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Autore: FreddyOllow    15/03/2022    1 recensioni
La storia è ambientata prima e dopo gli eventi di Raccoon City. Vedremo come Marvin Branagh e gli altri agenti di polizia hanno affrontato l'epidemia di zombie. La trama potrebbe accostarsi o seguire a tratti quella di RE 2/3.
Genere: Avventura, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pete raggiunse Nick nell'ufficio del tenente. Kate si era alzata per sgranchirsi un po' le ossa e beveva un caffè caldo. Megan era era un poco più in là, dietro la scrivania.
La recluta aveva recuperato il colorito facciale e gli occhi non erano più arrossati e cerchiati.
Pete lo fissò per un po'. "Forse non ha bisogno di altre foglie..." si disse.
Megan gli si avvicinò accanto. "Cos'hai in mano?"
"Delle foglie."
"Sembrano uguali a quelle che ci ha dato Jill."
"Sono le stesse" disse lui, poco convinto.
"Fammi vedere."
Pete pescò un po' di foglie tagliuzzate e gliele mise in mano.
Lei le annusò. "Hanno lo stesse odore. Dove l'hai prese?"
"Le ho trovate" mentì il fidanzato.
Megan si accigliò, perplessa. "Non prendermi in giro! Chi te le ha date? Jill è qui?"
"Ma ti pare che me l'abbia date lei? E poi se me le avesse date, ora sarebbe qui, no?"
Megan non rispose subito. "Potrebbe essere andata via. Lo fa sempre."
Lui scosse la testa e lasciò perdere.
Kate li guardava perplessa con le labbra affondate nel caffè. Non capiva perché stessero discutendo delle foglie. A lei bastava che lui ce le avesse a portata di mano. Non gli importava dove le avesse trovate.
Pete controllò il polso della recluta. "Lasciamolo riposare. Magari si riprenderà tra un po'."
"Non è meglio se gli dai altre foglie?" domandò Kate.
Lui ci rifletté per un po'. "No, meglio di no. Non vorrei che avessero effetti collaterali."
La donna non ci aveva pensato. Non le sembravano così pericolose. Anzi, avevano aiutato Elliot a vomitare quei ragnetti dal suo stomaco e Nick a stare meglio. Come potevano avere effetti collaterali? "Magari solo un po'."
"No, non voglio rischiare" rispose Pete. "E poi si sta riprendendo. Aspettiamo."



Kevin raggiunse la sala conferenze e si guardò intorno. Sedie e tavoli erano ribaltati sul pavimento cosparso di fogli e documenti. Una mappa della città era fissata su una lavagna a muro. Diversi cerchi rossi indicavano i quartieri o le strade a rischio. Quelli con le X cerchiate, i luoghi infestati dai non-morti.
Elliot sopraggiunse col fiatone un attimo dopo. "Potevi anche aspettarmi."
"Dovresti iniziare a correre un po', dico sul serio."
"Sai, un tempo potevo correre per più di un'ora."
Kevin abbozzò un sorriso di scherno. "Sì, forse vent'anni fa. Ora l'unica corsa che fai è dalla scrivania al distributore"
Elliot corrugò la fronte, irritato.
Kevin aprì la porta dello sgabuzzino e ci diede un'occhiata. Vuoto.
"Ti pare che Johnson si nasconda dentro uno sgabuzzino?" chiese Pete.
"I topi lo fanno."
Elliot scosse la testa con disappunto.
Quando uscirono dalla sala conferenze, sentirono due colpi di pistola. Trasalirono.
"Dev'essere lui!" disse Kevin, correndo lungo il corridoio.
Elliot lo rincorse, una mano sull'addome. "Aspetta!" Si fermò e vomitò bile schiumoso sul pavimento.
Kevin svoltò l'angolo e incrociò lo sguardo di Johnson, che gli sparò subito addosso.
Lui si nascose dietro il muro, i proiettili scalfirono la parete sollevando una leggera nube di polvere in aria.
