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Autore: vielvisev    27/04/2022    2 recensioni
Questa è la fine dell'era dei Malandrini: Lily e James sono morti. Sirius è accusato di tradimento e imprigionato. Peter Minus creduto morto. Sono rimasti solo due testimoni di quel passato ingombrante: Remus Lupin e Severus Piton.
Mini-Long sulla potenziale amicizia mai nata tra due personaggi simili, ma su due fronti opposti. Sul loro dolore, la loro solitudine e l'accettazione del lutto per loro più difficile da affrontare.
Missing Moments
*
*
DAL TESTO:
Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
-
Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre.
-
“Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco.
Era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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.Diventare memoria.
(Capitolo lungo, leggetelo con calma)



Severus Piton ebbe la certezza che quella notte sarebbe stata l'ultima della sua vita quando vide Remus Lupin morire.
E sorrise amaro dentro di sé nel rendersi conto quanto ancora la fine di qualcosa potesse provocargli dolore.
 E anche Remus Lupin, nel suo ultimo battito di ciglia, forse, ebbe la stessa certezza: quella del privilegio di una morte accanto a un amico quando, in un ultimo gesto repentino, alzò lo sguardo color cioccolato e riconobbe il volto di Severus nella confusione della battaglia e vi scorse l'affetto, il rimpianto e la paura. 
Un respiro. Tanto bastava per passare dall'essere una persona in carne e ossa a un semplice ricordo.

 Per un istante mannaro e spia furono una cosa sola, come se i tormenti dell'uno potessero ancora una volta travasarsi nel petto dell'altro in un precario equilibrio ostinato e condiviso.  Sembrarono quasi scambiarsi mille parole, discorsi, sussurri che non erano mai riusciti a dire ad alta voce e che eppure conoscevano a memoria per tutte le volte che li avevano snocciolati nel buio della loro esistenza. Avevano avuto un anno complicato, Remus e Severus, loro che erano nati entrambi sotto la stella sbagliata e che si erano nutriti di oscurità, anelando la luce. 
 Severus schiuse le labbra, come pronto a dire qualcosa, ma la gola gli si chiuse nell'orrore che provava. Il mondo sembrò improvvisamente andare avanti a rallentatore, come se la battaglia stesse scorrendo su binari diversi da quelli dove lui e il mannaro si trovavano in quel momento. Soli. Stranamente vicini. 
 E scelse il sorriso, Remus Lupin, come ultima smorfia dedicata alla sua vita, un sorriso dolce e comprensivo e Severus lo vide chiaramente, quell'incurvarsi debole e gentile di labbra che aveva imparato a riconoscere e accettare e rimase immobile ed esterrefatto, schiacciato dalla comprensione di ciò che stava accadendo. 
 Sorrideva, Remus Lupin, in pace con ciò che era ora e che era stato nella sua vita ferita e fragile e continuò a guardare Severus per un istante ridicolmente lungo, prima che il suo corpo crollasse nella polvere del parco, con tanta lentezza e quasi eleganza, che Piton si chiese, sconcertato, se la sua licantropia non lo stesse provando a curare dalla morte stessa. Come un'ultima ostinata battaglia d'amore verso la vita, per poi fallire, lasciandolo immobile a terra.
 Antonin Dolohov, lì accanto, si terse la fronte bassa con la manica della veste di Mangiamorte. Gli occhi chiari colmi di stanchezza e il ghigno plastico sul viso squadrato. Sembrava provato dal duello appena concluso. Remus aveva combattuto con enorme e lucida capacità, sdrucciolando solo su un singolo errore, minuscolo, banale: la distrazione che lo aveva colto nel riconoscere i capelli rosa di Tonks, riversa a terra poco più in là.
Un respiro. Era bastato un respiro perché Dolohov lo ammazzasse.


 “Era ostico questo.” esalò il Mangiamorte, riportando Piton bruscamente alla realtà.
Severus si schiarì la voce, rauco. Lanciò uno sguardo al corpo senza vita di Ninfadora, provando un fiotto di doloroso senso di colpa, poi tornò a fissare Dolohov sentendosi per un istante senza controllo.

“Era Remus Lupin” sussurrò e subito sentì brucianti gli occhi di Dolohov correre al suo volto, carichi di sospetto, nell'analizzare ogni sua mossa. 
 “Lo conoscevi?”
 Il Serpeverde abbassò leggermente il capo come a raccogliere i pensieri, i rumori e le grida della battaglia poco distante che gli ferivano la mente. Tonks era bella nella sua immobilità, così giovane e idealista, i capelli rosati a raggiera intorno al volto ovale, ora non più così arcigno. Severus si umettò le labbra, studiandone il profilo sottile e pensò al Patronus della ragazza, alle sue lacrime quando pensava che Remus non avrebbe mai superato la morte di Black, al sarcasmo di lei che aveva quasi apprezzato. Pensò al figlio che non l'avrebbe mai avuta per madre, Severus, invaso da sottile rabbia, ma non riusciva a guardare Remus, non riuscì semplicemente a ruotare il capo e alzò invece gli occhi scuri verso l'altro mago, in uno sguardo colmo di gelido distacco.
 “Come dici?” domandò.
 “Ti ho chiesto se lo conoscevi, Piton. Sembri... sconvolto”

Severus chiuse la sua espressione in una smorfia contratta, cauta. Gli occhi onice, freddi come l'inverno, ora pericolosamente fermi, attenti. Era pallido in volto, le spalle rigide in una posa che faceva pensare al controllo.
 “Frequentavamo Hogwarts negli stessi anni” disse tetro “Era un membro dell'Ordine di Silente, della cricca di Black e Potter, il marito di Ninfadora Tonks, padre di un neonato. Era un lupo mannaro.”
 La sua voce tremava di rabbia e cattiveria mal nascoste e Dolohov fece un istintivo passo indietro. Perché avevano imparato a temerlo, i Mangiamorte, a temere la freddezza e il controllo di Severus Piton, quel suo gelido modo di fare, distaccato davanti a violenze e torture, quell'aplomb annoiato e stanco che nemmeno i Mangiamorte più folli riuscivano a preservare.

 “Lo conoscevi bene allora, Piton.” disse Dolohov con occhi sgranati, incerto e Severus sbatté solo una volta le ciglia, come se stesse considerando attentamente le parole dell'altro e scegliendo come reagire.
 “Non lo conoscevo abbastanza” esalò infine, gelido, in controllo “Ottimo lavoro, Antonin”
 Lo sguardo del Mangiamorte si accese per un istante, come orgoglioso di aver ricevuto un complimento dal sempre impassibile Severus Piton. Sembrò un bambino troppo cresciuto, l'espressione grondante di allegria e Piton percepì quasi il sollievo che scivolò sul volto squadrato e nei respiri dell'altro.
 “Grazie Piton. Lo apprezzo” disse il Mangiamorte.
 “Avada Kedavra”. 
 Dolohov cadde a terra con un tonfo sgraziato e Piton abbassò la bacchetta in un movimento fluido. L'angolo della bocca ancora tremante nel falso sorriso mellifluo che gli aveva dedicato prima di ucciderlo. Si avvicinò alla mole del gigante biondo, spingendolo con un piede per farlo rotolare sulla schiena e gioendo silenziosamente nel vedere quegli occhi chiari ora vitrei e senza forma di vita. Era questo che avrebbe reso per sempre Severus Piton un'anima grigia, incastrato tra i buoni propositi e l'ambizione più nera. Era l'equilibrio, quel desiderio di giustizia malsano e costante, che gli provocava un'acida gioia quando ogni cosa tornava al suo posto, dopo molta pazienza, anche a costo di una violenza, anche a costo di perdere un pezzetto di sé stesso.

 Perché Piton era disposto a distruggere sé stesso e la sua anima in pezzi minuscoli in favore di un bene più grande, della sua redenzione, dell'equilibrio, della giustizia. Aveva grattato così a lungo il fondo della sua esistenza, che nelle notti buie e piene di incubi si chiedeva a volte quale differenza ci fosse in fondo tra lui e Lord Voldemort. Tutto valeva l'equilibrio e la giustizia per lui. Tutto valeva l'immortalità per Voldemort.
Un respiro. Il prato di Hogwarts, scuro come inchiostro nella notte, brillò sfocato per un istante davanti ai suoi occhi.
 “Pezzente” sibilò Severus al Mangiamorte, prima di voltarsi verso l'altro corpo che giaceva a un passo. 
Era Remus Lupin. Remus Lupin. Il suo vecchio amico.

 Ora improvvisamente Severus riusciva ad ammetterlo con sé stesso e sentì il peso di tutto quel passato che fino a quel momento avevano condiviso silenziosamente in due, pesare ancora più oscuro solo sulle sue spalle magre. Osservò il volto rilassato dell'altro uomo, scandagliò le nuove cicatrici, individuandole con facilità, si accorse della magrezza e delle occhiaie stanche anche nella morte.
 Un respiro. Era stato un anno difficile. Un anno logorante. Eppure Severus Piton era ancora vivo per concludere ciò che doveva fare, guardando incredulo il cadavere del mannaro. Eppure ancora non poteva cedere al nulla, ma i ricordi incrinarono il labirinto interiore costruito sulle basi solide della sua Occlumanzia. Un respiro. Un altro ancora.


*

Era stato un anno difficile.
Un respiro.
Un altro ancora.


Severus si obbligò a espandere la sua cassa toracica per permettere all'aria di entrare nei suoi polmoni. Il silenzio intorno a lui era tanto denso da ferirgli le orecchie come fosse un boato. Riprese il suo equilibrio, strinse i denti e si ritrovò a contrarre i muscoli di tutto il corpo in modo repentino, doloroso.
La stanza era quasi buia e dai contorni indistinti. Al di là della grande finestra, solo parzialmente coperta dalle pesanti tende di broccato, riconobbe la sagoma trasparente della serra del Manor. Erano salvi.  
 Bellatrix scoppiò a ridere all'improvviso, alla sua destra, rompendo quell'attimo di stasi con la sua gioia malata e riportandolo bruscamente alla realtà, facendogli mettere a fuoco ciò che era accaduto.
 “Silente è morto” disse lei stridula, gli occhi lucidi di una sincera felicità.
 Severus non disse nulla, ma sotto la sua mano sinistra sentì la spalla di Draco tendersi. Bellatrix si voltò con passo vittorioso, i capelli scuri che sferzarono l'aria intorno a lei, mentre si guardava intorno con malizia evidente. Grayback la seguì a ruota fuori dalla stanza subito dopo, con un mezzo grugnito, il ghigno giallastro che gli tagliava in due il volto ferino.

