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Autore: Signorina Granger    26/03/2022    8 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Buongiorno!
So di arrivare un po’ in ritardo rispetto a quanto avevo programmato, in più vi avviso che il capitolo è abbastanza corto avendo deciso di dividerlo per far sì che la lettura non diventasse estenuantemente lunga e pesante, diciamo che è una fase di passaggio prima di arrivare alle battute di arresto della storia. Quindi riassumendo sono in ritardo, il capitolo non è lungo e a mio parere pure profondamente brutto, quindi avete la mia benedizione per denunciarmi/linciarmi/rifiutarvi di commentarlo.
Ci sentiamo prestissssimo con l’ultimo capitolo del Camp, buon sabato!
Signorina Granger





Capitolo 15 – Alexandra (Parte I)

 
 
A seguito delle parole pronunciate da Prospero nel vagone calò un breve, tesissimo silenzio.
Incredulo e certo di aver frainteso le parole del passeggiero James si voltò verso Clodagh guardando la collega strabuzzando gli occhi azzurri; Delilah fece altrettanto nei confronti di Prospero, guardando l’amico con le labbra dischiuse mentre il mago continuava invece imperterrito a fissare l’Auror con un accenno di sorriso. Quanto ad Asriel, restò in religioso silenzio osservando imperscrutabile la collega con la fronte aggrottata mentre Clodagh, le braccia strette al petto, fissava con astio Prospero di rimando.
Alla fine, dopo un’intermimabile manciata di secondi, Delilah sbottò:
“E tu… tu che cazzo stai blaterando, Ro?!”
L’amico non rispose, limitandosi a continuare ad osservare Clodagh mentre James, come Delilah, cercava inutilmente di venire a capo della situazione. La strega sospirò rumorosamente, sibilando qualcosa a proposito di “non starci più capendo un’emerita fava” mentre Asriel, distolto lo sguardo dalla collega, tornava a fissare Prospero riducendo gli occhi azzurri a due fessure:
“È come dice la mia collega? Ha visto la vittima a Berlino, sì o no?! Sono saturo delle cazzate di tutti i presenti, ma di voi due più di chiunque altro, quindi le consiglio di dire le cose come stanno.”
Delilah non poté fare a meno di offendersi nel sentirsi prendere in causa, e se non fosse stato per l’espressione a dir poco truce di Asriel, o per il fatto che a differenza sua fosse munito di una bacchetta, gli avrebbe ricordato stizzita che a raccontare l’ennesima frottola non era stata lei, ma il suo amico. La strega decise quindi di restare in silenzio, limitandosi a sbuffare mentre Prospero sfoderava la sua espressione da bravo bambino innocente.
“In effetti è così, solo una volta. Ma non serve che mi chieda che cosa ci siamo detti io e la vittima, glielo potrà benissimo dire la sua collega, visto che sa del mio incontro con Alexandra solo ed esclusivamente perché è stata proprio lei a parlargliene. Non è così, Signorina Garvey?”
Clodagh non rispose, continuando a fissare l’ex Serpeverde come se stesse morendo dalla voglia di estrarre la bacchetta e affatturarlo. Disgraziatamente Prospero De Aureo era disarmato e in quel momento non costituiva alcuna minaccia fisica per lei o per nessuno dei presenti, quindi colpirlo le avrebbe procurato una spiacevolissima sospensione. Non curandosi affatto dell’espressione della strega il mago continuò a parlare, stringendosi nelle spalle mentre sorrideva spostando lo sguardo da lei fino ad Asriel.
“Mi spiace aver mentito, volevo solo che sapeste come sono andate veramente le cose, visto che evidentemente la Signorina Garvey non è stata totalmente sincera.”
Prospero sguainò il suo amabile sorriso, dondolando piano il piede sinistro mentre Delilah, reprimendo l’impulso di prendere la parete più vicina a testate, gli suggeriva con un’occhiata di levarsi quel sorrisetto irritante dalla faccia: Asriel aveva tutta l’aria di uno pronto a prendere qualcuno per il collo.
“Hai mentito spudoratamente solo per spingerla ad ammetterlo?!”
Dapprima sbigottita, Delilah dovette presto ricordarsi che si trattava, effettivamente, di un comportamento assolutamente degno del suo migliore amico. Le restava solo l’indecisione: prenderlo a ceffoni per averle, di nuovo, nascosto parte della verità, oppure congratularsi per il suo ingegno.
Propendeva per la prima opzione, ma prima che potesse dare inizio ad una valanga di insulti la voce pericolosamente piatta e fin troppo calma di Asriel la precedette:
“James, accompagna questi due fuori, per favore.”
James si aspettava come minimo che il collega insultasse Prospero prima di chiedergli spiegazioni più dettagliate su quanto accaduto a Berlino e sentendosi prendere in causa sussultò, ma invece di obbedire esitò, restando immobile sulla sedia mentre spostava dubbioso lo sguardo da Prospero e Delilah fino ad Asriel.
“Ma…”
“Per favore.”
Asriel parlò senza guardarlo, continuando a fissare Prospero e Delilah, e con un tono che non ammetteva repliche. In qualunque altra situazione James non si sarebbe mai sognato di obbiettare ma esitò, guardando Clodagh mentre si sforzava di capire, senza successo, come fossero realmente andate le cose tra lei, Prospero e Alexandra.
“D’accordo. Seguitemi, per cortesia.”
Seppur di malavoglia e con aria da cane bastonato, James si alzò e rivolse un cenno cupo ai due ex Serpeverde, precedendoli verso la porta senza aggiungere altro. I passeggeri non se lo fecero ripetere e lo seguirono – in particolare Delilah, che sembrava oltremodo impaziente di defilarsi – ma non appena l’Auror ebbe chiuso la porta scorrevole alle spalle di Prospero udì una sfilza di insulti:
“Mi sono rotta, rotta delle tue merdate! Che cazzo ne sai tu dell’Auror e della Panterona?! C’è altro che non mi hai detto?! Dimmi la verità o ti tagliuzzo tutte le giacche, sei avvisato!”
“No, le giacche no! AHIA!”
Allibito, James guardò Delilah assestare una sonora manata sul retro del collo dell’amico, minacciandolo di trascinarlo per tutta la lunghezza del treno tenendolo per un orecchio mentre Prospero implorava pietà per le sue belle giacche fatte su misura.
“S-Signorina Yaxley, non picchi il Signor De Aureo!”
“C’è una sorta di legge che impedisce ad un sospettato di gonfiarne di botte un altro?!”
Delilah puntò gli occhi nocciola su James, scrutandolo più seria che mai, e Prospero si fece momentaneamente più pallido del solito mentre l’Auror aggrottava le sopracciglia, dubbioso: Asriel di certo lo sapeva, si disse, ma era altresì vero che se solo si fossero azzardati a rimettere piede nel vagone e interrompere il suo colloquio con Clodagh lui li avrebbe defenestrati uno ad uno dal treno.
“Beh, a dire la verità non saprei dirle, non me lo hanno mai chiesto… Ma non lo picchi comunque, la prego! Forza, venite con me.”
 
James non era famoso per il suo cipiglio autoritario, ma riuscì comunque a impedire a Delilah di malmenare l’amico e a trascinarli verso il vagone dove erano stati precedentemente radunati tutti gli altri passeggeri. Naturalmente anche l’innato carisma e l’impeccabile ars oratoria di Prospero fecero la loro parte, e il ragazzo tentò prontamente di salvarsi ricordando all’amica che se lo avesse ucciso nessuno avrebbe più potuto ospitarla gratuitamente nella sua immensa residenza e pagarle tutte le cene e i pranzi che voleva.
“Hai ragione, accidenti. Ma se scopro che ci sono altre cosette che hai dimenticato accidentalmente di raccontarmi io… io scriverò a tua nonna!”
Delilah puntò minacciosa l’indice contro Prospero, sorridendo soddisfatta quando l’espressione dell’amico si fece improvvisamente tesa, per non dire quasi terrorizzata: anche se per pochi istanti il mago sembrò perdere il suo aplomb, strabuzzando orripilato gli occhi scuri mentre il suo bel viso sbiancava per la seconda volta.
“Non oseresti!”
“E invece sì! Anche se non parlo mezza parola di italiano... Beh, comunque un modo lo troverei!”
“Guarda che la nonna capisce l’inglese…”
“Allora è perfetto!”
James sospirò e per la prima volta da quando aveva messo piede su quell’infausto treno si ritrovò a concordare con l’opinione che Asriel aveva dei passeggeri.
 
