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Autore: Abby_da_Edoras    07/04/2022    5 recensioni
Questa storia è il sequel di My winter storm e riscrive in modo del tutto mio personale le vicende della parte conclusiva della sesta stagione di Vikings. Il legame tra Ivar e Aethelred si sta consolidando, ma i due dovranno affrontare ancora molti ostacoli a causa dei quali rischieranno di perdersi... tutto però finirà bene! Intanto a Kattegat anche Bjorn rischia la sua corona, per i tradimenti e gli intrighi di vecchi rivali e amici non del tutto leali. Entrano in scena nuovi personaggi (uno inventato da me) e ci sarà una nuova coppia molto... passionale e particolare (e non dico altro!).
Grazie a chi mi segue e continuerà a seguire le mie follie! XD
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, produttori e autori della serie TV "Vikings".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bjorn Ironside, Ivar, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'amore non ha fine '
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Cap. 18: Hearing your screams

 

You can turn around
You have held your head up high
You are here, but don't know why
Just don't close your eyes
We will meet again
We will wait for you to rise
We're the flame that never dies
Pull it out what's deep inside
So much to hide
Take a breath, don't fail to speak
Are you blind or are you weak
Wake up now so you can grow
Grip the twine, don't let it go
Keep your faith, don't run away
Golden plans still wrapped in grey
Rising ghosts conceal your dreams
Hearing your screams!

(“Hearing your screams” – Moonsun)

 

Aethelred guardava la battaglia al fianco di Ivar senza riuscire a rendersi conto di come si fosse potuti giungere a quel punto. Il giorno prima aveva sperato che il colloquio tra Alfred e Ivar potesse servire a riportare la pace tra Norreni e Sassoni ma poi le cose erano precipitate, Alfred aveva provocato Ivar, poi aveva accusato lui, Aethelred, di essere un traditore e un pervertito e, a quel punto, Ivar aveva interrotto qualsiasi possibile trattativa.

Adesso si combatteva. Aethelred aveva scelto anche questa volta di evitare la battaglia, ma non poteva non guardare ciò che accadeva davanti ai suoi occhi: Hvitserk, Helgi, tanti suoi amici e Re Harald con i suoi uomini si battevano con coraggio e ardore e uccidevano molti Sassoni, tuttavia i soldati di Alfred erano di più e più freschi e ben presto avrebbero avuto la meglio sull’esercito Norreno.

E Aethelred non sapeva cosa fare, sapeva solo che voleva, che doveva fermarli prima che fosse troppo tardi.

Ma era già troppo tardi. Per quanto valorosi e arditi, i Vichinghi erano in minoranza e troppi uomini e donne cadevano sul campo di battaglia. Ad un certo punto il Vescovo Aldulf riuscì ad attirare Harald lontano dai suoi uomini, presso la boscaglia e, dopo un breve duello, lo trapassò con la sua spada senza che nessuno dei Norreni potesse intervenire in suo soccorso. Harald cadde, ferito a morte, cercando inutilmente di sostenersi contro il tronco di un albero… ma Aldulf, tronfio per aver colpito il Re dei Norreni, non fu altrettanto furbo e, invece di tornare al sicuro in mezzo ai soldati Sassoni, si sentì talmente pieno di sé da rimanere a guardare Harald che moriva, oltraggiandolo.

“Sciocco pagano, pensi davvero che andrai nel tuo Valhalla?” gli domandò, schernendolo. “Ti sbagli, non esiste quel luogo e tu morirai solo e dimenticato.”

Harald si sentiva bruciare le viscere e il sangue, insieme alla sua vita, scorreva via tra le sue dita, poi all’improvviso la voce irridente del Vescovo si affievolì e l’uomo sentì una voce più forte e molto più amata alla sua destra.

“Ciao, fratello.”

Harald si voltò in direzione della voce e, con grande stupore e gioia, vide appoggiato all’albero accanto a lui il fratello perduto, Halfdan, il fratello che lui aveva ucciso anni prima durante una battaglia che li aveva messi l’uno contro l’altro… e per cui non si era mai perdonato. In quegli anni aveva cercato in ogni modo di dimenticare il vuoto che aveva dentro, ma niente lo aveva appagato, né il potere, né le belle donne, né la ricchezza. Ora, alla fine di tutto, capiva.

