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Autore: Sasita    15/02/2022    3 recensioni
"You changed me Dean... because you cared, I cared. [...] I love you"
Storia post series finale, dove finalmente Dean fa i conti con i suoi sentimenti e con l'angelo che ha cambiato, e l'ha cambiato, per sempre.
Tutti noi vorremmo che l'ultimo episodio non fosse mai stato girato, almeno non in quel modo. Dean in paradiso, in attesa di Sam, una distanza imbarazzata tra tutti i personaggi e un grande, sofferente, insostenibile vuoto. Non bastano un sorriso e un sospiro alla menzione di Castiel a colmare la lacuna lasciata dalla sua assenza, a dare pace a un tormento che si protraeva da fin troppi anni, e che troppo a lungo ha accompagnato Dean e Castiel nella scoperta di sé stessi, e del loro vero essere. Ma se tra il momento in cui Dean ha salutato Bobby in Paradiso per mettersi in viaggio, e quello in cui Sam l'ha finalmente raggiunto, non fosse passato così poco come l'episodio lascia intuire? Il tempo passa diversamente in Paradiso, ma Dean non può scappare da sé stesso, e non può scappare da colui che, per undici anni, l'ha amato e protetto sacrificandosi per lui senza remore.
Genere: Avventura, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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NdA. Nel caso in cui voleste ascoltare la canzone che ispira questo capitolo, e che accompagna Dean nel suo flusso di coscienza, vi lascio il collegamento a YouTube. E ovviamente, come sempre, nè i personaggi, nè le loro azioni, nè il copyright, e neppure la musica sono di mia proprietà.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!

 


CAPITOLO I

(Death) is a highway

 

"That kid of yours before he went... wherever, made some changes here. Busted my ass out. And then he -- Well, he set some things right. Tore down all the walls up here. Heaven ain't just reliving your golden oldies anymore. It's what it always should've been. Everyone happy. Everyone together. Rufus lives about five miles that way -- with Aretha. Thought she'd have better taste. And your mom and dad... they got a place over yonder. It ain't just Heaven, Dean. It's the Heaven you deserve. And we've been waiting for you.”

 

“So Jack did all that…”

 

“Well… Cas helped. It’s a big new world out there… you’ll see. You have everything you could ever want, or need… dream. So I guess the question is… what are you gonna do now, Dean?”

 

“Well, I think I’ll go for a drive…”

 

 

