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Autore: _Kalika_    23/02/2022    0 recensioni
三つの魂、一つの話
Three souls, one story.
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Izou era sopravvissuto alla prima notte. E anzi, dalla seconda notte in poi si era perfino rilassato abbastanza da addormentarsi. Sembrava che Marco non fosse intenzionato a ucciderli. E se Izou non fosse stato così convinto di trovarsi di fronte a un nemico, avrebbe anche potuto trovarlo piacevole fin da subito.
*
Era guerra. Era scoppiata per davvero, alla fine. Lo aveva appena ritrovato ed era guerra.
*
«Koala, è complicato.»
«Ah certo, è complicato! Te lo dico io cosa è complicato! Hai pensato che fosse in punto di morte e hai voluto esaudire un suo desiderio, non è così? Hai pensato “Che sarà mai, tanto non dovrò più vederlo!” e invece no, è sopravvissuto, e adesso non vuoi neanche pensare di prenderti le tue responsabilità!»
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Samurai! AU
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*Questa fanfiction partecipa al WeekEnd of Pride 2021 indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 1)
*Questa fanfiction partecipa allo Yaoi&Yuri Weekend 2021, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 2)
*Questa fanfiction partecipa al Crack&Sfiga Ship Day 2022, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 3)
Genere: Angst, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Barba nera, Izou, Koala, Marco
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Nota dell'autrice: questo capitolo subirà grandissimi cambiamenti. Non so quanto tempo ci vorrà ma vi chiedo di pazientare e non leggerlo fino a quando questo avviso non scomparirà!
Ne varrà la pena!
Grazie per la comprensione :)
Kalika



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*Questa Fanfiction partecipa al Crack&Sfiga's Day 2021, indetto dal forum FairyPieceForum*
 


 
Mitsu no tamashii, hitotsu no hanashi

三つの魂、一つの話



Non faceva più freddo.
Certo, la terra era scomoda e il vento ancora soffiava ed erano pieni di polvere e sporcizia, ma sotto la coperta e in mezzo a loro due il freddo non lo sentiva più. Strofinò appena le mani tra loro per levare l'ultima parvenza di brivido e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal rumore del bosco.
Quando non c'erano pericoli, il bosco mostrava sempre un fascino nuovo a chi sapeva ascoltarlo. Non c'era affatto silenzio; le fronde si muovevano in continuazione, anche quelle dell'albero sotto cui si erano riparati: gli uccelli borbottavano, tutto fremeva di passi e squittii e ticchettii.
Il naso era ancora un po' freddo. Si strinse a Izou, strofinando il viso contro di lui. Nell'istante in cui sentiva che allungava la mano per tirare più su la coperta, dall'altro lato si allungò un braccio. Sfiorò appena la spalla di Koala e continuò verso l'obiettivo, strappando - lo sapeva senza neanche aprire gli occhi - un sorriso al destinatario con una carezza.
Sentì come un rumore frusciante: schiuse appena un occhio e vide la mano chiara di Marco affondare tra i capelli di Izou, giocherellare con le ciocche lunghe e dirigersi verso il viso.
Ah, l'amore.
Non avrebbe mai capito cosa ci trovassero nel mettersi le mani in faccia pieni di terra, ma finchè era felici buon per loro. Anzi che trovavano ancora le forze per giocare tra loro. Lei era stanchissima, e non si smosse neanche al sentire il busto di Marco alzarsi da terra per superarla e avvicinarsi a Izou.
Lo schiocco di un bacio e Koala già sentiva il cervello spegnersi.
Una risata soffocata che era quasi uno squittio, uno "sssshh!" quasi più divertito dell'altro, un paio di altri baci e poi divenne tutto ovattato, mentre il cuore di Izou a due passi da lei partiva al galoppo.
Buon per loro, buon per loro.




«Ma-ma quindi Marco era una spia? Una spia dei Kurozumi??»
Il secondo veterano incrociò le braccia. Sembrava quasi fiero di aver acceso la discussione, e se ne rimase a osservare il ragazzino senza verbo proferire per un po'. «Non giungere a conclusioni affrettate.»
«Che gli Shirohige fossero un pericolo per l'Alleanza non era un segreto» commentò l'altro samurai grattandosi la fronte. «Non penso ci sia modo di rigirare la frittata...»
«In che senso non era un segreto? Era Izou che ne era convinto, all'inizio, ma mica era vero!» Il ragazzo si accigliò. Marco non era un pericolo! Come poteva esserlo? «...giusto?»
«Ragazzo, te lo chiedo di nuovo.» Questa volta fu l'uomo con la benda ad attirare l'attenzione. «Che cosa diavolo hai studiato di storia prima di arrivare qui?»
L'altro lo guardò spaesato. «Io... storia? Che c'entra?»
«No, aspetta» il secondo veterano si schiodò a bocca aperta. Sembrava quasi arrabbiato. «Stai dicendo che hai ascoltato tutto questo racconto senza sapere il ruolo degli Shirohige nella guerra?»
«Eh? ...Sì? Chi l'ha mai studiata la guerra, è già tanto che so che i Kurozumi sono i cattivi!»
«Bene. Fine della storia, allora. Devi prima imparare tutto l'essenziale riguardo...» 
«Aspetta, aspetta, Quintiliano.» Lo interruppe l'uomo con la benda, il sorriso tornato al solito posto. Chissà dove aveva vissuto per trovare divertente chiamare uno sconosciuto "Quintiliano". Chissà per che motivo, poi. Chi era Quintiliano? «Propongo di continuare la storia. Non sarà più divertente vedere la sua reazione? E poi, non c'è metodo più efficace per imparare qualcosa che associarlo alle emozioni.»
«Sì, vai avanti!»
«Spero solo che la tua generazione non sia tutta come te...» Il secondo veterano borbottò e si rivolse all'altro samurai. «Ti lascio la parola, allora. Torniamo a Koala.»
«No, continua tu» Lo invitò l'altro, un sopracciglio alzato. «Le tue rivelazioni stanno riscuotendo parecchio successo, a quanto vedo. Aggiungerò ciò che so più tardi.»
«Se insisti...»