"Ti credevo morto!" urlò Johnson, irato. "Come cazzo hai fatto a salvarti? Dovevi morire!"
"L'unico che morirà qui sei tu!" gridò Kevin, sbirciando velocemente dall'angolo.
"Ma non farmi ridere, pezzo di idiota." Gli sparò tre colpi, che Kevin ricambiò subito dopo. "Pensi di uscirne vivo? Beh, ho una notizia per te. Morirai! Tutti voi morirete in un modo o nell'altro! Nessuno arriverà a domani!"
Kevin si sporse dalla parete e sparò due colpi, che si piantarono nel muro. "Fottiti, stronzo! Mi hai lasciato a morire in cortile. Mi fidavo di te! Pensavo che le voci di corridoio fossero solo calunnie. Non credevo fossi davvero un pezzo di merda! E poi perché vuoi ucciderci tutti? Che ti abbiamo fatto?"
Johnson scattò dall'altra parte del corridoio. Due pallottole gli fischiarono accanto e si riparò dietro la parete. "Vedo che hai una mira di merda!" ridacchiò. "Per fortuna non hai la stessa mira di Nick!"
Kevin uscì da dietro il muro e svuotò il caricatore contro la parete, dove si era nascosto Johnson. "Stronzo figlio di puttana!" Restò immobile, il click del grilletto che risuonava nel corridoio, i bossoli che rotolavano sul pavimento, la polvere che ammantava l'aria.
Johnson uscì da dietro il muro forato con la pistola puntata. "Sembra una classica situazione da film, non credi? Il buono finisce le pallottole e il cattivo se la ride. Un cliché." Kevin fece per muoversi, ma Johnson gli sparò un colpo a due centimetri dal piede destro. "Dove vuoi andare?" chiese con un sinistro sorriso. "Ora sei mio! Mi appartieni! E siccome qui nessuno sembra voler morire, come quello stronzo di Marvin, farò in modo che nessuno possa più fuggire! Farò diventare questo posto una trappola mortale! Ma che dico? Siete già in trappola. Nessuno può andare via dalla centrale!"
"Finiscila di rompermi le palle e spara!" urlò Kevin.
Johnson sollevò un angolo della bocca. "Non ti ucciderò io, non direttamente, almeno."
"Prima hai parlato di cliché" aggiunse Kevin. "Ecco, tu sei un cliché. Il cattivo che rompe i coglioni all'eroe poco prima di morire. Se ora intervenisse qualcuno per salvarmi, sarebbe il colmo."
Johnson si guardò in giro, divertito. "Non vedo nessuno. C'è qualcuno? Qui c'è una damigella in pericolo. Un grande e grosso cattivo drago vuole ucciderla. Dove sei prode cavaliere?"
Restarono in silenzio a fissarsi per un momento.
"È stato divertente" disse Johnson. "Ora cammina."
Kevin lo fissò con sguardo di sfida.
Johnson gli sparò sul giubbotto antiproiettile a livello dell'addome e quello crollò all'indietro, dolorante.
"Il prossimo colpo sarà sulla coscia, se non ti muovi" disse Johnson.
Kevin si alzò con fatica e s'incamminò nel corridoio, una mano poggiata sullo stomaco dolorante. Gli sembrava di aver ricevuto un potente pugno al ventre.
"Fa male, vero?" chiese Johnson con un sorriso, compiaciuto. "Ma non è niente paragonato a quello che ti aspetta. Gira a destra. Continua a camminare. Non ti fermare, cammina."
Kevin rallentò l'andatura e si guardò alle spalle con la coda dell'occhio.
"Non sono nato ieri" disse Johnson. "Lo so cosa vuoi fare. Vuoi che ti spintoni, così puoi storcermi un braccio e disarmarmi. Conosco le tue abilità. Dopotutto, sono stato io a ingaggiarti. So di cosa sei capace."
