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Autore: Signorina Granger    06/03/2022    7 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Ahimè, temo che la ben poca credibilità che mi era rimasta con questo capitolo andrà inesorabilmente a farsi friggere. *Risate alle sue spalle le fanno capire che la sua è una mera illusione e che la credibilità l’ha persa del tutto da tempo*
Ma non potevo, davvero non potevo, non inserire delle scene dal punto di vista dei nostri cari amici felini in almeno un capitolo di questa storia.
Disagio a parte, rivolgo una menzione speciale a due di voi che hanno perfettamente previsto e riassunto il contenuto di questo capitolo – e di quelli a venire –. Phoebs che ha saggiamente profetizzato l’incazzatura cronica che colpirà Asriel nello scoprire il mare di cazzate che gli sono state rifilate, e Bea che si è giustamente domandata perché in questa storia ci siano degli Auror, quando ci sono Prospero e Delilah.
Buona lettura!
 
 
 
Capitolo 14 – Se solo questi gatti potessero parlare


 
Zorba si leccò brevemente la zampetta anteriore sinistra prima di rimettersi seduto sul pavimento e scoccare un’occhiata di traverso al suo padrone, guardandolo discutere con Zia Clodagh mentre agitava qualcosa con la mano destra. Qualcosa di rosso.
Chissà perché suo padre sembrava così di pessimo umore. Forse perché era da molto che si trovavano su quel treno? Ad Asriel i treni non piacevano, Zorba lo sapeva bene.
A lui invece non dispiacevano: prima di quel momento Papà Asriel non lo aveva mai portato su uno di quegli affari, ma era stata pur sempre un’esperienza del tutto nuova ed interessante, ed era stato bello vedere anche Zia Clodagh. Certo non si aspettava che sul treno avrebbero trovato così tanti altri gatti, ma alcuni si erano rivelati simpatici. Naturalmente li aveva sempre tenuti d’occhio, potevano solo sognarsi di guadagnarsi l’affetto del suo padrone, tsz. Senza contare che ingraziarsi lo chef era stato facilissimo, e poteva scroccare avanzi tutte le volte che voleva.
L’unica parte del tutto spiacevole di quel viaggetto era la presenza di quella brutta smorfiosa sovrappeso di Alpine. Non solo era tremendamente vanesia, ma cercava tutte le buone occasioni per soffiargli le coccole di Papà Asriel. Come si permetteva, lei col suo ridicolo collare rosa brillantinato?!
Il suo cordoncino rosso con sonaglietto era immensamente più carino, nonché meno pacchiano.
 
Quasi come se con l’avesse evocata con la forza del pensiero, Zorba guardò pieno di disappunto la bella gatta trotterellare verso Asriel e Clodagh muovendo la coda vaporosa, di certo intenzionata ad arruffianarsi il mago.  Prevedendo le sue intenzioni, Zorba corse verso Asriel e gli strusciò con insistenza la piccola testa nera contro la gamba, facendo le fusa ma senza perdere di vista i movimenti della gatta.
Stizzita, Alpine si fermò davanti a lui e lo studiò brevemente con aria di superiorità, osservando torva il rivale aggiudicarsi le coccole del padrone prima di sollevare la testa verso i due Auror e iniziare a miagolare per attirare la loro attenzione.
Come da manuale Asriel e Clodagh smisero di parlare, chinarono lo sguardo su di loro ed iniziarono una serie di sproloqui melensi su quanto la gatta fosse adorabile. Innervosito dall’espressione trionfa di Alpine, Zorba soffiò in direzione della gatta e le agitò contro una zampetta per invitarla a sloggiare:
 
Inutile che ci provi, vai dal tuo di padrone a farti fare le coccole!
Io sono molto più carina di te, lo pensa anche Asriel. È sprecato per un gattaccio non di razza come te.
 
“Zorba, non soffiare contro Alpine, comportati bene!”
Il rimprovero del padrone ferì sinceramente Zorba, che sollevò dispiaciuto i grandi occhi chiari su di lui mentre Alpine girava soddisfatta attorno agli Auror. Accettò malvolentieri le carezze di Clodagh – umpf, lei mirava ad Asriel, non alla tizia variopinta! – ma si sforzò di apparire il più buona possibile per rimanere nelle grazie del suo bell’umano prediletto. Zorba scoccò un’occhiata pregna di risentimento alla gatta, pianificando di eliminarla dai radar il più rapidamente possibile:
 
Perché non capisci che ti manipola, perché?! Guarda cosa hai fatto, Papà non mi rimprovera mai, lo ha fatto per colpa tua!
Evidentemente comincia a capire che io sono più degna di lui di te.
 
Quando Asriel si chinò per accarezzare la morbida testa candida di Alpine la gatta chiuse gli occhi soddisfatta, orgogliosa di aver portato a termine la sua missione in tempo record. A quella vista Zorba decise di andarsene, ferito e offeso: no, quello spettacolo non sarebbe più riuscito a sopportarlo.
Quando è troppo è troppo, io me ne vado! Se qui non mi apprezzano saranno quello alto alto e la sua amica a farlo!
 
Pianificando la sua vendetta – avrebbe rubato il gomitolo di lana rosa della smorfiosa, eccome se l’avrebbe fatto! – e deciso ad andarsene altrove dove lo avrebbero apprezzato maggiormente – del resto quel posto era pieno di amanti dei gatti, gli bastava miagolare per avere una fila infinita di gente inebetita pronta a coccolarlo – Zorba trotterellò via dopo aver scoccato un’ultima occhiata risentita alla cicciona pelosa e al suo papà traditore. E pensare che lui avrebbe potuto porre facilmente fine alla fastidiosa vicinanza di quella smorfiosa col suo umano… Gli sarebbe bastato poter dire a Papà Asriel ciò che aveva visto qualche giorno prima. Non solo sarebbero tornati alla loro casetta, ma di certo sarebbe stato molto fiero di lui e lo avrebbe riempito di doni e coccole.
Che disdetta non saper parlare!

 
*

 
Zorba giunse nel vagone della II classe guardandosi attorno e muovendo sinuosamente la lunga coda nera, domandandosi perché ci fosse improvvisamente tanto silenzio e soprattutto dove fossero finiti tutti gli umani.
Dov’erano i dispensatori di carezze quando servivano?!
 
Il micio stava prendendo in considerazione di continuare altrove la sua esplorazione quando scorse un familiare gatto dal pelo maculato seduto sul parquet davanti ad una porta e impegnato a leccarsi distrattamente una zampetta. Riconoscendolo, Zorba zampettò rapido verso di lui facendo tintinnare il sonaglietto prima di chiedergli dove fossero il suo umano e la sua amica.
Kiki smise di leccarsi la zampa, guardandolo esasperato prima di miagolare qualcosa a proposito del suo umano e di come non ne potesse più di quella situazione. Per non parlare della sua amica Delilah, che in quei giorni era ancora più strana del solito.
Anche Zorba sperava che la situazione si risolvesse in fretta: la presenza di Alpine lo aveva ammorbato a sufficienza. Stava discutendo con Kiki della possibilità di riuscire ad informare il suo umano su ciò che aveva visto a proposito della morte della “sciattona”, come era solita apostrofarla sdegnosamente Alpine, quando la porta davanti alla quale si trovavano i due venne spalancata.
 
“Mi era sembrato di sentire miagolare! Guarda Ro, c’è il gatto di Asriel, com’è tenero!”
I due gatti sollevarono in sincro gli occhi chiari su Delilah, che quasi pianse di gioia quando riuscì ad accarezzare la morbida testa di Zorba: non si era mai lasciato accarezzare da lei, ma in quel momento avrebbe accettato le attenzioni di chiunque.
“Kiki, ti sei fatto un amico? Bravo piccolino!”
Quando alle spalle di Delilah apparve anche un Prospero sorridente Kiki scoccò un’occhiata adorante al suo umano mentre Zorba, lasciandosi accarezzare dalla strega, gli lanciava un’occhiata interrogativa:
 
Ma perché sembra così emozionata?!
Delilah ama i gatti, ma quasi tutti la rifiutano, è un evento raro e si commuove ogni volta… Mah, è un po’ strana, ma Ro la adora e quindi me la devo tenere, sai com’è. Vieni, gli altri umani sono nell’altro vagone, andiamo a farci riempire di attenzioni.
 
Kiki gli suggerì di svignarsela e Zorba non se lo fece ripetere due volte, correndo insieme a lui verso il vagone dove, stando alle parole del gatto giapponese, si trovavano quasi tutti i passeggeri. Un covo di gattari equivaleva per forza ad una dose di coccole così abbondante che alla fine non solo lo avrebbe nauseato, ma gli avrebbe anche fatto scordare il torto subito dal suo umano.
 
“Ehy, ma dove vanno?!”
“Temo che il tuo momento di gloria abbia avuto una vita inesorabilmente breve, Laila.”
“Già, e tu anche questa volta non hai pensato di immortalato per mostrarlo a Cecil, ma bravo!”
 

