Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: robyzn7d    16/03/2022    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
_____________________________
STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo XXIX 
Il passato del futuro
 - parte terza 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La Thousand Sunny, ancorata al piccolo porto dell’isola nel mare orientale, si ritrovava ora ad essere illuminata dalla luna ormai bassa sull'orizzonte, con il colore delicato dell'alba che stava per giungere. Gli schiaffi delle onde sullo scafo erano appena accennati, e il silenzio tutt’intorno rendeva l’atmosfera pacifica, rotta solo da un unico rumore, un flebile e familiare suono metallico. 
Zoro, all’interno della sua cabina, che condivideva con Nami già da quattro anni - seppur vi dormisse poco e niente con l’idea di mantenere equità nell’equipaggio e non godere troppo del suo privilegio acquisito grazie a lei - appena finito di vestirsi, stava attaccandosi le tre spade al fianco cercando di essere meno rumoroso possibile. Ma, quando prima di uscire, si era voltato verso il letto per dare un’occhiata rapida alla compagna, aveva immediatamente scorto due occhi aperti che lo fissavano immobili. Fu come sentire il silenzio aumentare, un silenzio che non aveva fatto altro che increspare ancora di più la tempesta che portava dentro di sé. 
Era così presto per iniziare a soffrire, ma in quei giorni aveva scoperto che quello era il momento della giornata che odiava di più. Sapeva che ogni qualvolta lui si alzava dal letto lei si svegliava. 
Nami non gli aveva detto di aver bisogno di lui, ma era lo stesso così dannatamente evidente; “voglio sentirlo battere” aveva confessato una volta soltanto, riferita al suo cuore, quasi come fosse una minaccia, mentre appoggiava la testa sul suo petto diventando immediatamente più quieta. Un commento che gli ricordava in ogni nano secondo della sua giornata che la sua compagna non aveva superato quella notte maledetta. E, infatti, detestava la sensazione che provava quando doveva lasciarla la mattina, il dover andarsene sotto ai suoi occhi distanti ma vigili; ma lui aveva una missione adesso, un incarico di responsabilità che avrebbe portato avanti fino alla fine. 
Nami avrebbe voluto dirgli “vorrei che restassi”, ma dalla bocca non le usciva niente. L’unico modo per trasmettergli un’emozione era guardarlo. 
Lui allora ci si fiondava in quei due occhi, ora diventati così insensibili, distogliendo però lo sguardo prima di non riuscire ad allontanarsene più. 
Con la gola chiusa e il cuore dolorante, uscì, chiudendo la porta alle sue spalle. 
Questo succedeva da un mese ormai, e, come ogni mattina, sapeva che Nami non avrebbe più chiuso occhio, e questo sarebbe stato il suo tormento per tutta la giornata a seguire. 
 
 
 
 
 
 
 
Usop, mentre attraversava di corsa il sentiero che riportava sulla Sunny, pensava a quanto Rufy fosse riuscito a restare lucido nonostante la situazione - per Nami, per Zoro, naturalmente. Aveva dimostrato di riuscire a mantenere sangue freddo anche in situazioni così delicate. E aveva lasciato allo spadaccino carta bianca, accogliendo le sue richieste, che ancora per lui non erano così chiare. Anzi, dopo un mese sull’isola, non riusciva ancora bene a capire quali fossero le intenzioni del verde, ed era per questo giunto il tempo per delle spiegazioni. Rufy era la loro guida, e se avesse tentennato la sua ciurma non avrebbe più avuto alcun punto di riferimento. E questo ora più che mai lo doveva a Zoro; forse con l'intenzione, o la speranza, di poter ricambiargli più di un favore. Però lui non si sentiva affatto meglio, ad Usop certe scelte non solo non erano chiare, ma aveva paura che tutti, in un certo senso, si stessero arenando, con la situazione, con il viaggio, con…Nami. Anzi, il rimorso e la colpa sembravano distorcere le percezioni di ognuno. 
Ogni tanto pensava addirittura di sentirla la voce furiosa di Nami nelle sue orecchie, ma la verità era un’altra, la verità era che non l’aveva proprio più sentita la sua voce da quella stupida notte. 
 
Lui e gli altri facevano i turni per mantenere la sicurezza, controllando il perimetro e approdando le vedette, assicurandosi di non ricevere visite indesiderate. A turno finito, si era concesso di fare un giro al villaggio natale di Zoro, affascinato da quell’ambiente che tanto rispecchiava l’essere del suo amico, capendone molte sfumature; ma, dopo aver fatto visita al dojo dove il verde aveva vissuto l’addestramento, di nuovo venne accolto da una strana sensazione che lo turbava, ma soprattutto preoccupava. 
Così, imboccata l’ultima stradina che conduceva alla nave, dove l’equipaggio aveva scelto di alloggiare nonostante l’invito di pernottare in paese, quietò il suo respiro. 
Diretto alla camera di Nami, con l’intenzione di parlarle, si era però imbattuto nel medico di bordo, il suo grande amico, che, fuori dalla porta, stava rannicchiato su sé stesso seduto a terra sul pavimento, con il viso trafitto da lacrime silenziose. 
 
“Chopper…”
 
Il nasuto aveva fermato il suo percorso, mettendo un freno al suo tormento e accogliendone un altro. “É successo qualcosa?” 
La renna, presa alla sprovvista, si asciugò in fretta il muso, pensando di fare in tempo nel non essere visto, mentre voltava la testa in segno di dissenso.
“É per Nami? Non vuole mangiare neanche oggi?” 
In quel momento però, il cecchino sentì una voce distinta provenire dalla porta, e allora avvicinò l’orecchio sul legno per ascoltare, cercando di non fare altrettanti rumori. 
“Forza Nami-San, solo un paio di cucchiai.” 
Non sentì nessuna risposta provenire dalla rossa, ma dal sospirò di sollievo di Sanji e conseguenti suoni, capì che il cuoco era riuscito a farla mangiare. 
Si rincuorò. 
“Hai sentito?” disse poi a Chopper “Sanji ci sa fare.” 
Inchinandosi davanti all’alce, iniziò a scrutare nel suo sguardo, cercando di comprendere ciò che a parole non prendeva forma. “Poverino…” sospirò rammaricato. “Anche tu non hai mai potuto lasciarti andare in queste lunghissime settimane… vero?”
Chopper asserì. 
“Sei stato in gamba, davvero in gamba!” 
Ma l’espressione del medico non trovò sollievo, mentre concentrava l’attenzione nello spolverare il suo cappello. Le lacrime che aveva ricacciato dentro erano nuovamente sopraggiunte con estrema facilità. “Vorrei fare di più…io vorrei curare Nami del tutto.” 
“Chopper…” il cecchino prese posto sul pavimento accanto a lui, con lo scopo di stargli vicino, “ci sono cose che nemmeno tu puoi guarire!”
Con gli occhi ancora stanchi, l’alce si ripulì, guardandosi intorno e fermandosi all’indietro, verso la cabina. 
Sospirò amareggiato. 
“…È ora di rimettersi in piedi. Il suo fisico è pronto.” 
Quasi contro la sua volontà, i suoi occhi si fermarono proprio lì, si fissarono sulla porta chiusa. C’era silenzio, non sentivano nemmeno più la voce di Sanji, segno che Nami stesse mangiando da sola.
Usop scosse la testa atterrito, sapeva che nelle parole di Chopper c’era anche un po’ di rabbia dovuta alla preoccupazione, naturalmente. 
“É la solita testarda…”
Chiuse gli occhi un secondo, facendosi venire un’idea per correre in aiuto al suo fidato compagno, che non aveva mai visto così abbattuto. Sospirò, non trovando altre alternative. “Non vorrei, ma…devi dirlo a Zoro.” 
La renna si voltò di scatto allibita e sorpresa. “Usop ma avevi dett…”
“So cosa ho detto! Ma é l’unico che riesce davvero a spronarla, seppur con i suoi metodi.” 
La renna tornò a concentrarsi sulla porta, sapeva che quella era l’unica soluzione al problema, ma allo stesso tempo non avrebbe voluto farlo. Non avrebbe voluto dargli anche quel peso.
“Quello zuccone passa da essere brusco e irremovibile ad assecondarla in certe attenzioni.” 
Il rumore di utensili che venivano riposti su un piatto gli distrasse per un un tempo breve ma pieno di angoscia, come se si aspettassero una brutta reazione da un momento all’altro.  
“L’hai visto anche tu tornare da lei come un folle, durante la giornata?” 
“Si, l’ho visto” 
“La sta assecondando. Cosa diavolo gli é preso?” Sbuffò irritato dal non capire. 
“Quando gli ho chiesto spiegazioni sai che mi ha detto? - Se c’è un modo per attenuare il suo dolore...lo accetto in silenzio – ”
Lo imitò nel tono di voce greve. 
“Perché deve rendere sempre tutto così stoico?”
E lo faceva per davvero, Zoro, quando tornava alla Sunny e permetteva a Nami di rannicchiarsi su di lui. Prendeva quanto più poteva del suo dolore, e lo teneva stretto il più possibile. 
E Zoro lo sapeva bene cosa fosse il dolore, quello fisico senza ombra di dubbio, ma purtroppo anche quello della perdita. E lo conosceva molto bene anche Nami. Ma averlo già vissuto e superato, non aveva risparmiato nessuno dei due da subire la paura. Una paura che il verde aveva sentito dilaniarlo minuto per minuto. E, prima di vedere le ferite di Nami, prima del non sapere del suo essere viva, Zoro, non aveva idea di cosa significasse davvero avere paura.   
Il medico alzò le spalle. 
“Oh, Zoro!” per un attimo al cecchino parve di scorgere due stelle dorate al centro quelle pupille scure, come segno dell’ammirazione assoluta verso lo spadaccino. “Mi fido di lui, sa sempre il fatto suo.” 
“Tu dici? Nami dovrebbe uscirne da tutto questo, crogiolarsi nel dolore a lungo termine non penso che sia la strada giusta.” 
La porta alle loro spalle si aprì, rivelando il cuoco che sul volto indossava il suo migliore sorriso.
“A dopo Nami-San. Cerca di riposare.” 
Chiusa del tutto la porta, l’espressione del biondo cambiò drasticamente, rivelando invece un'agognata tristezza. 
Scivolò a terra, accompagnando i due compagni già ugualmente seduti, tenendo stretti i piatti in una mano e l’altra tra i capelli. Inclinò appena la testa, tenendosi per sé un urlo sofferente. 
“Sanji…anche tu.” 
Usop lo guardò stralunato: se anche lui perdeva la speranza, come avrebbero fatto loro?
“Sanji…” anche Chopper alzò il capo fissando l’amico sconvolto. “Ma tu riesci sempre a farla mangiare…”
Il cuoco sospirò. 
Non poteva succedere. Non poteva anche Sanji venire colpito così profondamente dalla distanza di Nami. Una distanza che era sofferenza. 
“Mi manca la mia Nami. La Nami di prima.”
Nascondendo volontariamente il viso dai capelli biondi, anche il cuoco dimostrava di essere fragile in questi momenti e di non essere in grado di gestire una situazione così delicata, seppur lui era sempre stato il primo a prodigarsi per lei. 
“Lei lo aveva detto…aveva detto che sarebbe dovuta rimanere sulla Sunny…e noi l’abbiamo lasciata sola, l’abbiamo lasciata a morire…”
E poi lo capirono, il malessere di Sanji si chiamava senso di colpa. Anche il migliore di loro, il “loro” Mr. Prince, che avrebbe dato tutto sé stesso per rubare un sorriso alla compagna, stava morendo interiormente dai sensi di colpa per aver lasciato che l’amore per lei, il senso di protezione nei suoi confronti, l’avessero data in pasto direttamente al nemico. 
“É solo colpa nostra.” 
Continuò, abbattendo l’atmosfera e il morale comune con un colpo di grazia dilaniante.
 