Il ruggito del motore cullava la mente di Dean lungo quella strada sconosciuta, eppure così familiare. L’impala sembrava ancora più splendente in Paradiso di quanto non fosse mai stata sulla Terra, e probabilmente lo era davvero. La carrozzeria era liscia e lucida come uno specchio nero, le manovelle dei finestrini giravano perfettamente oleate, il volante era morbido e levigato, ma privo di qualunque imperfezione. I sedili, poi, avevano perso tutta quella patina di vecchiaia che si era accumulata nel tempo, per quanto Dean avesse sempre trattato la sua macchina come un tempio: niente più fori di proiettile, graffi di coltelli o artigli, niente vecchie macchie di sangue e sudore sulle cuciture. Difetti a parte, tutti quelle caratteristiche che facevano dell’impala la sua Baby c’erano ancora, aveva controllato. Dopo essere montato in groppa alla sua piccola ed aver guidato per un po’, Dean si era fatto curioso, e l’aveva perlustrata tutta da cima a fondo. C’erano ancora il soldatino di Sam incastrato nel posacenere dello sportello posteriore, i lego di Dean persi nell’aeratore, le loro iniziali incise nel retro. Per quanto gli sembrasse che la macchina “volasse” sull’asfalto umido su cui viaggiava, non c’erano differenze nemmeno nel motore: un 327 con carburatore quadricorpo e 275 cavalli di pura potenza. Una macchina elegante, eppure possente. Non per nulla l’avevano scelta come base per progettare la Batmobile. Dean si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto accarezzando il volante con entrambe la mani. E poi, quell’impala era casa: lì sopra ci era cresciuto, ci aveva cantato, viaggiato, dormito, amato, sbagliato, ucciso. Era stata il tetto di lui e Sam quando non avevano una dimora fissa. Certo, una mancanza quella versione celeste ce l’aveva: l’artiglieria. Non c’era traccia, nella sua impala 2.0, di armi o simboli protettivi; neanche un filo di scolorita vernice bianca. C’era un solo, piccolo bossolo, incastrato tra il tappetino e la scocca interna che nasconde lo pneumatico, in un angolo del bagagliaio. Era abbastanza sicuro che anche quello fosse un ricordo, però, solo che non riusciva a farsi venire in mente di cosa. Forse non era neanche un suo ricordo. Se ciò che aveva detto Bobby era vero, quello non era il suo paradiso, ma il paradiso di tutti. Anche quello di Sam, di suo padre, di sua madre. “Chissà”, pensò, dopotutto, aveva l’eternità per rimuginarci. 
Al pensiero dell’eternità sul suo viso passò un’ombra. Era qualcosa a cui aveva cercato di non pensare per tutto il brevissimo tempo che aveva passato in Paradiso fino a quel momento. Neanche un giorno, o almeno così gli era sembrato, ma poi vai a sapere come l’avrebbe dovuto quantificare. Per un attimo il sorriso beato che l’aveva accompagnato in quella tranquilla corsa in macchina si contrasse fino a trasformarsi nella sua tipica espressione frustrata di quando non capiva qualcosa; i tendini della mandibola si contrassero facendo sbucare quella fossetta che gli aveva fatto conquistare tanti trascorsi tra le lenzuola, e le sopracciglia si aggrottarono sugli occhi fissi sulla strada. Deglutì. In un riflesso involontario si passò una mano sulle labbra e sul mento e poi la scosse per liberarsi il polso dalla giacca e guardare l’orologio, che era inevitabilmente fermo. Facendosi ridere da solo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. 
«Idiota», si disse. 
Inspirò profondamente. Dal finestrino abbassato filtrava una brezza primaverile che gli scompigliava i capelli castani chiari, e il sole si rifletteva come tanti piccoli cristalli sulla sua pelle ruvida baluginando attraverso il paesaggio circostante. La conversazione con Bobby gli rimbalzava nella testa: già, che avrebbe fatto adesso? Non sapeva nemmeno perché il suo primo pensiero non fosse stato quello di andare a trovare i suoi genitori, o gli amici di una vita. L’avrebbe fatto, questo era sicuro, ma per il momento preferiva guidare. Dove, non lo avrebbe saputo dire con certezza. Non avrebbe saputo dire neanche dove si trovasse esattamente; non era sicuro che il Paradiso ricalcasse dei luoghi della Terra, o se piuttosto fosse stato ricreato da zero dalla fantasia di Jack e Castiel. 