 
Rimasti soli all’interno del vagone, Asriel concentrò tutta la sua attenzione su Clodagh, guardandola per la prima volta da diversi minuti a quella parte. Seppur a disagio la strega ricambiò lo sguardo del collega, guardandolo sedersi prima di parlare lentamente:
“Gradirei che tu mi spiegassi. E in fretta.”
 
Per certi versi Clodagh avrebbe preferito sentirlo alzare la voce: il suo sguardo carico di delusione fu peggio delle urla. Anche nel bel mezzo di tutte le loro precedenti e numerose discussioni Asriel non l’aveva mai guardata in quel modo.
“Ho detto di essere su questo treno per seguire Prospero De Aureo, ed è la verità. Pensavamo di essere sulla strada giusta per dimostrare l’illegalità del commercio di alcuni manufatti perpetuato da anni dalla sua famiglia, per questo mi è stato chiesto di stargli addosso… Quello che ho omesso di condividere con te e James è stata la parte che riguardava Alexandra.”
“Che cosa c’entra con te Alexandra Sutton, Clodagh?!”
Alexandra Sutton e Clodagh Garvey costituivano, nella mente precisa e rigorosamente ordinata di Asriel Morgenstern, due unità nettamente distinte, nonché collocate su due linee parallele che mai si sarebbero potute incrociare. Lo sguardo deluso dell’Auror improvvisamente mutò, assumendo una sfumatura preoccupata e furiosa al tempo stesso. Tollerare che la sua collega, ma soprattutto amica, gli avesse nascosto qualcosa era difficile, ma pensare addirittura ad una sorta di legame tra lei e Alexandra era semplicemente assurdo. Per Asriel Alexandra Sutton non era stata altro che un’insopportabile arrivista che spesso e volentieri aveva intralciato il suo lavoro; Clodagh Garvey invece era la sua infallibile partner piena di abiti fin troppo variopinti, dotata di un tremendo accento irlandese e con un pessimo gusto in fatto di nomignoli.
Che cosa mai poteva avere a che fare Clodagh con la vittima del loro caso?
“Aveva deciso di aiutarci a incastrare Prospero. Il giorno in cui mi è stato dato l’incarico l’ho vista, al Dipartimento.”
Clodagh chinò lo sguardo sulle proprie mani, rammentando il giorno in cui era stata incaricata di seguire Prospero, lo stesso giorno in cui si era imbattuta nell’ultima persona che si sarebbe sognata di incrociare in uno degli uffici del Dipartimento.
 

 
*
 
 
14 dicembre 2021
Londra, Ministero della Magia
 
“Clo, il Capo ti vuole vedere.”
Sentirsi dire che la sua presenza era richiesta altrove fu un vero sollievo per Clodagh Garvey, che accennò un piccolo sorriso prima di defilarsi dal corridoio dove un paio di colleghi l’avevano inchiodata qualche minuto prima per chiederle, come al solito, di contribuire ad organizzare la Festa di Natale del Dipartimento. In fin dei conti per una volta all’Eggnog potevano anche pensarci da soli, si disse l’irlandese mentre avanzava sorridendo verso l’ufficio del Capo.
Di Brontolo ancora nessuna traccia, quella mattina, e la strega bussò educatamente alla porta dell’ufficio dando per scontato che avrebbe trovato il suo collega direttamente all’interno della stanza: di sicuro c’era un caso che aspettava solo Morgenstern e Garvey.
Invece, quando Potter le diede il permesso di entrare, Clodagh vide un’altra persona seduta davanti alla sua scrivania.
Sedeva con le lunghe gambe accavallate e dandole le spalle, una lunga zazzera di capelli color grano sulla schiena fasciata dalla giacca rossa del costoso completo.
“Buongiorno Clodagh. Siediti, per favore.”
“Ma Asriel…”
La mano pallida stretta sul pomello, Clodagh esitò sulla soglia mentre spostava lo sguardo dal suo capo fino alla loro visita inaspettata. O almeno era inaspettata per lei, visto che il Capo non sembrava particolarmente sorpreso o agitato mentre la invitava garbato a sedersi con un debole sorriso:
“Questa mattina mi basti tu.”
Anche se non aveva la più pallida idea di che cosa stesse succedendo Clodagh non se la sentì di obbiettare, e si ritrovò a chiudersi lentamente la porta alle spalle mentre i suoi occhi chiari scivolavano dubbiosi sulla loro visita.
Anche Alexandra volse lo sguardo su di lei, osservandola indifferente per qualche breve istante prima di tornare a rivolgere altrove il proprio sguardo, parlando annoiata:
“Peccato. Speravo in quello bello.”
 
Quando Clodagh lasciò l’ufficio un quarto d’ora dopo era totalmente destabilizzata e in buona parte incredula. La strega si fermò davanti alla porta chiusa nel tentativo di rielaborare tutte le informazioni appena assimilate mentre Alexandra Sutton, in piedi accanto a lei, si infilava con noncuranza il lungo cappotto nero.
“Beh, suppongo che ci rivedremo presto. Chi l’avrebbe mai detto…”
Sistematasi i lunghi capelli biondi sulle spalle, l’ex Grifondoro si infilò una sigaretta spenta tra le labbra carnose mentre gettava un’occhiata all’Auror, guardandola dall’alto in basso grazie ai tacchi alti che indossava.
“Già. Chi l’avrebbe mai detto.”
Naturalmente non era la prima volta che le capitava di vedere Alexandra lì dentro, ma in tutte le occasioni precedenti si era sempre trattato di motivi profondamente diversi dalla natura del loro recente incontro. Ancora leggermente frastornata, Clodagh rimase immobile mentre guardava la strega allontanarsi rapida verso gli ascensori, alcune delle parole che Potter aveva pronunciato ancora perfettamente impresse nella sua mente.
Non parlarne con nessuno. Neanche con Asriel.

 
*

 
“Tu… No, aspetta. Mi stai dicendo che Alexandra è venuta spontaneamente al Dipartimento e si è resa disponibile a collaborare per incastrare la famiglia di De Aureo?! È una barzelletta, o cosa?! Ci ha sempre reso la vita impossibile, e quei due hanno persino dei clienti in comune!”
“Ha senso, invece. Era il 14 dicembre, Asriel, il giorno stesso in cui sappiamo che Alexandra ha lasciato Londra per andare in Germania, lo ha confermato anche la sua segretaria… E dai registri delle visite sappiamo che Prospero è andato da lei esattamente quella mattina. Non capisci?! Alexandra ha deciso di farlo dopo che Prospero era andato a fare quella gentile chiacchierata con lei, esattamente lo stesso giorno. Io penso che si sia spaventata, o infuriata, o entrambe le cose. E ha deciso di darci un taglio e di cercare di togliersi l’impiccio di De Aureo.”