Quando svoltarono l'angolo, Kevin si pietrificò. Quattro teste lacerate si muovevano dietro la finestrella posta nella porta di ferro che dava sul cortile. I gemiti erano flebili, ma costanti.
"Sarà molto più divertente vederti lottare e morire tra gli zombie, che piazzarti una pallottola in testa" aggiunse Johnson con un sorriso malefico. "Ma questa volta non ripeterò l'errore fatto con Marvin. Niente affatto. Ti sparerò alle ginocchia, così potrai solo strisciare come un verme e sentire i loro denti affondarti nella schiena!"



Marvin restò fermo per un lungo momento. Il sole era ormai calato dietro i tetti degli edifici e una pallida luna piena si affacciava nel cielo tempestato di stelle. In cortile, i gemiti si erano affievoliti.
Sbirciò oltre il condotto d'areazione. I Lickers si muovevano in un cerchio confuso. Due di loro erano immobili sul cornicione dell'ala est come due statue Gargoyles, le lunghe lingue che penzolavano giù.
Il tenente si accigliò, perplesso. Non capiva perché se ne stavano immobili, come non capiva perché gli altri si muovessero in modo confuso. Sgattaiolò lungo il condotto e si fermò dietro un condizionatore d'aria. Un Licker, che era stato fermo fino a quel momento, si voltò.
Marvin si abbassò.
La creatura inclinò la testa un poco a lato per captare i suoni, ritirò la lingua e si avvicinò al condotto. Ci appoggiò sopra le zampe e abbassò la testa scarnificata a tre palmi dalla faccia di Marvin, la bava che gli colava sulla camicia sporca.
Il Licker superò il condotto e restò immobile per un lungo momento. Non sembrava averlo percepito. Non faceva altro che scattare la testa in diverse direzioni. Poi si mosse di qualche passo, ma subito tornò indietro e la lunga lingua frustò l'aria, mandando schizzi di bava ovunque. I pallidi raggi della luna si riflettevano sulla muscolatura sanguinolenta.
Marvin si portò una mano sul naso. L'odore era insopportabile. La creatura emanava miasmi nauseabondi più intensi di quelli degli zombie.
Il Licker scattò la testa verso di lui e restò fermo per un lungo momento. Aveva percepito qualcosa.
Il tenente lo aveva capito. Forse aveva sentito il suo odore, ma non ne era sicuro e non poteva muoversi. Era bloccato su quel tetto. L'unica via di fuga era chiusa da un'umida parete organica sorvegliata da una ventina di creature.
Quando il Licker spalancò le fauci eccitato dal suo odore, diversi colpi di pistola risuonarono nella centrale.
Tutte le creature scattarono le teste verso la fonte del rumore. Quelle che si muovevano, smisero di farlo. Il Licker di fronte a Marvin lanciò un urlo agghiacciante, seguito dalle grida dagli altri.
Il tenente si tappò le orecchie, stordito.
Una quindicina di creature zampettarono rapidi lungo il tetto e sparirono dietro il parapetto. Gli altri cinque rimasti indietro, tornarono a muoversi in modo confuso a due passi dalla parete organica.
Marvin non sapeva cosa fare o come scendere. Ma la cosa che lo aveva preoccupato di più erano stati gli spari. Chi era stato a sparare?



Mentre Pete si dirigeva verso la hall, diversi colpi di pistola risuonarono non molto lontano da dove si trovava. Sobbalzò. "Che cazzo succede?" si chiese. Si guardò intorno per un momento, poi corse indietro verso gli uffici.
Megan era sulla soglia dell'ufficio del tenente e si guardava in giro, spaventata.
Lui la raggiunse. "Tutto bene?"
Lei annuì. "Che succede?"
"Non lo so. Credevo che gli spari provenissero da qui."
"No, penso arrivassero dal corridoio."
Pete lanciò uno sguardo all'uscita. Poi si voltò. "Ok, resta qui con Kate. Io vado a dare un'occhiata."