Quel nome conflagrò come un tuono nella sua testa, costringendolo a rallentare. Quando Bobby l’aveva nominato, una pietra gigante si era sollevata dal suo cuore. Certo, Sam era una delle mancanze che sentiva di più, ma nel profondo della sua anima beata sapeva che l’avrebbe rivisto quando aveva accettato la morte. Mentre per quanto riguardava Castiel, era convinto di non potergli mai più parlare, di non poterci più scherzare, di non poter più fare quei loro stupidi giochetti. Eppure, nonostante si fosse sentito sollevato, subito dopo si era propagata in lui una sensazione di ansia che non gli permetteva di pensare all’angelo, anzi non voleva proprio: farlo gli apriva uno squarcio tra le costole, lasciandolo ferito come dopo una coltellata. E sapeva esattamente cosa si provava con una coltellata. Eppure non pensare a Castiel era come cercare di non pensare a un elefante: il suo pensiero gli riempiva la mente gonfiandosi sempre di più, schiacciando e spingendo tutto il resto ai confini. Aveva fatto di tutto per non pensare a Castiel, prima e dopo quel maledetto chiodo nel muro. Prima di morire aveva relegato il suo nome nell’angolo più remoto della mente perché il dolore di saperlo abbandonato al nulla per l’eternità, immune ad ogni emozione, ad ogni ricordo, ad ogni stilla di esistenza, era troppo forte, un tormento che non voleva e non poteva concedersi. E dopo che si era ritrovato in Paradiso aveva comunque cercato di non pensarci, forse perché non riusciva a metabolizzare il loro addio, quello che Cas gli aveva detto, la sofferenza lacerante che gli aveva procurato vederlo risucchiato dal nulla. Forse era per questo che la prima cosa che aveva fatto era stata salire in macchina e viaggiare senza meta. Lui non stava guidando, comprese all’improvviso, stava scappando. Per quanto fosse stupido il suo comportamento, stava fuggendo dall’enorme elefante che continuava a creare scompiglio nella sua mente, ovviamente senza successo. Eppure anche se avesse voluto pensarci, Dean non sapeva cosa pensare. La sua mente si soffermava sulle cose più stupide, sui ricordi più insignificanti, quasi facesse zapping tra le scene di una serie tv. 
Castiel che scopriva il porno sul ragazzo delle pizze. 
Castiel che lo guardava inquietantemente mentre dormiva. 
Castiel che non capiva mai una battuta, un riferimento a un film, una canzone, una maledetta citazione anche banale.
Castiel e le sue uscite imbarazzanti, fuori contesto, in ogni occasione. 
Castiel e il suo badge ridicolo da agente Beyoncé, che si ostinava ogni singola volta ad aprire al contrario. 
Castiel, che non aveva bisogno di imporre le mani sul corpo degli altri per guarire, ma a lui l’aveva sempre toccato per farlo.
Castiel, che era morto più volte di quante se ne potessero sopportare, ma era sempre ricomparso in un modo o in un altro, ma che ad ogni dipartita più o meno lunga apriva una voragine nel cuore di Dean, mettendogli sempre più davanti agli occhi la realtà dei suoi sentimenti.
Castiel che lo tradiva.
Dean scosse la testa, cercando di scacciare quell’elefante. Se avesse continuato a rimuginare sarebbe caduto in un loop depressivo e non voleva farlo. Dopotutto era convinto che se Castiel avesse voluto trovarlo, l’avrebbe fatto a prescindere da quanto lui lo desiderasse o lo fuggisse. Se avesse voluto fargli sapere che stava bene, che era vivo, sarebbe sceso sulla Terra per farlo senza che uno stupido chiodo lo dovesse ammazzare. Se non l’aveva fatto aveva sicuramente le sue ragioni, e comunque lui non era certo di essere pronto ad affrontarlo, quindi meglio così.
Il petto gli si fece pesante a quel pensiero, così cercò di distrarsi guardando fuori dal parabrezza, dritto davanti a sé, mentre la strada che si apriva graziosamente su un paesaggio quasi fiabesco: sulla destra, al di là della corsia opposta a dove guidava, si estendeva un bel boschetto di aceri campestri e rossi, alternati ad alti larici. Il sole si rifrangeva sulle foglie creando un gioco di colori che trasformava tutto in un caleidoscopio. A sinistra, dal suo lato della strada, una bassa staccionata di legno levigato incorniciava un declivio sempre più profondo, coperto da una distesa di fitta erba verdeggiante qua e là punteggiata di piccoli arbusti fioriti. Non riusciva a capire cosa ci fosse più avanti, l’erba e le piante nascondevano l’orizzonte alla vista, ma gli pareva di veder luccicare qualcosa. Quel posto era veramente bello, non si poteva negare, e la precisione di ogni dettaglio era disarmante: addirittura la radio suonava bassa una qualche canzone heartland rock, di quelle perfette per guidare attraverso posti nuovi e godersi ogni singolo istante. Con un respiro profondo alzò il volume e si concentrò tutto sulla musica, cercando di scacciare i fantasmi che la sua mente si ostinava ad evocare. All’inizio del bridge che apriva il ritornello i suoi occhi si accesero, e le parole gli esplosero nella testa costringendolo a cantare a squarciagola come amava fare da vivo. 
«Accidenti, adoro questa canzone!», disse tra sé e sé, inglobando tutta l’energia che le note di Life is a Highway dei Rascal Flatts gli infondevano. «2008… che periodo! Sembra passata una vita». Ed effettivamente era passata davvero.


We won't hesitate
To break down the garden gate
There's not much time left today, yeah


Le dita di una mano tamburellavano sul volante, e quelle dell’altra sulla carrozzeria dello sportello, mentre l’aria gli accarezzava il cuore, facendolo sentire molto più vivo di quanto non si sentisse da tempo. Per quanto ossimorica potesse essere un’idea simile: ci si poteva sentire più vivi da morti che in vita? 

