Scusate,
scusate, scusate. Chiedo venia. Giuro che non sparirò più.
Dove
eravamo rimasti?
In the still of the night
42.
La
sera prima dell’esecuzione, la presidente Coin convoca me e Peeta nei suoi
nuovi appartamenti per prendere parte ad una riunione straordinaria. Mi lascio
guidare da Peeta, dalla sua mano che stringe la mia e dai suoi passi rumorosi
che risuonano lungo i corridoi deserti e altrimenti silenziosi. Sono assorta,
non capisco perché ci abbia chiamati. Altri passi rumorosi risuonano dietro di
noi. Mi volto, e scopro che sono i passi pesanti di Haymitch. Il nostro vecchio
mentore ha un colorito verdognolo e profonde occhiaie sotto agli occhi, ma
sorride.
-
Bella serata per una riunione, eh? Accogliamo il nuovo anno insieme?
Il
nuovo anno.
È
la sera di Capodanno. Un anno intero sta per chiudere i battenti. Un anno da
dimenticare, un anno su cui mettere una croce sopra. Vorrei quasi tornare
indietro nel tempo, alla sera di un anno fa in cui raggiunsi Peeta a casa sua
per non restare da sola nella mia. La sera in cui mi mostrò il dipinto di Rue,
la sera in cui mi promise di aiutarmi ad affrontare il futuro che ci attendeva.
La sera in cui ci amammo per la prima volta…
È
passato un altro anno. E sono più che sicura che non ce ne sarà un altro da
vivere, dopo stasera. Domani ucciderò Snow, e poi ucciderò me stessa grazie alla
pillola di Morso della Notte. I miei prossimi anni li trascorrerò nell’oscuro
nulla rappresentato dalla morte.
E
non vedo l’ora che succeda.
La
stanza in cui entriamo è già piena di gente. Poca gente, in realtà; c’è la
Coin, ovviamente, e gli altri vincitori sopravvissuti: Annie, Johanna, Beetee.
Enobaria.
-
Che ci fa lei qui? – domanda Peeta.
-
Lei è qui sotto la protezione del “Patto della Ghiandaia Imitatrice” – gli
spiega la Coin. – Patto nel quale Katniss Everdeen accettava di sostenere i
Ribelli in cambio dell’immunità per i vincitori catturati. È presente anche
lei in questo Patto, signor Mellark, non dimentichiamolo.
Il
patto. Lo stupido patto che ho stretto con la Coin per essere la loro Ghiandaia
Imitatrice.
Devo
smetterla di stringere patti con la gente.
Seduti
attorno ad un enorme tavolo, la Coin ci spiega il motivo per cui ci ha riuniti.
Ci spiega che Snow non è stato l’unico ad aver ricevuto una condanna a morte:
insieme a lui ci sono funzionari, dirigenti, e altri complici dell’oppressione
che ha colpito Panem per così tanti anni. Ci spiega che per i cittadini liberi
della nazione queste morti non sono ritenute sufficienti, e che per loro
uccidere ogni singolo cittadino di Capitol City sarebbe una soluzione migliore.
Ma dato che uccidere ogni singolo cittadino di Capitol City sarebbe uno spreco
di tempo, e rappresenterebbe anche un certo numero di esecuzioni da trasmettere
in televisione, la Coin ci dice che si è cercato di raggiungere un compromesso.
Ci spiega che, subito dopo l’esecuzione di Snow, ha intenzione di annunciare
una straordinaria e memorabile edizione degli Hunger Games. Un’edizione
simbolica, conclusiva, per ricordare le innumerevoli ed irrecuperabili perdite
che abbiamo subito per raggiungere la pace.
Ed
i tributi, per questa particolare edizione, verranno sorteggiati tra i bambini
di Capitol City.
Ma
allora che pace è?
-
Sta scherzando? – urla Peeta.
-
No.
-
L’ha avuta Plutarch, quest’idea? – chiede Haymitch.
-
L’ho avuta io – risponde la Coin.
Altri
Hunger Games, altri bambini nell’arena, altri bambini morti. Osservo la mano di
Peeta che stringe la mia in maniera ossessiva, forte. Sta riversando su di essa
la sua rabbia, dopo averla urlata in faccia alla Coin. Io non riesco a dire
nulla.