«Marco è un ragazzo gentile, onesto. Sarà efficiente e insospettabile.»
Vista l'aveva sentito borbottare tra Kurohige e Lafitte, poi l'aveva confidato ad Halta, che l'aveva raccontato a Jozu che l'aveva spifferato a Thatch e così era arrivato anche a Marco.
Cosa significasse quell' "insospettabile", per un po' non l'aveva capito nessuno.
Quello che era sicuro era che Marco sarebbe partito. Non solo Marco, in realtà: da quando il capoclan si era ammalato, i progetti per entrare in quel nuovo progetto delle squadre a più clan aveva iniziato a serpeggiare in ogni divisione.
Perciò, Marco sarebbe partito e andato a Baltigo.
A Baltigo, e poi a Kuri.
Ogni tanto, sarebbe tornato a Sphinx. Con una missione ben chiara in testa, che gli era stata spiegata tra il fumo e l'alcool della tenda.
«Sì che ascoltavo» si sentiva dire quasi come non fosse lui a parlare, «è che non ho mai visto dal vivo un Kozuki. Conoscevo la vostra eleganza solo per sentito dire.»
Sii gentile, gli aveva detto Kurozumi. Lo sarebbe stato in ogni caso, e allora perchè gli sembrava così disonesto?
Diventa loro amico, gli serpeggiava in testa.
Come se non avesse voluto farlo! Come se non avesse voluto sapere cosa mangiavano, come vivevano, cosa avevano visto e sentito fino a quel momento!
E la cosa peggiore era che lo sapevano.
Lo vedeva, in quegli occhi scuri, il sospetto radicato fin dentro al midollo. Lo vedeva che lo trattava alla stregua di una pallida copia di ciò che era, un impostore e una minaccia.
E proprio per questo quasi aveva voglia di allontanarsi, di non legare con loro, ma un ordine era un ordine e Marco aveva pur sempre solo sedici anni. Chissà cosa sarebbe successo se non avesse obbedito.
«Com’è il cibo a Kuri? Piccante come qui?» Amici. Amici. Amici.
Cercava di fare amicizia e Izou restava diffidente. E faceva benissimo. Così sarebbe stato perfetto.
Così lui avrebbe provato a essere gentile, a diventare suo amico, e Izou avrebbe continuato con la sua ostinata chiusura e non avrebbe potuto carpirgli nessuna informazione. Perfetto, perfetto!
Marco tornava a Sphinx e diceva poco. Diceva che ancora non si fidavano di lui e che quindi i piani alti non li aveva mai incontrati; diceva che c'era diffidenza, e che le informazioni militari di Kakumei e Kozuki erano ancora un segreto irraggiungibile.
Era spaventoso, Kurohige, perchè perdeva la pazienza. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, pretendeva di sapere di più e Marco si trovava, suo malgrado, a scavare a fondo.
Così sapeva quanti samurai c'erano tra le fila dei Kakumei, e da quanti consiglieri era attorniato il padre di Izou, e intanto scopriva anche il cibo preferito di Koala e imparava a chiamare per nome i fratelli di Izou.
Così era stato. Così era andata, almeno per i primi mesi.




Il giorno dopo avrebbero attaccato, e Koala era quasi arrivata. Era il tramonto ma non intendeva riposarsi quella notte. Sopra le cime degli alberi continuava a volare in tondo un lodolaio, che seguiva la sua traiettoria fedelmente; non aveva dubbi che fosse Izou, che controllava dall'alto la presenza di pericoli.
Aveva fame e sonno e freddo e le faceva malissimo la gamba, ma era quasi arrivata e la prospettiva di fermarsi non era neanche contemplata.
A un tratto il rapace volò giù, ma con una tranquillità tale da far capire che non ci fossero emergenze. Atterrò accanto a lei e zampettò un po' in giro, spostando la testa da lei al cielo.
«Vuoi controllare la situazione a Onigashima?»
Aveva già immaginato che quando Izou non era con lei, volava a Onigashima. Ma se non aveva modo di comunicare con lei, figuriamoci con persone che non sapevano neanche della sua esistenza. Poteva solo guardare dall'alto, assicurarsi che non fosse troppo tardi.
«Vai pure» gli confermò Koala «io sto bene.»
Si alzò in volo, fece un paio di larghi giri intorno alla sua posizione e partì rapidissimo verso ovest. 
Aveva scelto l'uccello giusto di cui controllare il corpo. Sentiva il vento sferzare contro le sue piume mentre raggiungeva velocità mai sperimentate nel corpo di uomo. Più passava il tempo più si sentiva pieno di energie, e non faceva altro che chiedersi quando sarebbe riuscito a liberarsi di un corpo materiale e far vagar libera la sua essenza.
Onigashima fu in vista in una manciata minuti. A Koala, d'altronde, mancavano poche ore di cammino zoppicante.
Era tutto tranquillo, tutto come l'aveva trovato le notti precedenti: qualche persona si attardava intorno a un falò, le luci nelle tende erano per metà spente e per metà accese, il turno di guardia di notte era appena iniziato.
La capanna del responsabile di divisione era ancora accesa. Izou planò fino alla finestra, affacciandosi. Non era esattamente un uccellino insignificante ma Marco era chino sul tavolo, come studiando delle carte. Zampettando fin sul limitare della finestra, Izou vide una penna nella sua mano: stava scrivendo?
Con l'ultimo passo fece troppo rumore. Marco si voltò di scatto verso di lui, salvo poi tranquillizzarsi quando vide che era solo un animale. «E tu che ci fai qui?»
Si alzò con il foglio in mano, avvicinandosi alla finestra. Sospirò.
«Non hai nessuna notizia, vero?» Si chinò per studiargli le zampe alla ricerca di messaggi, scuotendo poi la testa. «Scommetto che non sei neanche addestrato. Chissà perchè sei così tranquillo...»
Izou strofinò la testa contro il suo braccio, gracchiando appena. Cosa avrebbe dato per poter parlare...
Lo vide alzare lo sguardo al cielo prima di riabbassarlo sul foglio stropicciato che aveva in mano. Ci giocherellò un po' prima di picchiettarlo sul becco dell'uccello: «Non puoi portargli questa, vero? No, impossibile. E poi non so neanche dov'è...»
Si staccò dal davanzale con un sorriso triste. Izou continuava a guardarlo. «Però se lo vedi diglielo, va bene? Che mi manca da morire.»




