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Autore: _Lightning_    11/02/2022    1 recensioni
«Non è lontano» lo rassicura.
Din non risponde, osservando le ombre che si fanno più dense attorno a loro con ogni passo. Ruusaan ha il visore dell’elmo a renderle meno spaventose, mentre Din fa schizzare qua e là le pupille, con la mano vicina al fodero della vibrolama.
Normalmente, una madre prenderebbe un bambino di undici anni per mano e lo guiderebbe nell’oscurità. Ma lei non è più una vera madre e Din non è più un bambino: sono entrambi Mandaloriani ed entrambi guerrieri. Sa che Din non le perdonerebbe un gesto simile, non più.
Così continua a guidarlo verso la Forgia, dove lo aspetta, forse, la promessa di una nuova casa.

[pre-The Mandalorian // Kid!Din // Kid!Paz // spin-off di "Vode An" // Missing moments]
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Din Djarin, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PREMESSA:

Cari Lettori,
questa storia vuole essere una serie di spin-off legati alla mia altra long, Vode An. Il focus è principalmente sull’infanzia/adolescenza di Din Djarin, sul suo rapporto con Paz Vizsla e in generale sul periodo che ha trascorso nella Tribù. Altri personaggi rilevanti sono Ruusaan Motir, mio OC e madre adottiva di Din, Azi Sten'ka, altro mio OC e comandante di una divisione della Ronda della Morte, e l’Armaiola della Tribù. La storia può essere parzialmente comprensibile anche senza aver letto Vode An, ma vi preannuncio che, in questo caso, è necessaria una buona conoscenza dell’ex-Universo Espanso di Star Wars o comunque del materiale sui Mandaloriani.

Vi avverto anche che c’è un’altissima presenza di Mando’a e altre conlang di Star Wars – deformazione professionale. Ciò che riporta un asterisco è di mia invenzione e ciò che trovate nelle note ha il relativo apice. Ammetto che questa storia è molto più leggibile su Wattpad, perché ho l’opzione di inserire le note direttamente a margine, quindi se preferite potete leggerla >>qui<< ♥

Ultima nota sulla "genesi": con la conclusione del Volume I di Vode An ho realizzando che molti passaggi, riflessioni e a volte interi capitoli che avevo progettato non hanno più spazio o senso d’esistere. Mi dispiaceva, però, non condividerli con voi, perché rappresentano una grossa parte del world building e dello sviluppo dei personaggi che, nella storia, vedete "già compiuto", con solo dei riferimenti più o meno incisivi. Potrete trovare alcune di queste parti nel Volume II, rielaborate, tagliate o così come sono, ma visto che si tratta di un progetto a lunghissimo termine volevo togliermi lo sfizio ♥
Magari solleverò nuove domande sui personaggi, magari ne risolverò qualcuna. A voi l’ardua sentenza

In ogni caso, scusate il papiro e buona lettura ♥


 


Capitolo I

“Ad’ika”




Il bambino non parla.

Sta seduto vicino al fuoco con una ciotola di zuppa stretta tra le mani e il cappuccio rosso abbassato a coprire gli occhi scuri, immobile. Non ha pronunciato una singola parola e tutti iniziano a chiedersi se non sia semplicemente muto.

Ruusaan sospira. Quel refolo d’impotenza si infrange all’interno dell’elmo con inaspettata forza. Il resto del suo squadrone sta approntando l’accampamento per la notte e altri fuochi da bivacco iniziano ad agitare le loro fiamme, sprizzando ampi ventagli di faville nel cielo notturno.

Di Azi non c’è traccia: sta probabilmente guidando la squadra di ricognizione nei dintorni di Aq Vetina per scovare ulteriori battaglioni di droidi nascosti tra i monti. La Ronda della Morte deve assicurarsi quel settore, prima che i Separatisti lancino un attacco più consistente.

Si rimangia il sospiro, simbolo di inconcludente indecisione, e lo tramuta in un respiro fermo. Si avvicina al bambino ad ampie falcate, con l’armatura che tintinna lieve e gli stivali che si imprimono nel terreno polveroso. Lui alza immediatamente la testa, accogliendo il suo arrivo con un mare nero di diffidenza a inondargli gli occhi.