Incapace di continuare a restare seduto Asriel si alzò, iniziando a fare lentamente avanti e indietro davanti alla collega mentre si passava nervosamente le mano tra i capelli lisci, gli occhi azzurri puntati sul pavimento.
“Ok, posso capire perché lo ha fatto. Quello che non capisco è perché io non sia stato messo al corrente, perché abbiano incaricato te da sola e soprattutto per quale motivo non ne ho mai saputo niente prima di questo momento!”
Il mago si fermò e si voltò di nuovo verso la collega, scrutandola mortalmente serio dall’alto in basso prima che Clodagh, gli occhi chiari spalancati, si alzasse in piedi guardandolo sgomenta:
“Tu non… Tu non pensi che io possa centrare qualcosa con la sua morte, vero?!”
Asriel non rispose, limitandosi ad osservarla di rimando mentre l’espressione della strega si faceva quasi inorridita: Clodagh dischiuse le labbra, guardandolo sollevando entrambe le sopracciglia, offesa.
“Merlino Asriel, so che sei deluso, ma mi conosci da anni e passiamo fin troppe ore al giorno insieme da non so quanto tempo, non puoi davvero pensare che io abbia a che fare con il delitto!”
“Immagino che tu non avessi nulla da ricavare dalla sua morte, e so che l’unica cosa che avrebbe potuto spingerti ad eliminarla sarebbe stato vederla gironzolare con una borsa fatta di pelle di Snaso, ma non è questo il punto. Perché hanno incluso soltanto te?!”
Asriel incrociò le braccia muscolose al petto, fissando torvo la collega mentre la sua mente vagava lontano, fino a Londra e al Ministero della Magia. Sapeva di non rientrare propriamente nelle simpatie del Capo, ma assegnare un lavoro alla sua partner e estrometterlo totalmente era il colmo. In un primo momento Clodagh, inorridita, fece per chiedere al collega se davvero esistessero borse fatte con pelle di Snaso, ma intuì presto che Asriel aveva semplicemente parlato con ironia e rispose invece alla sua domanda:
“Perché tutti al lavoro sanno quanto tu la detestassi. Il Capo disse che sarebbe stato meglio se fossi stata io, a dover lavorare con lei. Sono andata a Berlino e ho incontrato Alexandra un paio di volte perché mi aggiornasse sulla faccenda di De Aureo e del suo “pacco speciale”, dovevano incontrare entrambi uno dei loro clienti comuni e si sono incontrati, lo so per certo. Ovviamente De Aureo ha mentito, ma non capisco come sapesse che io ero in contatto con lei…”
La strega parlò aggrottando la fronte e distogliendo lo sguardo dal collega, cercando di riordinare i ricordi dei suoi brevi incontri con Alexandra. Avevano parlato di Prospero, ovviamente, ma lei non lo aveva mai visto con i suoi occhi.
“Quello sa sempre troppo, se non fosse che cerchiamo di cogliere irregolarità nel suo commercio da tempo potremmo quasi ingaggiarlo come consulente. Aspetta, quindi è stata Alexandra a mandare quel biglietto anonimo? Quello che parlava di Prospero e della sua “consegna speciale”?! Ma quello è arrivato prima del 14, prima che lei si rendesse disponibile a collaborare…”
Se fossero riusciti a dimostrare che a mandare il biglietto al Dipartimento era stata Alexandra rivolgere un’accusa formale a Prospero sarebbe stato semplicissimo, ma Clodagh mandò all’aria le speranze di Asriel di essere sul punto di chiudere il caso scuotendo cupa la testa:
“Non penso sia stata lei. Glielo abbiamo chiesto, ha negato, e anche se sappiamo che era una bugiarda abituale negare di essere stata lei ad informarci non avrebbe avuto alcun senso, a quel punto. Se non è stata lei, significa che qualcun altro sapeva del lavoro di Prospero.”
“Qualcuno che sapeva della sua presenza sul treno e quella di De Aureo… Qualcuno che ha fatto in modo che sul treno ci fosse un Auror, perché?”
“Penso che Alexandra non sia morta per un impulso momentaneo, Asriel, credo che sia stato tutto accuratamente premeditato. Qualcuno voleva che ci fosse un Auror sul treno alla morte di Alexandra per far sì che si indagasse sull’accaduto e spingerci a credere che fosse stato Prospero ad ucciderla. Sempre che non sia stato effettivamente Prospero, naturalmente, perché non sono ancora sicura di poterlo escludere.”
Asriel annuì, convenendo con la collega. Stavano entrambi riflettendo silenziosamente sul loro ambiguo passeggero commerciante di merce illecita quando un’idea si impossessò improvvisamente della mente di Asriel, che puntò di nuovo gli occhi azzurri sul viso di Clodagh, osservandola dubbioso:
“La maledizione. L’hai messa tu nella valigia?”
Clodagh apparve sinceramente spiazzata da quella domanda, guardando con tanto d’occhi il collega prima di scuotere la testa e incrociare le braccia al petto:
“Che cosa? No, anzi, ero convinta che fosse stato lo stesso Prospero a mettercela… Quando è morta ho dato per certo che fosse stato lui ad ucciderla ed ero anche sicura che Alexandra avesse mentito e che fosse stata lei ad avvisare il Dipartimento, giorni prima… Ma ora non ne sono così sicura. È possibile che non sia stata lei ad informarci e che ad ucciderla non sia stato lui, ma qualcun altro, Asriel.”
“Forse. Ma perché non hai parlato con me e James di tutta questa faccenda prima?!”
“Quando è morta ero assolutamente certa che fosse stato lui, speravo di chiudere la faccenda in fretta senza che tu lo scoprissi e ti infuriassi… e poi il Capo mi aveva chiesto di non parlarne. Mi dispiace, Asriel.”
Clodagh si strinse debolmente nelle spalle mentre gettava un’occhiata speranzosa al collega, quasi pregandolo di non infuriarsi. Asriel avrebbe voluto sbraitarle contro e darle della pessima partner con tutto se stesso, ma la ferrea volontà di chiudere il caso il più rapidamente possibile unita al suo leggero lasciarsi impietosire dallo sguardo rammaricato dell’amica lo spinse a decidere di accantonare momentaneamente la questione:
“Cerchiamo di risolvere questo dannato caso e di mettere da parte la cazzata colossale che hai fatto non parlandomi di questa storia, avrò tempo di arrabbiarmi con te come si deve quando saremo tornati a Londra.”
“Quindi come pensi di procedere?”
“Se scopriamo chi ha scritto al Dipartimento troviamo l’assassino, credo. Concentriamoci su questo.”

 
*

 
Clodagh aveva appena fatto dono a James Jonah Hampton del “Vangelo Secondo Clodagh”, accuratissima guida su come non inimicarsi ma soprattutto arruffianarsi Asriel Morgenstern, quando si presentò davanti alla scrivania del suo partner con un sorriso smagliante sulle labbra e una scatola di cartone fucsia.
“Guarda cosa ti ha portato la tua adorata collega perfetta… Ciambelle!”
La strega sollevò il coperchio come se si fosse trattato del più eclatante numero di prestigio mai concepito, continuando a sorridere mentre Asriel studiava dubbioso prima i dolci glassati pieni di zucchero e poi lei, guardandola sospettoso:
“Che cosa hai combinato? Ti giuro che se mi hai organizzato un appuntamento al buio…”
“No caro, sono venuta a darti una terribile notizia e ho pensato di allietarti con un po’ di zuccheri. Ecco, tieni.”
La strega prese una salviettina, vi avvolse un donut al cioccolato e poi lo porse ad Asriel prima di sedersi come suo solito sul bordo della scrivania del collega, che addentò la ciambella prima di guardare preoccupato il dolce: era davvero deliziosa. E più i dolci che gli rifilava Clodagh erano buoni, più sarebbe stata tremenda la sua incazzatura.
“Allora… Pare che ci sia un nuovo incarico.”
“Oh, fantastico, è da quando abbiamo beccato quella non tanto innocente vecchietta che aveva avvelenato tutti i suoi quattro mariti che non abbiamo niente di interessante da fare. Di che cosa si tratta?”

Asriel parlò guardandola pieno di curiosità e pulendosi le labbra con una salviettina, chiedendosi il motivo delle ciambelle se si trattava solo di un nuovo caso: forse si trattava di qualcosa che detestava. Poteva solo sperare che non si trattasse di un’altra giovane vedova che non lo avrebbe mai preso sul serio e avrebbe passato il tempo a fargli inutilmente gli occhi dolci, procurandogli le solite prese in giro dei colleghi.
Visibilmente a disagio, Clodagh scosse la testa e invitò con un cenno il collega ad addentare nuovamente la ciambella, schiarendosi la voce mentre puntava gli occhi chiari sulle proprie ginocchia: non voleva correre il rischio che Asriel intuisse qualcosa guardandola.  
“C’è un lavoro per me e uno per te, pare.”
“In che senso?”
Asriel smise lentamente di masticare, guardandola incredulo mentre Clodagh, al contrario, continuava imperterrita a fare del suo meglio per non ricambiare lo sguardo del collega.
“Nel senso che Potter vuole che vada da sola, questa volta. A te affiderà qualcun altro.”
“Vuoi dire… vuoi dire che non vengo con te e a me accollano qualcun altro?! Che senso ha, noi lavoriamo sempre insieme!”
“Non questa volta, pare.”
Clodagh accennò un sorriso al collega, che la guardò serio di rimando per un istante prima di alzarsi scostando rumorosamente le gambe della sedia sul pavimento e dirigersi a grandi passi verso l’ufficio del Capo.
“Asriel, no, non fare o dire cose di cui poi ti pentirai… ASRIEL, TORNA QUI! Maledizione, avrei dovuto prendere le patatine…”
 
Clodagh scivolò rapida dalla scrivania e corse dietro al collega, impedendogli di andare ad insultare il loro capo mentre James li guardava incuriosito dalla sua scrivania appena riordinata e dove ora faceva capolino anche il Vangelo Secondo Clodagh. Chissà di che cosa stavano parlando. Li vide parlottare e gesticolare animatamente, infine Clodagh indicò nella sua direzione e Asriel si voltò lentamente verso di lui, gettandogli un’occhiata che fece immediatamente sparire il sorriso dalle labbra di James.