 

Life is a highway
I wanna ride it all night long
If you're goin' my way
Well, I wanna drive it all night long

 

Una miriade di ricordi si affastellarono di nuovo davanti ai suoi occhi, sprigionati dal potere della musica. È incredibile come delle note possano risvegliare qualcosa che esiste addormentato in un cassetto della mente, trasformandosi in Deja-vu. Si ricordò che l’ultima volta che aveva sentito quella canzone era in viaggio con Castiel, stavano tornando da un caso verso cui avevano guidato perché Dean si era rifiutato si farsi teletrasportare dall’angelo, che di contro aveva mantenuto un atteggiamento insofferente per tutto il tempo, lamentandosi di come avrebbero fatto più veloce se solo lui fosse stato meno… com’è che aveva detto? Delicato, o qualcosa di simile. Aveva alzato il volume della musica come in quel momento e si era goduto la strada, mentre l’altro piano piano sembrava dimostrare un maggiore apprezzamento, quanto meno per la canzone se non per la sua guida. Una miriade di altri ricordi vissuti con lui ripresero a sfarfallargli nella testa. 
Castiel che gli teneva il broncio dai sedili posteriori, offeso dalla sua mancanza di… cos’era? gratitudine, già.
Castiel che lo guardava di sbieco dopo l’ennesimo battibecco, o che alzava gli occhi al cielo per qualche sua stupida freddura.
Castiel che lanciava un’altra delle sue bombe cosmiche su lui e Sam, o che perdeva e ritrovava i suoi poteri nelle situazioni più inopportune.
Castiel quando aveva conosciuto sua madre Mary.
Castiel quando aveva scoperto il sapore degli hamburger, e si era ubriacato con un paio di birre flirtando con lui.
Un lieve rossore si diffuse sulle sue guance illuminate dalla luce dorata del sole, e una strana sensazione di vuoto si impossessò del suo stomaco. «Oh, per la miseria, non sei una ragazzina…», si rimbrottò.

 

There's no load I can't hold
A road so rough, this I know
I'll be there when the light comes in
Just tell 'em we're survivors

 

Dean scosse lievemente la testa. Il panorama accanto a lui stava lentamente prendendo l’aspetto di una macchia verde nei pressi di un litorale, ma ancora non riusciva a scorgere altro che alberi, erba, terra, colline e montagne solcate da quell’asfalto tanto simile a quello su cui aveva viaggiato milioni di volte, con così tante persone da non riuscire quasi a contarle tutte. Appena avesse avuto la forza e la voglia di fermarsi avrebbe dovuto fare una lista, si disse nel tentativo di distrarsi: Bobby l’aveva già visto, ma sicuramente avrebbe dovuto godersi ben più di una birra scadente in sua compagnia, poi suo padre, sua madre, Charlie, Ellen, Jo, Pamela, Kevin - Jack doveva sicuramente averlo portato in Paradiso -, Rufus, Missouri… Castiel. Gli sfuggì un grugnito.
Gli tornò in mente la prima volta che l’aveva visto, e la bruciatura che gli aveva lasciato sulla spalla salvandolo dalla perdizione dell’inferno. E poi gli tornò in mente quella terribile ora del loro addio, e l’impronta insanguinata che gli aveva stampato sulla giacca. Non l’aveva lavata, non aveva mai avuto intenzione di farlo. Chissà se Sam l’aveva fatto al posto suo. Strano quel parallelismo, pensò: il loro inizio e la loro fine avevano sempre avuto un filo conduttore. Il tocco che secondo gli altri angeli l’aveva reso perduto, e che secondo Castiel l’aveva cambiato per renderlo qualcuno di migliore.
Dean si passò di nuovo una mano sul viso, cercando un conforto che non riusciva a trovare. L’auto continuava a sfrecciare sull’asfalto quasi a ritmo di musica, e quasi senza accorgersene si insinuò in una galleria barba e ben illuminata, che si estendeva nella montagna in un percorso curvilineo. Nel petto sentiva un’emozione particolare, indecifrabile. Era un miscuglio di pienezza e vuoto, di soddisfazione beata e di mancanza raggelante. Forse non era neanche un’emozione vera e propria, ma piuttosto uno stato d’animo confuso.