Quando uscì nel corridoio, Kate lo raggiunse alle spalle. "Aspetta! Vengo con te."
Lui annuì. Gli pareva strano che avesse lasciato Nick per aiutarlo. Forse stava iniziando a sentirsi inutile? Non glielo chiese.
Proseguirono nei corridoi per un po' e svoltarono l'angolo. Elliot era seduto su una panca, gli occhi rivolti al pavimento. Aumentarono il passo e lo raggiunsero.
"Ehi, stai bene?" chiese Pete.
"Sì, sto bene" rispose Elliot, pallido in viso. "Ogni volta che corro mi viene da vomitare."
"Hai sentito gli spari? Hai visto qualcosa?"
"Credo sia stato Kevin. Forse ha trovato Johnson. Smaniava di farlo fuori. Spero ci sia riuscito."
Pete e Kate si scambiarono un'occhiata.
"Ok, resta qui" aggiunse Pete. "Andiamo a controllare."
"Aspetta!" rispose Elliot. "C'è un borsone pieno di munizioni davanti all'armeria. Prendetelo, può tornarvi utile."
Quello annuì.
S'incamminarono nel corridoio, svoltarono a destra e proseguirono spediti.
"Si riferiva al borsone di Rita?" domandò Kate.
"Sì, dev'essere quello. Tu sei armata, giusto?"
"Sì, ma ho il caricatore vuoto."
"Ok, prendiamo un po' di proiettili, cerchiamo quel figlio di puttana e lo uccidiamo!"
Kate corrugò le sopracciglia, turbata. "Non è meglio chiuderlo in una cella?"
Pete la guardò, sorpreso. "In una cella? Che senso ha metterlo in una cella? Quello stronzo merita di morire!"
La donna non rispose. Non le piaceva l'idea di ucciderlo. Era una poliziotta. Loro non uccidevano le persone, nemmeno quelle che se lo meritavano. E poi anche lui era un poliziotto. Aveva fatto un giuramento.
Pete continuò a fissarla. "Che c'è? Non vuoi ucciderlo?"
Lei non gli rispose.
"Se avesse tentato di uccidere Nick, la penseresti allo stesso modo?"
Kate gli lanciò un'occhiataccia. Aveva ragione. Sarebbe stata la prima a volerlo morto. Ma tra il dire e il fare c'era un divario enorme. Sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di premere il grilletto. Non poteva uccidere un altro essere umano.
Girarono l'angolo e continuarono a camminare, finché si fermarono davanti al borsone posato su una panca dirimpetto all'armeria.
Pete si piegò, lo aprì e le mise in mano una manciata di pallottole. "Tieni! Mettili in tasca. Potrebbero servire." Poi si mise in tasca delle pallottole e chiuse il borsone. "Ok, lasciamolo qui. Torneremo a riprenderlo. Ora andiamo!"



Marvin sgattaiolò lungo il condotto d'areazione, scattò verso un condizionatore d'aria e si fermò davanti a uno sfiatatoio. Si guardò le spalle. I Likers non sembravano essersi accorti della sua presenza. Giravano in tondo con le teste basse.
Li osservò per un po'. Trovava strano questo loro comportamento. Gli sembrava che facessero la guardia alla parete organica. "Forse hanno fatto un covo..." si disse. "Oppure sono storditi dai gemiti degli zombie..? No, impossibile. Se fosse così, anche gli altri Lickers farebbero come loro, invece si sono diretti verso gli spari..." Abbassò lo sguardo. "Spero non sia successo niente di grave..." Poi nella mente gli balenò l'immagine di Johnson, del suo ghigno. Serrò gli occhi irato e strinse una mano a pugno.
Un Licker smise di muoversi e alzò lo sguardo al cielo.
Marvin si immobilizzò e respirò piano.
La creatura restò in quella posizione per un momento, poi ricominciò a girare in tondo.
