When the time will come
Whispers and regrets
Jungkook si riprese un poco a livello fisico: già dal quarto
giorno la febbre era scesa anche se i sintomi del raffreddore si erano
intensificati. Questo avrebbe portato a faticare nelle prove di ballo,
escludere quelle di canto e seguire da un angolo della sala la coreografia che sarebbe
andata avanti spedita anche senza lui. Sarebbero stati giorni pieni di niente i
suoi, mantenendo lo staff all’oscuro della causa di quel malessere che si
sarebbe protratto per del tempo prezioso, tempo che passava a riflettere sulla
situazione attuale, sull’accaduto, sulle persone coinvolte e su ciò che aveva
in mano. Da quella notte, Jin non lo aveva più guardato allo stesso modo: con
lui era gentile, estremamente gentile, così come era diventato glaciale con
Taehyung. L’unico risultato di tutto ciò che era cominciato con Jimin al parco,
fu quello di spezzare l’equilibrio del team e far litigare una delle persone
più importanti della sua vita con colui che amava… senza ottenere nulla,
assolutamente nulla, se non sorrisi di circostanza e dolorosi momenti di
solitudine. Jungkook in pratica era diventato l’ago della bilancia tra i due
colleghi che avevano semplicemente smesso di rivolgersi la parola: lavoravano
assieme dove necessario, stavano nella stessa stanza quando necessario,
respiravano la stessa aria se necessario.
Era un disastro, e Jungkook continuava a considerarsi l’unico responsabile.
Avrebbe dovuto abituarsi all’idea di vederli separati ma lo detestava: li
avrebbe presi da parte uno per volta e ci avrebbe parlato, a costo di
inseguirli e stremarli, fino a farsi dire sì. Tra i due probabilmente sarebbe
stato più facile instaurare un dialogo neutro con Taehyung.
«Non ora, Jungkook, ho da fare.»
Sapeva avrebbe dovuto lottare per una risposta affermativa.
«Mi spiace, sono già impegnato con Jimin. Non posso.»
Prima o poi avrebbe trovato un momento, no? Ci stava provando soltanto da
quella mattina…
«Devo scappare, scusami.»
Al terzo rifiuto, si scoraggiò lasciando perdere. Non che Taehyung l’avesse
trattato male, anzi, sembrava semplicemente tentare di evitare di stare con lui
in ogni modo, anche se i sorrisi erano presenti. Eppure, sembravano nascondere
ben altro, e anche se Jungkook non aveva più accennato a quel dialogo
disperato, sapeva essere il cardine di quella sofferenza mascherata da impossibilità.
Avrebbe dovuto mediare e risolvere una faccenda alla volta.
Jimin sembrava essere l’unica soluzione per arrivare al suo amico senza
coinvolgerlo direttamente, e quella sera si rese fortunatamente disponibile al
dialogo.
Il disordine in camera da letto regnava ed era comprensibile: nel soggiornare
da Jin, Jungkook non aveva certo dovuto badare alla sistemazione né al riordino;
quella notte poi, dopo aver visto Jin andarsene dalla stanza con
quell’espressione, impedendogli di aprirsi completamente e rivelargli i propri
sentimenti – parole già formulate che sarebbero uscite senza freni dopo tutto
quel tempo – decise di tornare al proprio letto, alle proprie pareti, al
disordine sul pavimento e al silenzio. Forse non era la cosa migliore, ma sembrava
l’unica soluzione possibile: ancora qualche ora in quella camera carica di lui
e sarebbe crollato definitivamente.
«Eccomi.» Jimin si accomodò sulla sedia adiacente alla scrivania, un sorriso
sincero disegnato sul volto delicato. Scostò la frangia chiara dagli occhi ed
inspirò, pronto ad affrontare nuovamente una questione difficile. «Dimmi pure.»
«Immagino tu sappia cosa sia successo, vero? Che domanda, certo che sì.
Taehyung ti avrà sicuramente spiegato tutto.»