Il cuoco si mise nuovamente in piedi, seppur controvoglia, con ancora il ciuffo dei capelli biondi che copriva occhi che non voleva far vedere in quel momento; infilò la mano nella tasca e tirò fuori il lumacofonino, lanciandolo poi ad Usop che afferrò al volo. 
“Tò, chiamalo tu il marimo” ordinò, facendosi forza e incamminandosi verso la cucina ad appoggiare i piatti sporchi. “Sono già passate fin troppe ore da quando é uscito.”  
Usop, demoralizzato da quella scena, si alzò anche lui in piedi stringendo la mano in un pugno e l’altra sull’aggeggio di comunicazione. 
“Lei é la Nami di prima! É la stessa Nami, hai capito? Deve solo ricordarlo!” 
Strinse forte la presa nelle sue mani, mettendoci tutta la sua forza in modo da evitare di spaccare una parete. “Noi non ci arrendiamo. Non ci arrendiamo, vero?” 
Mentre Chopper era concentrato sul guardare le spalle di Sanji, Usop osservava ora il lumacofonino, incerto sul da farsi. 
“Dai, chiamalo” gli disse la renna, non appena il cuoco era scomparso dal suo raggio visivo. 
Il cecchino sembrava intento in un pensiero difficile, cercando di capire quale fosse la scelta migliore e, determinato, lasciò cadere il lumacofonino su Chopper. Senza nemmeno bussare, aprì la porta della camera, entrandoci con tenacia, con sottofondo la voce dell’amico che lo invitava di lasciar perdere. 
 
“Nami!”
chiamò, alzando il tono della voce più del dovuto. “Dobbiamo parlare!”
Il silenzio della stanza era peggiore di quello della nave. 
Una morsa fredda lo colpì allo stomaco, rimanendo intrappolato in quell’atmosfera lugubre, funeraria. 
La luce del sole dall’oblò filtrava pure, ma non bastava per rasserenare un dolore radicato che si poteva sentire in ogni parete, ad ogni respiro. Era quasi come se fosse circondato dal nulla.
Nami, stesa sul letto di profilo, con le braccia abbandonate tra le lenzuola, guardava un punto fermo a caso, come se lei non fosse realmente li, non fosse realmente viva. 
Inghiottì la saliva che era rimasta in gola, per avvicinarsi a lei e sedersi sul letto. Vide quelle pupille muoversi e posarsi su di lui. Si gelò. Era così freddo quel suo sguardo. Ora capiva meglio cosa avesse tanto spaventato Sanji: ogni sua occhiata trafiggeva il cuore. 
“Che stai facendo?”
 le chiese un po’ titubante, ma senza ottenere risposta.
“Lo so che stai soffrendo…, e nessuno ha il diritto di importi niente…ma”
“E allora cosa vuoi?”
Rimase atterrito dalla domanda fredda e a bruciapelo che non si aspettava.
 “Nami…”
La vedeva mentre continuava a guardarlo insensibile, ma mantenendo quell’indole battagliera che un po’ gli dava sollievo. 
Usop era consapevole che lo scontro, la paura e la perdita subita, erano state devastanti per lei, ma era anche cosciente che non era tutto lì, c’era qualcos’altro che lei doveva combattere dentro di sé e da cui era, evidentemente, difficile riemergere. Stava ancora aspettando una sua replica. Fu tentato di ignorarla. Ma proprio lui aveva detto che non si sarebbe arreso, a costo di beccarsi tutte quelle sue frasi pungenti. 
Avvicinò la mano al suo braccio ferito, provando a toccarla, ma Nami lo estrasse subito, ferendolo indirettamente. 
“Sono io! Sono Usop!” quasi urlò, con due lacrime che gli rimasero ferme sugli occhi “non ti farei mai del male!”
Lei alzò il capo con uno scatto, come se quel lamento sofferente appena udibile l'avesse scossa più delle domande quasi urlate. Quasi con timore, puntò i suoi bei occhi, che avevano perso le sfumature dorate, sui suoi. Usop non seppe definire se ciò fosse durato un attimo o protratto per molto più, perché con quel gesto che aveva irrimediabilmente aperto un buco nero dentro al suo stomaco, sino a perdere coscienza del tempo.
Fu in quel momento che qualcosa nello sguardo della rossa mutò leggermente, forse provando una sensazione di rammarico. 
“Usop…” le uscì dalla bocca, meno aggressiva di poco prima ma non ancora quieta, e non ancora calda. 
Sentendola pronunciare il suo nome con un tono però diverso, pensò che in lei allora c’era ancora del sentimento, e si rincuorò appena, asciugandosi le lacrime con il colletto della maglia. “Stupida…mi hai spaventato…” 
Finito di asciugarsi, si concentrò nuovamente su di lei, su quello sguardo che gli faceva paura, cercando nei suoi pensieri il modo migliore per mettere in luce qualche parola e forse riuscire ad affrontare un discorso sensato.
 
Il silenzio avvolgeva entrambi,
e la sensazione di impotenza cominciò a pervaderlo. 
“Mi dici perché non vuoi alzarti?” 
“...” 
“Domani ti andrà?”
“…”
“Nami sono serio. Chopper é preoccupato. É ora di rimettersi in piedi.” 
Lei non gli rispose mai, provocando in lui una reazione nervosa e impaziente, scoprendosi poco incline a subire i suoi machiavellici giochi, se lo erano davvero, dei giochi. 
“Non ti fidi di me, di Chopper…!” 
Il cecchino si alzò dal letto, quando non riusciva a trattenere l’emozione e controllare i sentimenti, doveva stare dritto. 
Ma siccome Nami continuava ad ignorarlo, provò con il pezzo da novanta, con la motivazione iniziale per cui era corso da lei in quella giornata, disturbando il suo dolore. 
“Non dici nulla su cosa sta succedendo qua? Lo sai dov’è tua figlia adesso? Lo sai delle prove immani che deve superare?”
Aveva difronte nuovamente un viso insensibile, avvolto dal nulla. Pensava con quelle domande di innescare in lei una reazione, ma rimase deluso quando sentì un semplice ma deciso
“Lo so.” 
“E non dici niente? Non ti opponi? Siamo qui perché Rin impari l’arte della spada e tu dici solo che lo sai?” 
Usop non era sicuro se sentirsi più furioso per questo o per la paura di non vedere mai più una reazione in Nami. Certo, la vecchia Nami sapeva essere brusca, e quando persino violenta, ma era pur sempre guidata dal fuoco che le bruciava dentro, che la rendeva piena di calore, ma questa che aveva davanti era tutto fuor che calda. 
Continuava a guardarla negli occhi, stralunato e intontito da lei. Voleva consolarla, voleva starle vicino, ma in fondo, si sentiva anche un po’ egoista, voleva farle capire che loro avevano tutti bisogno di lei, e che senza, si sentivano persi. Ma non poteva dirlo, poiché non poteva farle pesare un tale fardello in un momento simile. Non si sarebbe più guardato allo specchio se lo avesse fatto, ma avrebbe tanto voluto dirle della tristezza di Sanji, dei pesi che Zoro portava sulle spalle, dell’innaturale sangue freddo di Rufy, della solitudine di Robin, dell’impotenza di Chopper…ma non poteva, non era giusto, non poteva appesantire il suo carico con il loro. Cercava di convincerla con lo sguardo, di comunicare con lei tramite la sua espressione affranta, ma si rese conto che era come parlare con il vuoto e aspettare pure di ricevere riposta. Pianse, pianse lì, davanti a lei, sentendosi allo stesso tempo in colpa per aver ceduto. Non era così che avrebbe voluto spronarla, non era con la pietà o la sua tristezza che avrebbe voluto farla reagire. Era spiazzato. Aveva paura di non conoscere quella persona che continuava a guardarlo in quel modo arido, anche se non del tutto impassibile come voleva dimostrare - non ancora, almeno. 
 
“Non sarà come me…Rin! Lei imparerà a combattere, a non farsi schiacciare.”  
 
Seppur la risposta non gli piacesse, almeno era sorpreso che fosse arrivata. Alzò la testa con il respiro mozzato: l’aveva ottenuta una reazione, e adesso si domandava se quello che aveva scorto nel suo occhio fosse uno spiraglio di rabbia. Si, anche la rabbia gli sarebbe bastata, un sentimento che sperava di scorgere ancora in quei due occhi grandi, e il più in fretta possibile. 
Si calmò nuovamente, non era facile trattenere emozioni per lui, anzi, non era proprio da lui, come non era facile dosarle e trovare le parole giuste per non arrecarle più danni. 
“Tu lo sai bene…che anche il più forte dei guerrieri può deperire se colto in una situazione sfavorevole.” Sospirò. “Non capisci che sei stata una salvatrice là fuori, contro quel bastardo? Tua figlia é fortunata ad avere te come madre!” 
Ma Nami lo ignorò, non voleva sentire niente, poiché niente, nessuna parola, nessun incoraggiamento, nessun complimento l’avrebbe fatta sentire meglio. Strinse il pugno, incastrandoci anche un pezzo del lenzuolo bianco, spostando il suo sguardo altrove. 
Usop osservò tutto, e in quel momento capì davvero che ogni sua parola non avrebbe sortito nessun effetto. La vide contorcersi, la vide iniziare a stare male. Aveva aggravato lui la situazione? Aveva detto qualcosa che non doveva dire? Le aveva solo fatto un complimento in cui credeva davvero, come poteva, insomma, averla ferita? 
Si rammaricò seduta stante. 
Ma la sua indole ribelle non gli impedì comunque di parlarle come aveva sempre fatto. 
“Se ti arrendi io…io ti perdono…però, parlami almeno!” gli tremavano le mani. “Siamo sempre stati noi due, quelli più spaventati da tutto…lo so bene che ti ho sempre considerata come me, ma in realtà tu, tu sei sempre stata la più forte di tutti!” 
La porta si aprì ancora una volta in quel pomeriggio, rivelando lo spadaccino che smaltiva l’affanno per la corsa. 
 