 

Life is a highway
I wanna ride it all night long (whoo!)
If you're goin' my way
I wanna drive it all night long (all night long)

 

L’ennesimo ricordo gli riaffiorò alla mente; era il momento decisivo in cui avrebbe dovuto definitivamente ospitare Micheal nel suo corpo, come tramite designato. Gli angeli l’avevano preso, era finita: gli restavano solo i suoi hamburger preferiti da mangiare; un ultimo pasto da condannato a morte. Ma Castiel era arrivato, aveva tradito tutto ciò che conosceva, tutto ciò in cui credeva, per lui. Si era sacrificato per la prima di una serie troppo lunga di volte, per lui. E quante altre volte era successo? Anche quando l’aveva tradito, Castiel l’aveva fatto solo e soltanto per proteggere lui e di conseguenza tutti gli altri. Il dolore di quando era stato sicuro di averlo perso veramente per l’ultima volta, e l’aveva compianto come si dovrebbe fare per un compagno, per l’amore della propria vita, si riversò tutto nel suo cuore. Erano ad un solo passo dalla vittoria, dall’aver intrappolato Lucifero nell’altra dimensione, Cas era tornato attraverso la fessura. E poi era esploso nella sua stessa luce abbacinante, colpito alle spalle. Dean non si era neanche curato di cosa stesse accadendo intorno a lui, si era dimenticato di Lucifero, di Sam, di sua madre, del Nephilim che stava nascendo, ed era caduto in ginocchio per il pensiero di non avere mai più la possibilità di stringere Castiel in un abbraccio per l’ultima volta. Era certo che fosse la volta definitiva, e si era buttato nell’alcol, era affogato nel dolore. Poi Castiel era tornato come sempre, ma mai Dean aveva provato una disperazione più grande di quella, paragonabile solo a quando aveva perso Sam, eppure diversa.
Una fitta gli trapassò le costole. Non era più capace di trattenere i suoi pensieri. 
«E pensare che ho trattenuto un arcangelo racchiuso nella mia testa per mesi», si schernì. «E non riesco a smettere di pensare a questo, maledizione», imprecò.
Quante volte l’aveva deluso? E quante volte l’aveva protetto? Quante volte si erano sacrificati a vicenda, in una costante commistione di autoannullamento ed egoismo, di paura e rabbia, di possessività e libero arbitrio? Immagini e parole apparivano come illuminati da fulmini improvvisi, nella sua mente. Ad ogni sacrificio, ad ogni avventura mortale che avevano vissuto insieme, ad ogni perdita, ad ogni ritrovamento, Dean si era sentito sempre più incapace di separarsi da Castiel. Non poteva negarlo. E l’ultima volta che l’aveva visto morire - o meglio, la penultima - aveva sentito uno strappo talmente forte dentro di sé da aver creduto fermamente, per un po’, di non riuscire più a tornare intero. Poi quando era tornato per un po’ tutto era sembrato perfetto, una vittoria, finalmente. Ma tra di loro non era mai niente perfetto: c’era sempre qualche contingenza che cambiava le cose, qualche stupidaggine, qualche omissione, qualche bugia, qualche orribile discussione in cui l’uno o l’altro finivano per dirsi cose terribili, che ferivano molto più di una pallottola. Forse anche per questo Castiel aveva ragione quando gli aveva detto che di tutte le cose in cui credeva, di tutte le cose che erano state il frutto della manipolazione di Chuck, ce n’era una che credeva fermamente vera: loro due.

 

There was a distance between you and I (between you and I)
A misunderstanding once
But now we look it in the eye, ooh, yeah
Mmm, yeah (whoo!)

 