Il tenente rilassò le spalle tese, ma restò a guardarli per un attimo. Poi si affacciò oltre il parapetto. Un centinaio di non-morti erano ammassati in cortile. L'acre odore di putrefazione gli fece venire un principio di tosse, che smorzò sul nascere. Si era dimenticato di quanto potessero puzzare un centinaio di non-morti tutti ammucchiati.
Quando girò la testa verso il cancello, una decina di Lickers se ne stavano fermi sulla facciata della centrale. Sussultò.
La loro muscolatura sanguinolenta mandava vividi bagliori alla luce della luna piena. Erano come ombre nere proiettate su un muro. Se non fosse stato per quei riflessi argentei, non li avrebbe visti.
"Perché rimangono fermi?" si chiese. "Cosa aspettano? Perché non si sono lanciati verso gli spari?" Ad ogni domanda, si rispondeva con un'altra domanda.
Smise di farlo.
Si voltò a guardare i cinque Lickers camminare in tondo per un momento. Poi ritornò al condizionatore d'aria, proseguì lungo il condotto di areazione e si fermò poco prima che arrivasse alla fine. Sbirciò lontano, oltre la parete organica. Solo oscurità. Le luci sul tetto dell'ala est erano spente o rotte.
Restò a guardare il buio per un momento. Cercava di far abituare gli occhi all'oscurità, ma non ci riusciva. Era troppo buio. Poteva esserci qualsiasi cosa in quelle tenebre. Altri Lickers o un covo vero e proprio di quelle cose. Doveva fare una scelta. Addentrarsi in quella fitta e inquietante oscurità, o trovare un altro modo di scendere dal tetto.
"Posso scendere tramite un tubo pluviale ed entrare in una finestra" si disse. Poi pensò ai Lickers immobili sulla facciata dell'edificio e quel pensiero si volatilizzò come fumo al vento. C'era solo una scelta. L'unica che poteva prendere. Doveva avventurarsi in quelle tenebre.



"Mamma" disse Tania seduta sulla panca della hall.
"Sì?" rispose Liah.
"Cosa vuol dire fare fuori gli sbirri?"
La madre si voltò, sconvolta. "Dove l'hai sentito?"
"Quel signore là diceva che voleva farli fuori. Cosa voleva dire? Lasciarli fuori nel cortile? È un gioco? Perché se è così voglio giocarci anch'io. E poi... e poi cosa vuol dire la parola sbirri?"
Liah abbozzò un sorriso forzato. "No, non è un gioco, tesoro. Diciamo che... diciamo che è uno scherzo. Non ci badare, ok?"
La bambina la guardò, incuriosita. "Ma cosa vuol dire sbirri? E farli fuori?"
"Te lo dirò quando sarai più grande, va bene?"
Tania annuì poco convinta. Voleva sapere cosa volessero dire quelle parole. Sua madre le rispondeva sempre così e lei era stufa di sentirselo ripetere. Per una volta voleva scoprire il significato delle parole vietate.
Si alzò dalla sedia e saltellò verso la reception, fingendo di voler giocare.
Liah non le mollava gli occhi di dosso. Non si fidava dei sopravvissuti. Più volte avevano cacciato Tania in modo brusco o l'avevano fatta piangere. Nessuno di loro si era mai dispiaciuto.
La bambina continuò a saltellare un poco distante da loro, si fermò e si sedette a terra. Pescò due giocattolini dalla tasca, un lecca-lecca al limone, che si mise in bocca, e cominciò a giocare per finta.
I sopravvissuti le lanciarono un'occhiataccia e le voltarono tutti le spalle.
Liah scattò in piedi e la raggiunse a gran passi. "Non stare qui. Vieni a giocare vicino a me. Andiamo." Le posò le mani sulla schiena.
Lei si dimenò. "No, non voglio! Voglio giocare qui!"
"Non fare la maleducata. Dammi la mano."
"No!" gridò Tania. "Non voglio!"