 
*
 

Quando James trovò Clodagh e Asriel e li vide impegnati in una discussione non provò particolare stupore: l’ex Tassorosso si disse che probabilmente la collega aveva apostrofato Asriel con uno dei suoi consueti nomignoli ad alto contenuto imbarazzante e che l’altro se la fosse presa come da manuale, ma cambiò repentinamente idea quando notò ciò che il collega stringeva tra le mani.
“Porca Tosca, avete trovato il vestito?! Dov’era?”
“In cucina. O meglio, nella cella frigorifera, motivo per cui vogliamo andare a parlare con lo chef, stiamo cercando di accordarci su come procedere. Ci stavi cercando?”
Superato lo stupore iniziale dettato dalla vista del fantomatico vestito rosso, James riprese improvvisamente coscienza del motivo che l’aveva spinto a mettersi alla ricerca dei colleghi e si affrettò ad annuire prima di allungare il vecchio foglio di giornale che teneva in mano verso Asriel:
“Oh, sì. Credo che prima di parlargli dovreste leggere questo.”
“Che cos’è?”
Asriel gli strappò rapido il foglio di mano con il vestito stretto nell’altra, apprestandosi a leggerne rapido il contenuto mentre Clodagh si accostava al collega alzandosi in punta di piedi per riuscire a vedere a sua volta, accigliata tanto quanto lui.
“Un vecchio articolo della Gazzetta del Profeta dove compare il suo nome. O meglio, di un certo Fulbert Schäfer e di Alexandra Sutton. Pare che fosse suo padre.”
“Qui non cita i nomi di nessun parente, dice solo che suicidandosi ha lasciato moglie e tre figli… Può sempre essere un caso di omonimia.”
“Sì, ma ho trovato questo post-it che riporta inequivocabilmente l’orrenda grafia di Collins. Pare che abbiano controllato e che sia proprio Ruven Schäfer, uno dei tre figli.”
Nel parlare James sollevò la mano sinistra, mostrando ai colleghi un post-it giallo pastello scarabocchiato a caratteri cubitali con un pennarello indelebile rosso che aveva rinvenuto pochi minuti prima tra un documento e l’altro. Allibiti, Asriel e Clodagh lo fissarono interdetti prima di scambiarsi una rapida occhiata e poi fissare all’unisono il vestito rosso.
“Quindi… abbiamo trovato il vestito nella cella frigorifera… e ora scopriamo che il padre dello chef si è suicidato dopo aver perso il lavoro.”
 
Mentre fissava assorta il vestito Clodagh si domandò sinceramente se non avessero realmente finito col giungere allo snodo fondamentale del caso, concedendosi persino di provare un inizio di quel familiare brivido di eccitazione che preannunciava la risoluzione di tutti i casi a cui aveva lavorato.  
Asriel pensò lo stesso, ma decise di non concedersi il lusso di farsi illusioni e si limitò ad annuire cupo mentre ripiegava sbrigativamente l’articolo.
“E che al processo l’avvocato dell’azienda che lo licenziò era la nostra vittima. Vittima che lo chef ha affermato di non aver mai sentito nominare. Sorprendente, questa sequenza di coincidenze e di come Ruven Schäfer soffra di Alzheimer precoce a soli 27 anni. Io vado a parlarci, voi continuate a cercare in mezzo a tutta la roba che ci hanno mandato da Londra.”
“Sicuro di volerci parlare da solo?”
Clodagh non parve convinta dalla proposta dell’amico, studiandolo dubbiosa tenendo le braccia strette al petto mentre Asriel, invece, abbandonava momentaneamente l’espressione cupa per abbozzare un sorriso rilassato:
“È senza bacchetta, non mi preoccupa, al massimo potrebbe tentare di aggredirmi con una griglia da carne incandescente… E poi preferisco parlarci in tedesco, quindi voi due comunque non capireste una parola. Senza contare che non capisce quello che dici, quindi non credo che saresti di grande utilità in ogni caso.”
Le parole e il sorrisetto divertito di Asriel sembrarono rilassare la collega, che ricambiò debolmente il sorriso prima di assentire e invitare James a seguirla prendendolo sottobraccio.
Sorridendo, James seguì Clodagh verso il vagone ristorante sentendosi quasi a mezzo metro da terra, immensamente soddisfatto di aver contribuito enormemente a fare un considerevole passo avanti nelle indagini. Però, dovette ammetterlo, anche se forse Ruven Schäfer era un assassino un po’ si dispiacque per i brutti minuti che lo attendevano: a giudicare dalla faccia di Asriel, che mutò in modo repentino non appena Clodagh gli ebbe dato le spalle, quella tra loro non sarebbe stata una conversazione dai caratteri idilliaci.

 
*

 
[Nda: Idealmente il dialogo tra i due avviene interamente in tedesco, ma disgraziatamente io di crucchese non so un’h e penso che sarebbe stato alquanto scomodo anche per voi ritrovarvi un intero paragrafo in un’altra lingua con traduzione annessa, quindi limitiamoci a fare finta]
 
 
“Signor Schäfer, ricorda di aver dichiarato apertamente di non conoscere la vittima, né tantomeno di averla mai sentita nominare?”
“Sì.”
“Legga questo, per favore. È in inglese, ma non sarà un problema visto che lo parla molto bene.”
Ruven guardò dubbioso l’Auror appoggiare un pezzo di carta spiegazzato sul tavolo al quale erano seduti prima di spingerlo verso di lui, permettendogli di dare un’occhiata al titolo di quello che lo chef riconobbe immediatamente come un articolo di giornale. Benchè fosse sicuro di non averlo mai letto prima, Ruven sentì immediatamente un forte senso di oppressione al petto quando intuì di che cosa e di chi parlasse.
Per qualche istante il tedesco si limitò a fissare l’articolo, le braccia strette al petto in una morsa ferrea mentre si sforzava di deglutire normalmente.
“A voce alta.”
Ruven riportò gli occhi verdi su Asriel, rispedendo il pezzo di giornale verso di lui con un movimento brusco. Era perfettamente consapevole di non trovarsi nella migliore delle situazioni, ma non si sarebbe fatto tormentare sulla morte di suo padre per nulla al mondo.
“Non serve torturarmi. Parla di mio padre, ma questo già lo sa.”
“Sappiamo che l’uomo citato era suo padre, sì. E onestamente ritengo davvero molto poco credibile che lei non ricordasse il nome dell’avvocato che prese le parti dell’azienda a cui la sua stessa famiglia ha fatto causa. Adesso, Signor Schafer, esigo che mi racconti la verità su di lei e su quella donna, ma prima forse vorrà dirmi qualcosa riguardo a questo.”
Di nuovo, Ruven guardò l’Auror mettergli qualcosa davanti sul tavolo, ma questa volta l’espressione dello chef mutò, facendosi accigliata mentre studiava il mucchio di stoffa cremisi che aveva davanti.
“Che roba è?”
“Me lo dica lei, la mia collega l’ha trovato nella cella sua frigorifera. Onestamente non mi sembra il suo genere, quindi ero curioso di saperne di più.”
 
“No, effettivamente i vestitini rossi non sono il mio stile. Che cosa c’entra con me questo vestito?!”
Ruven sollevò il vestito di qualche centimetro e lo rispedì seccato verso l’Auror, fissandolo torvo mentre Asriel lo osservava di rimando appoggiandosi allo schienale della sedia e senza battere ciglio.
“Pare che chiunque abbia ucciso Alexandra Sutton abbia indossato un vestito rosso, che abbiamo trovato nella cella frigorifera dove nessuno ha accesso più di lei appena prima di scoprire che ha mentito sul suo legame con la vittima fin dall’inizio. Pensa di voler iniziare a spiegare o posso chiamare direttamente i miei superiori e il Dipartimento degli Auror di Berlino?”
 
Asriel provò un leggero e sadico moto di soddisfazione nel vedere lo chef perdere la faccia di bronzo e impallidire un poco, permettendosi persino di accennare un sorriso mentre si metteva più comodo sulla sedia e, la bacchetta in tasca pronta ad essere afferrata, intrecciava le mani poggiandosele in grembo. La parte migliore, quando si rendevano conto di aver mentito e di aver raccontato stronzate al cretino sbagliato, era guardare le loro facce.
“Prego. L’ascolto.”
 