 
*
 

“Ro, io ti voglio davvero molto bene, lo sai, e sto davvero facendo di tutto per estromettere dal mio cervello l’idea che tu possa aver fatto fuori la Panterona di pelli di animali vestita, ma non me la stai rendendo un’impresa facile. Quindi adesso raccontami dettagliatamente di Berlino!”
Delilah accompagnò l’ordine perentorio con un’occhiata truce che fece sorridere l’amico, che annuì rilassatissimo mentre le sedeva nuovamente accanto:
“Mi sorprende che tu non lo sapessi, visto che sei stata in Germania per starle alle costole.”
“Sì, ma non ho potuto seguirla proprio ovunque, come quel giorno in quel posto del cazzo che non mi ha fatto passare… Eri tu la persona che ha incontrato, quindi?!”
“No tesoro, era Clodagh Garvey… Che mi ha seguito fino a salire su questo treno. Devo dire che ci ho messo un bel po’ prima di rendermene conto, è stata brava, ma poi ho parlato con Alexandra, l’ultima volta che l’ho vista, e ho capito.”
Delilah invece no, non aveva capito assolutamente niente. Era un po’ come tornare a lezione di Storia della Magia, quando la voce soporifera del Professor Rüf le friggeva la rete neuronica. Il sorriso di Prospero al contrario si allargò di fronte all’evidente perplessità dell’amica, spiegandole con calma senza smettere di guardarla divertito:
“Clodagh mi seguiva per via del pacco. Alexandra doveva recarsi a Berlino per incontrare uno dei nostri comuni clienti, e questo lo so per certo perché è in quell’occasione che ho avuto modo di incontrarla… ma è stata stupida, perché è venuta a parlarmi, quel giorno. Non mi rivolgeva mai la parola, a meno che non fosse assolutamente costretta a farlo, e dopo la nostra ultima chiacchierata sapevo che non sarebbe mai venuta a parlarmi. Né tantomeno mi avrebbe fatto domande.”
Delilah capì, ripensando con astio alla strega, forse la persona più egocentrica che avesse mai conosciuto, prima di annuire e mormorare piano:
“A meno che non avesse un secondo fine.”
“Esatto, Fogliolina.”
 
 
Berlino
 
Alexandra aveva lasciato la stanza pochi minuti prima, dopo aver ottenuto le firme che le servivano e aver terminato il colloquio. Nel farlo aveva lasciato Prospero De Aureo solo con il loro cliente, come da lui richiesto. Per tutto il tempo in cui erano rimasti nella stessa stanza i due non si erano praticamente degnati di un’occhiata, né si erano rivolti la parola.
Tecnicamente Alexandra aveva adempito ai suoi doveri: avrebbe potuto tranquillamente uscire dall’edificio e di norma era esattamente ciò che avrebbe fatto, ma non quel giorno. Quel giorno si attardò nell’atrio del complesso di uffici dove aveva messo piede circa un’ora prima, aspettando che Prospero la raggiunse.
“Oh, ti sei fermata per salutarmi. Che carina. Non dovevi.”
Alexandra non rispose, limitandosi a voltarsi in direzione dell’ex compagno di scuola tenendo una sigaretta spenta tra le labbra, impaziente di uscire e di poter finalmente fumare. Che cosa si era ridotta a fare, per colpa di quello stronzo.
La strega gli gettò una rapida, pigra occhiata, scrutandolo da capo a piedi e soffermandosi sulla grossa valigia che Prospero si portava appresso, dotata di ben cinque serrature. A giudicare dalla valigia e dal soggetto di cui si parlava, non poteva che contenere qualcosa di molto interessante.
“Interessante valigia. Come mai te la porti ovunque? Qualcosa di interessante?”
Prospero si fermò accanto alla strega, approfittandone per sistemarsi la sciarpa di cashmere blu notte che gli avvolgeva il collo e abbottonarsi con una mano il cappotto a doppio petto, il tutto senza posare la valigia nemmeno per un istante. Le sorrise, guardandola divertito e perfettamente consapevole che così facendo l’avrebbe solo fatta innervosire. L’idea, se possibile, lo allietò ancora di più e contribuì ad allargare il suo sorriso:
“Trovo comodo avere sempre tutto ciò di cui ho bisogno facilmente a portata di mano. Prima ti attardi per aspettarmi, poi mi fai domande sulle mie cose… devi fare attenzione Alexandra, di questo passo potrei anche darmi delle arie e pensare che sto iniziando a fare colpo anche su di te.”
Questa volta Alexandra ricambiò il sorriso, che però non si estese agli occhi chiari della strega mentre osservavano gelidi Prospero:
“Non potrai mai fare colpo su di me. Io lo so da anni, come sei davvero, non scordarlo. Parli con tanto affetto dei tuoi amici, ma dimmi, loro esattamente sanno che cosa combini davvero? O che cosa saresti capace di combinare. Io almeno non mi nascondo dietro a falsi sorrisi e ad una falsa gentilezza.”
“La mia non è affatto falsa gentilezza. Io sono estremamente gentile, educato e amabile, a differenza tua… e tengo molto ai miei amici. Solo, non consiglierei a nessuno, soprattutto a te, di sperimentare la mia compagnia quando non mi va più di essere gentile, educato e amabile. Credo di avertelo già spiegato qualche giorno fa, non insulterò la tua intelligenza ripetendomi, spero che tu non abbia scordato ciò che ti ho detto la scorsa volta. E questa bella valigia, o ciò che contiene, non è affar tuo. Ci vediamo presto, ho altri posti dove andare e oggetti da recapitare.”
Dopo averle fatto dono del sorriso più falso del suo repertorio Prospero superò la strega, rivolgendole un pigro cenno con la mano libera mentre si dirigeva verso l’uscita del palazzo e la bionda lo fissava con astio:
“Spero di no.”
“È reciproco, era solo per essere gentile. Quella cosa che a te è totalmente sconosciuta.”
 