“Sono venuto a portarti nel Valhalla” gli disse il fantasma di Halfdan. “Il Padre di tutti gli dei ti aspetta.”

“Fratello… fratello mio” mormorò a fatica Harald. Si era sentito in colpa per tutti quegli anni per aver ucciso Halfdan, ma adesso lui era lì, lo aveva perdonato e non lo avrebbe lasciato morire da solo. Il dolore che lo stordiva sembrò farsi meno acuto e nel cuore del Re scese una grande pace. Gli parve che Halfdan lo prendesse per un braccio e lo aiutasse a rialzarsi, così si ritrovò ancora una volta di fronte al Vescovo Aldulf che gli rideva in faccia… ma rise molto meno quando Harald gli trafisse la gola con il pugnale che teneva alla cintura. Il corpo senza vita di Aldulf cadde a terra e Harald ricadde all’indietro, riappoggiandosi all’albero e voltandosi ancora una volta verso l’apparizione di Halfdan.

“Ben fatto, fratello!” gli disse Halfdan, ridendo. Poi iniziò a cantare un’antica canzone norrena che lui e Harald erano soliti cantare insieme fin da ragazzi:

Þat mælti mín móðir,

at mér skyldi kaupa

fley ok fagrar árar,

fara á brott með víkingum,

standa upp í stafni,

stýra dýrum knerri,

halda svá til hafnar

hǫggva mann ok annan,

hǫggva mann ok annan. *

Harald unì la debole voce a quella del fratello e le sue ultime parole furono quelle della canzone che gli ricordava tanti momenti felici…

Ma se la morte fu per Harald forse la liberazione da tutti i suoi demoni, lo stesso non valeva per i Norreni che stavano ancora combattendo e perdendo sempre più uomini. Ivar e Aethelred, che si trovavano nelle retrovie, assistettero alla caduta di Harald e Ivar in modo particolare ne rimase fortemente turbato, sebbene non fosse mai stato amico dell’ambiguo Re. Qualcosa scattò dentro di lui, i suoi occhi iniziarono a seguire i movimenti di Hvitserk, che stava davvero facendosi onore in quel combattimento e falciava due o tre Sassoni alla volta… ma anche lui era sempre più solo, isolato.

Stavano perdendo e Ivar non poteva più far finta che così non fosse né, tanto meno, poteva lasciare che Hvitserk, suo fratello, morisse per la sua ambizione e il suo orgoglio. Mosse qualche passo in avanti, soffocando le grida di dolore per le gambe che ormai stavano cedendo e che non lo sostenevano più come prima, nonostante l’armatura che le proteggeva. Ma niente poteva fermare Ivar in quel momento e continuò ad avanzare, appoggiandosi alla stampella con una mano e con l’altra trafiggendo i Sassoni che provavano ad andargli contro.

Aethelred era rimasto impietrito.

“Ivar, ma che stai facendo, sei impazzito? Ti farai uccidere!” gridò, disperato, senza capire che cosa stesse accadendo nella mente del suo compagno. Entrare in battaglia contro i suoi connazionali gli faceva orrore, ma non poteva neanche lasciare che Ivar venisse ucciso, così si slanciò dietro di lui, proteggendolo come poteva, colpendo i soldati che li aggredivano senza neanche sapere cosa stesse facendo, pensando solo che doveva difendere Ivar. Poi, ad un certo punto, si rese conto di quello che Ivar voleva fare: il giovane Vichingo si dirigeva con la forza della disperazione verso il fratello Hvitserk, che vedeva accerchiato ma mai domo, e che alla fine riuscì a raggiungere e a stringere a sé.

“Adesso basta, fratello” gli disse, fissandolo negli occhi, “hai fatto il tuo dovere, ora non devi più intrometterti. Torna indietro, mettiti in salvo e porta con te Helgi e Aethelred.”

“Ma cosa dici, Ivar?” Hvitserk cominciava a capire cosa avesse in mente il fratello e non poteva accettarlo.

“Non ti avrei mai fatto del male, non ti avrei mai ucciso e non permetterò che lo facciano i Sassoni” continuò Ivar, tenendo stretto Hvitserk, fronte contro fronte, uniti come mai prima. “Ti voglio bene, ti voglio bene, fratello mio.”

“Anch’io, anch’io ti voglio bene, Ivar” singhiozzò Hvitserk.