“Che hai fatto?” 
 
Usop scosse la testa infuriato, con le lacrime che gli solcavano il viso. 
Zoro lo superò, notando subito la presa di Nami a pugno che stringeva il lembo del lenzuolo così forte da far fastidio agli occhi, mentre i suoi vacillavano nel nulla, persi sulla parete di fronte. Togliendosi veloce gli stivali e poggiando le spade al muro, prese posto sul letto, mettendo un braccio dietro al collo della rossa e portando il suo viso sul suo petto, proprio dove batteva il suo cuore, abbracciandola anche con l’altro braccio, sotto lo sguardo confuso di Usop che proprio non riusciva a comprendere. Con qualche movimento del corpo cercò di far capire a Zoro il suo dissenso, mentre Nami, immediatamente diventata calma, si lasciava quietate da quel calore e da quel suono ritmico di cui aveva tanto bisogno, ritrovando il respiro. 
Il cecchino, a cui era bastato solo lo sguardo di Zoro per essere cacciato via, chiuse la porta, uscendo dalla stanza con addosso una ferita che non sapeva spiegarsi. 
 
 
 
 
Percepiva il respirare di lei sulla sua pelle, e quel respiro era tutto ciò che voleva sentire. Zoro chiuse l’occhio, lasciandosi cullare da quel suono e dall’aria che gli arrivava sul petto. 
Non voleva sentire altro. 
Nami era vicina ma anche così lontana, una lontananza che era sofferenza, una sofferenza che era atroce, che arrecava danni allo spirito, poiché si sentiva incapace di poter fare qualunque cosa. 
Aveva sempre affrontato il dolore di qualcuno liberandolo da un peso solo grazie al combattimento, ma questo, questo non sapeva gestirlo. 
Non si sentiva in grado di vincere, di sentire la forza tra le dita, di combattere il male con la determinazione e forza di volontà. Nulla, nulla, nulla di tutto ciò era più possibile: si sentiva inutile, inefficace, e pieno di paura. 
 
 
“Usop é preoccupato.” 
 
Si sorprese, soprattutto di sentirla parlare di qualcuno degli altri. Pensò immediatamente che, forse, qualcosa di giusto il cecchino l’aveva pur fatta. Istintivamente aprì l’occhio e la guardò di sottecchi, decidendo di comportarsi nel modo più normale possibile e risponderle come se niente fosse.  
“E non può esserlo?”
Il respiro di lei si era fatto più forte. 
Zoro si fermò un attimo per riflettere, per la prima volta nella sua vita si era ritrovato spesso a soffermarsi con attenzione sulle parole da usare prima di aprire bocca. Non che di solito parlasse a vanvera, ma lui era un tipo molto più istintivo. 
“Penso che senta la mancanza della sua amica.” 
La sentì subito muoversi su di lui, senza però staccarsi o rispondere. 
Si, Usop aveva fatto centro in qualche modo. Pensando che quelle sarebbero state le uniche parole della giornata, fu costretto a ricredersi, stupendosi ancora. 
“É preoccupato per Rin. Pensa non sia giusto l’addestramento a cui vuoi sottoporla.” 
Zoro non rispose. 
Qualunque cosa Usop avesse detto, gli era grato, perché aveva funzionato, seppur in minima parte, aveva risvegliato in lei la voglia di reagire. 
A Zoro non importava niente della discussione, gli piaceva solo sentire quella voce, lo avesse pure insultato il povero Usop, ne avrebbe addirittura gioito. 
Lui continuava a stare in silenzio. 
Se avesse voluto, lei avrebbe continuato lo stesso. ad aprirsi. Aveva fiducia in lei, aveva fiducia nella sua volontà. 
La sentiva molto turbata: si muoveva continuamente sopra di lui, a differenza delle altre volte, in cui stava immobile e in silenzio fino ad addormentarsi. Probabilmente aveva udito il battito del cuore cambiare, a seconda delle emozioni dello spadaccino, poiché quello non poteva proprio nasconderlo, e sicuramente lo sentiva più lento, come trattenuto. 
Perché in Zoro si era acceso uno spiraglio di luce che negli ultimi tempi aveva perduto; sperava di sentirla ancora, voleva vederla esplodere, aveva davvero necessità che lei continuasse ad essere lei. 
 
“Gli spiegherai che non deve preoccuparsi per Rin? Gli dirai che non è così fragile? Gli dirai che starà bene?” 
 
Il suo battito cardiaco trattenuto riprese a pulsare.
Nami non poteva vederlo il sorriso comparso sulla bocca del verde, mentre rilasciava un sospiro di sollievo quasi invisibile, mentre si chiedeva se Nami stesse davvero parlando di Rin o di sé stessa. 
“Allora? Gli dirai questo?”
Il corpo della rossa aveva preso a tremare leggermente. In qualche modo si era risvegliato parte di un sentimento che era stato assopito per settimane. 
Zoro, rendendo più forte la presa su di lei con le braccia, abbassò la testa poggiandola sul capo rossiccio e strofinandoci sopra il viso. 
“Puoi dirglielo tu.” 
Una piccola sberla con la mano lo colpì dritto sul braccio, stringendo poi la presa sulla sua pelle con l’intenzione di fargli male. 
“Non fare così!” si lamentò lui, pentendosi quasi subito di quel sollievo, nonostante però non riuscisse a smettere di sorridere dentro di sé. Almeno,  finché la presa non cadde e il braccio di Nami si lasciò scivolare morbido nuovamente su di lui, fermandosi al primo ostacolo incontrato. 
Sospirò. 
 
 
Nami stette imprigionata per un lungo silenzio, lo stesso che stava quasi facendo disperare nuovamente Zoro che si era illuso di un miglioramento. Così, anziché assecondarla, decise, talvolta, di agire tempestivamente, approfittando delle briciole che Usop aveva già sparpagliato. 
“Nami…” sospirò il suo nome mentre ancora annusava la sua cute, accogliendo in lui tutto il suo profumo “è il momento.”
Lei diventò immediatamente nervosa. Quella domanda aveva alimentato il suo tormento, freddandola all’istante. Ma niente in confronto al seguito, alle parole che seguirono dopo.
“Voglio che tiri fuori tutta la tua rabbia. Con me.”
Leo scosse il capo in segno di dissenso.
“Tu non sei mai stata una donna che si trattiene.” 
“…”
“Ed io non accetterò più il tuo silenzio.” 
“…”
“Come non accetterò mai una tua resa.”
“…”
“Mettitelo in testa.”
“…”
“Mi hai sentito?”
Lei si oscurò in volto, mentre stringeva i denti in una morsa. 
Zoro non seppe se quello che gli parve di sentire era un ringhio, ma qualunque cosa fosse, lo avrebbe accettato. 
"Questa cosa non mi va più bene..." riprese con convinzione "Ti è chiaro, Nami?" 
Un movimento secco della testa lo stupì. La rossa aveva rotto la perfetta cornice che i due formavano, alzando il capo dal suo petto e guardandolo dritto in faccia. Gli occhi sgranati leggermente accesi, la bocca serrata che segnava il suo voler essere arrabbiata. Sembrava voler parlare ma non riusciva a dire niente. Ricambiò lo sguardo furente, lui, in attesa: qualunque cosa sarebbe arrivata, lui era pronto per riceverla. 
“E tu?” la sentì digrignare i denti. “Tu quando ti arrabbierai?”
Assunse un cipiglio duro, inquietante. Si aspettava tante cose da lei, ma questo, questo no. La guardò serio, senza capire. La vide farsi forza con le braccia e alzarsi del tutto da lui, allungandole e prendendo tra le mani il bavero della sua maglietta. 
“Perché non sei arrabbiato? O fai solo finta di non esserlo?” lo strattonò con quella poca forza che aveva. “Quando sei diventato così accondiscendente?” 
Di reazione spontanea le bloccò le braccia, avvicinando il viso al suo, gelandola ancora una volta con quello sguardo intenso, ma non privo di paura. Lo vide aprire la bocca in quel suo modo solito quando stava per sprigionare una reazione dura; accanito, pronto a liberare tutto il suo sdegno.
“Da quando non ti ho sentita respirare!” 
Rancore, disappunto, paura: le fasi dello sconforto di Zoro. 
La guardò con l’occhio sgranato. Voleva davvero sentirlo parlare così? Silenzio per settimane, poi finalmente parlava, e voleva solo provocarlo?
Si aspettava che lei, che tanto persisteva in quegli intenti, minacciasse di fargli rivivere ancora e ancora tutto quello che era successo, farlo pentire e piangere, ferirlo fino ad essere sopraffatto dal rimorso...E invece no? Era lei che stava vivendo il rimorso? 
“Avevo ragione, dannazione! Grondi rabbia da tutti i pori!” 
“Certo che sono arrabbiato! Pensi che non provi emozioni?”
“Sei bravo a nasconderle!”
“Sei tu la regina di questo!”
“Allora perché non te la prendi con me? Perché non ti arrabbi? Non mi hai ancora urlato contro per essere uscita da quella maledetta taverna!” 
Lo strattonò. “Ho messo in pericolo Rin! Poteva morire!” 
Lo guardava nelle iridi nere con uno sguardo pieno di senso di colpa ma, soprattutto, spaventato dalla verità. 
“Non voglio pensare a questo, adesso!” 
Zoro vedeva che era agitata, ma provava emozioni, ed era così bello vederla provare emozioni. Usop, tutto merito di Usop, che, al contrario di lui o Sanji, che continuavano ad assecondarla, aveva mostrato tutta la sua umanità e sincerità dei sentimenti. Tuttavia, tra quei frammenti confusi di verità, paura e rammarico, era rimasta un'unica certezza a cui aggrapparsi, e così importante da non poterla più trascurare ma che, anzi, doveva essere trasmessa. 
Facendo un balzo in avanti, Zoro, l’aveva buttata giù, sul letto, portandosi sopra e bloccando, senza fare forza, i suoi movimenti. Era lì, a due centimetri dalla sua bocca adesso. 
Ma lei continuava imperterrita ad insistere su ciò che lui non voleva ascoltare.
 “Dillo! Avanti! Chiedimelo!”
Con il respiro e il battito diventati accelerati, lo spadaccino non aveva perso la sua espressione irritata, Nami che continuava ad insistere sull’argomento fu abbastanza per congelargli il sangue nelle vene. 
“Allora? Perché? Perché sei uscita da quella stramaledetta stanza? Perché?”
Con l’occhio sgranato, continuò a fissarla senza distogliere lo sguardo. Se era questo il modo di farla reagire, allora lo avrebbe fatto! 
Sentendo quelle parole, quasi forzate da lei stessa, la realtà iniziò ad entrarle sotto pelle, quasi come a risvegliarla da uno stato di trance in cui non era sicura di essere stata davvero. Continuava a ricambiare lo sguardo di Zoro senza riuscire a dire niente, con la bocca arricciata e una ruga d’espressione che pulsava sulla fronte. 
“Per colpa tua!” Gli urlò contro alla fine.
E da quella sua rabbia, dall'attesa di una sua risposta ad un quesito inesistente, piano piano, iniziò a lasciarsi inconsapevolmente ghermire da quel dialogo, da quella rivelazione, da quella trappola, mentre l’unico suo appiglio alla verità veniva lentamente risucchiato dall'oscurità della realtà.  
“Per cercarti! Per dirti che mi dispiaceva di aver dubitat…”
Lo vide quasi cadere su di lei e, d’improvviso, prenderla per le labbra con le sue, attirandole nella sua bramosia. 
L’aveva spiazzata ancora, Nami non si aspettava certamente un risvolto del genere. E, ancora peggio, quando sentì le mani del verde risalire sulle cosce e alzarle il vestito. 
“…ma che ti…”
Lo sentì scendere su di lei con la bocca, annusare la sua pelle, tirare via la bretella del vestito con i denti. 
“Sei impazzi”
Non riusciva a terminare le frasi, una strana sensazione l’aveva presa in contropiede, ma non era così sicura di voler provare quello in quel momento. Non era sicura di voler provare di nuovo qualcosa, di volerla sentire. Non era sicura di niente. Ma non aveva nemmeno il tempo di pensarlo, sentiva solo quelle labbra su di lei, sentiva solo un vortice di sensazioni coinvolgerla e allontanarla da ogni cosa. 
Lui invece era sicuro, sembrava così sicuro di quello che stava facendo. O forse, aveva solo smesso di pensare.  
“A-ah”
Ma fu quando ebbe la percezione delle sue labbra sulla pancia, che ebbe un tremito.
Attento alla ferita, con una cura quasi maniacale, il verde ci lasciò sopra una leggera carezza, continuando a baciarla e ad alzarle il vestito verso l’alto.
“Lo dobbiamo accettare…” diceva, mentre non smetteva di poggiarci le labbra sopra.
Istintivamente Nami portò una mano su quella di Zoro, immobile, sul suo ventre.
“Se fossi morta lo avresti accettato?”
“…”
“Rispondi!”
E allora lo sentì muoversi a pieno ritmo sopra di lei, con le labbra sul suo interno coscia, sul quale si era strofinato con veemenza. Quella domanda lo aveva appena riportato nel vortice di quella maledetta sera, di quella paura che era entrata dentro di lui e non era più uscita. 
“Ah- Zor…” 
Nami si chiedeva se stesse perdendo davvero lucidità così in fretta solo perché inconsciamente voleva perderla. 
Deciso, lui aveva preso il controllo e lei lo stava permettendo. Lo vide risalire - faccia a faccia, un occhio dentro l’altro, il respiro trattenuto che si sfiorava - e non resistere più, e, fiondandosi nuovamente sulle sue labbra, lui, riprese ad averla. Sempre baci irruenti, sempre frenetici, sempre pieni di emozione che non riusciva ad esprimere a parole. 
 