 
*

 
“A che cosa stai pensando? È da troppi minuti che non parli e la cosa inizia ad angosciami vista la situazione.”
Seduta sul bordo del suo letto con un bastoncino di liquirizia in mano e una foto di Bolo stretta al petto, Delilah parlò agitando nervosamente la liquirizia in direzione del suo migliore amico, che se ne stava in piedi e in silenzio accanto al finestrino da una quantità di tempo esasperante.
“Penso che dovresti dire la verità. Tutta la verità.”
Certo Delilah voleva che l’amico le dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa, tranne quella. La strega smise immediatamente di muovere la mano mentre guardava allibita l’amico voltarsi con calma averso di lei, studiandola di rimando più serio che mai mentre la fotografa si domandava seriamente se non avessero finito col drogarle l’amico e mettere così fuori gioco la sua sola e unica ancora di salvezza.
“Vuoi scherzare? Ti sei ammattito, Ro?!”
“Senti, sanno della Polisucco, pensi che se scoprissero da soli il vero motivo per cui sei qui, il vero motivo per cui eri a Berlino, la prenderebbero bene? Al momento, vista la faccenda della francese, credo che tu ti sia fornita un ottimo alibi e che non sospettino di te, ma penso che dovresti dire la verità.”
Ro incrociò al petto le lunghe braccia fasciate dalla giacca nera del completo senza staccare gli occhi scuri dal viso pallido dell’amica, che boccheggiò guardandolo incredula e stentando a credere alle proprie orecchie:
“Ma… Ma non pensano che sia stata io. Giusto? Cioè, perché avrei dovuto dirgli della Polisucco se fossi stata io?!”
“Potrebbero pensare che hai aiutato qualcun altro, la persona che ha concretamente ucciso Alexandra, e che tu abbia raccontato quelle cose per ripulirti. E indovina chi è il miglior candidato per essere il tuo complice in un omicidio, se non il tuo migliore amico?!”
Prospero si auto-indicò con l’indice destro roteando esasperato gli occhi scuri – perché su quel treno sembrava che agli occhi di tutti il più sospetto fosse stato lui sin dal primo giorno?! – per nulla allettato all’idea di sentirsi rivolgere tale accusa mentre Delilah lo guardava poco convinta.
“Io e te che uccidiamo qualcuno? Io e te che facciamo fuori la Panterona?! È più facile immaginarci correre la maratona di New York.”
La sola idea le apparve talmente ridicola che Delilah non rise solo per l’estrema gravosità della situazione, guardando l’amico sospirare torvo prima di iniziare a misurare la stanza a grandi passi, finendo con l’esaurire lo spazio con giusto un paio di falcate a causa della sue gambe chilometriche.
“Questo io lo so benissimo, ma quelli no Laila, non lo sanno. È tutta colpa degli stereotipi sugli italiani, ovviamente, siamo sempre o mafiosi o impegnati a mangiare la pizza, non sorprende che tutti pensino che sia stato io dal giorno 0!”
“Hai scordato questo, nei film fate sempre così…”
Delilah sollevò la mano destra congiungendo le dita e muovendola maldestramente avanti e indietro, guardando l’amico sbuffare e indispettirsi ancora di più prima di mostrarle il modo corretto di farlo.
“Si fa così, che cos’è quella roba che fai tu, vile mangiatrice di pasta al ketchup?!”
“Uffa, che palle, vedi di adottarmi così divento italiana, ricca e posso imparare come si deve, invece di lagnarti! È tutta colpa di Cecil!”
“Che c’entra Cecil adesso?!”     Di nuovo, Prospero agitò la mano a sacchetto in direzione dell’amica, questa volta spontaneamente e non per farle il verso, guardandola sbuffare sonoramente prima di agitare le mani in aria esasperata:
“Quando sono nella merda è sempre colpa di Cecil, mi conosci da 20 anni e ancora non l’hai capito?! Pare che “è stato Cecil” siano state le mie prime parole.”
“Qui stiamo divagando. Andiamo dagli Auror.”
Esasperato, Prospero stava per prendere l’amica per un braccio, invitarla gentilmente ad alzarsi e condurla al di fuori della cabina, ma Delilah bloccò le sue intenzioni sul nascere riprendendo rapida possesso del dizionario inglese-spagnolo tascabile che aveva arraffato poco prima dal bagaglio dell’amico, iniziando a sfogliarlo con impazienza:
“Dammi 5 minuti, finisco di imparare come si domanda “Potrei avere un piatto di paella” in spagnolo. Mi servirà, se dovessi fuggire in Messico.”
“Guarda che la paella è spagnola, non messicana… lasciamo perdere.”

 
*

 
“Chiedo scusa, ma il mio collega non le aveva chiesto di restare nella sua cabina senza combinare casini con il suo amico per il più lungo arco di tempo possibile?”
Clodagh spostò accigliata lo sguardo da Delilah a Prospero, entrambi in piedi davanti a lei e a James. Ma mentre Prospero sorrideva rilassato – o almeno apparentemente – stringendo le spalle dell’amica con un braccio, quest’ultima aveva tutta l’aria di volersi dare alla fuga il più rapidamente possibile.
Probabilmente era per quel motivo che lui la teneva per le spalle, giudicò Clodagh.
 
Visto che l’amica esitava a rispondere, Prospero decise di darle una leggera spinta di incoraggiamento stringendo eloquentemente la presa sulle sue spalle, costringendola a borbottare qualcosa con aria poco convinta.
“Emh, sì. A dire il vero io sarei qui per…”
“Delilah ha delle cose da dire. Emh, il Signor Morgenstern non c’è?”
Più falsamente disinteressati che mai, i due ex Serpeverde presero a guardarsi attorno con la stessa finta nonchalance che ormai Clodagh conosceva bene: era la stessa aria che avevano le parenti dei suoi colleghi quando fingevano di essersi recate in ufficio per salutarli e non per ammirare Asriel.
“Sta parlando con un altro passeggero, ma di qualsiasi cosa si tratti potete riferirla a me o al Signor Hampton.”
Clodagh accennò a James con un lieve movimento del capo senza però mai smettere di osservare i due, guardandoli incuriosita e con una lieve punta di divertimento mentre Delilah, illuminandosi improvvisamente, si affrettava a sorridere e a cercare di defilarsi:
“No, sa che c’è, allora passiamo più tardi quando ci sarà anche il Man- il Signor Morgenstern. Vieni Ro, togliamo il disturbo.”
Decisa a cogliere due piccioni con una fava – scamparsi la gogna e tornare solo per almeno rifarsi gli occhi – Delilah cercò di battere la ritirata trascinandosi appresso l’amico, che però restò malauguratamente ben piantato dov’era. Scoccatogli un’occhiataccia, Delilah stava per minacciarlo di “trovarsi un altro modello prediletto” quando Clodagh, sorridendo amabilmente e alzatasi in piedi, le si rivolse distruggendo le sue ultime speranze:
“Non c’è bisogno, e credo che il mio collega avrà da fare per un po’. Dica pure, Signorina Yaxley, la prego.”
 
Quel “la prego” aveva ben poco di un invito cortese e molto di un’esortazione vagamente perentoria, tanto che Delilah, dopo una breve esitazione, si vide costretta a sedersi nuovamente di fronte agli Auror.
Quella giornata sembrava destinata a non finire mai.
“Signor De Aureo, lei può aspettare fuori.”
Quando vide Prospero affrettarsi a prendere posto accanto all’amica Clodagh si premurò di invitarlo a lasciarli soli parlando con tono piatto e osservandolo dubbiosa – c’era qualcosa, in lui, che non la convinceva affatto –, ma il mago non le diede ascolto e anzi accavallò con disinvoltura le lunghe gambe prima di sorriderle affabile:
“Oh, no, io rimango qui con lei. Non è un interrogatorio formale, quindi non penso che possiate impedirmelo. Può portare a portarmi fuori di peso, se vuole, ma le sconsiglio di sprecare energie.”
Prospero sfoderò il migliore dei suoi sorrisi sotto lo sguardo scettico di Clodagh, che rifletté brevemente sull’elevata statura del mago prima di sospirare e decidere di lasciarlo perdere per tornare a concentrarsi su Delilah.  
“D’accordo… Allora, Signorina Yaxley, di che cosa vuole parlarci? Sì è ricordata qualcos’altro?”
“No, emh… vorrei parlarvi del… vero motivo per cui sono qui.”
 

 
*
 
 
“Mio padre era un Magonò, mia madre invece è una strega nata in una famiglia benestante. I miei nonni materni non volevano che lei sposasse un Magonò, per di più nemmeno ricco, e quando lei ha deciso di farlo comunque l’hanno diseredata. Mio padre ha sempre fatto di tutto per mantenerci, me e i miei due fratelli, faceva il macchinista per un’azienda di Berlino. Ha perso il lavoro quando avevo 16 anni dall’oggi al domani, senza motivo.”
“Quando ne avevo 17 si è… beh, lo ha già letto. Comunque, qualche anno dopo, quando ne avevo 21, ho conosciuto Alexandra. Volevo fare ricorso contro l’azienda e informandomi lessi di lei praticamente ovunque, sembrava quasi… un prodigio, anche se giovanissima. Volevo chiederle di aiutarmi.”
“Ma non lo ha fatto. Era l’avvocato dell’azienda, no?”
 
Ruven annuì senza smettere di evitare in tutti i modi di incrociare lo sguardo di Asriel, i chiarissimi occhi verdi piantati sul tavolo che li separava e sul quale ancora giaceva l’articolo che parlava della morte di suo padre e del processo che l’aveva seguita, coinvolgendo la nota azienda tedesca presso cui Fulbert Schäfer aveva prestato servizio per quasi un ventennio.
“Sì. Disse che era un “caso inconsistente”, e che non le interessava. Ma poi qualche settimana dopo la rividi in aula. Evidentemente l’avevano assunta pagandola parecchio, più di quanto non potesse fare la mia famiglia.”
“E la cosa l’ha fatta arrabbiare?”
La domanda di Asriel spinse finalmente Ruven a guardare l’Auror: prima di rispondere lo chef sollevò la testa e piantò gli occhi verdi sul viso dell’altro, scrutandolo serio.
“È ovvio. Lei come si sarebbe sentito? Avevo la possibilità di fare qualcosa per la memoria di mio padre, e non ci sono riuscito. Lui per noi ha fatto qualsiasi cosa, non ho mai conosciuto nessuno che abbia lavorato tanto, e nessuno se l’è mai ricordato. Non ha avuto niente di quello che meritava.”
 
Asriel non rispose. Per qualche istante si lasciò trasportare lontano da quel vagone, dal treno, dalla Germania stessa. Fino a ritrovarsi a Londra, al Dipartimento degli Auror, davanti ad una teca di vetro davanti alla quale passava più volte ogni giorno e dove, da qualche mese, in mezzo agli altri nomi figurava anche quello di suo padre, inciso su un piccolo scudo dorato e accompagnato da due date.
Suo padre aveva ricevuto il riconoscimento dovuto per i suoi anni di servizio. L’idea che le cose sarebbero potete andare diversamente non gli piacque affatto.
 