Il ragazzo annuì.
Jungkook si lasciò cadere stanco sul piumone, soffiandosi il naso un paio di
volte e imprecando contro lo stupido raffreddore che non stava concedendo alcuna
tregua. Infilò il fazzoletto nella tasca dei pantaloni di tuta chiari, prima di
riprendere a parlare.
«Quindi saprai anche il motivo per cui ti trovi qui.»
Deglutì Jimin: lo sguardo dell’amico era sottile, lucido, liquido. Serio,
troppo serio per i canoni stessi di quel gruppo di persone che ancora
convivevano dopo tutti quegli anni. Una punta di colpevolezza spingeva contro
la nuca: spingeva, spingeva penetrando nel cervelletto e poi su, ancora più su
fino alla parte del cervello – il cento per cento in quel momento – che gestiva
il senso di colpa.
«È colpa tua, sai? E di Taehyung, credo tu possa averlo capito.»
Quelle parole gli vennero scagliate addosso come un secchio di acqua gelata. Lo
avevano travolto, eppure sapeva di dover dar credito a quell’accusa.
«Se non vi foste intromessi, ora io e Jin saremmo ancora due persone normali.»
Normali. Un termine strano da utilizzare, visto che ad un occhio poco
attento non era cambiato proprio niente. Jimin intervenne incuriosito e
timoroso.
«Non capisco esattamente cosa tu voglia dire. Normali, che parolone. Insomma, non
mi sembra stia andando poi così male, no? Vi ho visti parlare a pranzo, in sala
prove, durante il giorno, e sembrava tutto ok… o almeno, credo… sbaglio?»
Tentava Jimin di sentirsi a proprio agio ma Jungkook lasciava trasparire ormai
una certa ostilità che tentava invano di nascondere con il tono quieto imposto
nella conversazione.
Palesemente falso, tra l’altro.
«Cioè, Jin ti sorride sempre, è gentile, si preoccupa per te, anche troppo
secondo me, come avesse a che fare con un bambino. Ti cerca, ti parla, dove sta
il problema?» Non ci arrivava, all’apparenza tutto era perfetto.
Troppo. Un atteggiamento positivo, sempre, senza nessuna sfumatura. Nessuna.
Jimin si fermò a riflettere: quando li aveva visti interagire veramente per
oltre cinque minuti di fila? Dall’intervento di Taehyung.
«Stai capendo?» Jungkook si alzò sfiancato dal fastidio alle tempie che si
stava spostando al centro della testa, vibrando e pulsando. «Non mi ha più
parlato davvero, dopo quello che è successo. Le frasi di circostanza se le può
tenere per sé, non me ne faccio niente. È e resterà pur sempre un attore, anche
se ha scelto un’altra strada e si è unito al gruppo. Finge bene davanti agli
altri, vero? Così bene che i suoi sorrisi sembrano pure sinceri.»
«Ti stai sbagliando, lui è davvero contento di parlarti e stare con te, lo sai.
Lo è sempre stato…» Il nodo in gola spingeva sulle pareti, occupava troppo
spazio nell’esofago, avrebbe invaso la trachea a breve portandolo a tossire.
«Lo vedo quando ti guarda.»
«Ah, perfetto, e allora dimmi, cosa vedi?»
«Ti ama, Jungkook, e lo sai. È inutile che ci giri intorno.» Il tono di Jimin
si era improvvisamente addolcito. Si alzò in piedi annullando le distanze tra i
due, sedendogli accanto. «Possibile tu non lo capisca?»
Jungkook sollevò lo sguardo duro, gli si avvicinò ulteriormente e lo apostrofò
con la più spinosa delle domande. «Allora perché mi ha rifiutato? Se è vero che
mi ama, come dici tu, come sostiene Taehyung con quella registrazione del
cazzo, come ha detto pure lui a voi… perché…» la voce rotta, ingoiò un paio di
volte prima di continuare, «perché non mi vuole…»
Taehyung constatò a sue spese quanto fosse difficile spostarsi in dormitorio
senza incontrare qualcuno che per un motivo o per l’altro avrebbe forse dovuto
evitare. Fortunatamente Jimin e Yoongi erano dalla sua parte, in fondo ciò che
era stato fatto era stato concordato per il bene di Jungkook e Jin.