-
Il programma verrà attuato se raggiungerà una maggioranza di almeno quattro
voti – prosegue la Coin. – E se i giochi si terranno davvero, verrà reso noto
che si è andati avanti grazie anche alla vostra approvazione. I voti, invece,
non saranno rivelati per garantire la vostra sicurezza.
Quale
sicurezza? Non saremo mai davvero al sicuro.
-
Io voto no! Non ci saranno altri Hunger Games – dice Peeta.
-
Anche io voto no, come Peeta – mormora Annie.
-
Al diavolo, sì! – questa è Johanna. – Snow ha anche una nipote! Facciamolo!
-
No – dice invece Beetee.
-
Io voto sì – dice Enobaria. Ha una voce insolitamente dolce e delicata, per una
donna che si è fatta limare i denti come zanne.
-
Rimangono Katniss ed Haymitch – annuncia la Coin.
Gli
altri restano in attesa degli ultimi due voti. Ho lo sguardo basso, sento i
loro sguardi puntati addosso e, più di tutti gli altri, sento lo sguardo di
Peeta puntato sulla mia testa. La stretta sulla mia mano si allenta, diventa
più dolce, confortante. Va tutto bene, sta dicendo la stretta, ma non
sta andando tutto bene. Non sta andando bene e non andrà bene, se ci mettono
davanti ad una scelta del genere. Non andrà tutto bene, se alla fine di una
guerra con migliaia di morti ci costringono a votare per mandare a morte
ventiquattro ragazzini. Alzo gli occhi, incrocio quelli gialli della mia nuova
presidente, e capisco che non posso farlo.
-
Sì – dico. – Io voto sì.
La
mano di Peeta scaccia via la mia come se gli avessi appena dato fuoco.
-
Eccellente – trilla la Coin. – Haymitch?
Adesso
guardo Haymitch, incrocio il suo sguardo grigio così simile al mio, identico a
quello di tutti gli altri che sono nati e vissuti nel Giacimento del Distretto
12. Haymitch soppesa i miei occhi per dei lunghi, intensi secondi, e alla fine annuisce.
-
Io sto con la Ghiandaia Imitatrice – dichiara.
Un
sorriso trionfante nasce sulle labbra della Coin. È il sorriso di chi ha
raggiunto, ancora una volta, il suo obiettivo. È il sorriso di chi ha la
vittoria in pugno. È il sorriso di chi non teme che qualcosa possa andare
storto.
Il
primo gennaio, il primo dell’anno. Mi sveglio nella fredda e buia alba che
annuncia il primo giorno del nuovo anno. Il primo gennaio è il giorno in cui è
stato deciso che morirà Snow. Ho dormito poco e male, ma ho sempre avuto Peeta
accanto: mi ha tenuta stretta a sé per tutta la notte. Mi ha abbracciata
nonostante fosse arrabbiato con me, e nonostante avessi scelto di assecondare
la Coin per indire la nuova edizione degli Hunger Games. Abbiamo ancora dei
desideri diversi, eppure non riesce a lasciarmi andare via. Mi resta accanto,
forse perché teme che possa fare qualche pazzia. Come suicidarmi, per esempio.
Peeta
non sa ancora che è proprio una pazzia ciò che ho in mente di fare oggi. Non lo
sa, e non glielo posso dire. Mi impedirebbe di farlo, altrimenti. Mi
impedirebbe di fare tutto ciò che desidero fare oggi. Stamattina. Manca davvero
poco, ormai.
Effie
trascorre l’intera mattina a rimettere a nuovo la mia immagine: fa la solita
treccia ai miei capelli, trucca i miei occhi, le mie guance, mi consente di
indossare l’uniforme da Ghiandaia Imitatrice solo quando non ha più nulla da
truccare. Canticchia a mezza voce, vestita e agghindata in maniera stravagante
come se la sua temporanea permanenza al Distretto 13 non fosse mai avvenuta. La
parrucca color oro è la stessa che si fece fare in vista dell’Edizione della
Memoria. Mentre riordina i suoi trucchi e mi consiglia di guardarmi allo
specchio per ammirare il risultato del suo duro lavoro, controllo di nuovo la
tasca sulla spalla. La pillola è ancora al suo posto: bene. Andrà tutto come
previsto.