 Avery, Dolohov e Jugson, invece, apparivano confusi e si scambiarono uno sguardo perplesso, concedendosi di provare un vago sollievo solo quando Severus fece loro un leggero cenno con il mento, permettendogli di rompere le righe e lasciando che si affrettassero anche loro ad abbandonare la stanza.
 L'uomo, rimasto nella stanza solo con il giovane Malfoy, si obbligò a prendere un altro respiro, il volto di nuovo placido a nascondere i suoi sentimenti, l'Occlumanzia che tranciava i suoi tormenti, alzando barriere e labirinti. 
 “Draco” disse rauco, la mano a stringere ancora la spalla del ragazzo, che alzò gli occhi grigi, liquidi di pianto, su di lui.

 “Sì?” chiese incerto, la voce sottile piena di dolore.
 Lo aveva evitato tutto l'anno, quel ragazzino, sfuggendo ai tentativi di Severus di aiutarlo, forse sentendosi un po' predestinato, o credendosi abbastanza forte da affrontare quell'incarico che aveva il solo fine di ridicolizzarlo. Ora però sembrava incredibilmente giovane agli occhi di Piton, il volto magro e pallido, le guance chiazzate di rosa e di vergogna.
 “Devi ricomporti, Draco. Usa l'Occlumanzia, torna in te”
 Malfoy trasalì, il labbro inferiore che tremava senza controllo, ma subito annuì, inghiottendo un groppo di saliva, mentre due lacrime gli rigavano le guance. Per un attimo Severus pensò di dire altro, di provare a essere umano e consolarlo, ma si rese conto che nessuna parola sarebbe stata davvero di conforto.

 L'anima di Draco forse non si era macchiata di una morte, proprio come voleva Silente, ma il ragazzo aveva comunque già fatto il suo passo nel vuoto. Un po' come Severus che, quelle che sembravano vite prima, aveva sputato quella parola, sanguemarcio, definendo così la sua condanna. 
 Draco prese a tremare senza controllo, il petto che si alzava e abbassava in spasmi agitati e lo sapeva, Severus Piton, cosa stava provando il giovane Malfoy, così come sapeva che non ci sarebbe stata pace per lui, che gli incubi lo avrebbero tormentato a lungo, che il disgusto per sé stesso gli si sarebbe attaccato addosso come una condanna.
 “Ho paura” disse sottile la voce del giovane, il capo chino di vergogna. 
Severus tolse la mano dalla sua spalla, risucchiando nuova aria nei suoi polmoni. 
“Non ti è concesso avere paura, Draco. Non ti è concesso più provare nulla ora”
 E si voltò di scatto in un dondolio di mantello, lasciando che il ragazzo affrontasse i suoi mostri. E lo sentì singhiozzare alle sue spalle, mentre lui si affrettava ad abbandonare la stanza, la mente che correva a tutto ciò che doveva fare, quell'intricato e fragile piano che Silente una volta di più aveva affidato a lui, che gli pesava addosso.

Era stanco, Severus Piton. Consumato, ma l'inerzia dei suoi intenti e sensi di colpa lo obbligavano ad andare in avanti ad affrontare i giorni di insonnia che lo attendevano, i piani, le retate, le lunghe ore passate alla presenza gelida del suo Signore.
Sbatté le ciglia una volta, Severus, inghiottendo nella sua mente la luce verde che aveva illuminato la torre d'Astronomia, il corpo di Silente che cadeva nel vuoto, in modo incredibilmente lento e lo sguardo confuso di Remus Lupin che cercava di leggerlo dentro, senza però riuscirci.
Remus Lupin. Piton serrò gli occhi a contare i suoi respiri, lasciando che la calma appianasse la sofferenza. I singhiozzi di Draco arrivavano flebili ora alle sue orecchie, lontani. Remus Lupin. Severus trasalì. Remus Lupin che forse ora si stava rendendo conto di cosa era successo, di quanto Piton fosse stato in grado di annullare sé stesso in favore di un ideale che non gli apparteneva nemmeno, ma che era stato un tempo di Lily Evans, la bambina che lo aveva accettato. 
Non avrebbe capito, Remus Lupin, anche se lui glielo aveva chiesto, con disperazione, di lasciargli il beneficio del dubbio. Non avrebbe capito perché in fondo era un Grifondoro, animato dal coraggio e dal buon cuore e Severus era invece come un veleno amaro, anche quando voleva fare del bene. Severus era disposto a dannare sé stesso per vincere, Remus Lupin solo a portare il peso del mondo sulle sue spalle.
 I singhiozzi del ragazzo continuarono a spezzare il silenzio del Manor. L'uomo sospirò e ritornò sui suoi passi, fino alla stanza dove Draco Malfoy piangeva da solo. Sapeva perfettamente cosa avrebbe fatto Lily Evans al suo posto. Lily avrebbe abbracciato Draco Malfoy, con quel suo broncio contrito e la fronte aggrottata. Lo avrebbe stretto contro di sé fino a imporgli la calma, ragionando fervida alla ricerca di una soluzione, poi lo avrebbe scosso appena, gli avrebbe intimato di trovare il coraggio, gli avrebbe assicurato che lei sarebbe stata a combattere al suo fianco.
 Severus si chinò invece sulle ginocchia, di fronte al ragazzo rannicchiato, lentamente, flettendo i muscoli doloranti per la tensione del combattimento. Guardò Malfoy con distacco distratto e si chiese cosa avrebbe fatto anche Lupin al suo posto. Lupin che una volta lo aveva salvato da un attacco di panico, con pacata gentilezza e un pezzo di cioccolato. Lupin che ora forse lo odiava, sentendosi improvvisamente tradito. 
 Draco alzò appena il capo, pieno di imbarazzo, il volto congestionato come quello di un bambino. Piton mosse solo una mano, appoggiandola sulla sua spalla, come tante volte aveva fatto con lui Silente. 
 “Respira Draco” disse solo, fissandolo freddo “Devi immettere aria nei polmoni.”
Il ragazzo annuì, inghiottendo bocconi di nulla nella gola arida e sbattendo più volta le ciglia.
“Non ci riesco” tremò. Era sotto shock. Sembrava sul punto di perdersi. 
 “Sì, che ci riesci” disse pigro Severus, la mano ancora sulla sua spalla, la mente confusamente persa in ricordi dove i volti di Lily, Remus, Silente, Black e il giovane Regulus si intrecciavano nella sua coscienza “Respira” impose. 
 Draco questa volta eseguì in modo goffo e meccanico, tossendo saliva e angoscia e Severus annuì lentamente. 
 Si sentirono i passi affrettati di qualcuno lungo il corridoio e sulla porta un istante dopo apparve Narcissa, scarmigliata dalla corsa eppure come sempre austera e in controllo. La donna rimase perplessa a osservare il figlio e Piton che gli stava di fronte, una mano sulla sua spalla, poi sbatté le ciglia e fece un passo avanti. Aveva i capelli sciolti e portava una veste da camera in seta, larga e leggera, che eppure risaltava divinamente sulla pelle diafana come quella del figlio e slanciando con eleganza il suo corpo magro e asciutto.
 “Severus” mormorò, con vaga dolcezza. 
 L'uomo si staccò da Draco, rimettendosi in piedi e annuendo appena, si avvicinò alla vecchia amica, guardandola negli occhi con aria grave, come se volesse comunicargli ogni sua preoccupazione, pur senza lasciare intravedere nemmeno una delle sue ferite grondanti di colpa.
 “Che è successo?” chiese lei, pacifica.
 “La missione è riuscita” 
 Gli occhi di Narcissa tremarono dietro i suoi muri di Occlumanzia. Severus la vide incrinarsi, ma solo perché si conoscevano molto bene. Inarcò appena un sopracciglio, per intimarle il controllo e in un respiro Narcissa fu di nuovo sé stessa, stese un sorriso morbido e chinò il capo in un cenno di ringraziamento. 
 “Grazie per aver riportato a casa Draco”
 “Non che avessi scelta”
 “Grazie comunque”
“Il ragazzo ha bisogno di cioccolato” disse Severus.
“Cioccolato?” chiese vagamente stupita la Black. 
“Cioccolato” confermò lui con un cenno stanco e uscì dalla stanza con uno sventolio del suo mantello.
Un respiro.

*

Un respiro.
Un altro ancora.

I capelli rosa di Tonks erano intrecciati con fiori di campo e lei sorrideva, avvolta nel semplice vestito bianco e sembrava così giovane e spensierata, felice forse. Remus Lupin si sentiva un relitto invece, sul punto di affogare, mentre stringeva le mani della ragazza e si obbligava a sorridere a sua volta, anche sé dentro di sé continuava a sanguinare. 
 Aveva abbandonato l'appartamento Babbano dove lui e Sirius erano stati quasi felici, Remus Lupin, lasciandolo quasi intatto: una tazza vuota appoggiata accanto al lavello, i dischi nella loro scatola, i libri spolverati sugli scaffali. 
 Non aveva portato nulla con sé in quella nuova vita, se non sé stesso e una sacca di vestiti. Si era lasciato trascinare da Tonks amorevolmente, aveva osservato la sua nuova casa con distacco, obbligandosi solo a una smorfia gentile, mentre ispezionava distratto i mobili in legno e le ampie e luminose finestre. 
Tonks era viva, tutto intorno a lui, ostinata a ritagliarsi in quella guerra un pezzetto di pace. Non gli faceva mai domande, non lo obbligava a essere contento, né a prendere delle scelte, solo gli stava accanto, poggiando la sua testa sulla sua spalla la sera, prendendogli il volto tra le mani a volte, baciandolo delicatamente sulle labbra.
 Cercava di amarla, Remus Lupin, concentrava su quella ragazza tutte le sue energie, per non pensare all'anima persa di Sirius Black, il corpo spezzato di Silente alla base della torre di Astronomia, gli occhi scuri colmi di paura di Severus Piton. Abbracciava Tonks quando si sentiva di perdere l'equilibrio, si ricordava di farle un sorriso ogni volta che beveva un sorso di caffé, cercava di ricordarsi che lei era vera, che esisteva, che lo stava salvando dalla solitudine. 
 Aveva smesso di andare al cimitero da Lily e James, Remus Lupin, per paura di incontrare Severus. Si era rivelato ancora un codardo, come anni prima aveva accettato il suo incarico ad Hogwarts solo per paura che Black lo andasse a cercare. Fuggiva dalle responsabilità con garbo, applicandosi solo quanto il suo ruolo di membro dell'Ordine richiedeva.  