 
*

 
“Questo stupido viaggio mi sta uccidendo, spero almeno che ne valga la pena… Ho appena incontrato De Aureo.”
Alexandra attraversò la stanza con lunghe falcate, lasciandosi infine cadere sul divano imbottito dopo aver appoggiato la pesante valigia accanto a sé. La bionda sospirò stancamente, prendendo una sigaretta dal pacchetto mentre Clodagh si affrettava ad avvicinarsi Appellando con un incantesimo non verbale un rotolo di pergamena e la penna prendiappunti che aveva portato con sé.
“Se tutto va bene, sarà così. Spiegami accuratamene dove vi siete visti e la natura dell’incontro.”
Clodagh sedette accanto ad Alexandra prima di sporgersi verso di lei e strapparle la sigaretta dalle labbra, ignorando la sua occhiata truce e sorridendo amabile mentre si stringeva nelle spalle:
“Detesto il fumo, e non sei qui per rilassarti, ti ricordo.”
“Come se me lo potessi dimenticare. E che razza di posto strano è questo?!”
“È l’ambasciata magica inglese, credevo che una cervellona come te se ne fosse resa conto… Avanti, dimmi di Prospero.”
Alexandra sbuffò, ma il desiderio di uscire da lì il più rapidamente possibile la spinse a collaborare. Quello unito al desiderio di vedere il fastidiosamente perfetto Prospero De Aureo e la sua faccia sorridente finire nei guai, certo.
“Abbiamo dei clienti in comune, e l’ho incontrato poco fa, come avevo immaginato… Non mi ha rivolto la parola finchè non siamo usciti, ovviamente. Mi sono fermata sulle scale di proposito e lui mi ha raggiunta, così gli ho parlato. Per una volta speravo che mi desse corda, e lo ha fatto. Figuriamoci, è troppo compiaciuto da se stesso per non cercare di mettermi a disagio.”
Clodagh non fece caso all’espressione profondamente amareggiata di Alexandra, per nulla interessata alle sue opinioni personali o al suo legame, di qualsiasi assurda natura fosse, con Prospero De Aureo: per quanto la riguardava quei due potevano scannarsi quanto volevano, l’unica cosa che le interessava era fare il suo lavoro. Anche quando, come in quel caso, si trattava di un incarico che non gradiva affatto.
“Ha menzionato la sua visita al tuo studio?”
“Non proprio. Si è detto stupito di rivedermi così presto, e poi ha aggiunto che sperava vivamente che non avessi dimenticato il nostro ultimo incontro.”
Alexandra parlò piegando le labbra carnose in una smorfia, ripensando con astio al suo ex compagno di classe e alla sua recente, inaspettata e totalmente sgradita visita a Londra mentre Clodagh controllava che la penna stesse trascrivendo ogni sua parola.
“Gli hai chiesto il motivo della sua presenza a Berlino?”
“Mi ha detto di essersi solo fermato brevemente prima di dirigersi altrove… ha un pacco da consegnare, ovviamente. Qualcosa di deliziosamente illegale che se venisse scoperto lo farebbe finire nei guai, spero.”

“Forse non dal punto di vista legale, ma di sicuro se si venisse a sapere la sua famiglia perderebbe molti clienti... e avrebbero un cliente molto arrabbiato da gestire.”
Clodagh parlò con tono neutro mentre continuava ad osservare la piuma, senza curarsi del sorriso e dell’espressione sognante che aveva fatto capolino sul viso di Alexandra nell’immaginare i guai in vista per Prospero e la sua famiglia.
“Sarebbe meraviglioso. Non avrei mai pensato di ritrovarmi a collaborare con voi, ma in fin dei conti è decisamente per una buona causa.”
Il tono sprezzante di Alexandra non piacque particolarmente a Clodagh, che smise di osservare distrattamente la penna e le rivolse un’occhiata seccata, lasciando che tutto l’astio e il risentimento che nutriva nei suoi confronti trasparisse dalle sue parole:
“La cosa è reciproca. Stiamo incollati alla famiglia di Prospero da anni ma fino ad ora nessuno è mai riuscito ad incatastarli… Forse questa è la volta buona, e anche se devo avere a che fare con qualcuno che non mi piace affatto e mentire al mio partner io prendo sempre estremamente sul serio il mio lavoro.”
“Pensi che per me non sia così? Nessuno prende il proprio lavoro più seriamente di me, Garvey, la carriera è l’unica cosa di cui mi curo realmente. Ti prego, non iniziare con i sentimentalismi, non me ne frega assolutamente niente del tuo dispiacere perché hai mentito o non so che altro al tuo amichetto del cuore…”
Clodagh si impose di non rispondere, cercando di tenere a mente la posizione che Alexandra occupava nel suo incarico. Era utile per l’indagine, si disse, non sarebbe servito a nulla Schiantarla o farla levitare a testa in giù. Si limitò a scoccarle l’ennesima occhiataccia, per nulla interessata a cercare di nascondere l’antipatia che provava nei suoi confronti, prima di bloccare l’opera della penna incantata.
“Sai, Alexandra, non conosco personalmente Prospero De Aureo e non so di preciso che cosa ti spinga a non sopportarlo. Ma che anche lui non possa vederti, questo lo capisco perfettamente.”

 
 
“Perciò la Panterona aveva deciso di collaborare con gli Auror, ed è stata lei a spingere il Dipartimento a mandare qualcuno a seguirti in giro per l’Europa?”
“Non ne posso avere la certezza, ma suppongo che sia andata così. La mia visita deve averla indispettita. La cosa non mi sorprende, è sempre stata così permalosa…”
Prospero fece spallucce portandosi una mano alle labbra per celare uno sbadiglio, apparentemente per nulla stressato dalla situazione in cui si trovavano mentre Delilah, invece, continuava senza sosta ad arrovellarsi, gli occhi nocciola puntati sul pavimento e la fronte aggrottata.
“Però ancora non capisco la faccenda della… della palla della morte. Mi giuri che non sei stato tu a metterla nella valigia?!”
“Lo giuro. E comunque sono sempre stato con te, ricordi? Poiché non ho ancora sviluppato l’ubiquità, non avrei potuto nemmeno volendo, Fogliolina.”
Prospero le sorrise gentilmente e la strega, anche se dubbiosa, fu infine costretta a credergli: almeno su quell’aspetto era certa che le stesse raccontando il vero, visto e considerato che prima che venisse trovata non erano mai stati a lungo separati.
“Allora chi è stato?! Se l’è messa nella valigia da sola prima di passare al creatore?!”
“No, se l’avesse presa l’avrebbe data agli Auror… O è stata la stessa persona che l’ha uccisa, oppure è stata Clodagh Garvey perché pensava che il colpevole fossi io.”
“Ma allora la persona che l’ha fatta fuori probabilmente sapeva di… di quella roba.”
“Sì, probabile… Ancora non sono riuscito a capire come, ma ci arriverò, abbi fede. Sai, all’inizio è stato davvero divertente, ma ho del lavoro da sbrigare altrove e se non torno a Roma per Capodanno Nonna Filomena mi concerà per le feste, se non si sbrigano a venirne a capo forse sarà il caso di dargli una spintarella.”
Con quelle parole Prospero distese più che poteva le lunghe gambe nello spazio ristretto che li divideva dalla fila di sedili che avevano davanti, si portò le mani giunte in grembo e chiuse gli occhi sotto lo sguardo di Delilah, che fissò sconcertata l’amico come se non riuscisse a credere ai propri occhi:
 
“Ma… Ma ti sembra questo il momento di metterti a ronfare, Ro?!”
“Non sto dormendo, sto pensando!”
“Ah, scusa.”