“Adesso vai, vai, mettiti in salvo e porta Helgi e Aethelred con te! Vai!” gridò Ivar, spingendo il fratello perché si allontanasse. Hvitserk, però, fece solo qualche passo, non voleva lasciare il fratello e, ad ogni modo, in quel momento non vedeva Helgi e non sapeva come avrebbe fatto a trascinare con sé Aethelred. Così rimase fermo, a qualche passo di distanza da Ivar, a guardare come sarebbe andata a finire.

Ivar sapeva che c’era un unico modo per salvare Aethelred, Hvitserk e le persone che amava da una guerra che non aveva iniziato lui, ma che poi aveva voluto e infiammato. Lanciò un grido di battaglia e poi continuò a urlare, rivolgendosi ai soldati Sassoni.

“Guardatemi, guardatemi, sono qui, sono Ivar Senz’Ossa! Voi non potete uccidermi, non potete farmi niente, anche se proverete a uccidermi io vivrò in eterno!”

Era un diversivo, Ivar stava catalizzando l’attenzione di tutti i Sassoni su di sé per permettere a Hvitserk di scappare e di portare in salvo anche Aethelred e Helgi, anche se questo avrebbe significato…

“Noi temiamo la morte? NO!” gridò ancora Ivar, stavolta rivolto ai suoi guerrieri. “Non vogliamo morire nel nostro letto come dei vecchi, ma banchettare con i nostri cari nel Valhalla!”

Attorno al Vichingo la battaglia continuava, ma alcuni si erano fermati e lo fissavano, immobili: uno di essi era, appunto, Hvitserk, un altro era Alfred che adesso cominciava seriamente a pensare di aver sbagliato a giudicare quel giovane… e uno era Aethelred, che non riusciva a credere a ciò che vedeva, era agghiacciato fin nelle ossa e non era più in grado di muoversi, stordito e annichilito al solo pensiero che Ivar potesse aver deciso di morire lì, quel giorno, in battaglia, sacrificando la sua vita per salvare quella di coloro che amava. Ancora una volta al Principe Sassone parve di vivere in un incubo, uno di quelli in cui vorresti scappare, o muoverti, ma non ci riesci, il tuo corpo non ti risponde e tu non puoi evitare il pericolo. Avrebbe voluto correre da Ivar, stringerlo a sé e trascinarlo via, ma non riusciva quasi nemmeno a respirare, era come trasformato in una statua di ghiaccio.

Poi accadde qualcosa: un soldato, un ragazzo con un semplice pugnale in mano, si ritrovò davanti ad Ivar, incredulo, quasi spaventato all’idea di affrontare quello che tutti descrivevano come un mostro, un demone infernale, e senza neanche avere una spada in mano, solo quel piccolo pugnale.

Ivar gli sorrise e annuì.

“Avanti” gli disse, “non aver paura, fallo.”

E questo, finalmente, spezzò il sortilegio che teneva immobilizzato Aethelred. Il giovane Sassone vide in un secondo tutto quello che doveva vedere: Hvitserk ferito e sanguinante che non aveva le forze per scappare; Alfred, suo fratello, che aveva voluto quella battaglia ma che adesso, anche lui pieno di ferite, aveva smesso di combattere e fissava Ivar; Helgi che si faceva strada abbattendo i nemici a destra e a sinistra per riuscire a raggiungere Hvitserk. E Ivar, che aveva scelto di lasciarsi uccidere quando aveva capito che i Norreni avrebbero perso, che era pronto a morire purché i suoi guerrieri tornassero a Kattegat sani e salvi.

Ma Aethelred non lo avrebbe permesso, non era quella la fine, non lì, non così. Finalmente libero da ciò che lo aveva pietrificato fino a quel momento, lanciò un urlo selvaggio che poteva stare alla pari con le grida di battaglia dei Vichinghi, e si slanciò verso Ivar con tutte le sue forze, frapponendosi tra lui e il giovane soldato col pugnale.

“No! No, adesso basta, fermatevi tutti, fermatevi e gettate le armi!” urlò, e vederlo in quel modo era surreale perché, pur dicendo cose del tutto opposte, sembrava l’Ivar furioso e invasato di poco prima, anche lui scarmigliato, selvaggio, anche lui a gridare con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Ma il suo era un grido di pace. “Gettate le armi a terra, basta combattere, basta! Niente più sangue, niente più morti!”