Accanto
alla porta, quando esco, ci sono il mio arco e la mia faretra: questa contiene
una sola, singola freccia nera. È quella che userò per uccidere l’ormai ex
presidente Snow. Hanno davvero molta fiducia sulle mie capacità per rifornirmi
di una sola freccia. Dovrò guardarmi bene dal non deluderli.
-
Andiamo, Katniss! Non rallentiamo la tabella di marcia – trilla Effie.
Effie
ed alcuni soldati mi conducono fuori dalla villa e mi scortano fino
all’Anfiteatro cittadino, il luogo scelto per l’esecuzione. È già colmo e
straripante di persone venute ad assistere alla morte del carnefice. Snow, al
centro della scena, è in piedi ed è legato ad un palo, ed è impeccabile come
sempre: i capelli bianchi pettinati all’indietro, il cappotto blu che avvolge
elegantemente la sua figura, i guanti neri sulle mani, la solita rosa bianca
all’occhiello. Il sangue che gli cola dalle labbra è la sola cosa che rovina la
sua immagine da perfetto gentiluomo.
È
solo un vecchio malato, penso di nuovo. È solo un
vecchio.
La
Coin osserva tutto dall’alto, dalla postazione sopraelevata dove per anni Snow
ha ammirato e accolto i tributi venuti a morire agli Hunger Games. La osservo a
mia volta mentre, con calma, raggiungo il punto in cui dovrò fermarmi per
lanciare il colpo mortale destinato al nostro nemico comune. Sono a poco meno
di venti metri di distanza da Snow; dietro di me, in piedi, ci sono gli altri
vincitori che attendono di assistere alla sua morte. Dietro ancora, in attesa
spasmodica, un mare di cittadini in vestiti variopinti.
Quando
la Coin fa un cenno con la testa, capisco che è arrivato il momento di procedere.
Alzo il mio arco, recupero la freccia dalla faretra e la incocco in un semplice,
automatico ed abile gesto. Prendo la mira, concedendomi diversi secondi in più
del necessario per capire dove scagliarla. Mi concentro, d’altronde ho solo una
freccia a disposizione e non posso sbagliare il colpo. Non posso deludere tutti
coloro che si sono riuniti nell’Anfiteatro cittadino. Mi concentro, anche se il
mio nemico non è molto lontano ed io ho colpito bersagli ad una distanza più
elevata di questa. Mi concentro, distogliendo gli occhi dal viso impassibile di
Snow per puntarli su quello della Coin, che attende. Attende, e non resterà
delusa.
Sono
sicura che non lo sarà.
Sollevo
l’arco un istante prima di lasciare andare la freccia. Ho dovuto farlo, perché
il mio nemico si trova più in alto, ed è più lontano. Più lontano di Snow.
Il
mio nemico riceve la freccia proprio sul cuore. Cade in avanti, precipita dalla
postazione sopraelevata dove per anni Snow ha ammirato e accolto i tributi
venuti a morire agli Hunger Games. E adesso il mio nemico è caduto, è morto, e
non vedrà mai arrivare i tributi così come ha fatto Snow per anni. La Coin non
indirà mai gli Hunger Games straordinari. La Coin non manderà mai più a morire
ventiquattro ragazzini che non hanno alcuna colpa, se non quella di essere vivi.
Il
pubblico, i vincitori, Snow: sono tutti attoniti quando abbasso l’arco e mi
preparo a prendere la pillola dalla tasca. La stringo tra le dita e la porto
alla bocca, l’ho appena sfiorata con le labbra quando Peeta mi placca a sorpresa,
scagliandomi a terra. Colpisco il terreno con violenza, la forza dell’impatto
mi mozza il respiro. Il Morso della Notte vola via chissà dove, in mezzo al
marasma in cui si sta trasformando l’Anfiteatro cittadino.
Ho
perso la mia occasione.
-
Che cazzo fai? Lasciami, lasciami andare! – urlo rivolta a Peeta. Scalcio,
cerco di togliermi il suo corpo di dosso ma lui è troppo forte. È più forte di
me e mi tiene ancorata a terra.
-
No! – urla a sua volta, ringhiando.
-
Lasciami andare!
-
Non posso…
-
Peeta! – urlo quando mani sconosciute, molte mani che non conosco mi
strattonano, e strattonano lui per fare in modo che possano portarmi via. – Peeta!
– urlo ancora.
Lui
rimane immobile, quasi impassibile, mentre mi allontanano da lui. Soldati e
semplici spettatori corrono dappertutto, corrono attorno a noi e davanti a noi,
fino a che non coprono la mia visuale. Finché non lo vedo più.