I primi tempi, quando Marco parlava con Izou, cercava di mostrarsi disponibile, affidabile, sorrideva. E Izou sempre, senza eccezioni, rispondeva a monosillabi, o lo fissava col suo sguardo scuro e penetrante, o voltava la testa facendo rispondere la chioma corvina al posto suo. Lo ignorava, si girava e di solito inziava a parlare a Koala come fosse sua sorella, quasi a sottolineare la differenza tra Marco e Koala, e andava benissimo così. Kurohige aspettava informazioni che tardavano ad arrivare. Era tutto perfetto. Tutto perfetto per mesi.
Poi Izou aveva cominciato a ridere.
Col senno di poi, non era stato un cambiamento improvviso, affatto. Marco non se n'era accorto ma Izou aveva cominciato a rispondere, a sorridere, a parlare e scherzare con lui. Marco non se n'era accorto perchè in qualche modo Izou gli sembrava sempre così lontano, così irraggiungibile nei suoi borbottii e nei suoi commenti acidi che avevano smesso da un pezzo di essere rivolti a lui.
Poi alla fine di una missione Koala aveva detto qualcosa di divertente, di stupidissimo che ormai neanche ricordava più, e Izou era semplicemente scoppiato a ridere.
Ma come?
Come era possibile che fosse così tranquillo e rilassato? Dov'era finito tutto il sospetto?
Svanito in una risata.
E così Izou aveva cominciato a ridere e aveva continuato, e dopo le risate erano arrivati i sorrisi quelli grandi e genuini che credeva fossero solo per Koala, e gli scherzi e i sussurri e Marco ne era rimasto come ottenebrato.
Era frastornante un tale cambiamento ma soprattutto era frastornante il fatto che adesso sembrava tutto molto più bello. Andare in missione era bello, chiacchierare era bello, perfino allenarsi era bello perchè adesso c'era Izou con lui e quando c'era lui Marco sapeva che avrebbe sorriso.
Si era abituato così rapidamente che neanche si era accorto che legarsi a Izou non era più solo parte della missione. Perchè sì, anche senza gli ordini di Kurohige sarebbe diventato suo amico, ma poi sarebbe finita lì; e Marco invece voleva sapere anche cosa aveva in testa, perchè stava sorridendo, qual era la sua stagione preferita e perchè amava tanto l'oden.
Più Marco cercava di avvicinarsi più Izou glielo permetteva, e a ogni ritorno a Sphinx si scopriva sempre più capace di dare informazioni e se ne malediva. E Izou l'aveva capito, che a Sphinx non ci voleva tornare, ma non sapeva il perchè. Così quando Marco tornava a Kuri Izou si mostrava sempre più vicino, più aperto, e a Marco cominciava piano piano a fare male il cuore.
Non poteva più permettere una cosa del genere.
E così le informazioni avevano cominciato a calare.
Tra un "non lo so" e un "non mi ricordo", tra un rimprovero e una minaccia, Marco aveva semplicemente smesso di collaborare.
E si era permesso di innamorarsi di Izou.
Era una parola grossa, innamorarsi, ma sapeva che altro modo per descrivere ciò che provava non c'era. Perchè una volta allentata ogni paura, una volta lasciati correre a briglia sciolta i suoi sentimenti, ciò che restava da toccare era soltanto l'amore.
Per un po' si era goduto ogni sorriso, ogni pensiero, senza preoccuparsi delle conseguenze. Lo amava, lo amava, senza impegno e senza aspettarsi nulla in cambio. Sapeva che non poteva durare per sempre e proprio per questo non aveva mai detto nulla, mai confessato niente. Sapeva che non sarebbe durato per sempre ma non si aspettava che sarebbe finita così bruscamente. Con Squardo alle porte di Kuri, una minaccia negli occhi, giusto il tempo di tagliare i capelli a Izou come promesso.




Koala si era spostata di poche centinaia di metri quando Izou tornò da lei. Stava ripassando ad alta voce le informazioni che aveva. «I Kurozumi attaccheranno domani... arrivando da nord.» Un passo incerto, un lamento mal trattenuto. Doveva tenere in mano un amuleto per farsi luce, quindi non poteva più contare sui due bastoni per sostenere la gamba. «Nella peggiore delle ipotesi... arriverò giusto in tempo e... e mi basterà avvertire Marco. Oh, ciao... sei tornato...» Sorrise con difficoltà, reprimendo qualsiasi cosa si stesse agitando nel suo cuore. «Non avranno tempo di... preparare una controffensiva, quindi... quindi dovranno scappare. Decisamente meglio la gola di Ebisu, ché i Kurozumi non la conoscono. Anche se... se avanzassero nel nostro territorio, a sud...» prese fiato. Non parlava da tanto, e le bruciava la gola. «...non ci sarà altro che landa desolata. Per chilometri e chilometri. Che posto orrendo per un accampamento. Onigashima... è tagliata fuori dal mondo.»
Mentre finiva di parlare, qualcosa sfavillò al margine del suo campo visivo. Era debole, debolissimo: e ci mise fin troppi minuti per avvicinarsi abbastanza da capire cosa fosse.
«Luce! Una lanterna!» Le si bloccò il fiato in gola dalla gioia. Era salva! C'era qualcuno che avrebbe potuto aiutare lei e Marco! Le sembrò un'eternità il tempo passato a uscire dal limitare del bosco e avanzare lungo la strada battuta verso la lanterna che decorava il muro di una casupola di controllo, probabilmente posta lì in corrispondenza del ponte di Jaya. Sbattè il pugno contro la porta una, due, tre volte, sempre più debole ma senza intenzione di fermarsi. 
Dopo un'attesa interminabile, la porta si aprì.



Zac. Zac. Zac.
Squardo non significava buone notizie e questo l'avevano capito tutti.
"Kurohige ti spiegherà meglio", gli aveva detto. Non ce n'era davvero bisogno. E non voleva pensarci, non con il rischio di rovinare i capelli di Izou anche se usava la
Fushichou per tagliarli ai fratelli da anni. Fissò le ciocche corvine, la testa appena reclinata verso il basso. Solo l'idea di allontanarsi da lui lo faceva stare male.
«Un giorno vi porto a Sphinx» Un giorno si sarebbero rivisti sicuramente. Non poteva finire tutto così. Non poteva, non voleva, buttare quei sentimenti che erano cresciuti con tanta difficoltà.
«Mh. A vedere il mare.»
Poteva almeno provarci, a sorridere. Ma forse non era giusto chiederglielo se neanche lui riusciva a farlo.

Zac. Zac. Zac.
«Per questo non mi dispiaceva l'idea di tornarci.» Non per spifferare informazioni, non per fare la spia che tutti volevano che fosse. «Per portarti...» troppo diretto «portarvi lì.»
Fermò le dita su una ciocca ribelle, pettinandola con le proprie dita. Era così morbida, appena lavata. I capelli corti erano più comodi ma era proprio un peccato doverli tagliare.
Si era affezionato anche a quei capelli. E anche alla mano che risaliva piano verso l'alto, cercava la sua mano, gli stringeva debolmente il polso. Era delicatissima. Era tutto ciò che avrebbe voluto sentire per il resto della vita. «Però è casa tua, no?»
Voleva stringere quella mano tra le sue. «Sì.»
«Quindi ti farà piacere tornare anche se sarai da solo, no?»
Voleva portarsela alle labbra e sussurrargli tutte le parole che aveva dentro.