Un uomo si voltò verso di loro. Aveva corti capelli rossi e gli occhi distanti dall'iride grigia. "La volete smettere di rompere i coglioni? Andate da un'altra parte, prima che vi prendo a calci in culo a tutti e due!"
La bambina scattò in piedi in lacrime e abbracciò il fianco della madre, che guardò l'uomo in malo modo.
"Te ne vuoi andare?" urlò l'uomo col viso arrossato. "O devo prenderti a calci per davvero?"
Madre e figlia ritornarono al loro posto, in un angolo della hall.
Chung li raggiunse. "Che succede?"
"Niente" rispose Liah.
Il poliziotto lanciò uno sguardo ai sopravvissuti, che lo guardarono torvo.
Gli altri agenti si erano avvicinati con fare preoccupato. Erano già stati avvertiti da Elliot, che aveva detto loro di tenere i sopravvissuti sotto stretta sorveglianza.
Chung si voltò. "Sicura che non sia successo nulla?"
Lei abbozzò un sorriso forzato. "Sì, sicura. Non preoccuparti."
Lui abbozzò un sorriso amaro, lanciò un ultimo sguardo ai sopravvissuti, che continuarono a guardarlo male, e si allontanò.
L'uomo coi capelli rossi lanciò un sinistro sorriso a madre e figlia. Liah deviò lo sguardo. Tania, terrorizzata, affondò la faccia nel grembo della madre.



"Dai, spara, stronzo!" disse Kevin. "Che aspetti? Spara!"
Johnson mostrò un freddo sorriso. "Devo essere sicuro che appena cadrai a terra, non striscerai fino a qui. Voglio che ci siano più zombie possibili su di te."
Kevin si guardò alle spalle. I non-morti erano aumentati dietro la porta di ferro.
"Che c'è?" chiese Johnson. "Ti sei accorto solo adesso di essere spacciato? L'egocentrismo gioca brutti scherzi, non credi? Pensavi che ne saresti uscito vivo? Sai, dovevi provare a togliermi la pistola. Forse ci saresti riuscito e ora non saresti in questa situazione. Lo so, non dirmelo. Potevi rimanerci secco, ma è un rischio che andava preso, giusto?" Lanciò uno sguardo oltre le spalle di Kevin. Gli zombie martellavano di pugni la porta. "Ok, sono abbastanza." Puntò la pistola alle ginocchia di Kevin, che serrò gli occhi in segno di sfida. Sorrise. "Pronto?"
"Johnson!" urlò una voce da uomo alle sue spalle.
Lui si voltò. "Ma guarda un po', Pete e Kate. Oggi sono davvero fortunato." Indietreggiò verso il muro per tenere sott'occhio tutti e tre.
I due gli puntarono le pistole alla testa. Pete sorrise. "Non direi proprio, capitano. Anzi, sei nella merda fino al collo."
Kevin provò a muoversi, ma Johnson gli puntò la pistola alla testa. "Non ci provare."
"Abbassa la pistola" disse Kate in tono pacato. "Non siamo qui per ucciderti. Io non voglio ucciderti."
"Sei sempre stata troppo buona per questo lavoro" aggiunse Johnson. "Pensi davvero che mi arrenderò? Che mi redimerò? Che ci terremo tutti per mano a ballare il Kumbaya? Ti sembro il tipo, Kate?"
Kevin scattò verso di lui, che gli sparò sul braccio a cadde a terra.
Pete e Kate mossero le pistole, spaventati, ma non premettero il grilletto.
"Te lo avevo detto" disse Johnson, infastidito. "Niente scherzi! Il prossimo colpo te lo ficco in testa, capito?"
Pete aveva creduto di potergli sparare senza problemi, invece non ci era riuscito.
"Incredibile! Sono ancora vivo" aggiunse Johnson, tastandosi il corpo con una mano. "Mi avete stupito. E non è facile stupirmi, ragazzi. Complimenti."