-
Peeta! – sto ancora urlando il suo nome quando mi trascinano via dall’Anfiteatro.
Dopo
essere stata portata via di peso dall’Anfiteatro, i soldati mi fanno entrare in
un posto enorme e fatto interamente di marmo; alcuni di loro sono usciti,
mentre altri due hanno chiuso le pesanti porte di legno e si sono posizionati
ai due lati per impedirmi una qualsiasi fuga. Anche con le porte chiuse si riesce
ancora a sentire il vociare e le urla delle persone, urla che ho scatenato con
il mio folle gesto. Ho ucciso la Coin…
Stringo
le braccia al petto e inizio a camminare, osservando il luogo in cui mi trovo e
non riuscendo a capire con precisione di che posto si tratti: somiglia
moltissimo a uno qualsiasi dei Palazzi di Giustizia in cui sono entrata l’anno
scorso, durante il Tour della Vittoria, ma allo stesso tempo ha qualcosa di
diverso. Ha un’aura di imponenza, di importanza. È un qualcosa che non avevo
mai visto prima d’ora…
Ci
sono tante statue di marmo bianco, poste ai lati della costruzione, che raffigurano
delle persone con delle tuniche lunghe fino ai piedi; quasi tutte hanno una
strana corona a forma di cerchio sulla testa e uno sguardo benevolo e dolce. Le
donne, con le mani giunte contro il petto, hanno anche un velo a coprire loro
la testa, oltre alla corona. Al centro, disposte su due lunghe file, ci sono
delle panche di legno.
Prendo
posto su una delle panche poste nelle prime file, pentendomene subito dopo.
Anche se so che non è una cosa possibile, sento gli occhi di tutte quelle
statue fissi su di me come se mi stessero osservando e giudicando in silenzio. Scopro
che la statua di un uomo con i capelli lunghi e la barba, dal volto gentile, è
quella ai miei occhi più insopportabile.
Smetto
di osservare la statua non appena le porte si aprono con un gran fracasso,
quando i soldati fanno entrare Plutarch nel mausoleo – o in qualsiasi altro
modo si chiami questo posto. I suoi passi riecheggiano per tutto il tempo che
impiega per raggiungermi, sedendosi nella panca accanto alla mia. Mette le mani
nelle tasche del cappotto e si schiarisce la voce.
-
Katniss, Katniss – inizia Plutarch scuotendo la testa. Mi guarda e scuote la
testa, un sorrisino complice a deformargli le labbra. Ho già visto altre volte
quel sorriso. – Da te non mi sarei aspettato nient’altro che questo. E non ho
nemmeno dovuto suggerirtelo! – aggiunge.
Soppeso
per qualche secondo il suo sguardo e poi lo abbasso sul pavimento a scacchi. Inizio
a fissare gli scarponi della mia divisa. In qualche modo, sono una visione
migliore della sua faccia.
Plutarch
continua a parlare quando capisce che non sono proprio propensa a scambiare
quattro chiacchiere con lui. – Ti sei messa in un gran bel pasticcio, Katniss.
Anche se le tue erano buone intenzioni, non avresti dovuto farlo. Ce ne saremmo
occupati noi dopo l’esecuzione di Snow.
-
Voleva organizzare dei nuovi Hunger Games – mormoro.
-
Ne eravamo al corrente, e non avremmo mai permesso alla presidente Coin di metterli
in atto. Sapevamo già come intervenire in questo caso… ma ci hai anticipato.
Sei stata di nuovo avventata. – lo osservo con la coda dell’occhio e noto che
non ha smesso di sorridere. – Continuo a sottovalutarti, ragazza mia.
Plutarch
fa un gesto con la mano e i soldati che erano fermi alle porte iniziano ad
avanzare verso di noi. Mi volto per osservarli, e poi torno ad osservare
Plutarch, che invece guarda me. Stavolta ha smesso di sorridere.
-
Cosa ne dobbiamo fare di te, signorina Everdeen? – domanda.
-
Che… che cosa vuoi dire?
-
Mi dispiace molto – è l’unica risposta che ottengo da lui.
Non
ho nemmeno il tempo di provare ad alzarmi da quella panca che i soldati mi stanno
già spingendo via, fuori dal mausoleo.