“Non capisci” 
le sussurrò, senza però perdere quel tono rabbioso,
“tu non l’hai mai capito veramente…” 
continuò a sussurrarle, mentre le baciava il petto e sempre con la bocca scendeva sulle ferite ancora ricoperte dalle bende passandoci sopra un polpastrello.
“C-ch…che co-?” 
Lei gli alzò la testa dal suo corpo tirandogli i capelli verso l’alto, approfittandone per respirare. “Cosa non ho capito?” 
Ma ebbe un gemito quando sentì la sua mano sfilarle l’intimo e tirarlo via. 
“Zoro …non penso ch” 
“Non sei tu che mi hai intrappolato, sono io, io che ho deciso di farti entrare.”
Nami sussultò quando lo sentì dentro di lei, aspettandosi, si, la sua irruenza, ma non quei sentimenti che leggeva adesso nel suo sguardo un po’ meno enigmatico di quel che conosceva. 
Si reggeva a lui, ricordandosi di quanto, in quel singolo momento della sua vita, avesse avuto bisogno di lui, e lui non c’era stato. Fu così che gli strinse la pelle sulla schiena infilando le mani sotto la sua maglia e scavando con le unghie sulla benda sottostante, provocandogli più di un lamento. 
Ma lui in risposta la stringeva a sé, le sue dita affondavano nella sua vita, e la testa nel suo petto. Lui consumava le sue energie in quell'atto ripetuto, ritmico, costante, pieno. Si concentrava, mentre cercava di esprimere il suo sentimento. 
“Non starei mai con una donna che penserei essere debole” sussurrò ancora, alzando la nuca e avvicinandosi al suo orecchio, mentre s’impegnava in una spinta decisa. 
In quei lunghi momenti, con il reciproco aroma nelle narici, i corpi vicini, le gambe strette e i seni premuti contro il petto, Nami affogava in un ricordo che non sembrava più così lontano, fatto di sensazioni che l’avevano resa felice; finalmente spegneva il dolore mentale, finalmente smetteva di pensare. Stava sentendo qualcosa, stava provando qualcosa che la stava rendendo viva. 
Tutto ciò che la tormentava, tutti i suoi dubbi, le insicurezze ...tutto stava passando in secondo piano. C'era soltanto Zoro con lei in quella stanza, e non importava altro in quel momento. 
Il suo corpo fremeva e vibrava ad ogni spinta, le sue mani vagavano sul corpo di lui, aggrappandosi alle sue spalle con ancora più tenacia, riportando la forza in quelle sue braccia ancora deboli e stanche; non poche volte la passione, la foga, l'avevano come quietata, fatta fermare dal suo pensare troppo, e dal suo pensare troppo in fretta.
L’espressione vuota che lo sguardo di Nami aveva assunto per troppo tempo, sparì allo stesso modo di come era apparsa. I suoi lineamenti s'addolcirono e le labbra si distesero. 
La mente di Zoro correva assieme al suo cuore, in realtà con le parole era anche bravo, poteva fare spesso discorsi sensati e con poche sbavature, ma, non era bravo in queste circostanze, e allora, lo si doveva sentire dal suo cuore il suo sentimento, si doveva avere fiducia in lui per capirlo. Era stato terribilmente impulsivo in quel momento, ma la risposta di Nami gli aveva provocato una strana consapevolezza, non solo di un senso di colpa condiviso, ma di una volontà che necessitava di liberarsi da esso, di prendere forma, di uscire insieme a lui da quella trappola in cui si era chiusa volontariamente. E di farlo insieme, per non sentirsi nuovamente in colpa per esserne uscita da sola.
 
Sentiva di essere arrivato al limite, l'ultimo appiglio alla realtà prima di cadere nella voragine. 
 
Sollevando ringhi, fusa e ansimi, i due avevano dimenticato, per un lungo attimo, cosa era accaduto. 
 
 
Si lasciò quasi cadere sopra di lei, senza pesarle, poggiando la testa sul suo petto e lasciandosi cullare da quel calore che gli era mancato. 
Nami si sentiva stravolta da quell’atto furioso che condividevano ogni volta che facevano l’amore. Era consapevole che ancora una volta le loro emozioni erano state espresse nel modo più complicato.
Ora che quel momento era come terminato, non si sentiva peggio di prima, e, anzi, forse aveva acquistato una strana consapevolezza, o almeno, aveva vinto un momento in cui aveva potuto spegnere il dolore. 
Sembrava come se tutto riprendesse colore, come se il mondo tornasse ad essere nitido. Lei era viva, era viva, dannazione! 
 
Zoro ero rimasto disteso, prendendosi quello spazio di cui necessitava, soprattutto, quando Nami gli passò improvvisamente una mano dietro al collo, in una carezza nuova. 
 
“Come ti senti?” 
Le aveva chiesto.   
Ma la rossa, sentendo per un attimo il bisogno che Zoro aveva di lei, iniziò a sentirsi un po’ egoista, stava pensando a quanto lui, vista la sua posizione, dovesse essere sempre incrollabile, con un macigno dal quale non poteva liberarsi. Sentì gli occhi farsi gonfi, ma si trattenne, continuando ad accarezzarlo sulla nuca, sui capelli, immersa in una gioia strana che pensava di non meritare, provando nuovamente quel senso bruciante che arrivava quando lui si mostrava così intenso. 
 
Lo sentì sussurrare qualcosa sulla sua pelle, facendole quasi il solletico, ma per lo più, rabbrividendola.
“Se potessi prendere tutto il tuo dolore lo farei.” 
Ebbe un tremito.
Il suo corpo malandato, sopravvissuto a un attacco mortale prima, e a una dose di piacere dopo, ora tremava per una sola e semplice frase, che in realtà di semplice non aveva niente. 
Si chinò appena su di lui, lasciando un bacio sulla sua nuca verde e sudata.
“So che lo faresti…”  
 
La paura di non essere forte, la paura di essere un fallimento come madre che non riesce a proteggere i suoi figli l’aveva annientata, l’idea di cadere, l’idea di soccombere l’aveva fatta a pezzi.
Ma con quell’uomo, lo stesso che con le braccia strette attorno alla sua vita, le trasmetteva tutto il coraggio che era possibile avere, e più sicurezza di quanta ne avrebbe preteso, ritrovava un certo equilibrio in quel mondo di pirati, di bestie, di uomini bruti che facevano del male. 
Era l’eccezione, era l’unicità, era la salvezza. 
“E senza fare un beato accidenti, come sempre!”, scherzò, dando vita a un pensiero ironico. Ma Nami in realtà lo sapeva che non era così, si sentiva tremendamente ingiusta verso Zoro per aver pensato più di una volta che se lui fosse stato presente quella notte, se fosse stato lì per salvarla per l’ennesima volta, non sarebbe successo niente. Ma con che coraggio poteva affibbiargli sempre questo maledetto ruolo? 
 