Kevin si teneva una mano sul braccio ferito da cui colava sangue, la schiena poggiata contro il muro. "Fottuto stronzo figlio di puttana... Mettimi in mano una pistola e te la faccio saltare io quella testa di cazzo!"
Johnson ridacchiò e si avvicinò lentamente a una porta laterale.
Pete lo notò. "Resta fermo! Non ti muovere!"
"Sennò che fai? Mi darai nuovamente di stare fermo? Non hai le palle per premere il grilletto. Lo sai tu, come lo so io. Dopotutto, c'è una ragione se ti ho sbattuto a dirigere il traffico, ricordi?"
Pete se lo ricordava bene quella ragione. "Non è stata colpa mia."
"Certo, il tuo collega entra in un supermercato durante una rapina e tu non sei lì a coprirgli le spalle. Anzi, te ne stai macchina a fare cosa? Ad aspettare che la rapina si sventasse da sola? Il tuo collega è morto per colpa tua. Tre colpi in petto, proprio qua, alla base del collo. Aveva dei figli, una moglie. E tu lo hai lasciato morire. E come se non bastasse, hai anche avuto problemi di rabbia. E ora dov'è la tua rabbia, Pete? Dov'è?"
Kevin e Kate guardarono Pete, che abbassò gli occhi addolorato. L'ultima volta che aveva perso il controllo stava per uccidere Dario e pestare a sangue Megan. Non poteva lasciarsi condizionare dalla rabbia. Gli avrebbe fatto perdere il controllo della situazione.
Johnson girò la maniglia e varcò rapidamente la porta.
"Non fatelo scappare!" urlò Kevin.
Kate era incerta sul da farsi. Voleva prestare soccorso a Kevin, ma voleva anche inseguire Johnson. Non poteva lasciarlo fuggire, o avrebbe fatto del male agli altri.
Pete la guardò. "Pensa a Kevin. Mi occuperò io di quello stronzo!" Corse alla porta e se la chiuse alle spalle.
L'ambiente era in penombra. Fasci di luce filtravano fra le assi piantate alle finestre e illuminavano gli scaffali polverosi puntellati di cianfrusaglie inutili.
"Dove sei?" chiese Pete. "Esci fuori, codardo. Fatti vedere!" Seguì un lungo scaffale e svoltò a destra.
"Sono qui!" disse Johnson, nascosto nella penombra.
Pete si voltò e sparò diversi colpi senza guardare un punto specifico.
"Hai una mira di merda" ghignò Johnson. "Se fossi entrato in quel supermercato, sicuramente avresti sparato al tuo collega."
Pete serrò gli occhi per la rabbia e sparò altri colpi tutt'attorno. "Esci, fuori stronzo! Fatti vedere! Questa volta ti sparerò dritto in fronte!"
Un tetro silenzio scese nella stanza, interrotto solo da uno zampettare frenetico lungo la facciata esterna dell'edificio.
Pete si mosse lungo lo scaffale. "Forse l'ho ucciso..."
"Boo!" disse Johnson alle sue spalle.
Pete si voltò.
Diversi spari illuminarono intermittenti la stanza, i bossoli rotolarono lungo il pavimento.
Silenzio.
Si udirono dei passi, una porta si aprì.
Kate restò sulla soglia per un momento, la pistola puntata in avanti. Scorse un piede dietro lo scaffale e gli si avvicinò cauta.
D'un tratto un alito di vento le accarezzò la nuca. Sussultò. Il tempo sembrò fermarsi per un istante. Sentiva il cuore martellargli nel petto molto lentamente. Poi ricominciò a scorrere. Si girò.
Una pallottola le penetrò nell'occhio sinistro e le uscì dalla nuca, conficcandosi contro una bacheca tappezzata di fogli e note. Kate crollò sul petto insanguinato di Pete, che aveva gli occhi fissi al soffitto.
"Due piccioni con una fava" disse Johnson, compiaciuto. "Che idioti!"

   
 
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