“So che difficilmente ci crederà. Ma non l’ho uccisa io. Lavoro qui da quasi due anni, pensa che io abbia iniziato a cucinare per la compagnia ferroviaria prevedendo che un giorno, forse, Alexandra Sutton sarebbe salita sul Riviera Express? O magari che io sia un veggente che aveva previsto tutto e che si è fatto assumere solo per ammazzarla?”
“No, non lo ritengo molto probabile. Ma potrebbe aver saputo facilmente della sua presenza a bordo. Potrebbe aver ricordato cose spiacevoli e aver deciso di parlarle. Magari non voleva ucciderla, all’inizio. Magari è stato un impulso momentaneo, accade più spesso di quanto si pensi, che la gente si lasci trascinare dall’ira.”
Asriel si strinse nelle spalle, giocherellando distrattamente col bordo del vestito scarlatto mentre Ruven, sedutogli di fronte, sospirava piano prima di protendersi sul tavolo verso di lui:
“Senta, io quel vestito non l’ho mai visto. E come avrei potuto rubare la Polisucco e prendere le sembianze della francese? Io sono uno chef, non lascio quasi mai la cucina e non interagisco mai con i passeggeri, quando e come avrei rubato qualcosa ad uno di loro?”
“Può aver trovato un suo capello in un piatto. E un cameriere può averla aiutata, o un altro membro dello staff.”
“Io non resto solo spesso, qui. Può chiedere ai ragazzi, almeno uno di loro è sempre stato con me, quella sera, non mi sono mai allontanato dal servizio. Non avrei potuto prendere le sembianze di nessuno.”
 
Ruven si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto, fissando torvo l’Auror mentre Asriel lo osservava dubbioso di rimando. Infine, dopo istanti di silenzio che allo chef sembrarono durare un’eternità, Asriel si alzò scostando rumorosamente la sedia sul pavimento e decretando che avrebbe parlato con tutti i camerieri.
“Ah, un’ultima cosa… la cella frigorifera prima era chiusa a chiave. È sempre stato così, da quando il treno è partito?”
“Di giorno la teniamo aperta per comodità, la chiudo io alla fine del servizio, dopo cena.”
“Grazie. Può andare, mi mandi tutti quelli che lavorano in cucina con lei.”

 
*

 
“Quindi la Signorina Sutton stava con suo fratello.”
“Sì. Io ovviamente glielo avevo detto, a Cecil, che la faccenda aveva qualcosa di strano. Insomma, la Panterona era decisamente troppo bella per lui, e lo dico con tutto l’affetto possibile.”
“Non credo che vogliano sapere questo…”
Prospero si accostò leggermente all’amica, parlando in un sussurro appena percettibile mentre Delilah, annuendo, si affrettava a procedere con il racconto:
“Oh, sì, certo. Insomma, sì, sono stati insieme per un po’, ma a me la cosa non ha mai convinto. Lei era particolarmente interessata al lavoro di Cecil e all’attività di famiglia, sapete…”
“Oh, certo Signorina Yaxley, sappiamo molte cose sull’attività della sua famiglia.”


Il tono sarcastico di Clodagh fece comparire un accenno di sorriso sulle labbra di Delilah, che però si affrettò a farlo sparire e a riprendere da dove si era interrotta per evitare di soffermarsi più del dovuto sul negozio di famiglia e su tutti i manufatti illegali che conteneva.
“Beh, io ero sicura che stesse con lui solo per quel motivo, e infatti ben presto lo ha dimostrato. Cominciò a chiedere dei favori a mio fratello, di darle degli oggetti, diciamo. Ma quando lui ha iniziato a rifiutarsi di farlo lei non l’ha presa bene.”
Delilah fu particolarmente tentata di aggiungere qualcosa su come lei avesse sempre ragione, ma decise di astenersi dal farlo quando vide Clodagh accostarsi leggermente a James e mormorargli qualcosa all’orecchio.
La strega non era del tutto sicura di voler continuare e di fornire agli Auror un fantastico movente con cui poterla incriminare, ma l’occhiata che le lanciò Ro la convinse a proseguire. Tanto valeva raccontare tutto, a quel punto.
“Che cosa intende con il fatto che non l’ha presa bene?”
“Ha iniziato a ricattarlo. Poteva davvero metterci nei guai, Cecil in primis. Naturalmente lui me ne ha parlato, non sapeva che cosa fare, e io ho…”
Delilah stava per concludere la frase asserendo di aver “deciso di farla smettere” ma si rese conto che il senso di quelle parole avrebbe potuto essere facilmente travisato e si affrettò a salvarsi in extremis:
“… deciso di fare qualcosa. Non potevo stare a guardare, si parla della mia famiglia. Ero sicura che nemmeno gli affari di Alexandra fossero leciti al 100%, si sa che gli avvocati sono delle false sanguisughe, così ho deciso che avrei scoperto qualcosa di scomodo su di lei e l’avrei usato per costringerla a lasciare in pace Cecil.”
“E ci è riuscita, Signorina Yaxley?”
“Non esattamente. L’ho seguita a Berlino, ma non ne ho ricavato granché.”
Delilah si strinse nelle spalle, evitando accuratamente di guardare Clodagh e James. Tuttavia, pur sentendosi profondamente a disagio e consapevole di essersi appena messa in una pessima luce agli occhi degli Auror, Delilah si sentì anche improvvisamente più leggera. Era quasi un sollievo aver detto la verità, finalmente.
Non guardando gli Auror la strega non notò il rapido, quasi impercettibile cambiamento nell’espressione di Clodagh, che sembrò sinceramente sorpresa nell’udire quella confessione. Prospero invece, osservandola con attenzione, notò accigliato gli occhi chiari della strega spalancarsi leggermente e le sue labbra stringersi per un breve istante prima di tornare a rivolgersi alla sua amica con il medesimo tono neutro di poco prima:
“Quindi ammette di aver mentito e di non essere qui per lavoro, ma di aver effettivamente seguito la vittima dall’Inghilterra fino a Berlino per poi prendere questo treno?”
“Sì. So che non gioca molto a mio favore, ma sarei l’assassina più deficiente mai esistita se fossi stata io e venissi a dirvi tutto questo.”
“Lei lo sapeva?”
Clodagh non conosceva bene Prospero De Aureo, ma gli scoccò comunque un’occhiata obliqua e il suo fintissimo sorrisetto innocente non la convinse per nemmeno un decimo di secondo. Figurarsi se non lo sapeva, si disse aspramente la strega.
“Sapevo di Alexandra e Cecil ovviamente ma non conoscevo i dettagli, anche se ero sicuro che Laila non fosse qui propriamente per lavoro. Non è facile per lei nascondermi le cose.”
Delilah scoccò un’occhiata torva all’amico, astenendosi dal ricordargli seccamente che lo stesso discorso valeva anche per lui mentre James controllava che la sua penna prendiappunti avesse annotato tutto ciò che era stato detto dalla fotografa. Quando il ragazzo le ebbe rivolto un rapido cenno d’assenso, Clodagh si voltò di nuovo verso Delilah:
“Signorina Yaxley, la vittima si era resa conto che la stava seguendo? O l’aveva vista sul treno?”
“No, non credo proprio che si fosse accorta di me. Sono brava a non farmi notare, quando è necessario. E sono piuttosto certa che non mi abbia nemmeno vista sul treno, o credo che sarebbe venuta a chiedermi che cosa ci facessi qui.”
Delilah guardò nervosamente i due Auror avvicinarsi e scambiarsi qualche parole, pregando mentalmente che non la spedissero in un’aula di tribunale del Wizengamot. Fortunatamente, quando Clodagh tornò a rivolgerlesi accennò un sorriso e invitò lei e Prospero ad uscire:
“Per ora potete andare, ne parleremo con Asriel e vedremo che cosa fare. Nel frattempo vorrei che andaste con tutti gli altri passeggeri, così saremo sicuri che non potrete andarvene a zonzo. James, puoi accompagnare i signori?”
“Certo, torno subito. Seguitemi per favore.”
James si alzò con un sorriso allegro, invitando gentilmente i due ex Serpeverde a seguirlo. Anche se controvoglia i due si alzarono e obbedirono, sfilando fuori dal vagone dietro a James bisbigliando tra loro con fare concitato sotto lo sguardo di Clodagh.
Rimasta sola, la strega rilesse distrattamente la trascrizione della confessione di Delilah Yaxley, pensierosa. Mai come in quel momento, da quando aveva messo piede su quel treno, si sentì tanto stupida.
 
 
“Li ho chiusi dentro, tutto a posto. A cosa stai pensando? Pensi che abbia detto la verità?”
James tornò a sedersi accanto a lei in attesa che Asriel si rifacesse vivo con qualche novità, osservando curioso l’amica mentre Clodagh, seduta con le braccia strette al petto, scuoteva nervosamente la testa:
“Non vedo perché inventarsi tutto. No, credo che sia tutto vero, al massimo potrebbe esserci qualcosa che ha evitato di farci sapere… Dio, che stupida sono stata.”
“Che vuoi dire? Non potevi saperlo, come nessuno di noi.”
Clodagh non rispose, osservando accigliata il rotolo di pergamena dove la piuma incantata aveva annotato le parole di Delilah prima di invitare il collega a riprendere a controllare i documenti che avevano davanti. James non se la sentì di ribattere e obbedì, pur chiedendosi a che cosa stesse pensando la collega mentre prendeva un fascicolo lanciandole una rapida occhiata pregna di curiosità.

 
*

 
“C’è qualcosa che non mi convince del tutto. Ruven Schäfer ha il movente, aveva la possibilità… ma il vestito nella cella frigorifera. Non lo so, troppo stupido come errore. E tutti quelli che lavorano in cucina hanno confermato che non è mai rimasto solo a lungo, quella sera. È difficile credere che avrebbe potuto rubare la Polisucco e usarla.”
“Pensi che lo abbiano messo per spingerci nella sua direzione? Lo penso anche io. O forse è davvero stato lui.”
“Forse, sì. Ma non sono così convinto da rivolgergli un’accusa formale… Merlino, c’è qualcuno su questo dannato treno che ha detto la verità?!”