 Ascoltava le riunioni, usava la strategia sui piani in modo fiacco, pensava distrattamente ad Harry, accettava di andare presso i branchi di lupi mannari durante le trasformazioni senza mai lamentarsi, carpiva informazioni, dava sostegno a chi lo chiedeva, senza dare peso alle sue cicatrici sempre più numerose e alla stanchezza quasi soffocante. 
Galleggiava, Remus Lupin, obbligandosi blandamente di fare la scelta giusta. Si ricordava appena di mangiare e si abbandonava al riposo quando Tonks glielo imponeva. Le sorrideva allora, la carezzava se si sentiva lucido a sufficienza, cercava di essere gentile e quando lei la notte gli si stringeva contro, tiepida e dolce con il suo odore di miele e cannella, Remus la abbracciava a sua volta e strizzava gli occhi in cerca di dettagli su cui lasciar cadere la sua concentrazione: il piccolo neo nell'incavo del collo di lei, il profumo delle pareti della loro stanza, il suono dei loro respiri. Si lasciava portare avanti dalla marea tranquilla Remus Lupin, respiro dopo respiro, tentando di provare gratitudine, facendo qualunque cosa in suo potere per essere una brava persona e non dover pensare mai e poi mai a Severus Piton e a quella richiesta spezzata: “Lasciami il beneficio del dubbio, Remus.”

 Tonks gli aveva chiesto di sposarla una mattina, sorridendogli in quel suo solito modo leggero e tranquillo, mentre leggeva le notizie del Profeta sgranocchiando un biscotto. Aveva i capelli di un arancione chiaro quel giorno e lentiggini sparse sul piccolo naso che gli facevano pensare a Lily.
 “Potremmo fare una piccola festa dei Weasley” aveva detto la ragazza, scrollando le spalle come fosse una cosa di poco conto “Prima che tutto peggiori potrebbe essere un bel momento da ricordare”
 E Remus aveva alzato il capo e aveva pensato subito al matrimonio di Lily e James, in quella tiepida giornata che era sembrata a lui perfetta. Aveva pensato alla spalla di Sirius contro la sua, a Peter Minus che rideva alle battute di Mary in modo troppo sguaiato, alla speranza che lo aveva invaso nell'incoscienza della sua giovinezza, mentre ruotava ubriaco sulla pista da ballo insieme a Black, strizzandosi ai vicenda i fianchi, un po' per scherzo un po' per amore.

Sei felice, Moony?”
“Solo se lo sei anche tu, Padfoot”

Aveva pianto quel giorno Lily, mentre lei e Remus osservavano da lontano James ridere con Sirius di qualcosa. Aveva pianto lacrime pesanti, che si mischiavano al suo sorriso perenne, in mezzo a tutte le sue lentiggini. Aveva pianto perché Severus non era lì con lei e Remus l'aveva abbracciata con dolcezza, trovandola fragile e vera, e le aveva offerto un pezzetto di cioccolato, che Lily aveva afferrato ridendo appena, scuotendo il capo con un gesto elegante, ciocche rosse che le accarezzavano la fronte e le gote.

Sei davvero il solito, Remus Lupin”
“Tu sei la solita Lils, per questo ti voglio bene”

“Cosa pensi? Ci sposiamo?” aveva chiesto di nuovo Tonks, con una risata leggera.
 E Remus aveva risposto “Ok Dora, sposiamoci” e ora che lei gli era di fronte, con i capelli rosa intrecciati di fiori, quasi non ci credeva e sorrideva meccanicamente in modo quasi felice e pensava che Lily aveva avuto ragione. 
 Mancava Severus. L'unica persona che era testimone di tutta la vita di Remus Lupin. Mancava decisamente Severus a quel matrimonio con poco senso e tanto amore, tra una giovane e un mannaro, dove Tonks sorrideva felice e i Weasley applaudivano affettuosi. Severus che se ci fosse stato avrebbe scosso la testa e detto: “Ora sì che sei fregato, Lupin. Chissà cosa direbbe quel cane di un Black?”, alzando verso di lui un bicchiere di Whiskey, il ghigno in fondo non così amaro.
 Remus Lupin si sentì sul punto di piangere, come non faceva da anni e la sua sofferenza venne presa dai presenti per commozione. Strinse la mano a Dora, per non perdere il coraggio, si obbligò a spandere la cassa toracica per continuare a vivere.
Un respiro.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Severus represse la nausea e la stanchezza in fondo alla sua volontà, mentre avanzava nei corridoi del Manor. 
 Lucius lo seguiva a pochi passi, terrorizzato dalla sua stessa ombra, fragile come vetro. Non sapeva come aiutarlo, Severus Piton, che un tempo aveva giudicato Lucius Malfoy quasi un amico, un discreto conoscete almeno, e che ora cercava di ignorarlo per controllare la sua irritazione.
“Severus” lo chiamò rauco l'altro l'uomo “Cissy dice se potessimo risparmiare a Draco...”
 “L'Oscuro ha detto che devono esserci tutti, Lucius. Tuo figlio ha il marchio. Non lo salverà la sua età. Se volevi risparmiarlo avresti dovuto evitare di andare ad Azkaban e di far sì che lui fosse marchiato”
Lucius fece un mezzo rantolo, mentre arrancava nel seguirlo, ma Severus Piton non diminuì il passo, né lo degnò di uno sguardo. La magia nera di quel luogo gli si incollava addosso come inchiostro gelato, rendendolo insofferente e facendo tremare la sua Occlumanzia. Era ormai però una macchina di perfetta e cinica freddezza, Severus Piton e con impazienza fece solo calare altre pareti interiori, ordinando ricordi e informazioni su scaffali immaginari, stipandoli in modo didascalico in un labirinto che conosceva a perfezione. PrecisoOrdinato
 Una piccola parte di sé si chiedeva a volte se occludere le sue emozioni così a lungo non lo avrebbe reso inumano, ma non aveva in fondo nessuno più al mondo con cui essere sé stesso, Severus Piton, poteva fregiarsi del titolo di mostro.
 “Severus...”
 “Taci Lucius. Risparmia il fiato” gli intimò mentre scendeva l'ultima rampa di scale verso la sala principale.

 Quando entrarono nella sala gremita di Mangiamorte, intorno al tavolo lucido e nero reso più ampio del solito dalla magia, l'aria era tesa e resa pesante da una tangibile attesa. Severus non reagì e contrasse la sua Occlumanzia fino allo sfinimento, nel tentativo di ignorare i brividi involontari che la magia nera provocava sulla sua pelle pallida e pregando che Lucius avesse la decenza di continuare a muoversi fino alla seduta libera accanto a Narcissa, come sempre elegante e dall'aria vagamente distratta. 
 “Severus” sussurrò Voldemort nel vederlo, il tono mite, quasi dolce nei suoi confronti “Siedi qui, alla mia destra.”
Piton fece un breve cenno con il capo ed eseguì senza battere ciglio, ignorando gli sguardi nervosi dei presenti. 
 C'era qualcosa nel modo in cui l'Oscuro lo trattava che gli dava ancora una sorta di tiepido piacere, una rivalsa nei confronti del sé stesso appena adolescente che insieme a Regulus Black aveva occupato gli angoli delle stanze, senza che nessuno si accorgesse di lui. C'era qualcosa anche nel cieco terrore e nella gelosia latente, che coglieva negli altri maghi intorno al tavolo, che faceva tremare dentro di sé un ghigno vittorioso e misurato, perché anche se lavato delle sue cattive intenzioni, il capo chino per redimere i suoi peccati, Severus Piton rimaneva una persona avida di riconoscenza.
Ed era ora utile, Severus Piton, ben diverso dal bambino che aveva ascoltato pieno di desiderio di rivalsa i racconti scomposti sussurrati da sua madre. Era utile ora, Severus Piton, esattamente come Silente gli aveva chiesto di essere. Utile tanto da poter sedere accanto a Voldemort con relativa calma, avendo il privilegio di notare i vaghi tremori e le sottili crepe che il mago Oscuro cercava di nascondere. Utile abbastanza da avere il diritto di parola e la concessione della credibilità.

 Voldemort era sul confine tra la vita e lo sgretolarsi del proprio corpo, sempre più simile a un guscio tenuto insieme da rabbia e volontà, era evidente. Severus ne era testimone, ma era anche consapevole di come questo dovesse provocare terrore e spingerlo ancor più intensamente a non abbassare la guardia. Perché come un animale in gabbia che sa di essere sul punto di morte si ostina a sperare nella vittoria, diventando rabbioso e privo di logica, sapeva che Voldemort, anche se consumato dalla sua stessa avidità, poteva essere ancora pericoloso.
Per questo fingeva più distacco di quel che servisse, Severus Piton, lasciando che fosse Bellatrix a mostrare dell'infantile entusiasmo a ogni successo. Per questo si era ammantato di mistero e freddezza, rinunciando con un battito di ciglia ai premi che l'Oscuro dava ai suoi sostenitori più accaniti, rifiutando le prigioniere, scivolando via durante i festeggiamenti di ogni vittoria. Perché Severus teneva in equilibrio la sua figura, allontanandosi da ogni piacere o gentilezza, assicurandosi l'arido controllo della sua esistenza. Si fingeva umile e restio a muovere il suo pensiero su altro che non fosse la loro causa. Era solo e triste. Il servo perfetto di Lord Voldemort.
 Mormorò parole giuste al momento giusto in quella riunione, lottando con la nausea e il disgusto, facendo scivolare fuori dalle labbra le informazioni, dando consigli. E rimase impassibile Severus, il volto distaccato e la mente che correva a mille ragionamenti, aggrappandosi a immagini varie e confuse che lo portassero fuori di lì, mentre i Mangiamorte tenevano il capo chino al tavolo, come ogni volta che Voldemort sorrideva, persino Bellatrix e Draco sembrava sul punto di accartocciarsi su sé stesso. Solo Narcissa teneva il capo sollevato.