Zac. Zac. Zac.
Eppure aveva paura di dirle davvero. Perchè si sarebbe legato a lui, nel bene o nel male. E aveva tanta paura di cosa questo avrebbe potuto comportare.
«Kurohige ha preso il posto di papà, ormai.»
Un avvertimento a cui Izou annuì. Sperò solo che avesse capito quanto fosse pericoloso.
Aveva finito di tagliare.
Posò la
Fushichou, passò le dita tra i suoi capelli e glieli lasciò cadere davanti alle spalle, per quel poco che potevano cadere. Era così diverso, ma restava bellissimo. Si guardò intorno e adocchiò uno specchio, glielo passò e quando Izou sorrise nel guardarsi Marco sentì di nuovo l'impulso di fermare tutto e restare semplicemente così per sempre, ad osservarlo sorridere dentro uno specchio.
Iniziò a legargli i capelli in una coda, per il solo gusto di sfiorarlo un altro po'.
«Quando sei arrivato, c'erano brutte voci sugli Shirohige» riprese dal nulla Izou «e non mi fidavo di te.»
«Lo so.» Rispose in fretta, perchè più di così non sarebbe riuscito a dire.
Lo so, e forse sarebbe stato meglio così. Oppure lo so, e se avessi continuato non mi sarei innamorato di te.
Lo so, e senza la tua fiducia sarei finito tanto tempo fa.
«E la situazione nel tuo clan è andata sempre peggio.» Il codino era finito, ma continuava a sistemargli le ciocche sulla fronte, sulla nuca. «Pensi che in futuro potrebbe diventare un problema per l'Alleanza?»
Una domanda tanto semplice. Rimase con le mani sulle sue spalle, nervose, assetate di altra pelle. «Sì.»
Scappa. Scappiamo insieme. Non voglio allontanarmi da te.
«Pensi che in futuro potrò fidarmi di te?»
Troppo lontano. Era troppo lontano. Chinò la testa, gli sfiorò i capelli con la fronte. Troppo lontano.
Ti amo, voleva urlare. Sarebbe stata eloquente come risposta. Ma sarebbe stato troppo. Troppo.
Ti amo, ti amo, ti amo.
«...sì.»



Era un uomo alto e pallido, con un sorriso in volto che sembrò solo affievolirsi quando si trovò davanti Koala che, pallida e malconcia, si teneva in piedi a stento sullo stipite della porta. «Sono Koala Kakumei, nipote del capoclan Dragon!» Cominciò subito, l'impazienza che le rodeva le viscere. L'altro socchiuse gli occhi e fece qualche passo indietro, salvo immobilizzarsi dopo quando secondo: «I tuoi vestiti dicono il contrario.»
I suoi... Abbassò lo sguardo, ricordandosi che pur coperti di terra e sangue, i suoi vestiti erano facilmente riconoscibili come l'uniforme dei nemici. «Non sono una Kurozumi» snocciolò facendo un passo in avanti. Stava per entrare ma si fermò sulla soglia. Anche solo il calore della stanza le avrebbe fatto perdere tempo e non poteva permetterselo. «Ero in missione nel loro territorio. Deve credermi. Anche perchè nessun Kurozumi rivelerebbe mai ciò che sto per dire.»



Lo sentiva.
Non ne aveva dubbi ma non l'aveva mai saputo con tanta sicurezza.
Nemmeno quando aveva temuto di non vederlo mai più.
Nemmeno quando, dopo mesi e mesi, l'aveva potuto sfiorare di nuovo.
Nemmeno quando lo aveva sentito ridere di nuovo, e il motivo era che aveva sempre avuto la certezza, l'assoluta certezza che anche se erano lontani si trovavano comunque sulla stessa terra.
Lo amava.
Lo sentiva nel formicolio in gola che gli voleva far urlare di sbrigarsi, di non perdere neanche un attimo, anche se non aveva il fiato per farlo e comunque non sarebbe servito a iente.
Era terribilmente innamorato.
Lo sentiva nelle braccia che bruciavano sotto il peso di quel corpo martoriato, nella puzza di sangue sotto al naso, sangue di Izou, di Izou, ma che copriva anche lui e Koala e i loro vestiti e la terra che scorreva, scorreva sotto i loro piedi. Avevano lasciato i cavalli al vollaggio, idea terrbile, e adesso i venti minuti che avevano camminato all'andata sembravano non finire mai.

 
«Lafitte» Si presentò l'altro mentre le porgeva un bicchiere d'acqua. Sul tavolo aveva già ammassato farmaci e provviste. «Hai trovato la persona giusta. Riferirò il messaggio.»
«Lo farò io stessa» balbettò Koala, gli occhi che saettavano dall'uomo all'invitante tavolo. «Mi basta un cavallo, e...» E cosa? Avrebbe galoppato fino a Onigashima in quelle condizioni?
«Inammissibile.» Commentò infatti l'altro, arcuando appena il sorriso e avvicinandosi. «Oltretutto c'è un solo cavallo, ed è il mio. Non lo affiderei al mio migliore amico, figuriamoci ad una sconosciuta in fin di vita. Su, non fare complimenti.»

Gli avevano detto che l'amore era una cosa bella.
Eppure adesso che lo sentiva, adesso che lo amava come non aveva mai fatto - che errore pensarsi innamorato anni e mesi prima! Mai avrebbe immaginato che l'amore fosse tutt'altra cosa dalle farfalle che provava al suo sorriso - era assolutamente sicuro che se Izou fosse morto lì, per colpa di uno stupido morso di uno stupido drago, non avrebbe più saputo come continuare a vivere.
Sentiva di essere perdutamente innamorato anche se i battiti del suo cuore non erano di emozione, o forse sì, erano di paura ma soprattutto erano per la corsa impossibile, a perdifiato, con lui lo stava portando al villaggio e con cui avrebbero fatto sfrecciare i cavalli fino a Baltigo.
Voleva solo che fosse al sicuro.
E sapeva che era una richiesta forse incompatibile con il loro stile di vita, e si erano già trovati in situazioni simili, però così, così vicini alla morte mai! Mai con tutto quel sangue, quel bianco cadaverico, mai!
Il respiro che prese somigliò più a un gracchiare spaventato quando una voce lo riscosse all'improvviso: «Dobbiamo fermarci al villaggio!»
Guardò Koala, con il volto pallidissimo e gli occhi che spalancati sembravano ancora più grandi. «Non possiamo... caricarlo sui cavalli così!»
E aveva ragione. La sola idea di perdere tempo nella corsa verso Baltigo, dove avrebbero trovato i migliori medici dell'Alleanza, lo faceva andare fuori di testa, ma quando abbassò gli occhi su Izou stentò a riconoscerlo. Ancora più bianco in viso, ancora più rosse le garze, platealmente inutili senza aver richiuso le ferite sotto, oppure finchè il coagulante non avesse fatto effetto.
E dovevano richiuderlo. Prima che lo assicurassero a un cavallo, già cosa rischiosa di per sè, prima di sfrecciare verso Baltigo dovevano in qualche modo stabilizzarlo.
«Ehi, Izou...»
La sedia di legno le sembrava il posto più comodo del mondo. Sentiva da lontano Lafitte che preparava il suo cavallo mentre lei, a testa china, immergeva la gamba nella bacinella per dare una pulita alla ferita. Il lodolaio si era affacciato alla finestra.
«Non preoccuparti per me. Segui Lafitte, d'accordo? Assicurati che faccia ciò che gli ho detto...»
Non si fidava. Non si fidava e voleva andare lei con ogni fibra del suo essere, ma al contempo era proprio ogni fibra del suo essere che gli urlava che era fisicamente impossibile alzarsi di lì. Era stanca.
Le sembrava difficile persino respirare.
«Scusa...»
Lo zampettare si era avvicinato, fino a che non lo picchiettò sulla gamba con la testa. «Falla finita» lo ammonì con un sorriso che sapeva di lacrime.
«Grazie, Izou... vai a salvarlo.»