“Io credo tu ne abbia già abbastanza di peso addosso.” 
Ma il suo improvviso russare fu abbastanza esplicito da farle alzare gli occhi al soffitto.
 
Aveva ragione, come tante altre volte, d’altronde, avrebbe dovuto accettare la morte e la vita, avrebbe dovuto ringraziare della salvezza di Rin…e della sua, seppur provando un dolore lecito. 
 
“Grazie.” 
 
Gli accarezzò la tempia ancora una volta, prima di chiudere gli occhi e rilassare i pensieri. 
 
 
 
Al risveglio, lo spadaccino, scombussolato, rammentò velocemente gli ultimi passaggi che lo avevano condotto a crollare esausto sopra Nami. 
Stava decisamente meglio, dopo un tempo che era sembrato lunghissimo; e non tanto per l’atto in sé che era stato consumato, quanto per quel calore che aveva avuto paura di perdere. 
Il verde si scostò da quel corpo accogliente e morbido, e, trovandola a sua volta addormentata, si premurò di ricoprirla. 
La sentì biascicare qualcosa, ma per fortuna, e finalmente, era così esausta da non risvegliarsi non appena distante dal battito vitale di Zoro. 
Iniziò a sentirsi meno in colpa per dover andare via ancora una volta, mentre riportava i pantaloni alla vita e gli chiudeva con il bottone. Si sedette sul letto per infilare gli stivali, e, prima di alzarsi e uscire con le spade in mano, si voltò un’altra volta su Nami, lasciandole un bacio sul braccio ferito.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Inchino” 
Seppur il suo aspetto fosse così calmo e rilassato, con il volto quasi simpatico, la voce del sensei sapeva essere severa e autoritaria, tanto da riuscire a mantenere un certo controllo. 
“Saluto di rito” 
I due prossimi combattenti si guardarono uno con l’altra, mostrandosi determinati e pronti allo scontro. 
Rin, nella sua divisa verde, con due spade incrociate all’altezza del cuore, e i capelli rossi ordinati che le arrivavano alla fine del volto, teneva stretta la sua spada di allenamento, con un leggero tremolio che non riusciva a far cessare. 
Il suo avversario, un ragazzo più grande di lei di età, ben tre anni di più, ma anche di stazza, sorrideva beffardo guardandola con sfida. Non appena si gettarono una contro l'altro, il bambino le rivelò qualcosa a bassa voce, tanto da farla innervosire.
Le due spade si scontrarono, una sull’altra, e poi si sciolsero per incontrarsi di nuovo. Col fiato corto, la bambina perse quasi subito l’equilibrio, talmente quella spada era pesante per lei. E, in quel momento di distrazione, il suo avversario approfittò per colpirla facendola cadere a terra e facendo volare via la sua spada. 
“Hai perso femmina!”
Con gli occhi gonfi, Rin trattenne le lacrime ma non le parole, urlandogli di essere un codardo. 
“Zitta! Cosa vuoi capirne tu!” 
“Più di te, sbruffone vigliacco!”
“Cosa hai detto mocciosa?”
Koshiro s’intromise, fermando quello che stava per essere un secondo round, ma a suon di pugni.
“Smettetela di litigare. Ryoma è vincitore dello scontro per la ventesima volta.” Decretò imparziale. In mezzo ai cori esultanti degli altri ragazzini, c’era anche Rufy, però in silenzio, che osservava tutto appoggiato al muro, sotto numerose occhiate degli stessi che ogni tanto si spaventavano di averlo seduto lì con loro. 
Il bambino vincitore, dai corti capelli biondi e dagli occhi che sembrano grigi, sghignazzò ancora. Ma prima di ridersela per bene come le altre volte, ebbe solo il tempo di vedere un’ombra nera cadere sopra di lui e buttarlo a terra. Rin aveva preso la rincorsa e si era gettata su di lui a capofitto, graffiandolo sul collo. Di risposta, quello fece lo stesso, rivoltando la situazione tirandole i capelli. 
“Smettetela, ho detto!”
Koshiro prese la bambina per la collottola, separandola dall’altro, che invece venne fulminato con lo sguardo. “Questa é una palestra, non un asilo.” 
“Lasciami subito vecchiaccio!” 
“Rin!” 
La riconoscibile voce austera di Zoro divenne portatrice di immediato silenzio. Fermo sulla porta, guardava la figlia con un sopracciglio alzato e lo sguardo severo. “Porta rispetto!” 
“Ma lui…”
“Chiedi scusa!”
“Per quale motivo?” 
Ma le bastò l’occhiata del padre per capire che quella volta non avrebbe potuto continuare a ribattere senza farlo arrabbiare. Koshiro posò la bambina a terra e alzò uno sopracciglio quando la vide guardarlo e sbuffare allo stesso tempo. 
“Scusa.”
“Scusa cosa?”
la riprese il genitore da dietro le sue spalle. 
“Scusa, sensei.” 
Il maestro poi scoppiò a ridere di gusto, lasciando tutti tramortiti, dal momento che lo faceva di rado.
I ragazzini, seduti a terra, e Ryoma, ancora in piedi, fremevano dall’entusiasmo ogni qualvolta Zoro si presentava al dojo, ma allo stesso tempo lo temevano per via del suo fare estremamente intimidatorio che riusciva a spaventare tutti, anche i più grandi. Lo guardavano con ammirazione, e quando rimaneva con loro, come spettatore, molti ragazzini si mettevano in mostra rivelando di stare esercitandosi con la tecnica a tre spade. Ma lo spadaccino non lasciava loro molte soddisfazioni, rimanendo impassibile agli scontri, e facendo spesso avanti e indietro al dojo per tutta la giornata, senza mai rimanere lì in pianta stabile.   
 
 
“Papà perché non ci sono femmine qua?”
“Ci sei tu!” le aveva risposto durante la pausa merenda. 
“Ma le femmine non combattono con la spada?”, aveva replicato, facendosi volontariamente sentire dai nuovi compagni.
“Combattono con la spada esattamente come gli uomini.” 
“Va bene.” 
 
 
Mentre i ragazzini erano in pausa nel giardino a fianco, Koshiro, Zoro e Rufy stavano seduti sul pavimento con le gambe inginocchiate, a discutere della situazione. 
Rin, però, in quanto unica bambina del gruppo, che non voleva coinvolgerla, si era allontanata, soprattutto quando le avevano detto che era lì solo grazie a suo padre, e che di spade non capiva un “fico secco”. 
Così, consumando il suo panino, preparato da Sanji, fuori dalla porta del dojo, ne approfittò per ascoltare la conversazione che avveniva all’interno. 
 
“Novità su quel Marine?” 
Chiese il maestro, mentre serviva il tè caldo nelle tazzine e spegneva l’incenso che aveva profumato tutto l’ambiente.
Zoro stava staccandosi le spade dal fianco per appoggiarle a terra e stare più comodo. 
“Starà ancora leccandosi le ferite da qualche parte.”
“Non é sconfitto, ma ha preso una bella lezione” ringhiò il capitano mentre guardava attentamente Koshiro servire i biscotti nei piatti, con la bava alla bocca. 
“Tua moglie?” 
Per la prima volta da quando il suo maestro gli rivolgeva quella domanda, in Zoro si era accesa una luce. “Sta meglio.” 
“Mi fa piacere.” 
“Sulla nave sono preoccupati per Rin. Credo vogliano sapere tutti cosa abbiamo deciso di fare.” 
“Non c’è da preoccuparsi, ha proprio un bel caratterino! e che insolenza!” servì le tazze una per ciascuno con il piattino dei biscotti al fianco. Il maestro di Zoro ancora sorrideva di gusto, mentre vedeva il suo ex allievo grattarsi la nuca imbarazzato. 
“Devi scusarla, non é colpa sua, é che ha preso tutto da sua madre.” 
“Posso confermarlo!” asserì Rufy, con gli occhi chiusi e il volto stranamente serio mentre sorseggiava il tè, bruciandosi la lingua. Zoro scosse la testa imbarazzato anche dal suo capitano, cercando di ignorarlo il più possibile.
“Sai? Non vedo proprio l’ora di conoscere Nami.” 
Zoro sudò freddo, mentre Rufy sputò il contenuto della tazza di tè in aria. “Sarà sicuramente bizzarro…”, rise divertito, beccandosi un ringhio da parte del verde. 
 
C’era qualcosa in Koshiro che non lo faceva sembrare convinto. In effetti Zoro non aveva riflettuto su un possibile rifiuto da parte del suo ex maestro, e gli sarebbe dispiaciuta una simile decisione.
“Allora?” si rivolse ancora a lui. “Un anno. Solo un anno. Quando avrà appreso le basi l’allenerò direttamente io. Ma ha prima bisogno di disciplina” puntualizzò infine.
Il sensei si fece nuovamente serio, incrociando anche lui le braccia al petto. 
“Zoro…” il suo tono allarmò lo spadaccino, che ricambiò lo sguardo incuriosito da tanta incertezza. “É solo una bambina…” 
“…”
“Non ho mai allenato nessuno di così piccolo…”
“Sicuro?” 
La domanda del verde venne spontanea. Tutti sapevano che il sensei non mentiva quando affermava di non aver dato lezioni private a Kuina, ma allo stesso tempo, sua figlia era nata in quel mondo, era sempre stata a contatto con il Kenjutsu fin dalla nascita. 
“Kuina aveva un talento naturale.” 
“E a Rin manca?”
“Non lo so.” 
Rufy continuava bere il tè e osservare i due che si fissavano intensamente, non riuscendo a capire il motivo di tanta titubanza. Anche lui aveva l’età di Rin quando venne portato nel bosco a imparare a sopravvivere, perciò non riusciva a vederci nulla di così strano.
Koshiro lo accompagnò, alzando la tazzina e sorseggiando anche lui il liquido caldo mentre rifletteva. “É stata dura in queste settimane per lei. E lo sarà ancora di più dopo.” 
Ma lo spadaccino non sembrava preoccupato, avendo visto quella sicurezza in quegli occhi lucidi, aveva fiducia in sua figlia. “Ce la farà.” 
“In Kuina prevaleva l’arroganza. In te, Zoro, la determinazione…”
“E cosa hai visto in Rin?”
L’uomo con gli occhiali tondi, e dai lineamenti delicati, presentava all’improvviso un’espressione stravagante, quasi fiera.
“Orgoglio. Un orgoglio inscalfibile.” 
Un ghigno soddisfatto apparve sulle labbra dello spadaccino. Cos’altro poteva nascere dall’unione tra lui e Nami, dopotutto? Non poteva che esultare dentro di sé. Ma il motivo della sua euforia non riguardava solo questo, non era solo la fierezza che aveva scorto negli occhi di sua figlia; c’era dell’altro. 
“Lo sai? Lei non ambisce a diventare la migliore…”
Quella puntualizzazione aveva attirato immancabilmente l’uomo che, per tutto il tempo, aveva mantenuto una compostezza invidiabile. 
“Allora, sta già un passo avanti a tutti.” 
Quando vide Zoro annuire, il samurai lo guardò asserendo con il capo. “Va bene.” Continuò a sorseggiare la bevanda lasciando Zoro in sospeso. “Ryoma é l’allievo più promettente, e anche il più piccolo dopo tua figlia. Se dopo tre mesi sarà capace di metterlo k.o una sola volta, e col solo uso della spada, l’allenerò per quanto vorrai. E ciò significherà che l’allenerò per merito.” 
Zoro sorrise di rimando, e allungò il braccio per suggellare l’accordo, ma prima di concludere decretò anche lui la sua importante regola. “Nessun discorso sul fatto che é una femmina!” 
Koshiro acconsentì, riprendendo poi a consumare il tè in pace, all’interno di una serenità spirituale che emanava con estrema facilità. 
 