“Severus ti prego. Siamo amici”
 Piton si irrigidì appena e mise a fuoco la situazione di fronte a lui, da cui aveva provato a estraniarsi.
Charity Burbage lo guardavo con occhi umidi di terrore, le labbra sottili socchiuse in una preghiera speranzosa, il corpo legato e provato dalla prigionia e Severus Piton cercò di non provare nulla, di nascondere il moto di paura che lo aveva invaso dietro lo sprezzo, perché sapeva che gli occhi di Voldemort lo stavano scrutando, sapeva che la sala intera stava trattenendo il respiro, ed era anche dolorosamente consapevole di come Charity Burbage non fosse una pedina abbastanza importante per permettersi mettere tutto in gioco.
Charity era una reazione collaterale, il male necessario perché ogni cosa seguisse il suo corso nel modo corretto. Salvarla non era strategicamente corretto. Non avrebbe migliorato la posizione di Severus nei Mangiamorte, non avrebbe indebolito Voldemort, non avrebbe salvato Potter. Charity Burbage era sacrificabile. 
E non importava che Piton avesse chiacchierato con lei tra i corridoi della scuola, stupendosi della pacata intelligenza della Corvonero. Non importava che l'avesse vista seduta accanto a Minerva nelle sere invernali, a ridere sommessamente con una tazza di the tra le mani. Non importava che fosse una sua collega, gentile per altro e capace, che una volta gli avesse augurato 'Buon Natale' con un sorriso quasi amichevole, che fosse mite e riservata, in modo inusuale e apprezzabile e che soprattutto non avesse nessuna colpa, se non quella di insegnare Babbanologia. 
Severus sbatté nuovamente le palpebre, grondante di disinteresse e la donna torse ancora il collo, le lacrime che le colavano tra le guance magre e lo guardò dritto in volto, ripentendo ancora e ancora “Severus, ti prego. Siamo amici”.
E avrebbe voluto stracciarsi il petto e morire Severus Piton. Proprio in quel momento. Avrebbe voluto smettere di combattere una guerra di cui intuiva non avrebbe visto la fine, ma continuò a guardare Charity Burbage, dritto negli occhi: quel danno collaterale, quella pedina sacrificabile.  Si lasciò avvelenare dall'odio per sé stesso, Severus, mentre una parte blanda del suo cervello si chiedeva quanti incubi avrebbero tenuto sveglio quella notte il giovane Draco Malfoy, che singhiozzava dall'altro lato del tavolo, mascherando la sua paura con un'espressione di orrore e l'altra si chiedeva cosa avrebbe fatto lui, Severus Piton, ingrato e incapace di dire una parola per risparmiare a una collega quella fine orribile, se su quel tavolo lucido e nero ci fosse stato Remus Lupin.
La morte di Charity Burbage era un evento collaterale, certo, ma la sentì abbastanza gelida contro le sue ossa, Severus, per capire che non sarebbe riuscito a compiere il destino che lo aspettava se avesse conservato un po' di speranza. Perché la speranza era falsa e ingannatrice. Perché era la speranza che aveva fatto voltare la donna verso di lui, in cerca di aiuto e compassione e lui, Severus Piton, non poteva permettersi il lusso di sperare, né di sbagliare. 
 Si alzò meccanicamente insieme agli altri al gesto del suo signore, mentre gocce di sangue cadevano sul pavimento con suono sordo e Nagini si allontanava in una scia di sangue. Si costrinse a non trasalire al tocco di Voldemort sulla sua spalla, rarefatto e gelido, ma velato di approvazione. Si obbligò a camminare verso Draco Malfoy e costringerlo ad alzarsi, dato che Lucius non sembrava reagire e lo esortò a seguirlo fuori da quella stanza, prima che qualcuno potesse approfittare del suo terrore. 
 Si nascose dietro maschere di Occlumanzia, rabbia e ostinazione, Severus Piton, lasciandosi alle spalle quella scena che sapeva di rancore e perdita, con uno svolazzo di mantello, provando a non pensare allo schiocco delle mandibole di Nagini e mantenendo l'espressione chiusa e austera, la mente che già galoppava al suo prossimo compito.

 Non poteva permettersi di piangere Charity Burbage, che un tempo aveva riso alla tavola dei professori, avvolta in quelle vesti un po' datate che amava però indossare. Non poteva permettersi di immaginare lo sguardo color cioccolato di Remus Lupin su quel tavolo nero, non implorante come la donna, ma anzi: serio e arreso.
 Piton strinse la mano più forte sulla spalla di Draco, spingendolo per i corridoi del Manor, inghiottì saliva, cercò il controllo. Perché lo sapeva perfettamente, Severus Piton, che se fosse stato Remus Lupin quello in procinto di essere sbranato da Nagini, allora forse la sua maschera sarebbe caduta con un clangore tragico, frantumando in pezzi la ragione. Forse un atto di egoismo lo avrebbe spinto a intervenire, a non perdere un'altra fragile parte di sé, un altro amico. Severus strinse gli occhi e inalò aria, sentì la voce sottile di Draco chiamarlo con tremore. 
 “Professore. Professore, si sente bene?”
L'uomo aprì gli occhi a scrutare verso il basso quel ragazzino pallido e ferito. 
 “Sto bene, Draco. Va in camera tua ora” rispose secco “Chiudi la mente, impara a nascondere il terrore. Puzzi di paura lontano un miglio. La paura è un'arma pericolosa, non lasciare che ti sbriciolino, Malfoy. Ok?”
 “Signore io...”
 “Non fidarti di nessuno. Nemmeno di me” lo fermò Piton e ancora una volta gli diede le spalle e si allontanò in fretta, ascoltando il suo stesso consiglio, nascondendo il suo dolore e il volto di Charity dentro di sé.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Remus beccheggiò in avanti, il sudore che gli colava lungo il collo e i denti tanto stretti da trafiggergli con un dolore sordo le tempie. Cercava di trattenere George contro il suo corpo con il braccio destro, ma il sangue che usciva copioso dall'orecchio del gemello rendeva la presa scivolosa e il sapore ferroso che si irradiava da lui distraeva i suoi sensi. 
 “George, non mollare la tua scopa.” mormorò con disperazione, ma il mugolio che il gemello fece dal limite della sua coscienza lo mise maggiormente in allarme, piuttosto che tranquillizzarlo. 
 Remus inclinò la scopa con la mano sinistra, schivando per un pelo un getto verde lanciato verso di loro e avvertendo un fiotto di disperazione nel petto. Non poteva usare la bacchetta per difendersi, o George sarebbe caduto e cercava quindi solo disperatamente di evitare le maledizioni in arrivo, gestendo goffamente la scopa con la mano sinistra.

 Ma non era mai stato provetto nel volo, Remus Lupin. Sirius era quello bravo, quello che insieme a James, persino nella luce trasparente delle albe invernali, si librava leggero sulla sua vecchia scopa come se fosse fatto d'aria. Riusciva a vederlo chiaramente nei suoi ricordi, Sirius Black con lo sguardo illuminato dal divertimento e l'ebrezza della velocità che gli scompigliava i capelli. Bello, vincente, inarrivabile. Remus ci aveva provato a volare, anche solo per non sentirsi troppo diverso, anche solo per causare in Sirius un sorriso, ma stare lontano dal terreno lo metteva a disagio, rendendolo particolarmente vulnerabile e seccandogli le fauci, ed era stato Sirius a insegnarli come trattenere la scopa per ammorbidire la caduta e come muoversi in aria in modo accettabile, evitando di essere strattonato a destra e sinistra.
 Un altro fiotto di luce rossa si diresse verso di loro, sfiorando il suo gomito sinistro. Remus trattenne il respiro stringendo George con più disperazione e invertendo bruscamente direzione. Doveva scendere a terra. Ora. 
 La sua mente si mosse confusa in cerca di una strategia che avesse senso. Era sempre bravo a improvvisare sotto tensione, nonostante amasse preparare meticolosamente ogni sua mossa. E il suo istinto era buono per quanto non sempre amasse seguirlo, dubitando della parte animale che si celava nel suo sangue. Ma Remus lo sapeva, non c'era tempo di ragionare in quel momento, il cielo sopra di loro era una ragnatela di incantesimi, urla e maledizioni e quindi continuò a muoversi, per non rendersi un facile bersaglio, pungolando il peso di George sul suo fianco.
 “Mi sento svenire” mormorò il ragazzo.
 “Resisti” gli rispose lui, cercando di ignorare il panico. 
George aveva ancora le fattezze di Harry, che era un ragazzo piuttosto smilzo, ma di lì a poco la Polisucco avrebbe terminato il suo effetto e l'alto e dinoccolato gemello sarebbe stato più difficile per Remus da gestire. Serrando le labbra, lanciò un ultimo veloce sguardo ai combattenti per valutare la situazione e riprese a scendere. Era impossibile riconoscere le sagome delle persone da quella distanza, mischiate in una furia cacofonica, eppure il suo sguardo trovò senza fatica Severus. Severus
 L'uomo si muoveva seccamente in aria, con traiettorie nervose e spezzate, come se cercasse di essere ovunque, ma non fosse completamente a suo agio sulla scopa. Remus sbatté le ciglia e lo vide sparire in uno sbuffo di fumo nero e comparire in un altro punto del cielo un secondo dopo, muovendo la bacchetta da ogni lato, in gesti precisi e studiati. 
Non stava colpendo nessuno. La consapevolezza cadde sul mannaro come un manto, in un altro battito di ciglia. E lo sapeva, Remus Lupin, che Severus Piton non era fatto per fallire nella vita.   Che era abile e spietato e che se avesse voluto avrebbe potuto ucciderli tutti. Perché era potente, allenato, avido di riconoscimento. Preciso.
Lo sapeva, Remus Lupin, che in nessuno scenario possibile poteva esistere un Piton che mancava più volte i suoi avversari, mentre le sue maledizioni sfioravano l'aria intorno all'Ordine, ma non andavano mai a segno. Le lanciava e subito dopo il suo sguardo si muoveva di nuovo, come in cerca di un nuovo bersaglio da non colpire. 
In quell'attimo di consapevolezza Remus si chiese se addirittura Piton non stesse cercando di distrarre i Mangiamorte, con tutte quelle fatture così luminose, che passavano così vicine alle loro scope, potenti e destabilizzanti, ma mai letali e nel momento in cui rimase a guardare, il mannaro si rese anche conto che Piton aveva ferito George proprio mentre Dolohov li stava inseguendo e si chiese, se il Sectumsempra non fosse stato rivolto a lui piuttosto che a loro.