E i volti esterrefatti degli abitanti gli erano sembrati un miraggio, così come il povero letto su cui aveva adagiato Izou, gli strumenti e le parole del medico del villaggio che tanto medico non sembrava ma che aveva indicato Koala e borbottato: «Solo donna. Servono mani piccole, ferme.» E allora aveva seguito lo sguardo di Koala, perplesso quanto il suo, e si era trovato a osservarsi le mani che tremavano come ci fosse un terremoto.
Poi la porta quasi sbattuta in faccia, le parole "medico" incise sul legno della porta a mo' di targhetta, e l'ordine "prepara i cavalli".
Izou era dall'altra parte della porta e lui doveva andare a preparare i cavalli.
Ancora gli dolevano le braccia e le spalle. E fu solo quando fece qualche passo alla rinfusa che si accorse davvero che per Izou, adesso, non poteva fare niente. Solo preparare i cavalli.
E non avendo più Izou tra le braccia, non avendo più la mente distratta, tutte le sensazioni e gli odori e le paure sembrarono risalire a galla all'improvviso.
Era letteralmente coperto di sangue. Suo, in parte;  soprattutto di Izou. Dovunque arrivasse il suo sguardo tuttto era rosso o nero e non aveva dubbi che anche la faccia fosse colorata di morte. Gli abitanti lo guardavano da lontano: con ammirazione, da una parte, perchè sapevano che era l'uomo che li aveva liberati dalla minaccia; con paura e commiserazione dall'altra, perchè era oggettivamente una visione spaventosa e perchè sapevano fin troppo bene il destino di chi veniva aggredito dai mostri che li perseguitavano.
C'era una fontana lì vicino. Ci immerse la testa intera, tutta all'improvviso, sentì il sangue incrostato che si scioglieva e si staccava dalla faccia, dal collo, dalla radice dei capelli. Tutti i piccoli tagli ripresero a bruciare come se fossero rimasti assopiti fino a quel momento. Quando sollevò la testa acqua e sangue gli scivolarono sugli occhi, sulle labbra, sui vestiti, e se da una parte era sul punto di vomitare, dall'altra sentiva come vivissime le labbra di Izou sulle sue. Quasi gli bruciavano quelle labbra, da quanto le aveva premute in quell'attimo di follia;  o follia forse non era stata, solo paura, perchè della follia ci si pente e Marco non riusciva proprio a pentirsi del sangue e della saliva che gli sembrava di rivivere. Sì era paura, gli urlava di paura il cuore al ricordo del volto spento che non aveva visto non appena si era allontanato, del respiro debolissimo, e l'agitazione che già stava esplodendo saliva, saliva, e stava per raggiungere il picco lo sentiva, allora semplicemente ributtò la testa in acqua sommergendosi tra i gorgoglii. Quanto voleva urlare! Ce l'aveva portato lui in quel posto, l'aveva proposta lui quella maledetta missione!
Era tutto diverso.
Era stato cresciuto per essere efficiente. Gentile, calmo ed efficiente. Ed erano bastate delle battutine acide, una risata che gli sollevava il cuore e un paio di occhi scuri per ribaltarlo completamente.
Che poteva fare?
Tornò a respirare, il sangue che scivolava via. Gli occhi degli abitanti ancora fissi su di lui.
Che poteva fare? Niente, se non accettarlo.
Prepararsi al peggio, oppure vivere il meglio.
E preparare i cavalli.

Meno male che gli avevano detto che l'amore era una cosa bella.