 
Mentre Rufy s’era addormento sul pavimento, gli altri due avevano continuato a discutere, sul futuro e sul passato. Koshiro aveva approfittato per rivelare a Zoro che aveva sempre preso in considerazione lui, fin da quando era piccolo, anche prima della morte di Kuina, come suo sostituto, e che ancora adesso quella proposta era valida. Il verde, che aveva promesso alla sua compagna di accompagnarla fino al disegnare l’ultima cartina sulla sua mappa del mondo, rifiutò, accettando, di comune accordo, che sarebbe stato un rifiuto solo temporaneo. D’altra parte, essendo lo spadaccino più forte, era doveroso per lui non ancora stabilirsi in un posto fisso, dal momento che spesso riceva sfide bizzarre da persone altrettanto eccentriche. 
 
“Fammi capire, hai messo da parte la tua vita per diventare il migliore, ci sei riuscito, e adesso vuoi passarla ad allenare tua figlia?”
“Ti assicuro che non metto più niente da parte.” 
“Sai? Sono contento, Zoro, che hai trovato l’amore. In fondo, anche la storia di questo posto, é una storia d’amore.” 
Il maestro lo vide girare le pupille e guardare altrove imbarazzato. 
“Non c’è nessuna storia d’amore.”
“Oh, io credo proprio di sì, invece. 
Chissà se anche Kuina, se fosse stata in vita, avrebbe avuto questa fortuna: dei compagni per la vita, una famiglia unita. Quello che hai è prezioso.” 
“Come puoi avere tutta questa fiducia, nemmeno l’hai conosciuta Nami…”
“Conosco te.” 
“…”
“Anche se devo ammetterlo”  
l’uomo ad un certo punto iniziò a ridere a crepapelle, “non mi aspettavo certamente che una come lei fosse il tuo tipo di donna! Devo dire che mi hai sorpreso!”
“Eh???”
“Ho visto l’avviso di taglia sul giornale!” 
“Bruciasse all’inferno quella foto!” 
Ma mentre Zoro moriva d’imbarazzo, per la foto osé di Nami, quello continuava a ridere, eccessivamente divertito per i suoi standard. 
 
 
 
 
“La mattina in cui papà venne a svegliarmi per portarmi al dojo, non mi aspettavo che sarebbe stato così… non solo faticoso, ma anche un luogo in cui dover provare di meritare di essere lì.” 
 
Il viso di Rin era leggermente più rilassato, segno che, probabilmente, la parte più difficile del racconto era finalmente passata, e che quei piccoli ostacoli, facevano ormai parte del passato.
Anche il viso di Robin aveva smesso di essere contratto, ed era da un po’ ritornata a sedere sul pavimento, nonostante dall’angoscia, in alcuni momenti di tensione, si fosse anche lei ferita le mani. 
 
“Nei giorni a seguire lo capii, il motivo per cui lui aveva cambiato idea: per la mamma. Solo ed esclusivamente per lei.”
Robin non fiatò, seppur da tutto il discorso non si sentiva del tutto convinta di arrivare alla sua stessa identica conclusione. 
“Lei…quasi distrutta per salvare me, me!” s’indicò con le dita. “Una stupida bambina che era voluta uscire per un semplice capriccio…
e così, una decisione che era stata tanto difficile per lui, improvvisamente diventò semplice. Quell’incidente ha cambiato tutto. Papà ha capito che non poteva avere una figlia debole, che metteva in pericolo gli altri, soprattutto la mamma. Io sono stata allenata per proteggere, per evitare che lei si…”
“Rin…non vorrei contraddirti, ma hai pensato che le tue conclusioni potrebbero essere affrettate? Sei davvero così convinta che Zoro abbia pensato questo di sua figlia?” 
La bambina rimase per un attimo interdetta. No, in effetti no, non aveva mai messo in dubbio quella sua verità. Scosse la testa nervosa.
“No, no, é così ti dico. L’istinto di protezione che la mamma ha nei miei confronti é deleterio…l’hai visto coi tuoi occhi, no? Ti ricordi la pallottola che ha preso per me quando sono arrivata in quest’epoca? C’è mancato poco che non le attraversasse il cuore!” 
Arricciò le labbra cercando di non crollare ancora nelle emozioni. “É difficile crescere con questo peso, con la paura di essere la causa della morte di chi ami.” 
Dal cambio di espressione, percepì il cuore di Robin spezzarsi. Ebbe paura di aver detto qualcosa di sbagliato all’improvviso, ma non le veniva nulla in mente. 
“Lo so.” 
La sentì dire. 
“Come lo sai?” 
“Mia madre…era…ecco, simile a Nami in questo senso. Proteggere il proprio figlio è come proteggere il futuro, la speranza del mondo, e non è un difetto.” 
Rin tirò su col naso, discostando lo sguardo dall’archeologa, seppur contenta di aver ricevuto quell’informazione, ma comunque non pronta a cambiare la sua visione delle cose. 
“Ma ti ho detto della conversazione al dojo…papà ha detto che”
“Lasciati dire una cosa: io non penso proprio che Zoro ti abbia allenata ad essere una spadaccina per diventare un’arma, come ti definisci tu, o uno scudo, o un modo per evitare a Nami di sacrificarsi per te.”
“Robin…lo so che qua lo vedete ancora così scontroso e distaccato, ma ti giuro che lui prova così tanto amore, e che potrebbe, davvero …”
“E a te non ti ama?” 
“…”
Robin sorrise.
“Ma guardati, sei proprio come loro. Io l’ho capito da quando ti ho incontrata, sai? Non sapevo come fosse possibile, ma era impossibile non rendersene conto. Gli altri ragazzi sono sempre così distratti…Ma anche Usop e Sanji avevano dei presentimenti, bloccati solo dall’impossibilità della cosa. E non trovi divertente che in te, Nami ci vede sempre Zoro, e lui ci vede Nami? Non pensi che questo loro continuo affibbiarti come “identica a lei” e “identica a lui”, visto quanto si amano, sia una esplicita dichiarazione e non un’offesa?”
“Non ci ho mai pensato.” 
“Ora, visto che conosci i tuoi genitori, ti chiedo, pensi che Zoro avesse davvero avuto il potere decisionale sul tuo destino?”
 
 
 
 
 
 
 
 
"Dannazione!” 
Sanji borbottava tutto il tempo dietro ai fornelli. Da un po’ ormai non era più lui, e tutti sulla nave lo sapevano, persino Zoro, ma nulla c’era stato che lo avesse fatto ragionare e perdere meno la testa. “Lei starà bene” gli aveva detto lo stesso spadaccino, forse per consolarlo per davvero. “É più tosta di te” l’aveva poi punzecchiato. 
Ma Sanji non aveva reagito. Continuava ad accendere sigarette e dimenticarsi poi di averle in bocca, non ispirando e bruciandosi categoricamente, fino a disperdere la cenere sul pavimento e masticare senza accorgersi l’ultimo pezzo di sigaretta rimasta in bocca. E infatti, quando se ne accorgeva, esplodeva ancora, tossendo e imprecando, “dannazione!” 
Brook e Usop si guardarono atterriti, non sapendo più cosa fare, anche perché il cuoco non era certo un tipo tranquillo, con quel carattere acceso che si ritrovava era capace di menare forte se loro lo avessero disturbato. 
Ma in quel momento, a peggiorare la situazione fu Franky, che, entrando in cucina svelto, aveva annunciato che anche quella sera Robin non aveva appetito e non gli avrebbe raggiunti, chiusa nella sua stanza privata a studiare le carte nautiche di Nami, per ogni evenienza. 
“Ancora?” aveva risposto Brook, sempre più demoralizzato dalla situazione. “Sono giorni che sta da sola…” 
Videro Sanji far cadere le pentole sul lavello. “Cosa diavolo cucino a fare.” 
“Hei!” Usop richiamò la sua attenzione. “Ci siamo anche noi! Sai?” 
Ma Sanji non l’ascoltava, stringendo il marmo del lavello con i pugni. Se le sue compagne soffrivano, lui soffriva con loro. 
Il cyborg prese posto; anche lui, come gli altri, era atterrito, ma frignone, piangeva copiosamente. “Robin é molto turbata…” si asciugò le lacrime, “quello che é successo a Nami l’ha…” ma non terminò la frase, poiché più si asciugava e più piangeva. 
Il biondo, non smettendo di stringere quel marmo, s’irrigidì. 
“Ci vuole tempo per superare una cosa del genere", aveva spiegato Brook, avvicinandosi cautamente a lui senza però toccarlo, “ma diventa più facile quando sei circondato da persone che ami e che si prendono cura di te. Dico bene?” 
Sanji impiegò un momento per elaborare le informazioni di quello che voleva essere a tutti i costi un aiuto. Tenne lo sguardo abbassato. Sapeva che quel pazzo del suo compagno scheletro aveva ragione, ma non commentò, sapendo che il suo stato d’animo era perfettamente compreso dagli altri. 
“Robin non é nemmeno corruttibile…se dice no, é no. Non possiamo farci nulla.” Precisò Usop. “Però é un bene che almeno abbiamo lei per la navigazione, se succedesse qualcosa, senza Nami attiva, siamo fregati.” 
Il cecchino vide Brook e Franky mimare delle azioni che non capiva, mentre cercavano di farlo tacere poiché stava mettendo il coltello nella piaga, dal momento che Sanji aveva iniziano ad innervosirsi. 
“Che ho detto?” sibilò a bassa voce, “piuttosto, avete saputo la novità? Pare che Zoro voglia stare qua un anno…” 
“Un anno?” rispose Brook sorpreso. “Così tanto?”
“Vuole far diventare Rin una spadaccina il prima possibile…!” 
“Quel cretino…” Sanji, finalmente più calmo su un argomento, si era innervosito su un altro, “ma come diavolo le tratta le donne?” 
Ma nessuno rispose, poiché sconvolti, guardavano la botola di cucina aprirsi scorgendovi una folta chioma arancione venire giù. 
 