La nausea gli serrò il respiro. Era troppo da gestire e processare e George stava perdendo sangue a fiotti e pesava sempre di più. Remus si chinò in avanti, scendendo nuovamente di quota, non poteva smaterializzarsi con il gemello in quella condizione e non potevano farsi notare se volevano uscirne vivi. 
 “Ci sei George?” chiese. 
 “Non molto Rem” rispose atono il ragazzo, pallido in volto e con gli occhi sgranati.
 “Resisti ancora un poco” rispose il mannaro, guardandosi cautamente alle spalle “Dobbiamo scendere lenti”
 Severus Piton era immobile nel cielo stellato e anche a distanza Lupin seppe che era rivolto verso di loro e si chiese per un attimo cosa stesse pensando quell'uomo distrutto che aveva quasi creduto amico, con cui aveva condiviso cioccolato e whiskey d'annata, sgrattando le reciproche colpe con stanca arrendevolezza. Si scambiarono uno sguardo ferito e senza parole e Remus si ritrovò a pensare alla richiesta dell'uomo di concedergli il dubbio, che lui non aveva voluto prendere in considerazione, allontanandola ferocemente dai suoi pensieri. 
 “Rem” sussurrò rauco il gemello “è Piton quello che ci sta guardando?” 
Lupin inalò aria e non rispose, ma scese lentamente di qualche altro metro, continuando a lanciare sguardi all'indietro per assicurarsi che tutti gli Harry e i loro difensori si attenessero al piano. Piton era ancora immobile e sembrava completamente assorbito dai suoi pensieri. Si stagliava come un'ombra nera e austera sul cielo illuminato dai lampi della battaglia, il mantello ondeggiante nella notte tiepida.
Aveva colpito George. Vero. Non poteva essere che lui, perché quel taglio sanguinolento era chiaramente inferto da un Sectumsempra, ma forse il suo intento era stato fermare Dolohov? Remus se lo chiese di nuovo e di nuovo e ancora. 
Quando il gigante biondo si era accanito su di loro, ridendo animalesco e senza controllo, non aveva forse gridato Piton “Lasciali a me, Antonin, tu va oltre?”. Ma Piton non li aveva seguiti, li aveva lasciati fuggire, aveva permesso che Lupin riafferrasse George e si allontanasse quanto bastava perché si rimettessero in equilibrio sulle loro scope.

 Remus schiuse le labbra, preso dallo stupore, il cuore che gli batteva feroce nel petto e gli occhi improvvisamente lucidi di stanchezza. Cercò di ritrovare il respiro. Cercò di pensare a Tonks e la sua razionalizzata calma nell'affrontare ogni cosa, ma era difficile. 
 “Rem” esalò di nuovo George, il mannaro chinò il capo a controllare il gemello e quando lo rialzò Severus non era più lì. Con la coda dell'occhio vide Malocchio gridare, nel tentativo d riafferrare Mundungus, che preso dal panico si smaterializzò poco più in là. Ci furono altri lampi e la notte per un istante venne illuminata dalla morte. 
Remus lanciò un ultimo sguardo intorno in cerca di Severus, ma l'uomo sembrava essere scomparso. Contò le copie di Harry in aria. Uno, due, tre. Il vero Harry non era più lì: potevano andare. Remus inclinò la scopa e sentì l'aria data dalla velocità della loro discesa sferzargli il volto e cancellargli le lacrime. Trattenne il respiro, strinse George e raggiunse il prato sotto di loro, atterrando con un po' troppa irruenza. La passaporta li attendeva. Un vecchio scatolone al lato della strada. Remus strinse con forza George e si mise a correre. I lampi della battaglia continuavano a rischiarare per brevi istanti il cielo sopra di loro, da laggiù sembrava quasi un temporale.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Preside. A volte Severus avrebbe voluto ridere amaro della sua condizione, l'avrebbe fatto, se non fosse stato così stanco. 
 Preside. Capo di una scuola che odiava ed amava con tutto sé stesso. Ragno su una tela di menzogne e piani intrecciati insieme. L'uomo si chinò in avanti e vomitò sull'erba umida del parco, scosso da tremiti. Non riusciva più a respirare Severus Piton. Non riusciva più a gestire la solitudine, il rimorso e la paura, le pareti Occlumantiche del suo labirinto interiore costantemente alzate, il disgusto fasullo che gli sta contraendo i lineamenti in una forma nuova. 
 Aveva bisogno di dormire Severus, ma le notti erano consumate a camminare sul perimetro della scuola, come un tempo aveva fatto con Remus Lupin, lasciando che la mente corresse veloce, ad analizzare ogni prossima mossa e schema e i giorni era estenuati dai Mangiamorte e le richieste, da quella magia Oscura così malata.
Aveva perso la sua motivazione Severus, il suo riscatto, la sua possibilità di sopravvivere a quella guerra. Albus era ridotto a un dipinto ironico che gli parlava da una parete, nessuno sapeva del suo doppio gioco, le responsabilità e gli occhi rossi di Lord Voldemort che pesavano sui suoi incubi terribili e gelidi. Si chiedeva blandamente quanto a lungo potesse ancora resistere, mentre sentiva la magia oscura addensarsi nei suoi polmoni e sui suoi legamenti, come un veleno logorante e acido. Si riempiva lo sguardo di orrore, avvertendo l'odio degli studenti ogni volta che entrava in una stanza. Lo temevano, ma non più come forma di rispetto e stupore. Lo temevano tutti con un sguardo rovente e feroce. Severus tremava la notte al solo pensiero. 
 Era stato un ragazzino solo, affamato di riconoscimento e nutrito dall'ambizione un tempo. Era stato un ragazzino fragile, incapace di processare i sentimenti, avventato nel suo timido fervore. Non meritava questo. 
 “Piton.”
Severus era ancora chino in avanti, scosso da deboli conati, ma raddrizzò la schiena, facendo leva sulle ginocchia con le mani e cercando di ignorare il sapore acido che sentiva nel fondo della gola. Tremò. Era debole. E ferito.
 “Minerva”
 La donna lo guardava con perplessità evidente, un sopracciglio inarcato verso l'alto che le dava uno sguardo severo. 
 “Stai poco bene?” lo chiese con tono asciutto, ma velato di preoccupazione.

 Severus si lasciò sfuggire un ghigno stanco, gli occhi scuri torbidi di rassegnata stanchezza. Una punta di umiliazione che gli pungolava lo sterno nell'essersi fatto trovare così privo di difese.
 “Da quando ti preoccupi di come sto, Minerva?”
Le labbra della donna ebbero un guizzo curioso, gli occhi chiari vagamente indignati. 
 “C'è stato un tempo in cui mi sono molto preoccupata per te, Severus”
 “E ora?” chiese acido lui, scostando lo sguardo.
Perché non riusciva a gestire anche l'odio di Minerva nei suoi confronti, Severus Piton, non sentiva di meritare anche quel terribile flagello. Non voleva affogare anche in quella umiliazione feroce.

 Minerva rimase immobile, senza dar cenno di volersi avvicinare, ma nemmeno di andarsene. Lo scrutò con rassegnata tristezza, un velo di dispiacere a inquinare i suoi lineamenti, le labbra serrate in sconforto. 
“Ora non riesco a capirti, Piton”
 “Forse non l'hai mai fatto Minerva.”
 “Sono stata tua insegnate” replicò nervosamente lei “Credo di conoscerti meglio di quel che pensi”
“Albus Silente è stato insegnante del Signore Oscuro, eppure non è riuscito a fermarlo.”
 “Vuoi che io ti fermi, Severus?” chiese pacata lei e lui si voltò a guardarla e per un istante ci fu silenzio.

 “Non puoi fermarmi” disse brevemente “Non dipende da me”
 La donna si strinse le mani, osservandolo attentamente, nella luce serale parve quasi più austera, avvolta di una strana bellezza, con quel volto che esprimeva rispetto e che avrebbe voluto distribuire dolcezza. Era stata una buona conoscenza per Severus, Minerva McGranitt, un'altra delle innumerevole persone che aveva dovuto spolverare dalla sua esistenza, in una privazione continua e sfiancante.
 “Perché lo hai ucciso?” chiese lei, con tono tranquillo, stranamente comprensivo “Perché hai ucciso Albus? Come hai potuto, Severus? Lui ti voleva sinceramente bene, eri come un figlio.”
 Due lacrime caddero dagli occhi neri dell'uomo prima che potesse fermarle, rigando le gote magre, ma la sua espressione rimase piegata dal disgusto, le labbra serrate, le spalle rigide, la mente distante. Minerva lo scrutò in silenzio.

 “E Remus...” riprese pacata. 
 “Cosa c'entra il mannaro?”
“Eravate amici, no? E gli hai voltato le spalle. Forse non sei stato mio amico, Severus... ma Remus.”
 “Non eravamo amici. Non lo siamo mai stati.”