Clodagh non rispose, limitandosi a guardare fuori dal finestrino e ad accarezzare dolcemente Zorba, che poco prima le era saltato sulle ginocchia e si era acciambellato snobbando Asriel per punirlo del suo recente quanto imperdonabile tradimento.
I due stavano riflettendo in silenzio, ognuno per conto proprio, quando Clodagh si voltò verso il collega guardandolo seria:
 
“Asriel…”
 
Asriel ricambiò il suo sguardo osservandola accigliato di rimando ma Clodagh non riuscì ad andare avanti, perché di nuovo James sopraggiunse di corsa sventolando qualcosa e col fiatone per aver attraversato il treno in mezzo minuto netto:
“Clara… Cavolo che corsa, devo riprendere a fare jogging quando torniamo… Clara Picard!”
“Clara Picard cosa?! Non dirmi che c’è un altro morto!”
Ci mancava solo una francese morta per farlo finire in riabilitazione, ma fortunatamente Asriel e Clodagh guardarono il collega scuotere il capo prima di allungargli ciò che teneva in mano:
“No, non è morta… il fratello di Clara Picard. Disse che ha avuto un incidente sul lavoro qualche anno fa, ricordate? È vero, ho trovato un articolo di un giornale francese che parlava di George Picard, per fortuna ci hanno mandato la traduzione o non avrei capito nulla… Comunque, è confermato. Ma ha omesso di dire chi era l’avvocato del deficiente che ha causato l’incidente di suo fratello e al quale la famiglia di Clara fece causa.”
“Perché ho la sensazione che fosse, alta, bionda e con la passione per la pelletteria di lusso?”
Asriel allungò una mano e arraffò il giornale dalle mani di James, che si sentì soddisfatto e intimorito al tempo stesso a causa del tono e dello sguardo truce del collega, che borbottò torvo qualcosa a proposito di come la Sutton fosse diventata onnipresente e di come ormai la ritrovassero ovunque:
“Possibile che ogni volta in cui mi giro compare la Sutton spuntando come un cazzo di fungo?! Quante persone ha difeso e quanta sofferenza ha portato, quella cazzo di megera incipriata?!”
 

 
*
 

“Gli hai detto di averla vista, quindi?”
“Sì. Non so se mi abbiano creduto, ma Alexandra era decisamente più che viva e vegeta, quando sono uscita dalla sua cabina. E non mi è nemmeno sembrata particolarmente in ansia, anche se quando mi ha aperto aveva la bacchetta in mano… Sul momento non ci ho fatto caso, mi è tornato in mente parlando con gli Auror.”
“Pensi che avesse paura di qualcuno?”
Corinne scosse la testa smuovendo leggermente i capelli color grano, gli occhi chiari fissi sul pavimento del vagone mentre si sforzava di ricordare più dettagli possibili sul suo ultimo incontro con Alexandra.
“Non lo so. Che io sappia non conosceva bene nessuno degli altri passeggeri, ma sono sicura che si siano tantissime cose che non sapevo e che non saprò mai di lei.”
Clara sedeva accanto a Corinne su uno dei sedili imbottiti del vagone e con il suo gatto nero sulle ginocchia, ad un paio di file di posti di distanza rispetto agli altri passeggeri. Sembrava che nessuno fosse in vena di chiacchiere, e le due francesi erano le uniche a rivolgersi la parola oltre a Prospero e Delilah, gli ultimi arrivati, seduti vicini a loro volta e impegnati a scambiarsi mormorii e sussurri concitati.
Loki si era acciambellato sulle gambe della padrona e si godeva le coccole facendo le fusa, ma Clara continuava ad accarezzargli il soffice pelo nero quasi meccanicamente, troppo tesa e concentrata sulle parole di Corinne e sui recenti avvenimento per prestargli particolare attenzione.
 
“Su questo non ho dubbi. Ma di chi o che cosa poteva aver paura, Coco?”
“Non ne ho idea.”
Nessuna delle due streghe ebbe il tempo di formulare alcuna ipotesi, perché la porta di vetro scorrevole del vagone fino ad all’ora sigillata venne fatta scorrere e tutti i presenti rivolsero la propria attenzione su Asriel, in piedi sulla soglia con sguardo decisamente poco benevolo.
 
“Che faccia… Spero che non voglia parlare con me.”
Il sussurro di Elaine, seduta accanto a May mentre Ailuros fissava senza sosta una Polly stretta tra le braccia di Lenox, venne ampiamente condiviso anche dall’amica, che mormorò preoccupata qualcosa in proposito ad una sua eventuale fuga dal finestrino qualora l’Auror avesse annunciato di voler parlare con lei.
“Non ha un debole per i gatti?! Puoi sempre usare Ailuros come esca per farci fuggire.”
May si accostò all’amica parlando con un filo di voce e quasi non muovendo le labbra, temendo che Asriel potesse sentirla e incenerirla con un’occhiata, ma Elaine non sembrò condividere la sua proposta e la guardò scandalizzata prima di asserire che mai e poi mai avrebbe usato il suo amato gatto come esca.
 
“Signorina Picard? Mi segua.”
Le parole di Asriel, che gettò una rapida e gelida occhiata in direzione di Clara e Corinne prima di girare sui tacchi e allontanarsi, permisero a quasi tutti i presenti di tornare a respirare normalmente. Tutti tranne Delilah e Prospero che ormai, a detta della prima, avevano collezionato più incontri con gli Auror di un abbonato e che quasi non avevano battuto ciglio alla vista dell’ex Corvonero.
“Porca Tosca, meno male, stavo già rimpiangendo di non aver fatto testamento…”
Elaine sospirò di sollievo prima di tornare a dispensare carezze ad Ailuros, che sembrò gradire e strusciò la testa contro la mano della padrona con affetto mentre May, accanto a lei, decretava di quasi provare pena per la francese.
“May, hai scordato che su questo treno c’è un assassino?”
“Lo so Nel, ma hai visto che faccia aveva?! Io avrei iniziato a scavarmi la fossa!”
 
May scosse la testa con decisione, asserendo che in quel preciso momento non avrebbe augurato un colloquio con Asriel nemmeno a Jack lo Squartatore. Lenox invece, seduto di fronte alle due, guardò Clara mormorare qualcosa a Corinne prima di alzarsi e, impassibile, seguire il suo ex compagno di classe fuori dal vagone.
Lenox dovette riconoscere che la strega aveva un aplomb invidiabile. Era piuttosto sicuro di conoscere Asriel meglio di chiunque, lì dentro, e probabilmente se l’Auror avesse chiesto a lui di seguirlo con quel tono e quello sguardo truce avrebbe accolto il suggerimento di May Hennings e avrebbe usato l’enorme gatto della cantante lirica come scudo dietro al quale ripararsi.

 
*

 
“Signorina Picard, sarò breve e verrò subito al dunque perché ritengo di star già perdendo abbastanza ore della mia vita su questo treno. Quando l’abbiamo interrogata ha omesso di dire che quando la sua famiglia ha fatto causa all’uomo che ha causato l’incidente di suo fratello, George Picard, costringendolo sulla sedia a rotelle, il suo avvocato era la Signorina Sutton.”
Clara sedeva di nuovo di fronte agli Auror, le gambe accavallate e le mani sul grembo. Le parole di Asriel non sembrarono tangerla particolarmente, e anzi si limitò ad inarcare un sopracciglio mentre spostava lentamente i grandi occhi da cerbiatta da lui, a Clodagh e a James.
“Ve lo ha detto Corinne?”
“Non le deve interessare. Vorremmo sapere, invece, perché non lo ha detto e ha persino affermato di non conoscere Alexandra Sutton.”
Naturalmente da quando avevano scoperto la parte di storia che Clara Picard aveva omesso di raccontare Asriel non aveva avuto il minimo dubbio che Corinne Leroux ne fosse, invece, perfettamente a conoscenza.
Era decisamente saturo di quei passeggeri che mentivano, omettevano dettagli e per di più si coprivano anche le spalle a vicenda.
La pazienza di Asriel, già pericolosamente agli sgoccioli, subì l’ennesimo colpo quando Clara, invece di manifestare un qualsiasi segno di disagio o di sorpresa, accennò un sorriso rilassato:
“Monsieur, non ho mentito.”
“Come sarebbe a dire che non ha mentito?”
Paralizzato, Asriel guardò la strega con gli occhi chiara sgranati, rifiutandosi di credere a ciò che aveva udito. Come si permetteva, quel branco di mentecatti, di prenderlo apertamente per cretino negando l’evidenza e offendendo così mortalmente la sua intelligenza?
Intuendo che uno scoppio d’ira fosse vicino James si mosse a disagio sulla sedia e gettò un’occhiata preoccupata a Clodagh, seduta tra lui e Asriel, ma l’amica si limitò a rivolgergli seria un cenno appena percettibile con il capo, come a dirgli di non preoccuparsi.
“Mi avete chiesto se la conoscessi, la riposta è stata no. Ed è così, io non la conoscevo.”
“Lei e la sua amica sono state insieme. Per degli anni. E afferma ancora di non averla conosciuta?”
 