Lafitte cavalcava con un'andatura che sembrava inadatta a chi aveva appena ricevuto la notizia di un agguato nemico. Si fermò ai cancelli di Onigashima per farsi riconoscere, trotterellò fino alla capanna di Marco, smontò tranquillo da cavallo e bussò alla porta. Izou, dall'alto, trovava la sua lentezza insopportabile. Ma presto si sarebbe tutto risolto.
Uno, due, tre, quattro secondi di attesa. Poi Marco aprì la porta e solo allora Lafitte cominciò a parlare. «Temo di avere delle brutte notizie.» Snocciolò facendosi strada nella stanza fino a una sedia. «Appena mezz'ora fa mi trovavo accampato alla gola di Ebisu e una ragazza in abiti di Kurozumi, praticamente in fin di vita, mi ha raggiunto dal territorio nemico per avvertirmi di un presunto assalto dei Kurozumi contro Onigashima orchestrato per... domani.» Non andava bene. Non andava bene. Perchè Ebisu? Non erano arrivati da Ebisu!
Vide Marco ghiacciarsi sul posto. I suoi occhi saettarono qua e là ma non video niente, neanche Izou alla finestra, mentre rielaborava freneticamente le informazioni. D'un tratto si addossò al tavolo della camera, spostando i fogli come se la cartina appoggiata sopra potesse schiarigli le idee. Era terribile vederlo così agitato, come se sapesse che sarebbe successo e non avesse modo di evitarlo. «E perchè sei tanto scettico?»
«Perchè era, ripeto, una ragazza...» Marco si girò appena confuso, ma Lafitte lo ignorò «..per di più in fin di vita, ossia nella condizione più facilmente credibile... ma pur sempre in abiti Kurozumi.»
Accartocciò un foglio con le dita. Era nervoso e aveva tutti i motivi per esserlo. «Se era una Kurozumi e in fin di vita, potrebbe aver disertato e allora non sarebbe tanto difficile comprendere le sue motivazioni. Perchè non le credi?»
«Perchè sosteneva di non essere una Kurozumi.»
Marco lo fulminò. Era il responsabile di Onigashima e non aveva intenzione di perdere tempo prezioso per i suoi giochetti. «Lafitte, parla chiaro. Non era una Kurozumi?»
Lui alzò entrambe le sopracciglia, come preparandosi a dire qualcosa di divertente. «Farneticava di essere l'unica sopravvissuta di una missione di spionaggio. Sosteneva di essere... cosa, la figlia? la nipote? non ricordo più ormai... del capoclan dei Kakumei.»
Marco vacillò e Izou dovette farsi forza per non precipitarsi dentro a sostenerlo. «Koala?» Gracchiò con voce irriconoscibile.
«Sì, Koala!» Sembrò illuminarsi l'altro. «Diceva di chiamarsi Koala Kakumei. Ti dice niente?»
«Unica sopravvissuta?»
«Sue testuali parole.»
Rimase fermo, il colore che se ne andava dal volto. Lafitte lo osservava incuriosito.
Alla fine, come colpito da un fulmine, si mosse di scatto verso il letto, recuperò i vestiti che aveva lasciato sopra e si infilò scarpe e giacca, fiondandosi verso la porta.
«Se era Koala, ciò che ha detto è vero.» Non aspettò neanche che l'altro uscisse dalla stanza. «Avvisa tutti di prepararsi a lasciare l'accampamento. Tornerò fra due ore al massimo e guiderò la fuga per la gola di Ebisu. Se davvero arriveranno domani, è inutile cercare la battaglia. Onigashima è stata una causa persa fin dal principio e non intendo perdere uomini per un inutile avamposto.»
«E tu dove vai?» Lafitte si affacciò dalla porta, Marco che quasi correva verso le scuderie.
«Alla gola di Ebisu, da Koala! Devo capire meglio la situazione!»
Anche il cuore di un lodolaio sapeva battere forte di paura. Ma cosa doveva fare? Fermarlo? Più si allontavana da Onigashima, meglio era, anche se nella direzione sbagliata.
Marco imboccò il sentiero per Ebisu. La distanza tra lui e Koala si faceva sempre più ampia.




Gli sembrava di non essere mai sceso da cavallo.
Aveva galoppato fino a Baltigo, deciso più che mai a focalizzare ogni sua energia sul correre, e l'aveva fatto davvero fino a che non aveva lasciato Izou tra le braccia dei migliori medici del clan Kozuki.
Si era trovato un'altra porta sbattuta in faccia, altre persone ad osservarlo con pietà. Almeno questa volta Koala era accanto a lui.
«Marco.»
Voleva solo restare lì a fissare quella porta, ad attendere notizie.
«Marco Kurohige.»
Anche se la logica gli diceva che dopo ore di viaggio frenetico avrebbe dovuto riposarsi, o quantomeno lavarsi. Ma se non fosse stata per quella voce cupa e maschile, non si sarebbe staccato dalla porta neanche sotto la più convincente delle argomentazioni.
«Devi tornare a Sphinx.»
Squardo non significava mai buone notizie. Squardo era tanto debole quanto insensibile, e l'aveva già portato via da lì una volta.
Gli sembrò come se due mondi si fossero scontrati mentre si girava e Izou era ancora là dietro, dietro quella porta, in fin di vita, alle sue spalle, e Marco doveva invece guardare e ascoltare Squardo che lo strappava di nuovo da lui. «Non è un buon momento.»
E Squardo arricciò il naso a vederlo tanto malridotto, con il viso tumefatto e incrostato di sangue. Come se guardandolo di spalle non se ne fosse accorto. «Curioso» commentò lanciando un'occhiata di striscio anche a Koala, troppo attonita per reagire «Sono le stesse parole di Kurohige quando ha scoperto che eri partito.»
Silenzio. Se avesse potuto avrebbe stretto i pugni, alzato la testa o anche solo qualcos'altro oltre a sostenere lo sguardo, ma non ne aveva le forze.
«Cosa sta insinuando?» La voce di Koala sembrò uscire a fatica dalla sua gola, le sopracciglia corrugate.
«Niente» rispose semplicemente l'altro, tornando subito a guardare il ragazzo. «Siamo in guerra, Marco. Se ti diciamo di stare a Sphinx resti a Sphinx. Non possiamo permetterci di disperdere le nostre forze.» Marco lo vide alzare lo sguardo oltre i due ragazzi, fissando appena la porta dell'infermeria, e qualcosa nel suo stomaco si attorcigliò. «Specie se le conseguenze sono queste.»