 Lo sguardo della donna tremò incerto e il dolore si spanse nel corpo di Severus. Scorse nell'anziana un po' di comprensione, del dubbio, della tenerezza. Era una strega incredibile Minerva, potente, intelligente, sagace. Coraggiosa come il peggior Grifondoro, con la mente fervida di un Corvonero, la volontà di un Tassorosso e l'istinto tagliente dei Serpeverde chiusi tutti in un'unica persona, ma era una pessima Occlumante e Severus non voleva caricarsi anche della sua morte, non voleva essere la causa della fine di Minerva McGranitt. 
 “Non ficcare il naso dove non devi, Minerva. Stanne alla larga.”
 “Sto solo cercando di capire, Severus. Non capisco come il figlio putativo di Albus, il migliore amico di Lily Evans, una delle poche persone in grado di tenermi testa in questa scuola e colui che ha trascinato Remus Lupin fuori dalla sua depressione, malgrado il disprezzo che avevi per Sirius, si possa essere trasformato in un tale mostro.”
“Minerva. Devi rimanere fuori da...”
 “Io non credo che tu sia un mostro. Credo che tu mi stia nascondendo molto. Credo che tu stia soffrendo al posto di tutti noi e non è giusto. Albus aveva tante qualità e una mente brillante, Severus, ma a volte mancava di...”
 “TACI” ruggì Severus, il volto macchiato da chiazze rosse e il respiro trafelato e Minerva trasalì, percependo il pericolo in quell'uomo così spezzato, senza più forze e tenuto in piedi dalla disperazione. 
 “Severus...”
 “Taci.” ripeté lui debolmente “Sono un mostro, Minerva. Non cerco compassione, non cerco redenzione. Ho ammazzato Albus Silente sulla torre di Astronomia senza battere ciglio. Sono marchiato come ogni Mangiamorte per ricordare a chi appartengo. Non ho amici, non ho appoggi e non li voglio. La mia anima è nera e grondante di rabbia. Non ho possibilità di salvezza e provo solo disgusto per voi che mi guardate con la vostra pietà ridicola, speranzosi di potermi salvare. Non voglio il tuo aiuto, Minerva. Non voglio la tua compassione”
 “Severus, se solo tu...”
 “Non sei mia madre” sibilò lui con sospiro e sul limite della sua risposta, osservando il tremore nello sguardo dell'altra, capì che se voleva impedire che la donna si mettesse in pericolo, scoprendo cose che non poteva occludere, doveva ferirla più a fondo, doveva recidere per sempre il loro legame, o lei avrebbe continuato a scrutarlo in cerca di qualcosa che assomigliasse a speranza “Non sei mia madre, Minerva. Non sei la madre di nessuno. Sei una donna arida e senza futuro che perde i suoi giorni tra queste pareti per studenti che non apprezzano quello che sei e quello che fai. Sei ridicola Minerva. Sorpassata. Nemmeno Albus si fidava abbastanza di te da dirti cosa aveva in mente. Ti ha lasciato con nulla in mano se non la tua disperazione e sei talmente cieca che continui ad affannarti per persone che ti considerano nulla. Stai lì a guardarmi con occhi sgranati, nomini Lupin, Silente e la sudicia Evans, forse nella speranza di smuovere qualcosa in me. Mi fai pena. Mi disgusti. Mi fai ribrezzo”
 Le parole uscivano dalle labbra di Severus come un fiume in piena, facendolo sentire sempre più vuoto. Ad ogni insulto la voragine della sua solitudine si apriva sotto di lui, pronta a inghiottirlo e il suo cuore tremava disperazione, mentre il volto di Minerva e la sua compostezza si sgretolavano di fronte a lui e il ricordo di quelli di Lily, Albus e Remus si confondevano nel suo passato. L'attacco di panico lo colse all'improvviso, mentre ancora snocciolava cattiverie. I polmoni gli si chiusero, la vista sfocò e i muscoli tremarono disperati, contraendosi in cerca di una inesistente via di fuga.
 Ma non c'era Remus Lupin quella volta, a ordinargli di respirare e a tenerlo ancorato al terreno, come Severus aveva imparato a fare con il giovane Draco Malfoy. Non c'era nemmeno la dolcezza determinata di Lily, o la distratta e tranquilla presenza di Regulus Black. Non c'era il paterno silenzio di Albus, nemmeno il materno sostegno di Minerva. 
 “Forse sei davvero un mostro, Severus” mormorò la donna, scacciando una lacrima dai suoi occhi chiari con un battito di ciglia “Forse è bene che tu sia maledetto, dimenticato e abbandonato. Sei sicuramente la mia più grande delusione” 
 E si voltò imperiosa, Minerva McGranitt, con uno sguardo gelido che sapeva di dignità e coraggio e lo lasciò rannicchiato a terra, a rantolare in cerca di aria che non si sentiva nemmeno di meritare. E lo sentì Minerva, Severus Piton, che annaspava dicendo il nome di Remus Lupin, in cerca di aiuto, ma non fermò i suoi passi, né addolcì il suo sguardo. Perché, sebbene la donna avesse compreso che qualcosa di nebuloso non le era chiaro di lui, su una cosa il giovane uomo aveva ragione. Lei non poteva salvarlo.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

L'idea di diventare padre non aveva mai sfiorato Remus Lupin. Nemmeno quando il suo migliore amico, James Potter, aveva avuto Harry, in quell'atto di folle coraggio che solo la gioventù a volte spinge a fare. 
 Era convinto di essere già abbastanza fortunato ad essere vivo e aver provato cosa fosse l'amicizia, si era accontentato di essere trattato in modo diverso da una bestia, aveva accettato amore e cercato di darne abbastanza, ma procreare, lasciare che una creatura con i suoi geni e il suo sangue camminasse per il mondo, era tutta un'altra questione.
 “Remus” Tonks lo guardava, seria e preoccupata. 
Gli aveva dato la notizia senza un sorriso, con lo sguardo pragmatico di una combattente che analizza la guerra che la circonda e si chiede dove avrebbe trovato spazio per un bambino, ma Remus aveva notato il brillio degli occhi della ragazza, il modo protettivo in cui la sua mano già giaceva sulla base della sua pancia, mentre si mordeva il labbro pensierosa. Tonks non avrebbe mai rinunciato a quel figlio. Lo sentiva già suo, lo difendeva già con ferocia, mentre Remus sbatteva le palpebre, chiedendosi ancora come potesse essere reale. 
“Remus” lo richiamò di nuovo lei “Per favore parlami. Rimestare tutto nella tua testa non migliorerà le cose.”
Lui alzò lo sguardo verso di lei, colpevole, cercando di trovare le parole più giuste per non ferirla. Perché ci teneva a Ninfadora Tonks, Remus Lupin, in un misto di affetto e gratitudine. E malgrado i loro limiti e le loro ferite mai ricucite, non l'avrebbe mai e poi mai esposta consapevolmente al pericolo. 
“Sono un lupo mannaro, Dora” disse soffice “Se il bambino avesse... e siamo in guerra. Non sarebbe sicuro e....”
Lei agitò con noncuranza una mano, una smorfia insofferente sul volto chiaro.
“La guerra potrebbe durare anni, Rem. Non ci sarà un momento buono per fare un figlio.”
 “Lo so”

 “E io voglio questo bambino. È capitato, ma già lo amo. Potrei essere una pessima madre, ma lo sento mio. Nostro.”
 “So anche questo”
 “Mi importa solo che tu non dia di matto, ok?” disse lei tranquilla, i capelli che viravano leggermente all'azzurro “Non voglio che inizi a pensare come un pazzo a tutte le implicazioni. So che è anche tuo figlio. È giusto che tu ne faccia parte, ma non puoi impedirmi di tenerlo, Rem. Non perché pensi che possa essere un mostro. Tu sei un lupo mannaro e non sei un mostro. Sei l'uomo più dolce della terra. Troveremo un modo per essere al sicuro, farò attenzione”
 “Dora...” sospirò l'uomo. 
“Fidati di me, Rem. Questo bambino sarà felice” Ed era sicura di sé e quasi brillante Tonks, in quel momento, tanto che Lupin si fece sfuggire un mezzo sospiro e poi un sorriso.

Quando Lily aveva annunciato lui di aspettare un bambino la sua mente si era arenata nella confusione e aveva sentito un misto di felicità e cieco terrore, stravolto da sentimenti tanto intensi come non aveva mai creduto di provare. 
Lui e Sirius avevano parlato a lungo di quel bambino in arrivo, tenendo le mani intrecciate e i respiri lenti, fino a notte fonda nel loro piccolo appartamento Babbano. Avevano percepito quella nascita come un cambiamento, qualcosa che li aveva lasciati scossi, devastati e felici. Una speranza. Qualcosa che li trasformava tutti in adulti.
Ora invece Remus sentiva di non riuscire a immettere abbastanza aria nei polmoni, aveva i piani di evacuazione delle case sicure che lui e l'Ordine avevano stilato quel pomeriggio impressi nella memoria, la prima trasformazione di un ragazzo morso nemmeno un mese prima da Grayback stampata nella retina, le grida della famiglia Mezzosangue che avevano provato a salvare inchiodate nella sua mente. La guerra.
Aveva anche il pensiero di Harry, Remus Lupin, costantemente a interrompere il suo sonno. Quel bambino che avevano pensato di viziare e amare, quella nascita inattesa e bellissima, ora costretto ad affrontare paure più grandi di lui. E non vedeva speranza, Remus Lupin, non riusciva a trovare un posto nel mondo per un bambino con il suo stesso sangue, eppure qualcosa dentro di lui lo desiderava ferocemente, un misto di curiosità e amore. 
 “Remus” sussurrò Tonks e lo abbracciò, con quel suo modo gentile e pieno di rispetto “Andrà tutto bene. Tu sarai un papà meraviglioso. Lo ameremo. Andrà tutto bene”.
 Lupin rimase in silenzio, stringendo a suo volta la ragazza, cullandosi a vicenda con tenerezza e affetto. Cercando di pronunciare senza riuscirci parole di conforto, ma si sforzò di sorriderle, come poteva, placando la sua agitazione.
 “Proverò a non dare di matto” disse piano, ma la sua sapeva di bugia e Dora lo guardò con attenzione. 
 “Se scappi ti verrò a prendere”
 “Tornerei da solo”
 “Ti schianterei appena appari” sorrise lei.
Rimasero un attimo in silenzio, tenendosi ancora contro il petto dell'altro.