 
*

 
“Perché dobbiamo, emh, scrivere su questo rotolo di pergamena?”
La piuma che James le aveva offerto in mano, May spostò dubbiosa lo sguardo dal rotolo di pergamena che aveva davanti fino al viso dell’Auror, che le sorrise con il suo consueto fare rassicurante mentre Lenox, seduto di fronte alla bionda, faceva di tutto per non addormentarsi e Elaine, accanto all’amica, celava di continuo sonori sbadigli con le mani curatissime.
“Vogliamo solo dare un’occhiata alle vostre grafie, tutto qui… Basterà che ognuno di voi scriva il proprio nome.”
“D’accordo…”
Accigliata, May tornò a guardare il rotolo di pergamena trattenendo faticosamente l’impulso di chiedere maggiori spiegazioni all’Auror: moriva dalla voglia di sapere di quale utilità potessero essere le loro grafie, ma memore delle numerose occasioni in cui Elaine le aveva suggerito di non lasciarsi prendere dalla sua “curiosità patologica”, come la definiva spesso l’amica, decise di astenersi. Stava scrivendo con cura il proprio nome con la piuma, incantata per vibrare qualora il possessore si sforzasse di modificare il proprio modo di scrivere, quando Elaine, stiracchiandosi, si rivolse a James con un sospiro tetro:
“Potremmo avere una vaga idea di quanto tempo ancora dovremmo passare qui? Non ne posso più di stare seduta…”
“Mi dispiace… Penso che tra un’ora al massimo vi lasceremo andare.”
James rivolse un’occhiata dispiaciuta in direzione di Elaine, che accennò una smorfia piegando all’ingiù gli angoli della labbra carnose prima di prendere la penna e il rotolo di pergamena che May le porgeva:
Un’ora?! Si mette male… Chi è che prima aveva proposto una partita a carte?!”
L’ex Tassorosso scarabocchiò con noncuranza il proprio nome prima di sporgersi verso Lenox e passargli il tutto, rivalutando improvvisamente la possibilità di intrattenersi a carte pur di non morire di noia.
“Temo che il Signor De Aureo stia dormendo, attualmente…”
Prima di imitare le due streghe scrivendo il proprio nome Lenox gettò un’occhiata accigliata in direzione di Prospero – chiedendosi come si potesse dormire tanto pacificamente quando ci si trovava in una situazione del genere – immobile sul suo sedile da una quantità di tempo indefinita, ma subito la voce dell’ex Serpeverde lo corresse:
Non sto dormendo, sto pensando!”
“Grazie al cielo, era immobile da così tanto che per un attimo ho temuto fosse morto…”
Un sorriso sollevato fece capolino sul bel viso di May, che guardò rilassata il mago tornato immobile e in religioso silenzio – mentre Delilah si era inesorabilmente addormentata con la testa appoggiata sulla spalla dell’amico – mentre Elaine, accanto a lei, appoggiava la fronte contro il vetro del finestrino mormorando mestamente qualcosa:
“Qui a breve saremo tutti morti di noia, May.”
“Vorrei dirti che non è il caso di fare certe battute Nelly, ma in fondo hai ragione, sapevo che avrei dovuto portare i ferri!”
May si accasciò affranta contro il proprio sedile, pentendosi amaramente di non aver pensato di portare con sé i suoi fidati ferri per fare la maglia mentre Lenox le scoccava un’occhiata piuttosto perplessa – indeciso se etichettare la strega come un’amante della maglia o una fredda assassina che usava i ferri come armi letali – e Elaine sospirava rumorosamente prima di rivolgere un cupo cenno di assenso in direzione del mago:
“Sì, lei si diverte così. Non le chieda niente o si ritroverà ad un seminario su tutti i tipi di punti esistenti e sulle tecniche per fare la maglia…”
“Guarda che fare la maglia è un hobby fortemente sottovalutato, Nelly!”
“Fortuna che la Sutton è stata uccisa con la magia, o tu e i tuoi ferri sareste in cima alla lista dei sospettati.”
Di nuovo, Elaine sbadigliò, pentendosi amaramente di aver fatto quella pessima battuta quando vide l’amica impallidire e portarsi le mani sul viso, singhiozzando che lei non avrebbe mai fatto del male a nessuno e che voleva solo tornare a casa dalla sua piccola Pearl. La cantante sospirò, affrettandosi a cercare di consolare l’amica e a scusarsi mentre faceva di tutto per non ridere di fronte alla surreale immagine di May Hennings che minacciava e cercava di uccidere qualcuno con uno dei suoi ferri.
“Merlino… Scusa May, scherzavo, qui nessuno pensa che tu possa uccidere qualcuno, sei così gentile e carina! Vero?!”
Mentre massaggiava gentilmente la schiena dell’amica per confortarla Elaine gettò un’occhiata in tralice a Lenox, che si affrettò ad annuire e ad assecondarla prima di iniziare a frugarsi nelle tasche per cercare altro cioccolato:
“Emh, sì certo, non ha affatto l’aria di poter uccidere qualcuno. Vuole un’altra Cioccorana?”

 
*

 
Confrontare le grafie dei passeggeri e dei membri dello staff con la lettera recapitata giorni prima al Dipartimento degli Auror e che i loro colleghi avevano provveduto a fargli avere insieme a tutto il resto non era servito a molto: la lettera era stata scritta a mano, ma la grafia non corrispondeva a nessuna di quelle dei presenti.
I tre Auror quindi non aveva potuto fare altro che rigettarsi nell’attenta lettura di tutte le informazioni di cui disponevano, confrontare le versioni fornite dai passeggeri durante gli interrogatori in cerca di discrepanze e, nel caso di Asriel, cercare conforto in litri e litri di caffè nero.
Il sole era tramontato da diverse ore, cedendo il posto ad una notte gelida e nuvolosa, quando Clodagh sorrise eccitata sollevando un pezzo di carta, risvegliando i colleghi dal torpore:
“Ho trovato qualcosa!”
“Fammi indovinare…”
Asriel sollevò esausto la testa dalla pila di fogli che aveva davanti per lanciare un’occhiata a Clodagh, sistemandosi gli occhiali neri sul naso e reprimendo a fatica uno sbadiglio prima di prendere la sua tazza – riempita per l’ennesima volta di caffè caldo – per il manico:
“La megera incipriata ha avuto a che fare con il processo che ha procurato danni fisici, economici o psicologici al cugino della cognata della sorella di uno dei passeggeri.”
“Il cugino… della cognata… della sorella…”
Troppo stanco per cogliere il sarcasmo del collega, James aggrottò la fronte e si puntellò la matita con i bastoncini di zucchero sul mento per cercare di venire a capo di quell’enigma, ma inutilmente: era davvero troppo tardi – o troppo presto, a seconda del punto di vista – per mettersi a fare ragionamenti di quella natura, e James rinunciò presto a decifrare il filo del discorso di Asriel mentre Clodagh, sorridendo, gli allungava il foglio:
“In parte, sì, ma ancora meglio, perché questo ha a che fare con uno dei nostri cari passeggeri in primis.”
Asriel lesse senza dire una parola sotto lo sguardo di Clodagh e quello avido di sapere di James, che osservò impaziente il collega prima che questi gli allungasse il foglio senza aprire bocca, fissando accigliato la superficie ingombra del tavolo.
“Visto come stanno le cose, direi che posso andare a chiamarlo.”  
Clodagh si alzò sentendosi quasi sollevata di dover andare a chiedere di seguirla ad un passeggero che, ne era sicura, avrebbe capito senza problemi qualunque cosa avesse da dirgli, al contrario dello chef tedesco. La strega uscì rapida dal vagone lasciandosi Asriel e James alle spalle mentre il più giovane, leggendo la lettera, spalancava sorpreso gli occhi azzurri:
“Cavolo, questo è davvero… inaspettato. Pensi che possa essere stato lui?”
Il più giovane guardò curioso il collega, che sbuffò piano prima di appoggiarsi stancamente allo schienale del sedile e gettare la penna sul tavolo.
“Non lo so.”
 
*
 
Clodagh aveva fatto ritorno poco dopo con uno dei passeggeri, visibilmente teso e preoccupato, al seguito. Uno dei passeggeri che, in effetti, Asriel conosceva meglio.
L’Auror aveva guardato tetro il suo unico ex compagno di Casa presente sul treno entrare insieme alla collega e sedersi di fronte a loro per la seconda volta, ascoltando senza fiatare quello che avevano da dirgli prima di ritrovarsi costretto, suo malgrado, ad ammettere ciò che aveva accuratamente omesso di raccontare fin da quando l’indagine aveva avuto inizio.
 
 
 