 
“Mi aiutate a scendere?” 
 
Aveva chiesto debolmente la navigatrice, trovando immediatamente appoggio in Franky, il più vicino. Il cyborg, nel silenzio calato tutt’insieme, aveva ancora la bocca spalancata nel trovarsi ad aiutare Nami, la vera Nami. 
 
“É stata una mia decisione, far allenare Rin. Ma non gli farebbe male se tu gli insegnassi un po’ di gentilezza, Sanji kun.”
 
Il cuoco non poteva certo non riconoscere quella voce. Con gli occhi sbarrati e il battito del cuore accelerato, smise di stringere il lavello. 
 
Il silenzio era calato rapido nella stanza, mentre gli abitanti non avevano idea di cosa dire. Nami, ricoperta ancora di bende su parte del corpo, aveva indosso un vestito nero sbracciato, e non portava le scarpe, probabilmente impossibilità nel riuscire a metterle. I capelli spettinati, e le guance appena più rosee degli ultimi giorni. 
 
“Lo so che può sembrarvi una crudeltà, Rin è pur sempre una bambina piccola…so che le volete bene e che volete proteggerla, ma è proprio per il suo bene, credetemi.
Zoro non è cresciuto poi così male, no?” 
 
Lo sguardo ancora stanco, il braccio a reggersi la pancia, gli occhi pensanti: stava ancora molto provata, ma almeno era lì, era lì con loro! 
 
“Oh andiamo, secondo voi permetterei che le venga fatto del male?” 
 
Mentre Franky teneva ancora la bocca a terra e le lacrime riprendevano a sgorgare, Sanji si voltò con titubanza, con la paura di stare sognando, ma, non appena i suoi occhi si posarono su di lei, e notarono quel colorito sulla sua pelle, ma soprattutto, gli occhi pieni di sentimento, ebbe un fremito. 
Non poteva crederci. 
 
“Sanji, lo so che pensi che spesso Zoro prenda decisioni discutibili, ma questa è una mia decisione; davvero, è mia. È vorrei avere il vostro appoggio.” 
“Nami swaaaaaan”
Iniziò a roteare per la cucina, soffermandosi ai suoi piedi in ginocchio, prendendole la mano. “Perdonami!” 
Nami guardò gli altri incerta, non riuscendo a comprendere. 
“Ti prego, perdonami!” 
Le abbracciò le gambe, iniziando a piangere come una fontana. 
Ma mentre si guardava intorno in cerca di spiegazioni e appoggio, notò che pure Usop e Brook erano intenti nell’asciugarsi il volto con dei fazzoletti.
“Quel dannato spadaccino…come diamine ha fatto?”, chiedeva Usop all’aria “devo chiamare subito Chopper”. 
Piansero ancora come tante fontanelle, ignorando Nami che continuava a guardare tutti con una vaga smorfia sul volto. Era allibita, sconvolta anche. Che diavolo stava succedendo in quella stanza? Ma non erano preoccupati per l’allenamento di Rin?
 
“Usop…” sillabò il suo nome quando i loro sguardi s’incontrarono, rammaricata per la loro ultima conversazione. Provò a trasmettergli tutto il suo calore con lo sguardo. Un gesto che fece scoppiare in lacrime ancora di più il cecchino che, a bassa voce, sillabò un “non sai quanto mi hai spaventato!” 
 
“Ma insomma, mi avete stufata, volete smetterla di piangere?” 
 
Quando finalmente il gruppo era riuscito a calmare la propria crisi, non prima di averla portata all’esasperazione, il cuoco riprese immediatamente a cucinare, presentandole un piatto pieno zeppo di leccornie sotto al naso. E Nami, non poteva più ignorare i morsi della fame. 
“Ti ringrazio Sanji, in effetti, ne ho proprio bisogno” ammise, rendendolo immediatamente contento. 
 
 
 
 
 
 
 
“Mocciosetta”
si sentì presa in contropiede,
“lo sai che origliare non é dignitoso?”
Ryoma, con due compagni al seguito, s’impiantò davanti a lei.
"Essere figlia di Zoro ti dà dei privilegi, vero?” 
Quella sbuffò, ignorandolo e affondando i denti nel panino. 
“Ma guarda questa” sbottò l’altro al fianco, facendole cadere il pane a terra con la punta della spada in bambù.
“Dimostra che sei davvero figlia sua.” 
Ryoma superò i due. “Prendi la tua spada!” 
“Lasciatemi in pace!” 
“Non hai coraggio?”
“Non ho bisogno del coraggio per uno come te!” 
“Eh?” Sboccò quello sgranando gli occhi. “Piccola arrogante! Prendi la spada, ti sto sfidando ancora! Se non accetti sei codarda!” 
“Mai!”, alzandosi in piedi, Rin, prese il suo bambù e si lanciò verso di lui a capofitto, come sempre. 
“Niente da fare, ancora non impara le regole!” puntualizzò l’amico. 
“Non é che se ti fai male corri a frignare da paparino, vero?” rise l’altro. 
Dopo molto poco, Ryoma la fece cadere a terra, tirandole prima la spada sulla testa in un colpo secco. 
Sghignazzò soddisfatto. 
 
“Ryoma!” 
 
Koshiro aveva aperto le porte scorrevoli in un colpo secco, richiamando il ragazzo con tono severo, seguito da Zoro, che, trovando Rin sul pavimento che si toccava la testa dolente, e i tre attorno che ridevano, fulminò i presenti che ammutolirono all’istante.
“Stai bene?” inchinandosi verso la figlia, pronta alle lacrime, che trattenne con anche tutto il fiato, le allungò una mano. 
“Si” annuì seria, alzandosi da sola senza accettare l’aiuto del genitore, ripulendosi la divisa dalla terra. “Tutto bene.” 
 
Sulla strada del ritorno, però, quella sicurezza era andata a farsi benedire, poiché, per tutta la traiettoria, Rin non aveva fatto altro che piangere, tenendosi la testa con la mano. 
“Fa male, fa male.” 
“Perché diavolo non hai parlato prima!”
Zoro era allibito, mentre alzava gli occhi al cielo. Entrambi sotto lo sguardo curioso di Rufy, che gli osservava ridendo, con le braccia dietro alla testa a tenersi il cappello e un filo d’erba in bocca che masticava per rallentare la fame. 
“No, no, no” agitò le mani in aria la bambina. “Non puoi essere protettivo quando ci sono quelli. Hai capito?” 
“Ho capito! Allora piantala di frignare e non lamentarti!” 
“Ma fa male!” ribadì, appena saliti sul ponte. “Fa così male che…oh ma quella è…Mamma!!!” 
 
 
 
 
Rin aveva raccontato tutto alla madre, del dojo, dei ragazzini che la torturavano, della difficoltà di combattere con una spada così pesante. E Nami aveva ascoltato senza perdersi nemmeno un dettaglio, nonostante ogni tanto sentisse una fitta allo stomaco, quella fitta, che si, era per via della sua debolezza fisica momentanea, ma aumentava quando si sentiva in colpa. 
Aveva deciso lei di far vivere alla figlia quell’inferno. Come avrebbe convissuto con quella scelta? Come se lo sarebbe perdonata? 
“Rin, mi dispiace…” disse ad un certo punto, “che devi sopportare tutto questo.” 
La bambina alzò le spalle.
“Non importa. É quello che voglio fare.” 
“Lo vuoi fare davvero?” 
“Darò una bella lezione a quel Ryoma.” 
“E così hai già trovato un uomo problematico sul tuo cammino, eh?”
“Piantala!” intervenne subito Zoro, scuotendo la testa. “Non metterle in testa strane idee.” 
“Non ho detto niente di male…tra pirati e futuri spadaccini, immagino che ne incontrerà tanti di uomini così, o no?” 
“Secondo me é solo geloso perché sono la figlia di Zoro, e sa che posso diventare forte. Chi ci prenderebbe gusto sennò a vincere contro una bambina di quattro anni?” 
“Oh, hai già capito tutto.” 
Il verde chiuse l’occhio, scuotendo la testa arreso, per poi riaprirlo quando sentì Nami emettere un suono strano, e stringere gli occhi, dolorante. Quando gli riaprì anche lei, i due si scontrarono. Zoro era diventato nuovamente serio, e lei cercava di nascondere il dolore. 
In tutto questo, Rin continuava a parlare e raccontare dettagli inutili, come ad esempio di quanto fosse buono il panino e quanto lo rivolesse indietro. 
 
 
 
 
 
“Ma poi, Ryoma, sei riuscita ad atterrarlo con il solo uso della spada?”
Un ghigno molto familiare le occupò il volto. “Oh, certo che si! Quel cretino!”
Ricordò lo scontro con tanto entusiasmo. “Vinse lui, alla fine. Era troppo avanti rispetto a me. Ma io sono riuscita a metterlo k.o con la spada almeno una volta. E ho visto i miei genitori tanto orgogliosi quella volta. Avevano puntato tutto su di me. E non per modo di dire, la mamma ha aperto un vero e proprio giro di scommesse…” sorrise fiera “ripulendo tutti i malfidati.” 
“Non ho dubbi. 
E poi? L’hai mai sconfitto?”
Di nuovo quella fierezza così trasparente che prendeva il sopravvento nelle sue espressioni. Ancora quel ghigno che suggeriva la risposta. 
“È lui quell’amico di cui hai parlato tempo fa, con cui volevi combattere usando la spada di Zoro che hai rubato?” 
Le guance della rossa junior si tinsero sorprendentemente di rosso per una manciata di secondi, imbarazzata dal dover parlare di lui. 
“Si” bofonchiò. 
“Quindi siete amici adesso?”
“Diciamo…”
Robin sorrise, portandosi una mano a coprire la bocca per non mostrare la sua intuizione. 
“E perché sei dovuta uscire di nascosto per incontrarlo? Per via della spada rubata?”
“beh…ecco, è uno stupido idiota, un anno fa ha scommesso che se mi avesse atterrata con la spada tre volte su tre, io da grande avrei dovuto sposarlo.” 
“E tu che hai fatto?”
“Bé, papà l’ha sentito…e si è infuriato molto, così Ryoma è fuggito.
“Non sono il genere di promesse da scambiarsi”, aveva detto. E si era infuriato ancora di più alle parole della mamma “Devi scommettere solo soldi”, e lui le ha rinfacciato di inquinare la purezza del Kenjutsu. 
E così, da quella volta, lo incontro di nascosto!” 
 