Mezz'ora dopo erano in viaggio.
Il pomeriggio del giorno dopo erano a Sphinx. Come sempre, non gli era mancata. Lo fecero tornare nella sua stanza, gli dissero di riposare un po'.
Normalmente avrebbe guardato il mare. Si sarebbe perso a osservarne i colori, le onde, le ombre delle nuvole, e avrebbe immaginato il giorno in cui Sphinx sarebbe stata allegra e accogliente come lo era da bambino, perchè quel giorno ci avrebbe portato Izou e gli avrebbe fatto vedere il mare.
Ma neanche a questo poteva pensare, perchè se c'era Izou c'era la straziante voglia di averlo accanto a lui, di potergli carezzare i capelli e sfiorare la pelle e ammirare gli occhi ridenti. E assaporargli le labbra, come tante volte si era trattenuto dal fare. Ma adesso che lo aveva provato, anche in mezzo al sangue e alla saliva e a un respiro affannato, sapeva di non poterne più fare a meno.
Il mare era la sua risata e più la sentiva più voleva scappare.
Fece per uscire, e si ritrovò Lafitte davanti alla porta, in procinto di bussare. «Ti aspetta Kurohige, caro» soffiò con perenne sorriso sulle labbra.
Nessuno lo seguì mentre andava alla sua tenda. Incrociò qualche fratello e lo salutò, tutti con la stessa espressione sul viso.
Non poteva dire di non avere paura.
Non poteva dire che non temeva di non uscire più da quella tenda.
Ma niente l'avrebbe congelato quanto quello che vide. Kurohige era seduto su una poltrona, inebriato di tabacco come al solito, il sorriso sdentato in faccia. Sembrava essersi appena seduto. Davanti a lui, con già sui piedi un passo per uscire dalla porta, un uomo che Marco non aveva mai visto. Aveva una vistosa capigliatura rossa e il volto bianco, forse truccato; ma soprattutto indossava un'uniforme che Marco aveva avuto modo di conoscere negli ultimi mesi, da quando era scoppiata la guerra; non tanto perchè prima non esistesse, ma perchè prima non l'aveva mai dovuta associare a una minaccia reale che faceva tremare le fondamenta stesse dell'Alleanza.
L'uomo lo superò senza una parola, uscendo dalla tenda. E Marco rimase fermo a un passo dalla soglia, il peso di mille certezze infrante nel cervello.
«Eccoti qui, Marco! Ti sei divertito?»
Kurohige era pericoloso. Era instabile, ambizioso, viziato e potente.
«Spero che tu ti sia divertito, Marco. Spero che ne sia valsa la pena, perchè è stata proprio una brutta sorpresa sapere che eri partito senza dirmi niente.»
Ma l'Alleanza era potente e Marco aveva sempre sperato che anche Kurohige l'avesse capito. Anche se aveva tagliato i ponti con gli altri clan, anche se si concentrava sempre più sulle politiche interne, aveva davvero sperato che la decisione presa il giorno del Vertice dei clan, quella di non allearsi con i Kurozumi, sarebbe stata rispettata. Lo aveva sperato tanto quanto sapeva dei legami che da anni erano stati tessuti sottobanco, tanto quanto gli si appesantiva il cuore ad ogni informazione ceduta.
«Pensavo fossi troppo impegnato per preoccuparti di un'uscita di qualche giorno.»
Kurohige rise, spalmandosi sul posto: «Ma cosa dici! Quando mai non ho avuto tempo di preoccuparmi dei miei cari fratellini! Su, a me puoi dirlo: sei andato a incontrare qualche ragazza straniera, vero? Zehahaha! Ormai è l'età, eh? Quanti anni hai?»
Marco rimase in silenzio.
E quell'uomo - cos'era, un ambasciatore? Un diplomatico? - dei Kurozumi era la semplice conferma che Kurohige aveva in mente qualcosa di più grande di quanto avesse mai lasciato intuire. Cosa doveva fare?
«Ti ho fatto una domanda, Marco. Rispondimi.»
Raggelò quando si accorse che non rideva più. «Ho vent'anni.»
«Già.» Borbottò lui amaro. «Mi aspettavo che a vent'anni comprendessi cos'è un ordine, Marco. Se ti dico di restare a Sphinx, resti a Sphinx. Mi hai deluso, Marco.»
Silenzio.
«Siediti, dai.»
Obbedì.
«Ultimamente non ti stai comportando molto bene. Sono deluso.» Assunse un'espressione grave, sollevando il collo dallo schienale e gesticolando piano. «Beh, sei sempre stato schivo. Ma non mi aspettavo che fossi anche poco collaborativo. Dobbiamo cambiare questa cosa, sì?»
Si versò da bere.
«Senti, Marco, ormai siamo in guerra. È importante sapere di chi mi posso fidare. Che ti è successo, si può sapere? Ho sempre voluto insistere perchè sei tanto diligente, ero sicuro che un giorno avresti ripagato la mia fiducia! E invece guarda cosa combini!»
Marco si strinse le mani tra loro.
«Se mi assicuri che continuerai a darmi informazioni come un tempo, io ti posso anche permettere di continuare a visitare la tua donzella straniera. Eh, che dici, ti va bene?»
«Io...»
«Anzi, no, facciamo così: permesso accordato, ecco. Definitivo. E dopo tutto quello che ti ho concesso, Marco, un po' di gratitudine è il minimo. Non ti chiedo niente di difficile, dai: come i primi tempi!»
No. No. No! Piuttosto preferiva rinchiudersi a Sphinx!
«Ecco qua, tutto risolto. D'altronde l'ho sempre detto: meglio con me che contro di me! Zehahaha! Su, Marco, adesso che ci siamo messi d'accordo dimmi tutto: come stanno Koala e Izou? Stanno bene? Non vorrei che sia successo loro qualcosa... Ma sì, staranno bene: se tornerai a Baltigo e farai come ti dico, sicuramente staranno benissimo!»