Gli scappò un sorriso nervoso: quella canzone era veramente azzeccata. O magari erano i suoi pensieri che si stavano conformando alle parole, pensò. Comunque fosse, quella distanza e quelle incomprensioni che c'erano state tra lui e Castiel erano solo il passato. L’ultimo incontro in Purgatorio aveva sgomberato dalle nuvole degli errori passati il cielo del loro rapporto di… cosa? amicizia? fratellanza? amore? Un nodo gli chiuse la gola a quella parola, e Dean fu sollevato quando il suo flusso di coscienza venne interrotto dalla luce che finalmente si allargava dal fondo della galleria. Curioso di scoprire cosa lo aspettava dall’altra parte si sporse tutto in avanti, in attesa di vedersi svelare quel nuovo panorama. Non era assolutamente pronto alla vista che gli si aprì quando quel sole celestiale sbucò di nuovo attraverso la pietra. All’iniziò rimase accecato dal biancore della luce che si rifletteva abbacinante alla sua sinistra, ma quando mise a fuoco la bellezza di quel posto lo colpì quasi come uno schiaffo, distogliendolo del tutto dalla canzone e dai suoi pensieri erranti: alla sua destra c’erano ancora gli alberi vibranti nel vento, ma a sinistra la china si era trasformata in una discesa gentile che si perdeva nel mare, su cui il sole sembrava sul punto di tramontare senza nuvole o foschia a schermarne lo spettacolo. Era un golfo stretto, con in basso una spiaggia dorata rinchiusa da alte scogliere di pietra candida che si tuffavano nell’acqua. Non era un paesaggio estremo o altro, ma era talmente straordinario che lo catturò come raramente gli era capitato. Di colpo si sentì euforico e percepì la necessità di fermarsi; senza esitazione cercò uno spiazzo da godersi quella vista, alzando la musica che intanto scemava sull’ultimo ritornello, prima di passare alla canzone successiva.

 

Life is a highway
I wanna ride it all night long
(Yeah, I wanna drive it all night long, baby)
If you're goin' my way (if you're goin' my way)
I wanna drive it all night long (all night long)

 

Non ci volle molto per trovare un punto dove fermarsi; anche se, doveva ammetterlo, probabilmente avrebbe potuto tranquillamente lasciare la macchina in mezzo alla strada, tanto non avrebbe disturbato nessuno. Quel luogo sembrava deserto, il che era sconvolgente pensando a quanta gente doveva essere morta nel corso della storia dell’uomo.
Insomma, erano tutti all’inferno per caso? Oppure il nuovo Paradiso era così esteso da contenere decine - o centinaia, magari? - di miliardi di anime senza che queste si incrociassero affatto? Sull’onda di quello strambo pensiero lasciò la macchina accesa per farsi cullare dal beat che mescolava la canzone appena finita con quella che stava seguendo. Scese chiudendosi lo sportello alle spalle con il finestrino abbassato, aprì il bagagliaio, spalancò il mini frigo e afferrò una bella birra ghiacciata, tutto senza staccare gli occhi dal sole infuocato all’orizzonte, ripetendo movimenti automatici che aveva già compiuto altre mille volte. Il tappo saltò con un singolo gesto, e il liquido dorato gli scese in gola prima ancora che Dean arrivasse ad appoggiare la schiena alla carrozzeria. 
Quante volte si era fermato con Sam a godersi un momento di pace davanti a un tramonto o ad un’alba? E quante volte l'aveva fatto anche con Castiel, o anche con Jack, o con sua madre o suo padre? Di tutti i momenti che ricordava, di tutte le avventure, le tragedie, i dolori, ma anche le risate, le sciocchezze, le follie, alcuni dei suoi ricordi più belli si svolgevano proprio in attimi di pura quotidianità come quello. Un sorriso, una parola di conforto, uno scambio di opinioni davanti a una qualunque cosa da mangiare o da bere. Solo loro e il mondo, senza pensare almeno per qualche istante al bastardo di turno che cercava di ammazzarli. Gli venne in mente quando Castiel si era riuscito anche ad insinuare nei suoi sogni, trovandolo intento a pescare beato in un laghetto. Un sorriso gli si stampò sul viso: Castiel non mancava mai di invadere il suo spazio personale. Eppure col trascorrere del tempo si era tanto abituato che era proprio quando non accadeva che si sentiva più solo. Un sospiro gli uscì dalle labbra appena schiuse, il calore gli riscaldava gli zigomi abbronzati. Voleva solo concentrarsi su un tramonto, non gli sembrava di chiedere molto dopotutto. Anche se ne aveva un’infinità ancora da vedere, il primo tramonto in paradiso non poteva certo perderselo, no? Inspirò più volte, rilassò le spalle e poi chiuse un istante gli occhi per imprimersi addosso quella sensazione di beatitudine un po’ acciaccata, ma pur sempre piacevole, incrociando i piedi a terra per trovare una posizione comoda mentre un altro sorso di birra gli scorreva sulla lingua.

«Ti godi il panorama, Dean?»

Quel sorso non oltrepassò mai l’epiglottide.










TO BE CONTINUED
 

   
 
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