Si dissipa non appena la riconosce con sguardo acuto, nonostante la sua armatura sia identica a quella di ogni altro membro della Ronda. Lascia posto a una quieta curiosità, seppur venata di circospezione.

«Hai mangiato» osserva Ruusaan, accovacciandosi di fronte al tronco sul quale è seduto per portarsi a livello col suo volto. «Bene, ad’ika. Devi riprendere le forze. Ti senti meglio?»

Il bambino abbassa brevemente lo sguardo sulla ciotola ormai vuota, per poi annuire un paio di volte, rapidamente. I suoi occhi neri tornano a fissare il suo elmo e, dopo un istante di smarrimento, trovano i suoi oltre il visore. Ruusaan lo osserva: non avrà più di otto anni, ma né il suo corpo né i suoi occhi li dimostrano. Sembra più piccolo nel fisico e più grande nello sguardo, in un contrasto doloroso.

È fin troppo tranquillo, per aver perso genitori e casa appena qualche ora fa. Ruusaan sa bene come funziona la perdita. Sa anche che quella non è ancora l’età in cui bussa prepotentemente alle porte dell’anima con la nitida realizzazione di quel che non c’è più. Forse, però, quell’assenza di voce vuol dire semplicemente che i suoi primi messaggeri sono arrivati prima di quanto avrebbero dovuto, suggerendo più maturità di quanto non dimostri il suo volto ancora paffuto.

Vuol dire che, sotto quella tunica rossa e lacera che avvolge un corpo magro di bambino, c’è già una scintilla guerriera, in grado di accogliere il beskar come una seconda pelle. Ci sarà tempo per capirlo. Per adesso, basterà mostrargli l’imbocco della Via e aspettare che sia lui a scegliere di intraprenderla.

Ruusaan porta una mano al collo, scostando l’orlo alto della tuta di volo, e tira fuori il ciondolo in beskar che porta celato sotto all’armatura. Allenta al massimo il legaccio, abbastanza da farlo passare sopra l’ingombro dell’elmo, poi mostra il pendente al bambino. Lui mette da parte la ciotola vuota e si china subito in avanti.

Il lucore delle fiamme sembra rendere liquida la superficie cromata del metallo. Le orbite del teschio sembrano animarsi e occhieggiare fameliche ad ogni scintillio.

«Sai cos’è?»

Il bambino corruga le sopracciglia, osservando meglio il ciondolo, poi scuote piano la testa.

«È un kyr’bes: un teschio di mitosauro. Erano draghi enormi che abitavano Mandalore molto tempo fa. È un simbolo di noi Mandaloriani, il più antico che esista... secoli fa, li domavamo per cavalcarli in battaglia.»

Gli occhi del bambino si sgranano appena, colmi di muto stupore. Ruusaan gli prende una mano, glielo preme nel palmo e richiude con dolcezza le sue dita sul metallo.

«È tuo, se vorrai. Puoi scegliere se tenerlo» gli spiega con pacatezza, racchiudendo in quelle poche parole e in quella mano infantile un intero Credo.

Non è così semplice, scegliere, non quando il mondo che ha sempre conosciuto gli si è sgretolato davanti in una frazione di secondo. Ma può aiutarlo a farlo e tendergli una mano, così come la Ronda l’ha tesa a lei molto tempo fa.

Il bambino, per ora, sembra solo affascinato dal piccolo manufatto. Lo rigira delicatamente tra le dita, studiandolo più da vicino con occhi intenti. Ne saggia il contorno, il profilo delle zanne smussate, segue l’incavo delle orbite allungate con la punta dell’indice, affatto impressionato dal ghigno minaccioso di quell’animale terrificante.

Ruusaan sa che ha capito cosa gli sta implicitamente chiedendo. Lo intravede nel modo quasi sacrale in cui lo maneggia, come se stesse cercando di imprimerlo nei palmi. Non sa, però, se la fiducia che dovrebbe offrirle in cambio sia rimasta in quel seminterrato, sbriciolata dalle esplosioni assieme ai resti d’infanzia di un bambino adesso taciturno, dagli occhi troppo adulti e neri.