 “C'è qualcuno a cui vorresti dirlo?” chiese lei “Forse dovremmo essere cauti nel non spargere troppo la voce, ma non siamo costretti a tenere il segreto. Io lo dirò ad Arthur e Molly e ci terrei a sentire anche Fleur”
 “Certo, chi vuoi.” mormorò Lupin, baciandola sulla cima della nuca. 
 Era molto più lungo e alto rispetto a lei, che nonostante la sua dirompente energia rimaneva così minuta. 
 “Tu? So che non hai avuto molte persone con cui parlare, dopo Sirius e Severus. Forse Kingsley?”
Era cauta, gentile e Remus si sforzò di stendere un sorriso, annuendo piano. Era vero. Non aveva molte persone con cui parlare. Gli occhi di Sirius, grigi e innamorati, ancora gli facevano sanguinare il cuore, ma erano scomparsi dietro un velo. Lo sguardo d'onice di Severus era stato inghiottito dall'oscurità, lasciandolo ancora più profondamente solo e ferito. Severus Piton. Remus trattenne il respiro e chiuse gli occhi, per un istante, prima di tornare a guardare la moglie.
 “I Weasley al completo saranno sufficienti. Poi Kingsley, certo. Verrebbe comunque a saperlo.”
 “Remus” insistette mite Tonks, lo sguardo morbido “Puoi scrivere a Severus se vuoi”
Il mannaro inghiottì un groppo di saliva, guardandola incredulo. 
 “No. È un Mangiamorte, Dora.”
 “Era un tuo amico”

 “Ha ucciso Silente”
 “Mi hai detto che forse ha provato a salvare te e George. Mi hai detto che lui ti chiese di dargli il beneficio del dubbio. Mi hai detto che ci sono cose che non comprendi. Lo ripeti ogni notte nel dormiveglia e nelle tue febbri prima delle trasformazioni. Io non ne ho parlato a nessuno, ma mi fido del tuo istinto, Remus.”
 “Dora...” esalò Lupin, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani. 
“Dico solo che potrebbe essere un'idea. Era tua amico. Minerva ci ha detto che qualcosa non va in lui, che non riesce a capire come sia possibile tutto questo. E sappiamo che Piton è spaventosamente eccezionale come combattente. Se c'è una possibilità di toccare il suo cuore, di ripristinare la vostra amicizia e riportarlo tra noi...” Tonks trattenne il respiro e scosse appena il capo “Insomma, anche se lui sapesse che sono incinta non saremmo più in pericolo di ora. Un nostro figlio non è un'informazione succosa per Voldemort. Se c'è la possibilità di entrare in contatto... sentiti libero”
 Remus la guardò negli occhi, le afferrò il volto tra le mani e le baciò la fronte. 
 “Non sono certo che Severus Piton abbia un cuore. Ci penso, Dora. Grazie”

 E gli mancava spaventosamente Severus Piton, Remus lo sapeva. Gli mancava quell'uomo così arido, ferito e freddo come l'inverno perché era l'unico con cui condivideva il suo passato, l'unico che con i suoi silenzi, dopo la morte di Sirius lo aveva fatto sentire capito. Malgrado l'affetto dei Weasley, il rispetto di Harry, l'amore pacato di Tonks, gli mancava Severus Piton e si vergognava di ciò, terribilmente.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

“Severus. Mi stai ascoltando?”
Piton sbatté gli occhi, trasalendo. Era stanco, con troppe poche ore di sonno sulle ciglia e un fastidioso mal di testa a premere sulle sue tempie. Ogni volta che il ritratto di Albus gli parlava, in quei momenti di dormiveglia che si concedeva, appoggiato allo schienale della sedia del preside, trasaliva, perché la sua mente ci metteva sempre un istante di troppo a ricordare che la voce del ritratto era solo un'impronta di chi era stato Albus Silente e che se l'uomo non poteva più essere realmente al suo cospetto era solo colpa sua. 
 “Severus” lo chiamò dolcemente il preside, paterno e accorto, persino tra quelle pennellate di tintura magica. 
 “Albus” esalò il Serpeverde, raddrizzandosi appena “Perdonami no, non ti ascoltavo.”
 “So che sei esausto, mio caro ragazzo” annuì piano il ritratto “Siamo quasi alla fine, un ultimo sforzo.”
 “Certo” rispose Piton, quasi in automatico, scacciando con la mano la stanchezza dal volto e riesumando ogni briciola di energia rimasta per tornare concentrato. Non importava in fondo quanto senza forza potesse rimanere, il suo compito era andare sempre avanti, andare oltre, tenere insieme le fila di una ragnatela complicata, disegnata forse molto prima che lui nascesse. Severus prese respiro e contrasse i muscoli perché rimanessero insieme. 
 “Cosa dicevi, Albus?”
 “I fratelli Carrow stanno cercando Harry nel castello.”
 “Potter?”

 “Voldemort è inquieto, pare. I ritratti sussurrano. Credo dovresti andare dal tuo Signore e poi a cercare Minerva.”
“Minerva” ripeté meccanicamente Severus, cercando di trattenere un brivido lungo la schiena. 
 Non aveva più affrontato la donna dopo averla allontanata, né aveva mai più incrociato il suo sguardo e Minerva McGranitt lo aveva a sua volta accuratamente evitato, non concedendo lui nemmeno il beneficio di un'occhiata sprezzante. Severus aveva avuto l'impressione che si stesse persino sforzando di occludere in sua presenza e la cosa lo aveva fatto sentire vagamente ferito e indiscutibilmente più solo, ma era giusto così. Lui poteva portare una ferita in più senza troppi drammi, purché la donna potesse essere preservata dall'ira dell'Oscuro Signore.

 “Severus. Devi andare” lo riprese Silente “Questa potrebbe essere l'ultima conversazione che abbiamo.”
 L'uomo alzò lo sguardo verso il dipinto del vecchio preside, sentendo improvvisamente la bocca arida e la strana sensazione di essere in procinto di cadere. Vaghi punti neri gli passarono davanti allo sguardo, mentre il panico gli stringeva il cuore. Lasciò che scorresse, che il suo corpo venisse percorso da tutta la paura che provava, ora che poteva concedersela.
 “Cosa ti aspetti da me Albus questa notte?” chiese, quasi in un automatismo. 
Il preside sorrise con strana tenerezza, gli occhi azzurri improvvisamente più dolci. 
 “Ci sono molte cose che questa notte potrebbero succedere, ma non ti chiederò nulla di più se non parlare con Harry. Che lui conosca il suo destino è di estrema importanza, Severus. L'ultimo elemento che Harry sta cercando è qui ad Hogwarts, lui lo sa e grazie a te ha la spada. Voldemort verrà qui, ci sarà battaglia, prima che arrivi il finale Harry merita di sapere il suo destino, merita di prepararsi e raccogliere i pensieri.”
 “Non può scegliere però. Il ragazzo deve morire.”
 “Il ragazzo deve morire, sì.”

 Severus si sentì pizzicare gli occhi e desiderò quasi essere in grado di piangere. Non gli importava molto di Potter e lo ammetteva con una certa vergogna, ma le storie tragiche di chi non aveva possibilità di scelta lo toccavano in qualche modo da vicino e il fatto che quella fine riguardasse il figlio che Lily Evans aveva amato, era quasi doloroso.
 Perché quando aveva scoperto che Lily aveva avuto un bambino, per molti notte insonni Severus aveva pensato al nascituro, provando quasi una certa emozione nel sapere che la sua amica d'infanzia aveva dato la vita a qualcosa di vivo, qualcuno che avrebbe avuto un suo destino. E l'aveva immaginata con il bambino tra la braccia, il sorriso sul volto nell'essere una madre meravigliosa, lo sguardo brillante. Ma quando era arrivato il momento di incontrare il ragazzino per la prima volta, lì ad Hogwarts, Severus non aveva trovato nulla di particolare negli occhi verdi di Harry e aveva provato solo rabbia cieca per il fatto che lui fosse lì, ignaro della storia che aveva alle spalle, di tutta la vita a cui quei genitori che lo avevano messo al mondo avevano rinunciato.
 Harry Potter semplicemente lo fissavata con il volto di James Potter mischiato alla gentilezza di Lily Evans e faceva male, tanto che si era sentito estenuato, Severus Piton, davanti all'undicenne, perché nel momento in cui lo aveva incontrato, senza provare l'emozione mistica in cui aveva sperato, si era reso conto che sarebbe stato costretto a proteggerlo contro il suo volere e si era sentito disgustato all'idea di essere per lui una guida e una figura d'esempio, come in uno scherzo del destino, e aveva usato quindi tutto l'odio e la rabbia che ben gli si cucivano addosso per tenere a distanza lui e i suoi amici. Per essere ancora una volta quella figura scomoda, incuneata tra il bene e il male e perennemente mai appartenente a nessun gruppo, come una blanda maledizione.
 “Severus. Potrai scegliere cosa sarà di te questa notte” mormorò Silente, ma non sembrava credere nemmeno a lui a quelle parole.
 “Non credo che ci sia spazio per me tra i vinti, Silente” ribatté pronto Piton, con strascicata stanchezza. 
 “Te lo meriti, mio caro ragazzo. Hai dato ogni attimo della tua vita a questa battaglia. Meriti la libertà. Non importa quanti errori hai fatto in passato. Hai pagato abbastanza. Credimi.”
 “Regulus Black ha pagato con la morte i suoi errori e così suo fratello. Siamo una generazione frantumata, Albus”

 “Ma loro capiranno. L'Ordine dico, spiegheremo ogni cosa. Prova a sperare in un futuro. Sai anche tu che persone come Remus Lupin saranno con te. Che ti perdoneranno”
 Severus si fece sfuggire un sorriso amarissimo e fragile e scosse il capo. La mano che istintivamente andava al suo petto, alla tasca dove teneva il biglietto di Remus, ricevuto qualche mese prima.