Incredulo, Asriel guardò la francese sbattendo le palpebre. Probabilmente lo chef aveva trovato il modo di drogarlo durante il loro incontro. Non c’era altra spiegazione.
“Vuoi che continui io?”
Clodagh si accostò leggermente all’amico parlandogli con tono pacato e sfoggiando un accenno di sorriso, ma Asriel scosse la testa senza smettere di fissare Clara, che si strinse debolmente nelle spalle mentre sosteneva impassibile il suo sguardo:
 
“Corinne non mi ha detto della relazione per molto tempo. Temeva la mia reazione. In effetti, Corinne non me lo ha mai confidato, l’ho scoperto leggendo i giornali quando tra loro era già finita.”
“E perché temeva la sua reazione? Perché non avrebbe approvato. Perché lei odiava Alexandra Sutton.”
Asriel la guardò quasi sfidandola a negare ma Clara, continuando imperterrita a non smuoversi dalla sua posizione, scosse seria il capo e sollevò una mano per prendere la parola:
“Io non odiavo Alexandra Sutton. Io odiavo l’avvocato che ha fatto vincere la causa a quel… ce connard(1) che ha fatto perdere il lavoro e danneggiato irreparabilmente la salute di mio fratello. È stata colpa sua in ogni modo possibile, non ha rispettato le procedure, non ha rispettato le indicazioni degli Spezzaincantesimi e a pagarne le conseguenze è stato George. Ma è comunque riuscito a passarla liscia e a non dover dare nemmeno un risarcimento in denaro alla nostra famiglia, denaro con cui mio fratello avrebbe potuto pagarsi delle cure grazie alle quali oggi starebbe meglio. Grazie a lei. Ma io di fatto Alexandra Sutton non l’ho mai conosciuta, non ci ho mai scambiato una parola e non avevo idea che avrebbe preso questo treno. Non avete nessuna prova che io fossi a conoscenza del suo viaggio, vero Monsieur?”
Questa volta Clara sorrise, piegando leggermente gli angoli delle labbra carnose verso l’alto mentre Asriel la guardava livido stringendo le braccia al petto e consapevole che la strega avesse ragione.
 
“Inoltre, vi ho detto perché sono qui, ero diretta dalla mia famiglia per passare le feste con loro a Cannes dopo essere stata a Berlino per lavoro, e potete verificarlo scrivendo al Ministero tedesco o ad un mio superiore, se non l’avete già fatto.”
“Lo abbiamo fatto e hanno confermato la sua versione. Ma questo non le avrebbe comunque impedito di fare in modo di trovarsi qui insieme alla vittima, potrebbe aver organizzato tutto in modo da avere una copertura ideale.”
“Solo poche ore fa ho contribuito a stabilire che la persona che è stata vista da una passeggera davanti alla cabina della vittima non era Corinne. Se fossi stata io a ucciderla, perché fare in modo di togliere qualcun altro dal primo posto della lista dei sospettati? Corinne è la sua ex e per questo motivo era già la più sospettata, immagino, ma se avessi confermato la versione di Delilah Yaxley sareste stati a tanto così da poter accusare formalmente Corinne. Non sarebbe stato comodo, per me, lasciarvi credere che si trattasse di lei se fossi stata io ad ucciderla?”
“O magari lei e la sua amica siete d’accordo. Spiegherebbe perché la Signorina Leroux si è premurata di non rivelarci il suo legame con la vittima.”
“Quando mi avete interrogata ho detto che Corinne è una brava persona. Lo è davvero. Credo che si senta tutt’ora in colpa per essere stata con Alexandra alle mie spalle. Rivelarvi del mio cosiddetto “legame” con la vittima non avrebbe alleggerito la sua coscienza… Per questo non lo ha fatto. Evidentemente anche lei non ritiene possibile che possa essere stata io.”
 

 
*

 
“Clara Picard ha ragione. Ha fottutamente ragione, può dimostrare di essere salita su questo treno per un valido motivo, e che si trovasse a Berlino per lavoro è confermato.”
“Potrebbe aver organizzato il lavoro all’ultimo, dopo aver saputo che Alexandra avrebbe viaggiato qui?”
James era chino sul registro delle visite e degli appuntamenti di Alexandra che i loro colleghi rimasti a Londra avevano preso dallo studio della vittima, ma sollevò la testa per azzardare dubbioso un’ipotesi mentre guardava Asriel fare avanti e indietro per il vagone ristorante. Dopo aver congedato Clara non era rimasto seduto o fermo nello stesso punto per più di cinque secondi di fila
“Da Berlino ci hanno risposto che l’hanno chiamata con urgenza due giorni prima che partisse per la Germania. Clo, la Sutton quando ha comprato il biglietto per il treno?!”
“Stando ai registri della compagnia ferroviaria, dieci giorni prima della partenza. Il 10 dicembre. Alexandra ha lasciato Londra per recarsi a Berlino il 14, così ha assicurato la sua assistente. Ci è rimasta per circa una settimana, dopodiché è salita sul Riviera Express per passare il Natale in Francia, o almeno questa è la versione ufficiale.”
“Quando il treno è partito tutti si trovavano a Berlino, per un motivo o per un altro, qualcuno più a lungo degli altri ma comunque erano tutti in Germania… è possibile che qualcuno l’abbia incontrata prima? Forse è successo qualcosa appena prima che tutti noi salissimo sul treno…. Può essere successo qualcosa a Berlino, e non tanto sul treno. Alexandra apre la porta a Corinne Leroux con la bacchetta in mano. Forse era preoccupata. Forse ha incontrato qualcuno dei presenti prima di salire sul treno, qualcuno che l’ha minacciata.”
Quando sentì il collega menzionare la capitale tedesca James si sentì letteralmente raggelare: in tutto il trambusto provocato dalle recenti scoperte sul conto di Clara Picard, la faccenda riguardante Delilah Yaxley e suo fratello gli era completamente passata di mente.
L’ex Tassorosso deglutì a fatica mentre riportava lo sguardo su Asriel, ancora impegnato nelle sue elucubrazioni. Preparandosi a Disarmare il collega o, alla peggio, ad evocare delle funi per legarlo il più giovane del trio si schiarì la voce mentre Clodagh, intuendo le sue intenzioni, si rigirava con finta nonchalance la bacchetta tra le mani per lo stesso motivo.
“Ecco, emh, a questo proposito Asriel… stavamo per dirtelo ma poi è saltata fuori la cosa di Clara Picard… Delilah Yaxley ha confessato di aver seguito Alexandra a Berlino perché lei… ricattava suo fratello, pare.”
“Chi ricattava il fratello di chi?”
“A-Alexandra. Il f-f-fratello di Delilah Yaxley. Cecil Yaxley.”
“Sì, Asriel, te lo ricordi, il ragazzo ce stava sempre con Prospero De Aureo a scuola, sai, Serpeverde, un anno più giovane di te…”
Clodagh annuì mentre prendeva a dondolarsi nervosamente sulla sedia, la bacchetta in mano e gli occhi chiari puntati sul collega. Che disdetta non avere nessun panino a portata di mano.
Mentre il colorito di Asriel iniziava ad assumere toni pericolosamente vicini al scarlatto James si guardò attorno terrorizzato, chiedendosi perché Alpine e Zorba fossero entrambi improvvisamente spariti dalla circolazione e, in generale, nessuno dei numerosissimi gatti presenti sul treno fosse nei paraggi. Dov’erano i gatti quando servivano?!

“SO BENISSIMO CHI E’ CECIL YAXLEY, NON HO L’ALZHEIMER! Vado a prendere la fotografa. Ho intenzione di chiederle come mai le è sorta solo ora questa mistica illuminazione…”
Ecco, forse faresti bene a chiamare anche De Aureo.”
“E perché mai?! Me ne basta una alla volta, di ex Serpeverde stramba!”
Asriel si fermò sulla soglia del vagone per trafiggere James con un’occhiata furente, costringendo il collega a farsi piccolo piccolo sulla sedia prima di sollevare timidamente il registro che aveva davanti e pigolare qualcosa in risposta:
“B-beh, qui risulta la firma di P. L. De Aureo nell’elenco delle visite allo studio di Alexandra prima che lasciasse Londra…”
“… CHE COSA?! Torno. Subito.”
 
Dopo aver parlato scandendo in maniera pericolosamente lenta le parole Asriel aprì la porta, uscì dal vagone e se la richiuse alle spalle con tanta veemenza da far comparire delle vistose crepe su buona parte del vetro. Senza perdere tempo Clodagh si alzò si gettò subito all’inseguimento del collega, riparando la porta con un distratto movimento della bacchetta mentre lo pregava di non seppellire vivi i due passeggeri sotto un cumulo di neve.

 
*

 
Delilah e Prospero, per non morire di noia, avevano deciso di ammazzare l’attesa in modo decisamente originale.
Clara aveva infatti appena lasciato il vagone in compagnia di Asriel quando Prospero aveva estratto con nonchalance un mazzo di carte dalla tasca interna della giacca nera che indossava, chiedendo a gran voce se qualcuno fosse interessato a giocare una partita a briscola.
Disgraziatamente nessuno dei presenti sembrava intenzionato a giocare con un gruppo di possibili assassini, così il ragazzo si era visto costretto a riporre deluso le carte. Tuttavia, un attimo dopo Prospero aveva tirato fuori un secondo mazzo da un’altra tasca sotto lo sguardo sempre più sgomento di Delilah – ma perché, poi, continuava a stupirsi?! – informando serio l’amica che avrebbe ingannato l’attesa leggendole i tarocchi.
 
Ma lo sai fare almeno?!”
“L’ho visto fare da mia nonna e delle sue amiche, tanto difficile non potrà essere! E poi, non c‘è nulla che io non possa fare, Fogliolina cara.”
Delilah avrebbe voluto smentirlo, ma si rese conto di non avere le argomentazioni adatte, così si limitò a guardare l’amico mischiare i tarocchi con maestria prima di invitarla serio a prendere una carta dal mazzo.
“Sai, ti ci vedo proprio con un turbante in testa e pieno di opali, puoi prenderlo in considerazione come secondo lavoro…”
“Lo terrò a mente, grazie, anche se scialli e opali li lascio alla Cooman. Forza, scegli una carta.”
“Quante carte devo prendere?!”
“Tre.”
“Come fai a saperlo?!”
“Perché c’è sempre il tre di mezzo, il tre è il numero perfetto, quindi tre andrà bene.”
 