“Quindi Finn Murphy stava facendo seguire Alexandra da settimane e ha comprato il biglietto perché era venuto a conoscenza della sua presenza qui.”
Dopo il loro lungo e snervante colloquio con Finn Asriel si era premurato di scortarlo personalmente fino alla sua cabina in III classe, intimandogli seccamente di chiudersi dentro prima di tornare, sempre più esausto, dai colleghi. Una volta fatto ritorno nel vagone ristorante, il mago si lasciò nuovamente scivolare sul sedile che aveva occupato per tutta la sera prima di gettare un’occhiata sconsolata al proprio orologio da polso e all’orario vergognoso in cui ancora erano costretti a lavorare.
“Sì, il Dipartimento ha fatto controllare le case dei passeggeri inglesi, e a quanto pare i nostri colleghi hanno trovato della corrispondenza tra lui e un investigatore privato che al momento stanno cercando di rintracciare senza successo. Pare che abbia informato Finn della presenza di Alexandra sul treno prima di sparire nel nulla. Almeno ha ammesso subito di essere salito sul treno solo ed esclusivamente per seguirla, ma è stato stupido mentire e nascondercelo… qui è l’unico ad essere già stato incriminato e ad aver passato del tempo in cella, questo non contribuirà a metterlo in buona luce.”
Clodagh parlò stringendosi nelle spalle mentre James, seduto accanto a lei, si strofinava stancamente gli occhi e Asriel, sbuffando, giocherellava distrattamente con la propria piuma:
“Non aveva molta scelta, a quel punto, è stato decisamente meglio confessare. Giura che la stesse seguendo solo per cercare qualcosa di scottante, un po’ come faceva la Yaxley, per il libro di denuncia sul sistema giudiziario che sta scrivendo. Il che può anche essere credibile, ma potrebbe anche averla seguita per ucciderla.”
“O magari non voleva farlo prima di salire sul treno, ma poi… hanno discusso, ha perso il controllo e l’ha uccisa?”
James faticò a scandire le parole a causa dell’ennesimo sbadiglio, ormai rinunciando a fingere di essere perfettamente sveglio e in parte poco consapevole di ciò che gli usciva dalle labbra.
“Non penso che sia andata così, penso che tutto sia stato programmato con cura… Perché prendere le sembianze della sua ex se non si aveva intenzione di ucciderla? Chiunque sia stato voleva che Alexandra non si facesse problemi a farlo o farla entrare nella sua cabina e voleva ucciderla.”
“Ma Finn ci ha mostrato il biglietto, riporta la data e l’ora in cui è stato acquistato, lo ha comprato appena prima che il treno partisse, era a tanto così dal perderlo… Come ha fatto a premeditare tutto, se ha saputo della presenza di Alexandra a bordo appena in tempo per poter comprare un biglietto?”
“Forse lo sapeva già e ha preso il biglietto all’ultimo apposta per dare quest’impressione, Clo.”
“Sì, ma che mi dici della Polisucco? Corinne Leroux sembra sicura che lui non si sia mai avvicinato a lei. E dovrebbe anche aver rubato la pozione dalla cabina di Delilah Yaxley. Come faceva a sapere della pozione?!”
“Non ne ho idea. Entrambi la seguivano, che Finn si fosse accorto di Delilah e sapesse di quello che si portava appresso? Non lo so, ma penso che si stia facendo davvero troppo tardi per continuare a pensarci, di questo passo non andremo da nessuna parte, stanotte. Propongo di chiudere i passeggeri nelle loro cabine e di fare altrettanto per riprendere domani mattina. Cioè tra poche ore.”  

“Mozione accolta…”     
James annuì, si alzò e trascinò i piedi verso quella che credeva essere l’uscita ma che era invece la cucina, lasciando che Clodagh lo pilotasse gentilmente verso la direzione corretta tenendolo per le spalle mentre Asriel si alzava gettando un’occhiata critica al disastro di fogli, calamai e piume che aveva preso possesso di quasi metà del vagone.
“D’accordo, dormiamo tre ore e poi riprendiamo, lasciamo le cose qui e chiudiamo la porta a chiave così nessuno potrà entrare, nemmeno il personale, mi sono fatto dare tutte e tre le copie esistenti.””
 
 
 
Quando i tre raggiunsero il vagone dove avevano fatto radunare i passeggeri fu con scarsa sorpresa che trovarono alcuni di loro già profondamente addormentati: Delilah farfugliava nel sonno frasi sconnesse che avevano a che fare con “francesi”, “sospette”, “gatti” e “Panterona”, Corinne dormiva senza essersi resa conto che Loki, il gatto di Clara, le si era acciambellato sulle ginocchia e May sonnecchiava appoggiandosi alla spalla di Elaine.  Tutti parvero molto sollevati nel sentirsi dire di essere finalmente liberi di andare, e Elaine cercò di svegliare l’amica il più gentilmente possibile, scrollandola piano:
“May, svegliati, possiamo andare nelle nostre cabine finalmente.”
 
Se la bionda aprì quasi immediatamente gli occhi e, sorridendo sollevata, una volta compresa la situazione si affrettò ad alzarsi, lo stesso non si poté dire di Delilah, che mise a dura prova la pazienza di Prospero mentre l’amico cercava inutilmente di svegliarla. Prima tentò gentilmente, ma dopo alcuni minuti di vani tentativi il mago iniziò a scrollare l’amica tenendola per le spalle:
 
“Cecil, non rompermi!”
Gli occhi ancora chiusi, Delilah agitò una mano e quasi assestò un ceffone involontario all’amico, cercando invano di girarsi sul fianco mentre Prospero, spazientito, passava all’ultima spiaggia assestandole un leggero pizzicotto sul braccio:
“Non sono Cecil, sono Ro, svegliati o ti lascio qui!”
“AHIA! Perché l’hai fatto?!”
“Perché non riuscivo a svegliarti, Aurora!”
“Io?! Ma se sono rimasta sveglia e vigile per tutto il tempo, che scemenze vai dicendo, pf!”
La strega si stiracchiò prima di alzarsi, sbadigliare e dirigersi verso l’uscita cercando di appiattarsi i capelli neri sotto lo sguardo profondamente esasperato dell’amico, che alzò gli occhi al cielo prima di alzarsi e seguirla all’esterno del vagone, ancora perfettamente sveglio e vigile.
Di dormire Prospero non ne aveva alcuna intenzione, a prescindere da che ora fosse.
L’ultima ad uscire dal vagone fu Elaine Fawley-Selwyn. La bella strega, tuttavia, dopo aver aspettato che tutti i presenti la precedessero all’esterno, si fermò sulla soglia piazzandosi seria davanti agli Auror, guardandoli impassibile:
“Se per voi va bene, avrei delle cose da dirvi, signori.”
Asriel guardò l’ora, dopodiché riportò lo sguardo sulla strega, che ricambiò imperscrutabile il suo sguardo. Era una fortuna che fossero nel bel mezzo di un’indagine, che lui si trovasse in veste ufficiale e soprattutto che mai e poi mai si sarebbe sognato di affatturare una donna senza motivo, altrimenti per lei quella notte non si sarebbe conclusa nel migliore dei modi.
“Beh, il suo tempismo è veramente ammirevole, Signorina Fawley-Selwyn, non c’è che dire.”
Esattamente come quando l’avevano interrogata Elaine non sembrò farsi minimamente tangere dal tono sarcastico o dallo sguardo torvo dell’Auror, osservandolo seria di rimando e limitandosi a sollevare leggermente le curatissime sopracciglia ramate:
“Eravamo chiusi dentro dall’esterno, Signor Morgenstern, anche volendo non avrei potuto venire spontaneamente a chiedervi di ascoltarmi prima di questo momento.”
Disgraziatamente Asriel dovette riconoscere – silenziosamente, s’intende – che la strega aveva ragione, e si limitò a sbuffare piano prima di gettare un’occhiata cupa in direzione di James e Clodagh, entrambi con gli occhi fissi su Elaine.
“Voi due andate pure, non è necessario che restiamo tutti.”
“Sei sicuro?”
No, Asriel non era sicuro, avrebbe anzi voluto mettersi a dormire in quello stesso istante, ma preferiva privarsi di un’altra mezz’ora di sonno e avere dei colleghi leggermente più riposati piuttosto di avere a che fare con degli zombie, quindi annuì e borbottò cupo un assenso:
“Sì, dormite un po’, ci aggiorniamo tra qualche ora. Venga, Signorina Fawley-Selwyn.”
Elaine detestava profondamente il suo cognome, l’unico elemento della sua vita che ancora la legava ai suoi genitori, ma si guardò bene dal correggere l’Auror per evitare di infastidirlo prima di tornare a sedersi mentre lui, dopo averla seguita all’interno del vagone, si chiudeva a porta scorrevole alle spalle.