Il suo impatto fu anche più deflagrante di quello che aveva avuto Ivar poco prima. Al suono delle sue urla tutti, davvero tutti, si fermarono e qualcuno lasciò davvero cadere la spada. Sul campo di battaglia calò un silenzio assurdo e gli occhi di tutti si fissarono su Aethelred.

“Io sono Aethelred, il figlio maggiore di Aethelwulf, Principe del Wessex” esclamò. “Sarei dovuto essere il vostro Re e, se lo fossi stato, non avrei mai permesso che si arrivasse a questo, non avrei mai permesso tanta morte e distruzione!”

“Mio signore…” balbettò il ragazzo che aveva cercato di uccidere Ivar. Fece qualche passo indietro, lasciò cadere a terra il pugnale e si inginocchiò con le lacrime agli occhi. Diversi altri soldati Sassoni, riconoscendo il loro condottiero, fecero lo stesso, rendendogli omaggio come se fosse davvero lui il loro vero Re.

“Nessuno ucciderà più nessuno, non ci saranno più guerre tra Sassoni e Norreni!” dichiarò ancora.

“Mio signore… ma… ci avevano detto… il demonio pagano deve morire, i barbari devono morire, sono dei selvaggi…” mormorò ancora il giovane soldato.

“Chi ve lo ha detto? Il Vescovo Aldulf? Ma lui è morto, ha perso anche lui la vita in questa battaglia insensata. Ve lo ha ordinato il vostro Re, Alfred il Grande? Alfred che dice di combattere in nome di Dio? Ma qualcuno ricorda che cosa ci ha insegnato, veramente, il nostro Dio, il Dio d’amore?” continuò Aethelred, e stavolta davvero catturò l’attenzione di tutti, anche se non gridava più e scandiva con fermezza le parole perché tutti potessero udirlo. “Voi dite che gli dei Norreni sono crudeli e spietati e ordinano di uccidere, chissà, forse è così. Ma il nostro Dio cosa ci ordina? Nella Bibbia c’è scritto di uccidere i pagani, di massacrare gli innocenti? No! Nostro Signore Gesù Cristo, che è morto per noi, per tutti noi, anche per i Norreni, ci ha lasciato queste parole: Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Ed è forse questo che state facendo qui?”

Molti dei Sassoni, a quel punto, lasciarono cadere le armi e si sentirono invadere dalla vergogna. I Norreni rimasero in piedi a guardare quel Principe Sassone che sembrava davvero un Vichingo anche se diceva parole così strane per loro… In quel momento un raggio di sole andò ad illuminare proprio Aethelred, ricadendogli sul capo in un luccichio dorato e dando a tutti l’impressione che sulla testa del giovane Principe posasse una corona d’oro e pietre preziose più lucente e splendida di qualunque altra al mondo, che lo faceva non tanto Re del Wessex, ma di tutta l’Inghilterra e forse anche di più.

“Il nostro Dio è un Dio di pace e d’amore, non possiamo usare il Suo nome per giustificare guerre e massacri” dichiarò Aethelred.

A quel punto il Re ufficiale, Alfred, si fece avanti, tanto per chiarire che ancora era lui a comandare in Wessex.

“E cosa dovremmo fare, allora? Sono stati i Vichinghi ad attaccarci per primi, sono scesi sulle nostre coste e hanno razziato e ucciso” chiarì. “Dovremmo lasciare che ci derubino e ci sterminino?”

“No, Alfred” rispose Aethelred, lanciando lui, stavolta, uno sguardo freddo al fratello. “Avevate tutto il diritto di difendervi e di proteggere la gente della costa. Sono stati gli uomini di Re Harald a volere queste razzie e adesso lui è morto. Non è stato Ivar ad attaccarvi, non è stato Hvitserk e tanto meno sono stati i coloni Vichinghi che avete massacrato, le donne e i bambini innocenti che volevano solo una terra da coltivare e una famiglia. Avevate il diritto di difendervi, non di vendicarvi.”

Alfred cominciava a sentirsi sempre più a disagio sotto lo sguardo azzurro e cristallino del fratello che illuminava tutte le sue parti più oscure.

“I coloni Norreni non sono così innocenti” provò a protestare, “sono pagani, non vogliono convertirsi al vero Dio e un giorno ci faranno guerra. Sono falsi e bugiardi come i loro dei!”