Delilah non era del tutto convinta, ma decise di affidarsi e prendere per buone le parole dell’amico e si affrettò a scegliere una carta dal mazzo, mostrandola a Ro.
Entrambi osservarono accigliati l’illustrazione per una frazione di secondo, finchè la strega non lesse il nome della carta e la indicò con un gran sorriso:
“La ruota della fortuna! Sicuramente vorrà dire che sarò molto fortunata.”
“A dire la verità l’hai presa a rovescio. Quindi, se non sbaglio, dovrebbe significare sorte avversa.”
 
E ti pareva. Ok, ne prendo un’altra, magari la situazione migliora…”
Poco convinta ma per nulla sorpresa dalla prima carta, Delilah si affrettò a prenderne una seconda sotto lo sguardo critico di Ro. Del resto, peggio della prima non poteva andare.
“La… La Papessa. A rovescio anche questa.”
“Che significa?! Che diventerò una persona importante?!”
“No, a rovescio sta per… insidia da parte di una donna molto intelligente…”
 
Udendo le parole di Prospero Delilah trasalì e si portò una mano pallida alla bocca, guardando prima la carta e poi l’amico con gli occhi sgranati:
“LA PANTERONA! Ma allora questa storia delle carte non è del tutto una arci-stronzata!”
 
“Prendine un’altra.”
“Ok… questa volta dovrebbe andarmi meglio, spero. Prendo questa.”
Delilah scelse una carta senza pensarci troppo, indicandola all’amico prima che Prospero la prendesse e gliela mostrasse impassibile:
“L’eremita.”
Grandioso, adesso mi dirai che sono destinata a passare la vita sola soletta sul cocuzzolo di una montagna Himalayana!”
“No Laila, hai… beh, credo che sia un record, ma hai preso al contrario anche questa.”
“E quindi che significa?!”
“Significa… non avere ancora capito come in realtà stanno le cose e di chi potercisi fidare.”
“Grazie tante, è un fottuto caso per omicidio, se non lo sanno gli Auror come dovrei saperlo IO come sono andate le cose?! Queste carte non hanno capito un piffero.”
 
La strega incrociò le braccia al petto e scoccò un’occhiata offesa alle carte prima di voltare indignata la testa dall’altra parte, ignorando l’amico quando Prospero le propose di pescarne altre per, magari, salvare il salvabile. Delilah fece per assicurargli di averne avuto abbastanza e di aver colto l’antifona sulla sua evidentissima sfiga eterna quando il ritorno di Asriel le fece morire le parole in gola.
Di norma la strega si sarebbe soffermata mentalmente sulla bellezza invidiabile e assolutamente illegale dell’Auror, ma non in quel momento. In quel momento tutto ciò che Delilah notò fu l’espressione incazzata sfoggiata dal mago. Che guardava, manco a dirlo, proprio lei.
 

 
*

 
Naturalmente Asriel aveva ritenuto di dover parlare a sua volta con Delilah Yaxley e Prospero De Aureo, chiedendo alla prima – assai poco gentilmente – di raccontargli per filo e per segno i suoi trascorsi con la vittima e al secondo spiegazioni a proposito della sua visita allo studio di Alexandra appena pochi giorni prima che la strega morisse.
Clodagh sedeva assistendo in religioso silenzio insieme a James, gli occhi chiari che indugiavano prima sulla stramba coppia di passeggeri e poi sul suo collega, in piedi davanti a loro.
 
“Delilah mi aveva detto che cosa stesse facendo Alexandra a Cecil. Sono andato da lei e le ho detto di smetterla. Delilah non ne ha saputo nulla fino a pochissimo tempo fa, non ha cercato di coprirmi in nessun modo.”
“E quella è stata l’ultima volta che l’ha vista?”
“Sì.”
“E voi due volete davvero farmi credere che non eravate a conoscenza della presenza l’uno dell’altro su questo treno. Lo stesso treno dove era presente anche, guarda caso, la Sutton.”
“Non ne avevo idea. Ci sono salita perché ci è salita la Pant- Alexandra, ma non sapevo di Ro. Non sapevo nemmeno che fosse andato da lei a Londra, come ha appena sottolineato lui, e lui non sapeva che io fossi a Berlino e che la stessi seguendo, che motivo avevo di dirgli che avrei preso questo treno?”
Delilah parlò gesticolando nervosamente, rimpiangendo amaramente di aver finito le sue scorte di liquirizia mentre Prospero, al contrario, sedeva placido e rilassato accanto a lei limitandosi ad osservare Asriel mentre faceva dondolare la gamba destra.
“Quindi lei è andato dalla vittima appena prima che lei lasciasse Londra. L’ha minacciata…”
“Non ho mai usato quella parola.”
Prospero sorrise ma Asriel non lo ascoltò, ignorando l’interruzione prima di procedere con il suo discorso:
“… è andato da lei e casualmente poco dopo si ritrova sul suo stesso treno. Davvero pensate che questa storia sia credibile?! Signor De Aureo, abbiamo motivo di credere che la vittima fosse spaventata da qualcosa, quando è salita sul treno. Ritiene possibile che ciò fosse dovuto a lei e alla sua visita di cortesia?”
“Beh… Forse.”
 
Prospero piegò le labbra in un sorriso colpevole che fece sospirare rumorosamente Delilah, che dovette trattenersi dall’insultarlo a voce alta e si limitò invece a spalmarsi una mano sul viso mentre Asriel fissava torvo il mago:
 
“Sicuro di essere qui per lavoro, Signor De Aureo?”
“Sicurissimo. Sono pieno di consegne da fare. Ho un pacco dalla Polonia.”
Prospero sorrise dolcemente, allegro come sempre, senza che lo sguardo torvo dell’Auror lo scalfisse:
“Già, la maledizione che abbiamo rinvenuto nella valigia della vittima. convinto di non avere idea di come ci sia finita lì dentro, Signor De Aureo?”
“Perché avrei dovuto mettercela? È stata solo una sciocca mossa per smuovere le carte e per indirizzare altrove la vostra attenzione.”
Prospero sbuffò e liquidò il discorso con un pigro gesto della mano, quasi stesse scacciando un insetto fastidioso. Forse era proprio così che vedeva Alexandra, in effetti. Ed era tremendamente stanco di perdere tempo parlando di lei.


“Sentite, lei non mi piaceva, e io non piacevo a lei. Ci incontravamo di tanto in tanto perché avevamo clienti comuni, tutto qui. Le ho suggerito caldamente di lasciare in pace i miei amici, nulla di più, e a Berlino non l’ho mai incontrata. È possibile che mi abbia visto sul treno, certo, ma non posso esserne sicuro… Sappiamo tutti che si era fatta molti nemici, potrebbe anche aver avuto paura di pressoché chiunque, qui. L’ultima volta che l’ho vista è stato a Londra.”
 
Asriel esitò, ma dopo averlo osservato brevemente decise di concentrarsi temporaneamente su Delilah: aveva bisogno di sapere se fosse successo qualcosa a Berlino, prima che il treno partisse. E forse nessuno, a parte lei, era in grado di dirglielo. L’Auror si appoggiò al bordo del tavolo, restando in piedi davanti ai due passeggeri e tenendo gli occhi azzurri fissi sulla strega. Delilah ricambiò il suo sguardo con gli occhi nocciola velati di preoccupazione, ma sembrò rilassarsi quando lui le si rivolse gentilmente:
“Signorina Yaxley, ho bisogno che lei sia sincera e molto precisa. Ha detto di averla seguita, no? Voglio che mi dica per filo e per segno tutto ciò che ha visto a Berlino. Le persone che ha visto, le cose che ha fatto, i posti dove è andata… tutto quanto.”
 
Delilah mormorò un assenso, dopodiché iniziò a snocciolare tutto ciò che aveva avuto modo di vedere e di apprendere durante il breve soggiorno a Berlino della ex del gemello.
Prospero invece rimase immobile e in silenzio, seduto accanto all’amica e limitandosi a stringerle gentilmente un braccio con la mano, quasi a volerla confortare.
Eppure i suoi penetranti occhi scuri non guardavano Delilah, e nemmeno Asriel.
 
“Lei, ad un certo punto, è sparita per un po’. Una ventina di minuti al massimo, mi sembra. Non ho idea di che cosa abbia fatto o se abbia incontrato qualcuno, è sparita grazie ad un passaggio magico, ma non sono riuscita a capire come funzionasse e non ho potuto seguirla.”
L’amarezza di Delilah era chiaramente percepibile, anche se erano trascorsi diversi giorni dall’episodio.
“Ce lo descriva. Meglio che può.”
 
 
 
Alexandra aveva viaggiato molto e aveva avuto modo di vedere buona parte delle grandi città europee, ma Berlino restava una di quelle che meno sopportava. Soprattutto alle porte dell’inverno.
La strega si portò la mano sinistra, fasciata da un guanto di pelle rosso firmato Ralph Lauren, al bavero del lungo cappotto nero che indossava, stringendoselo addosso mentre attraversava a passo spedito una piccola piazza semi deserta. Del resto chi mai si sarebbe sognato di mettere piede fuori, a quell’ora e con quel gelo?
Mentre camminava rapida piccole nuvole di vapore scandivano i suoi respiri, e il suono regolare prodotto dai tacchi a spillo degli stivali sulle pietre levigate i suoi passi.
 Alexandra si gettò una rapida occhiata attorno mentre stringeva il manico della sua valigia con la mano destra, muovendosi con la sicurezza di chi sa perfettamente dove andare e fermandosi solo quando si ritrovò davanti ad un muro di pietra quasi del tutto coperto da edera rampicante.
Dopo essersi assicurata che nei paraggi non ci fosse nessun Babbano – l’unico lato positivo di avere appuntamento così presto – Alexandra estrasse la bacchetta e si avvicinò alla parete, picchiettando tre volte la punta su uno dei mattoni.
 
