era come se non si fossero mai conosciuti abbastanza; eppure ora era tutto così meravigliosamente semplice, naturale… che veniva tutto da sé.
 
Sapevano a cosa li avrebbe portati quella lunga teoria di baci, sospiri, mormorii: quegli approcci nuovi ma da sempre desiderati, temuti, bramati, ma ora più che mai si sentivano pronti.
Erano due adulti che si amavano, ed erano consapevoli che il desiderio così a lungo represso e frustrato, sarebbe esploso di lì a poco, rincorso dalla passione e dalla voluttà che incendiavano ogni più piccolo gesto; e non si sarebbero fermati per nulla al mondo, nemmeno se il tifone avesse scoperchiato il palazzo, e li avesse esposti al vento e alla pioggia della tempesta.
Avevano vissuto tutta la vita in attesa di quel preciso attimo perfetto, per quell’incontro che, ironia della sorte, si stava svolgendo proprio lì, nel centro della loro stessa casa; ma quale altro posto migliore?
 
Un’urgenza nuova li faceva fremere di aspettativa, i baci si stavano facendo sempre più audaci, insistenti, vogliosi, e chiedevano, chiedevano di andare oltre, di estinguere una sete e una fame senza speranza di essere soddisfatte.
 
Ryo aveva fatto adagiare Kaori sui cuscini raggruppati sul tappeto del pavimento, e lì, in quella specie di rifugio, si erano lentamente spogliati del superfluo.
Ed ora, eccitati dal contatto col corpo nudo dell’altro, erano sicuri di non aver mai provato una felicità più pura e più vera.
Fugacemente pensarono entrambi che, infine, era incredibilmente facile amarsi, che nemmeno tutti quegli anni di rifiuti e freni, erano riusciti a intaccare il bello e il buono della loro unione; che i loro corpi erano fatti per amare l’altro e neanche l’inesperienza di una, o la troppa sicurezza dell’altro, toglievano spontaneità o naturalezza a ciò che stavano vivendo.
Eppure, in mezzo a quel turbine di emozioni e sensazioni, ormai quasi dimentichi del tempo e dello spazio in cui stavano vivendo, come sospesi, Kaori fu attraversata da un dubbio che la fece rallentare, e Ryo, percependo che qualcosa fosse cambiato in lei, ansante si fermò, quasi preoccupato.
Temeva di essere stato troppo avventato, affrettato, di averla spinta oltre i suoi limiti.
Kaori gli prese il viso con entrambe le mani, e lo guardò negli occhi, dove si vedeva riflessa.
Fu sul punto di tacere, di lasciar perdere e non dar seguito a quello che tanto avrebbe voluto chiedergli, perché vedeva l’amore nello sguardo di Ryo, che la stava amando con tutto sé stesso, e si sentì invasa da una forte consapevolezza, mai provata prima.
Ma Ryo, che aveva deciso che fra loro due non dovevano esserci più segreti, e che voleva essere certo che Kaori fosse sicura di ciò che stavano per fare, l’interrogò con lo sguardo.
Lei allora seppe che avrebbe dovuto parlare e togliersi quel peso dal cuore che le stava rovinando la notte più bella della sua vita; si era manifestato inaspettatamente e subdolamente dopo il primo bacio, e subito aveva cercato di scacciarlo dalla mente, ma poi era cresciuto a mano a mano che erano andati avanti ed ora non poteva più tacere.
Pertanto si decise a parlare, e gli chiese:
 
“Ryo… cosa farai dopo la tempesta?”
 
E nonostante l’uomo fosse nel bel mezzo di una fantastica bufera emozionale, non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni, capì subito cosa quella donna speciale gli stesse chiedendo, quindi rispose semplicemente:
 
“Dopo la tempesta, amore mio, continuerò ad amare solo te”.
 
E il mondo riprese a vorticare, nel turbine di mille sogni rimandati, nella confusione delle parole mai dette, nella calma dei sentimenti più antichi e forti, e finalmente quelle due anime gemelle si unirono, secondo le leggi della natura, secondo i dettami del cuore, e si fecero unico essere vivente, palpitante connubio di due semplici amanti perfetti.
 
 
 
 
 
Quando le prime luci dell’alba, timidamente, filtrarono dalle finestre oscurate, il tifone aveva già lasciato il posto ad un sole forte e splendente, in un cielo pulito e terso, ma un frammento di quella tempesta era ormai rimasto imprigionato nei cuori di Ryo e Kaori, pronto ad agitarsi ogni qual volta i loro sguardi si sarebbero incrociati.
Per sempre.


Ed eccoci alla fine di quest’altro mio delirio.
Grazie per la passione e l’interesse che avete dimostrato per la mia storiellina traboccante dolcezza – e speriamo che non sia stata troppo stucchevole -.
Grazie alle fedelissime che erano sempre in pole position, grazie a chi ha lavorato dietro le quinte alla mia ff, grazie a chi ha letto e commentato, a chi ha letto in silenzioso, a chi ha messo la storia fra le ricordate, preferite, seguite e anche a chi si ripromette di leggere prima o poi e non trova mai il tempo.
Grazie e basta!
Alla prossima, vostra affezionata Eleonora


 
   
 
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