“E questo chi lo ha detto? Lo hai letto nella Bibbia? O forse lo ha detto Elsewith?” Aethelred sorrise vedendo che Alfred trasaliva, comprese di aver colto nel segno. “Ma sei tu il Re del Wessex, non è Elsewith. E tu sei un Re giusto, un Re che vuole la pace e che sa che i popoli, anche diversi, possono vivere insieme e collaborare. Tu sei il figlio di Athelstan, che era amico di Ragnar Lothbrok e che ha vissuto per molto tempo a Kattegat, in mezzo ai Norreni, senza provare a convertirli ma cercando di comprenderli e apprezzarli. È per questo che dovevi essere tu il Re del Wessex, perché il figlio di Athelstan avrebbe perseguito la pace e la concordia tra Sassoni e Norreni, proprio come avrebbe voluto suo padre. Tu hai sempre ammirato la sua figura, come puoi esserti lasciato condizionare da tua moglie e dai suoi pregiudizi ingiustificati e spietati? Athelstan non avrebbe mai voluto questo.”

Alfred non riuscì più a sostenere lo sguardo del fratello e abbassò gli occhi pieni di lacrime a terra. Era vero, lui si era sempre sentito orgoglioso di essere figlio di Athelstan, lo ammirava, era stato così felice quando gli era apparso e gli aveva parlato durante uno dei suoi lunghi attacchi di malessere in cui pareva morto… Cosa avrebbe pensato suo padre di lui se lo avesse visto in quel momento?

“Lei… Elsewith… mi diceva che tutti mi avrebbero preso per un debole e un codardo se non avessi fatto quello che lei suggeriva” cercò di giustificarsi. “Disse che dovevo dare una dimostrazione di forza, altrimenti nessuno mi avrebbe più voluto come Re!”

“Ma tu non sei affatto debole e codardo, Alfred, e la tua forza è proprio aver cercato la pace e l’accordo con gli altri popoli” replicò Aethelred. “Ti hanno chiamato Alfred il Grande perché hai saputo creare una colonia dove Sassoni e Norreni vivessero in pace, non per le guerre e i massacri. Il vero coraggio è essere disposti a morire per le persone che si amano e per ciò in cui si crede.”

Dicendo questo, Aethelred lanciò un’occhiata a Ivar, che in tutto quel tempo era rimasto dietro di lui, senza riuscire a dire o fare niente perché la reazione del suo compagno lo aveva lasciato attonito. E lo sguardo di Aethelred era insieme di ammirazione, di amore e anche di rimprovero, come a dire Non ti provare mai più a fare una cosa del genere!

Ma anche Alfred guardò Ivar e comprese quello che Aethelred voleva dire: Ivar aveva davvero cercato di proteggere i suoi uomini e le persone che amava e, non avendo ottenuto un accordo di pace, aveva pensato che, se i Sassoni avessero ucciso lui, la guerra sarebbe finita comunque.

Ivar era stato un condottiero migliore di lui sotto tutti i punti di vista.

“Cosa devo fare, fratello?” mormorò, in preda a rimorsi e sensi di colpa.

“Devi solo essere il Re che tutti si aspettano che tu sia” rispose Aethelred, prendendogli una mano tra le sue. “Torna alla tua reggia e convoca i nobili e i capi dei Norreni per un accordo di pace duraturo, come facesti due anni fa. Sii di nuovo Re Alfred il Grande!”

Commosso, Alfred strinse le mani del fratello, mentre attorno a loro i soldati, sia Sassoni che Norreni, gettavano via le armi e rimanevano a guardare sentendosi stranamente in pace.

Fine capitolo diciottesimo

 

 

 

* Ho trovato il testo e la traduzione della canzone cercando su Google ed è una vera canzone norrena facente parte del poema “La saga di Egill”:

Furono le parole di mia madre,

che m'avrebbe comprato, mi diceva,

rapida nave, remi ben torniti

perché razziando conoscessi il mare.

Eccomi ben piazzato sulla prua

a condurre mirabile vascello,

di porto in porto levando la vela,

e ammazzare un uomo dopo l'altro.

Ovviamente né la canzone né la traduzione appartengono a me, bensì a chi ne detiene i diritti e a autori, registi e produttori di “Vikings”.

Fonti:

https://lyricstranslate.com/it/La%20saga%20di%20Egill%20/%20a%20cura%20di%20Marc...

https://lyricstranslate.com

   
 
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