Fu con sollievo che Alexandra si immerse nel tepore dell’edificio, lasciandosi il gelo alle spalle mentre il passaggio si chiudeva rapido dietro di lei.
La strega esitò nell’ingresso dall’altissimo soffitto a cupola di vetro e pareti color avorio mentre si ravvivava nervosamente i lunghi capelli biondo con la mano guantata, gettando un’occhiata torva all’uomo che, letteralmente spuntato dal nulla, le si avvicinò.
“Mi stanno aspettando.”
Se c’era una cosa che Alexandra detestava quella era perdere tempo, tanto che informò il tizio del motivo della sua visita prima ancora di dargli il tempo di aprire bocca. Fortunatamente quello le sorrise, indicandole con il braccio una delle tre aperture ad arco dell’enorme stanza vuota e invitandola a prendere quella direzione.
“Grazie.”
 
 
 
“Era vicino al centro storico della città, c’era questo muro di pietra ammuffito quasi del tutto coperto d’edera rampicante. Lei si è avvicinata, ha preso la bacchetta, ha eseguito non so quale combinazione strana ed è entrata. Un po’ come a Diagon Alley.”
“Niente parola d’ordine?”
“No, non le ho sentito dire nulla. Mi sono avvicinata, ma non riuscita a capire come funzionasse. Era un posto protetto da qualche incantesimo, comunque, perché ad un certo punto mi ha persino respinta, quella stupida parete. Dopo ho pensato che forse c’era bisogno di una sorta di “invito”, per entrare, ma non ne sono sicura.”
 
 
 
Il suono generato dai suoi stivali si fece ancora più forte grazie all’eco della stanza, ma Alexandra non ci fece caso e attraversò rapida l’ingresso fino ad oltrepassare l’arco e ritrovarsi in un’enorme corridoio pieno di porte, tutte chiuse e perfettamente identiche.
“Dove diavolo dovrei andare?!”
Seccata, la strega si voltò per chiedere delucidazioni al mago che l’aveva accolta, ma appurò con disappunto che era sparito.
“Grandioso…”
 
Sospirando, l’ex Grifondoro tornò a guardare il corridoio che aveva davanti dicendosi che probabilmente avrebbe dovuto aprirle tutte fino a trovare quella corretta, ma per sua fortuna la terza sulla destra si aprì da sola in un muto invito ad oltrepassarla.
Sollevata, la strega la raggiunse e ne varcò la soglia, ma non fece in tempo a voltarsi per chiedersela alle spalle che quella lo fece da sé. Osservando dubbiosa la porta chiusa, Alexandra stava riflettendo su quanto quel posto fosse assurdo quando una voce attirò la sua attenzione:
“In effetti mi era sembrato di sentire in inequivocabile suono di tacchi a spillo, avevo immaginato che fossi arrivata.”
 
 
Delilah Yaxley non aveva le allucinazioni. Aveva chiaramente e inequivocabilmente visto la Panterona sparire dietro a quel vecchio muro di pietra coperto da piante rampicanti. In piedi davanti alla parete con le braccia strette al petto e il cappotto nero che sfiorava il suolo, la fotografava la perlustrò con occhio critico chiedendosi che posto fosse e, soprattutto, come accederci.
Aveva provato degli incantesimi, aveva provato a toccare sequenze a caso di mattoni come per entrare a Diagon Alley ma niente, non aveva idea di che cosa avesse fatto la Panterona per aprire il passaggio.
Risentita e frustrata per la succosissima occasione mancata – qualcosa le diceva che dietro quella parete si trovasse qualcosa di importante e che magari le avrebbe fatto molto comodo scoprire – la strega aveva finito col prendere a calci la parete maledicendola in modo colorito, generando la cocente indignazione di un paio di vecchiette di passaggio, che l’avevano superata a passo spedito e borbottando qualcosa in tedesco contro i turisti pazzoidi che ormai popolavano Berlino.
 
“Ma come cazzo ha fatto la Panterona?! Cos’è, ti apri solo se la persona che hai davanti è bionda?! C’è una sorta di dress-code da seguire?! Apriti, maledetta!”
Delilah picchiettò furiosa la parete con la bacchetta, insultandola in tutte le salse. Quella però non la prese bene, perché generò un’ondata di magia invisibile che fece arretrare la strega di cinque metri e rischiò di farla capitombolare al suolo.
“Brutta stronza di una parete…”
 
 
Clodagh ne aveva avuto abbastanza. Superata la soglia del suo limite di sopportazione, la strega interruppe il racconto di Delilah.
“Ok, basta. Ha mentito spudoratamente.”
“Ma non è vero, mi ha davvero quasi spedita per terra!”
Delilah guardò la strega spalancando gli occhi scuri e aprendo la bocca scandalizzata, chiedendosi perché mai avrebbe dovuto raccontare una finta gaffe facendo una figuraccia con l’Auror più bello mai esistito prima che Clodagh la rassicurasse scuotendo il capo e liquidando il discorso con un gesto spazientito della mano:
“No, non lei, Signorina Yaxley. Lui sta mentendo. Lui l’ha vista, a Berlino. So che vi siete visti, Signor De Aureo, so che le ha parlato!”
Clodagh accennò a Prospero prima di sospirare e rimettersi seduta appoggiandosi allo schienale della sedia, ricambiando torva lo sguardo del mago. Asriel invece smise di concentrarsi su Delilah per guardare allibito la collega, imitato da James.
Il ragazzo stava per chiedere esterrefatto all’amica come facesse a saperlo ma Prospero, che aveva continuato a fissare Clodagh da quando era entrato nella stanza, lo precedette: all’improvviso le labbra sottili del mago si allargarono mostrando un sorriso, e Prospero scoppiò a ridere prima di battere le mani un paio di volte e senza smettere di fissarla di rimando.
 
“Fantastico. Aspettavo che lo dicesse. Era proprio ora, Signorina Garvey.”
 
 
Delilah aveva ormai rinunciato a seguire la Panterona nel “covo segreto” di dubbia origine quando, una ventina di minuti dopo, vide la strega uscirne così come vi era entrata, attraverso un’apertura della parete. Nascosta dietro un’auto, Delilah borbottò un mezzo insulto nei confronti del muro che le aveva negato l’accesso mentre seguiva attentamente la bionda con lo sguardo, osservandola incamminarsi verso la direzione da cui era venuta continuando a stringere saldamente la sua valigia.
Chi accidenti aveva incontrato e che cosa aveva fatto, lì dentro?!
 
Delilah aspettò un paio di minuti, dopodiché riprese a seguirla tenendosi a debita distanza. Allontanandosi, non vide la seconda persona che uscì poco dopo dall’edificio tramite il medesimo passaggio.

 
*

 
Alexandra lasciò perdere la porta e si voltò verso l’interno del salotto in cui si trovava, soffermandosi solo brevemente sull’enorme camino di marmo acceso e sulle altissime librerie stracolme. Ad attirare la sua attenzione fu invece la persona che stava in piedi davanti ad una delle suddette librerie e alle spalle di un divano rosso, un libro aperto in mano.
La strega non rispose, soffermandosi brevemente con lo sguardo sulla giacca verde foresta che la persona con cui aveva appuntamento indossava e poi sulla sua coltre di brillanti capelli ramati.
Clodagh chiuse il libro e si voltò verso di lei, sorridendole prima di lanciare con un gesto pigro il volume e permettergli così di tornare da solo al suo posto su uno degli scaffali.
 
“Ci hai messo un po’.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): “Quello stronzo”
 
 
 
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Angolo Autrice:
 
Clo, ma che cosa mi combini con la Panterona?! Ah, se Asriel lo viene a sapere…
 
Ne approfitto per sottolineare la mia totale ignoranza in fatto di tarocchi, la mia conoscenza in materia si ferma ai nomi delle carte, nulla di più. Quindi se tra chi leggerà il capitolo dovesse esserci un appassionato/esperto che dovesse notare errori/stupidaggini non se ne sorprenda e sappia che è una cosa assolutamente voluta, giusto per tenere alto il livello di credibilità di questa storia.
Detto questo, due parole veloci solo per ricordare che il mese scorso, spinta dalla curiosità, vi ho chiesto di indicarmi il vostro personaggio preferito della storia tramite un sondaggio su IG. Ebbene, non c’è stato un solo nome che si è ripetuto, ognuno mi ha fatto un nome diverso. Devo dire che mi ha sorpreso, ma mi fa piacere perché significa che tutto sommato ho gestito decentemente i vostri OC.
Quindi che dire, bravi e belli tutti. <3 Ma in fondo sappiamo che il vero fulcro di questa storia sono e saranno sempre i gatti, quindi forse la cosa non avrebbe dovuto stupirmi più di tanto. No Alpine, non parlo solo di te, togliti la corona e smettila di complottare alle spalle di Zorba.
 
Ci vediamo tra una settimana circa con il prossimo capitolo del Camp, per chi vi partecipa, e tra un paio di settimane con il seguito di questo.
Buona serata e grazie come sempre per le recensioni!
Signorina Granger
   
 
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