Non si aspetta una risposta immediata. Adesso è ora di dormire e di assicurargli sogni tranquilli, per quanto possibile. Fa per alzarsi per accompagnarlo al suo giaciglio nell’accampamento ormai quasi allestito, ma si blocca sul posto. Il bambino si passa il laccio del ciondolo attorno al collo, facendolo scivolare sotto al cappuccio, poi lo stringe finché il beskar non si adagia al centro esatto del suo petto, in contrasto col rosso vivo del tessuto.

Alza di nuovo gli occhi verso di lei e Ruusaan, nella tenacia con cui quello sguardo si aggrappa al suo oltre lo strato di metallo, scorge un vivido sprazzo di cuore mandaloriano a illuminargli l’animo. La scintilla guerriera si fa più intensa, rosseggia al soffio lieve che le ha appena riservato e si fa fiammella flebile ma ostinata.

Ruusaan annuisce con solennità, un unico cenno dell’elmo che suggella quella decisione. Si rialza in piedi, torreggiando su di lui. Il bambino la guarda dabbasso senza la minima stilla di timore a inquinargli le iridi – la guarda solo come se fosse lei, a portare il suo intero mondo sulle spalle. Si scopre pronta a sostenerne il peso, così come ha sostenuto quello del bambino quando l’ha preso in braccio e portato in salvo. È un peso lieve, per ora, lieve quanto quello del ciondolo che lui porta al collo.

«Vieni, ad’ika?» lo chiama, con un segno del capo verso l’accampamento.

Il bambino annuisce e si alza saldo sulle gambe, il cappuccio che si scosta un poco dai capelli corvini. Abbassa lo sguardo sul suo nuovo ciondolo e lo stringe a controllare che sia ancora davvero lì. Poi storce lievemente la bocca, come contrariato, e trova di nuovo i suoi occhi dietro l’elmo, con infallibile precisione.

«Din» pronuncia con fermezza, sorprendendola con la sua voce.

È ancora acuta, anche se già sporcata dal fumo, ma dietro a una patina di gravità si cela una nota più morbida, gentile. Le ci vuole un attimo, per riprendersi dallo stupore e capire che quello è il suo nome.

«Din» ripete quindi attraverso un sorriso, accettando quell’implicita richiesta.

Din’ika.

«Io sono Ruusaan. Ma puoi chiamarmi Ruu.»

«Ruu» ripete subito lui, con naturalezza spiazzante.

Ruusaan sa che non è davvero lei, a pronunciare le successive parole. È la Ruusaan di molti anni fa, quella che non aveva ancora perso niente di troppo vicino al cuore. Ma è anche la Ruusaan di adesso, che l’ha appena ritrovato.

«Vuoi che ti racconti qualcosa sui mitosauri, prima di dormire?»

Din inclina timidamente il mento verso il basso, trattenendo un sorriso fugace come un pensiero. Fa cenno di sì. Lancia un’occhiata fulminea al buio, verso casa. Poi cerca la sua mano e vi si aggrappa. Ruusaan trattiene il fiato, con un sobbalzo sotto alla corazza. Stringe appena la presa. Forse non deve mostrargli la sua Via, ma semplicemente accompagnarlo lungo la propria.

Lo guida per mano e Din la segue, due sagome che avanzano appaiate nella notte, tra i fuochi da bivacco e i canti Mandaloriani che la riempiono.

 

Note&Glossario:

ad'ika:
bambino/figlio. Termine affettuoso (tutto ciò che in Mando'a termina in 'ika è un vezzeggiativo/diminutivo).

Piccole precisazioni: il passato di Ruu troverà lumi nella long principale, ma qualunque riferimento abbiate notato/noterete in questa e le future shot è assolutamente coerente con essa. Questa shot fa un po’ parte a sé, essendo nata molto prima della stesura di alcune parti di Vode An, ma non vi sono discrepanze evidenti, se non ai miei occhi :P

L'aesthetic/banner qui sotto è opera mia e riporta il vecchio titolo, Mando'ade (Figli di Mandalore) che è poi diventato il titolo del Volume II di Vode An – tanto perché non riesco a tenere un'idea per più di due secondi :D
Grazie a chiunque abbia letto fin qui ♥

-Light-

 Questa shot fa un po' parte a sé, essendo nata molto prima della stesura di alcune parti di Vode An, ma non vi sono discrepanze evidenti, se non ai miei occhi :P

 

 

   
 
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