 
 
 
 
 
“Rin vai a vedere se é pronta la cena.” 
“Subito!” 
Il verde si avvicinò a Nami, puntandosi davanti a lei con le braccia incrociate. 
“Fammi vedere la ferita!”
La rossa, nuovamente con occhi chiusi, alzò la testa verso di lui per riprendere a fissarlo sospirando. “Perché, sapresti valutare il danno?” lo prese in giro con tono ironico. 
Divenne subito un cane rabbioso, ringhiando contro la compagna che trovava sempre modo di deridere la sua preoccupazione fin da prima della nascita di Rin.
“Qualcosa potrei capirla!”
“Sei esperto di medicina?”
“Guarda che lo so che stai solo perdendo tempo per farmi dimenticare che non stai bene.” 
Lei sospirò, alzandosi faticosamente in piedi e raggiungendolo alla stessa altezza, quasi. 
“Sono solo un po’ indolenzita, ora che non sto sdraiata é normale che mi tirano i punti.” 
“Allora oggi hai sforzato troppo!” 
“Ma davvero?” lo punzecchiò, aggrappandosi però improvvisamente al suo braccio per un leggero capogiro. “E lo dici solo adesso?”
“Uhm?” la tenne ferma a sua volta, con un braccio dietro alla vita iniziando a preoccuparsi per quel ghigno compiaciuto che aveva sul volto . “Che vuoi dire?” 
“Ah, dimentichi in fretta, eh?” 
Il pirata non poteva crederci, e, ripensando al pomeriggio che avevano vissuto insieme, ebbe un’illuminazione. 
“Oh, ora ricordi! Come al solito non perdi mai l’abitudine di svignartela!”
Sudò freddo per i primi secondi, per poi riappropriarsi della sua dignità e non cascare nel tranello. “Lo sai bene che cosa ho da fare! É un impegno bello e buono, sai?”
"Ah, questa sì che è una novità” commentò ancora sarcastica, “tu che hai qualcosa da fare oltre i tuoi interessi…ah no, si tratta comunque di spade! Accidenti! Che coincidenza!”
Stava per innervosirsi, quando ancora una volta riuscì a fermarsi “…non ci casco.” 
Lei gli sorrise, aggrappandosi al suo collo con entrambe le braccia. “Allora portami tu.”
“Non sei così malandata da non arrivare in camera!” 
“Ma sbaglio o hai detto tu che non devo sforzarmi!”
“Se avessi un berry per ogni volta che mi trascini nei tuoi giochi, io…”
“Saresti lo stesso povero in canna! 
Di un po’, quando inizieranno a fruttarmi qualcosa questi scontri che fai?” 
Iniziò con voce suadente, toccandogli i tre orecchini con un dito, facendo l’indifferente. Quasi come se non avessero già passato l’ultimo pomeriggio in una lotta personale avvinghiati sul letto. Zoro alzò un sopracciglio con fare perplesso, benché già preparato a sentirla provocarlo…in diversi modi.  
“Non si sporca un’ambizione col denaro.”
“Allora, siccome porto io da mangiare in questa “casa”, devi salvaguardarmi meglio.” Gli strinse il collo facendo un po’ di pressione dietro alla sua nuca con fare delicato. 
Lui, diventato però così serio in volto, così concentrato, fece preoccupare Nami che iniziò a scrutarlo meglio negli occhi. “Eddai, almeno fino alla porta, fai un po’ il gentile…”
Zoro sembrava avere un dubbio che lo attanagliava e che non riusciva ad esprimere. 
Inizialmente non rispose, continuando evidentemente a macinare.
“Mi chiedevo… se…ti fa male…insomma…é colpa mia?”
Nami inizialmente non capì, finché pure a lei arrivò la stessa illuminazione e scoppiò a ridergli in faccia. 
"Ma-cavolo! Devi sempre prendermi in giro... allora non ti dico più niente, scema!" si sentiva sempre più sciocco. “Tornatene da sola in camera!”
“No dai” cercò di contenersi “é da quando ti ho incontrato che mi imbarazza il tuo preoccuparti per me.” 
Ringhiò lo stesso, lui, in un’imprecazione esasperata, ma come di consueto.
 
 
 
 
“Sono rimasta lì, ad origliare, invece.” 
I suoi occhi avevano iniziato a brillare. 
“Una come me, con due genitori così, certi momenti deve rubarli, sennò rischia di rimanere a bocca asciutta, non ti pare?”
“Comprendo.” 
“Chissà perché allontanarmi per poi scambiarsi tenerezze, seppur a modo loro. 
Ma quella frase, “É un impegno bello e buono”, lo avevo capito che era riferito a me.”
Sospirò. 
 
 
 
 
“Pensi che Rin sia ancora scossa?” 
Aveva chiesto a bruciapelo quando aveva affondato il volto nella pelle del suo collo, annusando il suo profumo e stringendolo con le braccia mentre si lasciava caricare di peso. “Non proteggermi!” fu svelta ad aggiungere. 
“Penso che lo sia” fu la sincera risposta dell’uomo. 
Nami contrasse il viso così tanto che per non farsi notare sprofondò ancora più in lui. 
Lo sentì poggiare una mano dietro alla sua schiena per reggerla ma anche per rassicurarla. 
“Quello che é successo ha acceso qualcosa in lei, qualcosa che può essere bello.” 
“Che cos’é?”
“Il fuoco che la arde dentro é tuo. 
Io non ho intrapreso questa strada per proteggere nessuno.” 
“Il tuo ego Zoro, é il tuo punto debole.”
“Ma quando mai!” Si scompose. “Questa da dove viene fuori?” 
Nami sorrise, baciandogli la pelle della spalla in un contatto lungo e assaporato. 
“Forse non era tra le tue intenzioni, ma poi l’hai fatto: hai protetto lo stesso gli altri.”
Alzò la testa da quel bellissimo nascondiglio avvicinando il volto al suo. 
Lui la scrutò negli occhi, forse volendo vedere quella sincerità da vicino; alla fine, comunque, tra essere imbarazzato e contrariato, accettò quella puntualizzazione. 
 
 
 
“Capisci? Si sono indirettamente fatti un complimento reciproco, e nessuno dei due si é reso conto!”  
Con una mano si colpì la fronte mentre Robin le sorrideva serena, lasciandosi cullare dalla brezza del venticello serale e dai profumi della cena espandersi per tutta l’imbarcazione. 
 
“Così capii, capii che dovevo lavorare duramente per far sì che non cambiasse mai più niente, che tutto quello che era successo non si ripresentasse…non avrei mai potuto permettere di essere la causa, la debolezza di quell’amore forte, tenuto in piedi da sentimenti espressi nei modi più impensabili.”
 
Rin si alzò in piedi, le gambe diventate ormai insensibili, e, cercando di allontanare l’indolenzimento, si appese al cornicione guardando l’orizzonte dietro di loro. 
 
“È così che ho iniziato il mio percorso, in modo tale che più nessun sacrificio avrebbe potuto ripresentarsi sotto ai miei occhi senza permettermi prima di lottare.”
 
 
 
“Vorrei ringraziarti, Nami.” 
“Per cosa?”
 La rossa sistemò una ciocca di capelli dal viso di Rin, mettendogliela dietro ad un orecchio, mentre distrutta dall’allenamento stava accovacciata sulle sue gambe in dormiveglia. 
Sedute fuori dal dojo, con accanto a loro Koshiro, osservavano più avanti Zoro regalare un’ora di allenamento a tutti ragazzi del villaggio che lo avevano supplicato per giorni, vedendolo come idolo, dimostrandogli che ormai tutti lo prendevano d’esempio. 
 
“Perché lui é libero adesso” 
si sistemò gli occhiali su un viso stranamente un po’ umido. “Libero da una promessa ingombrante e sacrificante.”
“Ah, ma quello é solo merito suo.” 
“Ti sbagli” esordì l’uomo con voce roca, scrutando attentamente quella figura imponente non molto lontana da loro.
Nami non domandò nulla, preferendo aspettare che fosse lui a continuare. 
“É chiaro che in te ha trovato la forza per liberarsi da un simile macigno. 
É felice adesso.” 
La rossa continuò ad osservare il maestro con un sopracciglio alzato, cercando di capire se fosse sincero o meno. Ma bastò poco per farla ritornare nelle sue certezze.
“Beh, su questo niente da obiettare. Chi non sarebbe felice con una come me?” gli fece l’occhiolino. “E poi, sono l’unica che può metterlo al tappeto quando fa troppo lo stravagante!”, aggiunse, alzando volontariamente la voce per farsi sentire anche da Zoro che, di risposta, iniziò a borbottare lamentele, “sta zitta”, “strega, che idiozie stai raccontando”, “bugiarda! 
Preso alla sprovvista, il sensei spalancò gli occhi allibito e totalmente spiazzato. Ma, per una volta, questi si era lasciato vincere dalla bizzarria della cosa, scoppiando a ridere in un suono più acceso rispetto al solito, ma rimanendo sempre piuttosto composto.  
 
“Perciò” gli sentì una certa curiosità addosso “non ti ha mai raccontato niente di Kuina?” 
Nami, continuando a coccolare la figlia sotto di lei, continuamente distratta, sorrise serena, rispondendo con un'alzata di capo in segno di dissenso. 
“Ma non importa”, aggiunse poi. “La sua promessa, la sua ambizione, sono solo sue…non hanno niente a che vedere con me.” 
“Non ti dispiace?” 
“Affatto!” si chinò ancora sulla bambina, lasciandole un bacio sulla fronte. 
“Ma ti assicuro che non ha finito” una certa euforia era espressa negli occhi di Nami che brillavano, ancor di più quando si voltava a guardare davanti a sé,
“ha ancora delle promesse da mantenere…” 



   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: robyzn7d