Allora perché erano così divisi?
Perché quando incontrava Jungkook, che cercava di bloccarlo in qualsiasi modo
per parlargli, sentiva un orribile formicolio salire e scuotergli la schiena
fino a portarlo ad allontanarsi con ogni scusa possibile? Era consapevole si
trattasse di una vigliaccata, ma non sapeva come affrontare la situazione senza
peggiorare le cose. Che poi, peggiorare… come sarebbero potute peggiorare
davvero, soprattutto con Jin? Quest’ultimo proprio non voleva saperne,
dichiarava quel poco che era necessario tralasciando un attimo il sorriso
falsissimo che continuava ad indossare, per poi rivestire il proprio volto di
quella espressione così perfetta da essere nauseante, e tornare a fare finta
che la situazione si sarebbe sistemata da sola. Taehyung aveva fatto di tutto
per dargli una mano, era sceso a patti con se stesso – sapeva, sapeva sarebbe
stata una cattiva idea, ma necessaria – ed aveva assecondato il desiderio di
Yoongi di avvicinarli in modo meccanico, preimpostato.
Col solo risultato di distanziarli.
Taehyung si fermava ad osservarli nella speranza di non essere mai beccato, in
fondo di danni ne aveva già provocati a sufficienza: i due interagivano spesso,
molto spesso, più di ciò che potesse sperare. Eppure, il tempo massimo di
vicinanza si limitava a qualche minuto. E li spiò, oh certo che lo fece. Jin
sorrideva così tanto da far nascere il dubbio di come non si sgretolassero gli
zigomi a forza di tenere tutti quei muscoli facciali in contrazione costante;
sorrideva solare a Jungkook, anche se forzato, esprimeva ciò che doveva e poi
cambiava immediatamente rotta, senza lasciare il tempo al ragazzo di poter
approfondire un qualsiasi discorso con lui.
E l’aveva vista, la faccia di Jungkook. Aveva notato le sue espressioni, il
rammarico, la rassegnazione. Giurò di aver notato gli occhi lucidi pronti ad
esplodere per il pianto, ma mai lui aveva ceduto, nonostante le decine di volte
in cui si erano incontrati i due con lo stesso identico epilogo. Decise dunque
di farsi coraggio e raggiungere Jungkook in camera sua, sperando di trovarlo da
solo; in fondo, era stato più volte cercato per una conversazione a tu per tu.
Gliel’avrebbe concessa, avrebbe fatto in modo di aggiustare un po’ le cose,
forse mitigarle, magari smussarne gli angoli e limare i bordi. Chissà, da solo
avrebbe potuto sistemare qualcosa. Il senso di colpa in fondo spronava spesso a
dare il meglio. Si limitò ad accostare il volto alla porta socchiusa della
camera, riconoscendo le voci di Jimin e Jungkook, anche se basse, quasi
sussurrate; dei singhiozzi interruppero la breve pausa seguente di totale
silenzio diffusa al primo piano.
Il ragazzo stava piangendo, e lo stava facendo davanti a Jimin.
Taehyung desiderava entrare, inginocchiarsi, scusarsi, dire e fare qualsiasi
cosa per veder nuovamente sorridere il suo migliore amico. Ci stava provando
davvero, lo desiderava con tutto se stesso, eppure allo stesso tempo non
riusciva ad affrontarlo. Come facessero i suoi “complici” a reggere le prime
conseguenze della puttanata che avevano ideato, non lo sapeva.
Doveva rimediare, il prima possibile.
Doveva parlare con Jin, prima di vedere Jungkook disperdersi per colpa loro.