 
*
 

“Di che cosa pensi che debba parlare Elaine con Asriel?”
“Non ne ho idea, ma sarà la prima cosa che gli chiederò dopo aver dormito un paio d’ore, prima che mi si spappoli definitivamente il cervello. Ma se sarà qualcosa di grave ce ne accorgeremo, stanne certo, Asriel farà tremare il treno.”
James annuì, conscio che la collega avesse ragione, mentre lui e Clodagh si fermavano davanti alla porta della sua cabina, nel vagone deserto e silenzioso della I classe. Il ragazzo esitò prima di aprire la porta con la magia e entrare, rivolgendosi all’amica. Non era sicuro di che cosa volesse dire, ma fortunatamente Clodagh lo precedette, sorridendogli gentilmente come faceva sempre:
“Prometto che domani ti spiegherò, JJ. Spero di non aver deluso te e Brontolo.”
“Non credo che saresti mai in grado di farlo, e parlo anche per lui. Magari il fatto che tu gli nasconda qualcosa può ferirlo, ma solo perché ti vuole bene, non deluderlo.”
Clodagh gli sorrise prima di abbracciarlo, stringendolo con affetto e assicurandogli che fosse “il ragazzo più dolce del mondo” mentre James, imbarazzato, arrossiva copiosamente. Profondamente lusingato ma allo stesso tempo poco avvezzo ai complimenti, balbettò un ringraziamento prima che Clodagh lo lasciasse andare, sorridendogli di nuovo mentre gli stringeva entrambe le spalle con le mani:
“Allora buonanotte. Cioè, è già mattina, ma sai cosa intendo. Ci vediamo tra poco, cerca di dormire un po’.”
“Sì, ci proverò. Non ho trovato Alpine, probabilmente è da qualche parte a cercare di architettare un piano per liberarsi di Zorba e farsi adottare da Asriel.”
James gettò un’occhiata malinconica al vagone deserto mentre Clodagh si allontanava ridacchiando, per nulla consapevole che l’amico non stesse affatto scherzando ma che fosse invece assolutamente serio.

 
*
 

“Di che cosa mi vuole parlare, Signorina Fawley-Selwyn? Sa qualcosa su qualcuno degli altri passeggeri?”
“No, non conosco la maggior parte di loro e non ho alcuna informazione da darle. Ciò che voglio dirle riguarda me.”
Elaine era tornata ad occupare lo stesso sedile di poco prima, solo che questa volta di fronte a lei invece di Lenox sedeva Asriel, che la osservava attentamente tenendo le gambe accavallate e le mani strette sul ginocchio destro.
“Quando mi avete interrogata ho accennato al fatto che, in tempi abbastanza recenti, ho avuto indirettamente a che fare con la vittima per via di un processo che ha coinvolto la mia famiglia… Ma non sono scesa nei particolari.”
La strega fece una pausa ma Asriel decise di non interromperla, limitandosi ad osservarla mentre l’ex Tassorosso aggrottava leggermente la fronte e distoglieva lo sguardo, quasi avesse bisogno di concentrarsi o di farsi forza per raccontare quella storia. Infine, dopo qualche istante di silenzio, la strega si schiarì la voce e riprese a parlare con lo stesso tono fermo di sempre:
“Vi ho accennato al fatto che mio zio, Armand Duplessis, fece causa ad un medico per negligenza.”
“Sì, è corretto. E Alexandra lavorava per il suddetto medico.”
“Sì.”
Elaine annuì con un appena percettibile cenno del capo, interrompendosi di nuovo prima di gettare un’occhiata fuori dal finestrino. Sono in quel momento si rese conto di averne mai parlato ad alta voce con nessuno, prima di quel momento. Nemmeno con May. Cercando di non pensare dolorosamente a suo zio, costretto a passare il primo Natale senza sua zia da solo, Elaine si sforzò di continuare il racconto:
“Per me è difficile parlarne, Signor Morgenstern, e ho preferito non scendere nei particolari della vicenda. Ma a fronte dei recenti sviluppi, che mi hanno dato modo di appurare che molti degli altri passeggeri hanno mentito o omesso parti di verità e che lei e i suoi colleghi alla fine siete comunque riusciti a scoprire il quadro completo, ho pensato di risparmiarle la fatica e di raccontare spontaneamente ciò che ho omesso la scorsa volta.”
“Non si trattò di semplice negligenza, il medico fu radiato dall’albo e si risparmiò una pena più consistente solo perché la Signorina Sutton gli consigliò caldamente di accettare il patteggiamento. Mio zio fece causa perché la “negligenza” ha portato alla morte di sua moglie, la sorella di mia madre.”
“Perché me lo sta dicendo? Lo sa che possiamo considerare questa storia un movente, vero?”
“Ne sono consapevole, ma sono anche troppo intelligente per negare a me stessa che presto avreste finito col scoprirlo da soli, e a quel punto per me sarebbe stato peggio.”
Asriel la guardò stringersi nelle spalle, seria come sempre. All’improvviso l’Auror si chiese se l’avesse mai vista sorridere o mostrare una qualsiasi emozione particolare attraverso la mimica facciale. La risposta sarebbe stata negativa, ma Elaine, quasi percependo i suoi pensieri, vi porve rimedio accennando un debole sorriso con le labbra:
“E poi, Signor Morgenstern, sarei davvero l’assassina più sciocca del mondo se venissi a spiattellarle il mio movente in faccia, non crede anche lei?”

 
*

 
Quando Asriel, poco più tardi, congedò Elaine e fece finalmente ritorno nella sua cabina in I classe erano quasi le tre del mattino. Dopo aver chiuso a chiave la porta l’Auror accese la luce e si avvicinò al letto con un sospiro tenendo Zorba in braccio dopo aver trovato il gatto impegnato a gironzolare liberamente e a curiosare per il treno.
Il mago sedette sul materasso prima di appoggiare il gatto sul pavimento, sorridendogli debolmente e accarezzandogli la testa prima di sfilarsi le scarpe e abbandonarsi supino sul letto inchiodando gli occhi azzurri sul pavimento. Era stanco, sì, ma come spesso gli succedeva quando si trovava nel pieno di un’indagine allo stesso tempo troppo preso dal caso per dormire.
Quello appena passato era stato di gran lunga il peggiore e più assurdo Natale della sua vita. Bloccato su un treno con un cadavere – sul quale avevano lanciato un incantesimo per conservarlo prima di coprirlo – a poca distanza, un mare di passeggeri che non raccontavano la verità e i suoi colleghi. Tra i quali la sua stessa partner abituale, e persino lei era riuscita a nascondergli qualcosa, si ritrovò a constatare amareggiato e anche un tantino ferito.
Chissà se anche Hampton nascondeva qualcosa, si domandò assorto l’Auror, ma subito dopo l’immagine dell’innocente volto sorridente del suo giovane collega si fece nitida nella sua mente, e si disse con un tiepido sbuffo che l’unica cosa che quel ragazzo sarebbe mai stato capace di nascondere era una scorta di caramelle, probabilmente.
“L’anno prossimo andrà meglio, vero Zorba? Porca Priscilla, lo spero proprio.”
Aveva spesso immaginato, nei mesi precedenti, come sarebbe stato il primo Natale senza suo padre. Di sicuro tutti gli scenari che aveva finito con il figurarsi, tutti ugualmente deprimenti, non avevano minimamente raggiunto il livello di atrocità che la realtà era riuscita a fargli toccare.
 

 
*

 
Alla fine gli Auror si erano visti costretti a “liberare” i passeggeri per la notte, intimando a ciascuno di loro di chiudersi nelle proprie cabine dall’interno.
Prospero De Aureo però non dormiva: se ne stava disteso sulla brandina tenendo gli occhi scuri inchiodati al soffitto, più attenti e vigili che mai. Le mani pallide intrecciate e poggiate sul petto, Prospero stava riflettendo e di dormire non gliene importava, in fondo avrebbe avuto tutto il tempo di farlo una volta lasciata la Germania e quel maledetto treno nello specifico.
Merlino, non aveva intenzione di rimettere piede in quel dannato paese per un bel po’ di tempo, dopo quell’assurdo viaggio.
 
Quando il costosissimo orologio svizzero del mago segnò le due del mattino Prospero De Aureo si sollevò, mettendosi a sedere sul letto e destando così dal sonno Kiki, il suo gatto, che aveva avuto la malaugurata idea di acciambellarsi ai suoi piedi. Il felino miagolò stizzito e saltò giù dalla brandina prima di scrollarsi e andarsi a sistemare in un angolo della cabina, profondamente offeso con il padrone.
Ma Prospero De Aureo non ci fece caso. Anzi, sorrise nell’oscurità della sua cabina.
 
Erano le quattro del mattino del 26 dicembre, Alexandra Sutton, la strega più insopportabile che avesse mai avuto la sventura di incontrare, era morta da quattro giorni. E lui credeva di sapere chi l’aveva uccisa.




 
   
 
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