Poteva volare veloce ma gli sembrava di diventare sempre più lento mentre superava metri, metri, metri di terra brulla. Il vento ululava contro di lui come fosse infuriato della sua stessa presenza, ma a Izou importava solo di controllare ogni roccia, ogni arbusto per scovare anche solo l'ombra di un nemico.
Perchè Ebisu?
Le parole di Lafitte riecheggiavano attorno a lui. Perchè tanta sicurezza nel mentire? Cosa stava succedendo? Possibile che si stesse solo immaginando tutto?
Il rumore di passi dietro la curvatura della roccia frenò i suoi ragionamenti. C'era davvero qualcuno. Sperò di esserselo immaginato. Sperò di aver sbagliato tutto, che Lafitte avesse detto la verità e dietro l'angolo c'era davvero Koala in attesa di soccorsi.
Invece andò avanti e vide una persona.
Un arco in pugno, lentiggini in faccia, e la divisa nera dei Kurozumi. Stava vicino a una roccia, pronto a nascondersi al primo segnale di presenza umana. Segnale che sarebbe arrivato nel giro di pochi istanti.
Più avanti, lo vedeva, un'altra persona. E un'altra. E un'altra. Nascosti, mimetizzati in tutti i modi, scivolati dentro le rocce, un esercito infestava la gola di Ebisu.
Un'imboscata. Una manovra a tenaglia, anzi, perchè Izou li aveva visti nei giorni scorsi e sapeva che i Kurozumi erano appostati per davvero a nord. Non aveva mai ritenuto necessario controllare la via di fuga segreta.
Una manovra che avrebbe funzionato anche restando a Onigashima ma che garantiva la totalità di successo se si fosse riusciti a spingere i nemici nella stretta, chiusa, scura gola di Ebisu.
Nella via di fuga segreta!
E faceva ancora più male perchè adesso sapeva, sapeva con assoluta certezza che Lafitte aveva mentito, sapeva che Kurohige non aveva mai avuto intenzione di risparmiare Marco, di perdonarlo per i tanti errori. Quale alleanza! Quale fiducia, quale sicurezza!
Indietro. Indietro, doveva tornare indietro. Doveva bloccarlo in qualche modo, e già sentiva lo scalpiccio del cavallo, già l'arciere nascosto maledetto preparava il suo arco. Già sembrava che i piccoli uomini mimetizzati uscissero allo scoperto, calpestasero il terreno ad annunciarsi, perchè tanto era tardi per tornare indietro.
Allora si girò e gli volò contro, e già l'arco si tendeva e la prima freccia scoccava. E all'improvviso sentì il vento contro di lui. Alzò lo sguardo e il lodolaio volava libero, in alto, via dal pericolo, e il sole gli picchiò sulla testa e la terra tremò, e allora abbassò lo sguardo e vide le sue mani lì, trasparenti ma innegabilmente sue, a fendere l'aria con una fermezza che non era di uomo ma neanche dell'effimera fiamma di prima. 
E volava, volava, ad avvertirlo neanche lui sapeva come. Neanche dieci metri, neanche dieci secondi, e sentì il corpo percorso dai brividi. Trafitto da qualcosa di terribile e mortale. E ancora, ancora, sibili insidiosi e insistenti, come uno sciame di calabroni che correva per raggiungerlo. Ma non erano insetti, erano zoccoli, erano grida e frecce e se le vide spuntare dal petto e continuare la corsa alla ricerca di qualcosa da colpire.
E alzò ancora lo sguardo e Marco era lì, così vicino!, cinque secondi, e l'avevano raggiunto.
Izou non aveva più respiro ma gli si bloccò lo stesso.
Una piuma gli spuntava dalla spalla e mentre le redini gli cadevano di mano, e lui anche cadeva e con lui il cavallo, i rumori, le armi, mentre rovinava a terra, qualcosa gli trafisse anche il petto e Izou poteva quasi vederlo, quasi sentirlo il colore sparire dalle sue labbra e dal suo volto e dai suoi occhi.
E furono le sue labbra e il suo volto e i suoi occhi verso cui allungò le mani, e quando riuscì a toccarli qualcosa gli si spezzò dentro. Lo specchiò buttandosi in ginocchio, gli alzò il volto, lo tenne su con le sue forze. E qualcosa di simile a una parola gli sgusciò dalle labbra, qualcosa di simile al suo nome, e a un singhiozzo.
Sentì i respiri che si interrompevano a metà, cercavano, cercavano di portare vita e vide le sue mani che si alzavano per trovare qualcosa a cui aggrapparsi, e un rivolo di sangue gli sgorgò tra i denti e sbattè gli occhi, e li sgranò, ed erano già pieni di lacrime.
Gli solleticò il braccio. Izou abbassò gli occhi e la mano bianca di Marco gli attraversava il gomito, cercava di poggiarsi su di lui ma non riusciva, non riusciva neanche a sfiorare le sue membra di fantasma.
E pianse, Izou, mentre il rantolo di Marco si trasformava in un pianto: «Mi avevi p-promesso...»
Non tra le sue braccia, non davanti a lui!
La testa bassa tra le lacrime, tutto gli urlava di alzarsi a guardarlo ma niente gli rispondeva.
E già era più difficile reggerlo, le dita perdevano il suo volto come fossero fatte d'aria, e vedeva ancora le sue labbra aperte e non riuscì a guardarlo mentre tossiva, si chinava, e gli ricordava ciò che non voleva, non poteva pensare: «Non ti ho mai... fatto vedere il mare...»
E si chinò su sè stesso e Izou non riuscì più a sfiorarlo, confortarlo, e provò a rispondere: «Non importa...» Ma la voce gli mancava, e non riusciva più a vederlo.
Era caduto a terra, e aveva ancora una lacrima negli occhi. Non più sorriso, non più parole.
Non più carne da toccare.
I fantasmi non potevano piangere, e gli umani non sentivano le loro parole. Ma la gola di Ebisu risuonò di un lamento, un tuono un grido di animale ferito, che strappava l'anima e tremava solo a sentirlo.
La gola di Ebisu aveva imprigionato un'anima con catene di sangue.




Non c'era più niente da dire.
«E poi?» Provò il ragazzo.
«E poi niente.» Commentò dolcemente l'uomo con la benda. «Izou ha barattato la reincarnazione per salvare Marco, e ha fallito.» Dure, dure, dure parole. Ma non c'era modo più gentile.
La strada continuava. Erano ormai fuori dalla gola di Ebisu.
«Mi chiedo solo perchè il tuo clan pensava che Marco fosse il fantasma» si rivolse all'uomo che aveva raccontato alcuni ultimi spezzoni.
«Sapevamo solo la morte di Marco. La sua promessa, ciò che l'ha legato alla terra era solo... il mare.»

Non sanno quale sia la verità.
Non sanno che tra le ombre della gola di Ebisu non c'è un'anima.
Non sanno che due storie sepolte nella terra si stanno amando dell'amore dei vivi.





«Lo sai che se tenessi gli occhi aperti saremmo già arrivati, vero?»
Si acciglia a palpebre serrate, stringendo la mano che gli fa da guida. «E perdermi il colpo d'insieme? No, grazie.»
«Come vuoi» E il tono sorridente naufraga già nel frastuono sconosciuto che continua, potente e assordante, e rimbomba a ritmo con l'anima. 
Inciampa. La terra è cambiata.
«Cos'è, fango?»
La risata di Marco si perde nel vento e Izou resta incantato. Si leva le scarpe e il terreno è granuloso, gli si appiccica alla pianta dei piedi, e... «Scotta!»
Non fa in tempo a saltellare sul posto che la mano lo tira, lo trascina di corsa in avanti, verso la fonte del frastuono che urla, grida, sembra pronto a mangiarlo. Ma che ha da perdere? Ride e supera Marco, si butta nel vuoto. Dove starà mai andando?
La tentazione di aprire gli occhi è fortissima, ma stringe ancora la mano e corre, corre. Dritto nella gola dell'essere che gli sta urlando contro.
Mille colori, mille abitanti, aveva detto. Era proprio curioso di vederlo.
Ride, urla. Anche perchè i piedi gli stanno andando a fuoco.
«Aspetta, aspetta, aspetta!» Si sente tirare via ma è troppo tardi. Si schianta all'indietro contro il suo petto e intanto l'acqua gelata lo investe fino alle ginocchia ma è come se lo avesse coperto dalla testa ai piedi tanta è la sorpresa. Eccolo, eccolo!
Se avesse un cuore, lo sentirebbe battere all'impazzata, come il più potente dei tamburi di Koala.
«Siamo arrivati?» Qualcosa gli blocca il fiato, gli occhi ostinatamente chiusi.
Un'altra onda - ecco cosa faceva tanto rumore - sembra sommergerli mentre Marco gli sfiora l'orecchio con le labbra e Izou freme d'impazienza.
Sono a Sphinx.
Sono nella bella Sphinx, non più dimora di morte e tradimenti ma casa di bambini, di famiglie, di onde.
Delle gocce salate gli bagnano il viso, sembrano sussurargli qualcosa.
«Apri gli occhi.»
   
 
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