“Divento padre, Severus. Sono terrorizzato. Mi manca il tuo lucido sarcasmo in questi momenti. 

So che da qualche parte, tra il dolore e la rabbia, tu ci sei ancora.

Con affetto. Remus”

Severus aveva letto quella frase centinaia di volte, incredulo di quel messaggio, di quel segno che ci fosse ancora qualcuno nel mondo che credeva che sotto gli strati di acredine e dolore, lui Severus Piton, quel bambino famelico di vita e giustizia, trascinato avanti dall'ostinazione e dalla curiosità, gli occhi sgranati ad ascoltare le parole di Eileen Prince, esistesse ancora. E chi poteva essere quell'immancabile idealista se non Remus Lupin, che era fatto della stessa materia della sua sofferenza, ma cercava con l'amore per la vita di aggiustare ogni frattura?
 “Remus Lupin è uno spezzato, Albus” mormorò Severus “Come me, come te, come Regulus e persino Sirius Black. Il nostro destino non spetta a una nostra scelta, siamo nati sotto la stella sbagliata. Siamo destinati all'ombra”
 “Severus...” mormorò il quadro e sembrò quasi cercare parole, ma l'altro uomo sorrise, finalmente sincero, raccolse il suo dolore e lo nascose dietro muri di Occlumanzia. 
 “Grazie di tutto, Albus. Sei stato come un padre. Folle, certo. Ma un buon padre” mormorò e uscì dalla stanza. 


 Hogwarts era meravigliosa in quella tiepida sera estiva, nell'aria c'era il profumo dell'estate in arrivo, qualcosa che sapeva di menta, di risate e ginocchia sbucciate. Severus Piton quasi sorrise, mentre rallentava il passo per osservare le cime lontane della Foresta Proibita che risaltavano nere, contro il cielo rosato dal tramonto. Sarebbe stata una nottata limpida, probabilmente colma di stelle nel velluto blu del cielo. I fantasmi della sua vita gli sembrarono farsi più vicini, la risata di James Potter nei suoi ricordi non gli parve più così acre, nulla in confronto al ricordo tiepido del tempo che gli era stato concesso accanto a Lily, accanto a Regulus, a Narcissa, ad Albus e persino a Remus Lupin. 
Severus si prese un momento di pace, cercando di essere grato. Era l'ultimo momento in cui poteva essere sé stesso.

Non farti portare via questa felicità”

Aveva scritto in risposta a quel biglietto di Lupin, dopo giorni di silenzio. Aveva scritto una risposta perché qualcosa gli diceva che il tempo dei Whiskey e cioccolato era ormai passato, che non avrebbero avuto modo di contare nuovamente le ferite dell'altro. Il loro tempo era finito prima ancora che iniziasse. La loro amicizia era stata solo un sospiro prima di diventare già memoria. Ma era esistita. Per quell'attimo. E aveva dato a Severus forza e concentrazione.

Vivila questa felicità per me, Remus Lupin. Per Lily. Per gli amici che non hai più.
Vivila con tutto il tuo sangue, tutte le tue cicatrici. Tutto te stesso.
Con sdegnato affetto, Severus.”

Ascoltò il suono del suo cuore nel petto, Severus Piton. Gli sembrò di amare la vita con la stessa ferocia di quando era bambino, per un momento. Gli parve quasi di percepire il sangue che gli scorreva nelle vene, di comprendere il peso dei suoi respiri, del tempo che gli si posava sulle spalle. Sarebbe stata una lunga notte. 
 In uno sbuffo di fumo nero, sotto quella stellata di una bellezza crudele che faceva capolino nel blu del cielo, Severus andò da Lord Voldemort, pronto ad affrontare il suo destino.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Remus Lupin guardò Hogwarts dal basso del parco, studiandone la bellezza in silenzio. Nonostante gli anni e tutte le sofferenze vissute tra quelle mura, quel luogo era ancora casa. Camminò lungo il perimetro, con aria assorta, appena distratto dal gruppo sparuto di ragazzini alle sue spalle che lo seguiva, l'aria determinata di chi ancora pensa di cambiare il mondo. L'azzurro pallido della protezione traslucida, che Vitious aveva attivato intorno alla scuola, riverberava sui loro visi, facendoli apparire ancora più giovani e pallidi.
 Non più di quanto non lo fossimo noi la prima volta pensò con dolce amarezza. 
 Hogwarts non era poi molto cambiata da quando erano i Malandrini, Marlene, Lily, Mary e Severus Piton a indossare la loro divisa. Ma loro sì, erano cambiati. I più fortunati, come lui, invecchiando e crepandosi come porcellana mal riuscita, i più sfortunati, trasformandosi troppo presto in memoria. 
 Lupin si fermò e il suo sguardo color cioccolato si incagliò sulla sagoma lontana del Platano Picchiatore. Un sentimento di malinconia gli invase il petto al pensiero di tutte quelle notti di libertà sfrenata, durante le quali lui, Sirius, James e Peter avevano corso nella brina del mattina, immaginando di avere l'intero mondo sul palmo della mano. 
E quante volte era stata Lily ad applicare cerotti sui suoi graffi, scuotendo appena il capo, mentre Sirius le diceva “Ha la corteccia dura il nostro Moony, Evans. Non ti devi preoccupare” per poi guardarlo con sfacciata dolcezza in volto.
Quante volte lui e Marlene avevano osservato James, Mary e Sirius sfrecciare sulle loro scope? Quante volte lui e Peter avevano passeggiato insieme, studiando ogni angolo e passaggio per disegnarlo sulla mappa del Malandrino? Quante volte James gli aveva sorriso chiedendo “Tutto ok, Moony”? Quante volte Lily si era aggrappata al suo braccio, benevola e testarda, o Sirius lo aveva afferrato per il viso, brillante, con il suo sorriso da lupo e lo aveva baciato all'ombra degli angoli più quieti del castello? Erano vite intere, ricordi intensi. Memorie. Un respiro. 

 Remus si voltò verso il gruppo di ragazzi in attesa, che lo guardavano stringendo le loro bacchette.
 “Quanti di voi sanno fare un Patronus?” chiese. 
 “Pensa che ci saranno Dissennatori professor Lupin?” domandò Ernie Mcmillan. 
Remus annuì e gli studenti si scambiarono un veloce sguardo tremante d'ansia, prima che una manciata di bacchette si levasse in alto in risposta alla domanda fatta.

 “Molto bene” riprese Remus “Chi è in grado di evocarlo stia allora vicino a chi non è capace. Copritevi le spalle. Utilizzate incantesimi semplici e di cui siete sicuri. I Protego per difendervi e gli Schiantesimi per attaccare. Potrebbero esserci molte creature magiche di vario genere. Come forse sapete uno Stupeficium non ha effetto su tutte le creature, se vi trovate ad averci a che fare, impastoiate e pietrificate. Con le creature oscure invece incendiate e usate la luce. Sono tutte cose che sapete fare. Nessun panico.”
 Prese fiato per guardare gli studenti che lo ascoltavano attenti. Non sembravano spaventati, solo incerti e fragili.
 “Professor Lupin, ci saranno lupi mannari?” chiese una ragazza sconosciuta, gli occhi giganti di paura. 
Remus le sorrise dolcemente, posandole una mano sulla spalla e prese un profondo respiro, in pace con sé stesso.
 “Io sono un lupo mannaro da quando ho cinque anni. Come vedete sono qui e non sono trasformato, né pericoloso. Non ci sarà luna piena stanotte, anche lupi mannari come Grayback non devono farvi paura, sono più resistenti, ma umani. Sarete in grado di fermarli tranquillamente se lo vorrete” disse pacato, raddrizzando la schiena e si stupì di non vedere il terrore sul volto dei giovani di fronte a lui, ma un brillante e inatteso sguardo pieno di rispetto.

 “Grazie professore, per essere qui a guidarci” disse Cho Chang, l'aria sicura e il sorriso gentile.
 “Grazie a voi per essere qui a combattere” annuì Lupin e si stava voltando, pronto a confrontarsi con il nemico, ma si fermò e domandò “Chi vi ha insegnato il Patronus, non penso sia nel vostro programma ed è magia molto avanzata”
 “Harry Potter, signore” sorrise Susan Hossas. 
 “Bene” mormorò solo Lupin, osservando l'azzurro traslucido della difesa di Hogwarts sopra di loro inclinarsi in onde leggere, ma il suo cuore rombò di uno strano orgoglio per quel bambino che non aveva visto crescere e che era diventato uomo. James, Lily, Sirius tutti loro sarebbero stati così felici e orgogliosi di quel ragazzo.

 “Glielo ha insegnato lei ad Harry, vero?” domandò Cho Chang al suo fianco, con voce sottile. 
 Remus la osservò e schiuse le labbra, confuso, mentre prendeva coscienza di quel particolare e si rendeva conto che ogni gesto aveva avuto importanza e che lui stesso faceva parte di una grande scrittura, ma quando fece per rispondere la barriera sopra di loro si incrinò di nuovo e tremò.
“Sta iniziando. Tenetevi pronti” mormorò Remus e “Merlino, Sirius, quanto ti vorrei qui” si ritrovò a pensare. 
Un respiro.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

C'erano stati altri biglietti, dopo quella prima pergamena in cui Remus Lupin gli annunciava di star diventando padre. Biglietti scritti nelle notte più fredde della sua esistenza di Mangiamorte, lottando contro l'insonnia e gli incubi. Biglietti in cui Remus Lupin gli raccontava del terrore meraviglioso che significava avere un figlio e Severus gli rispondeva con parole appuntite e piene di sdegnato affetto. Sempre e solo una manciata di frasi, scritte contraffacendo quanto possibile la scrittura di entrambi, da paranoici quali erano. Da spezzati quali erano sempre stati. 
 Si promettevano che un giorno avrebbero bevuto insieme quel Whiskey, senza crederci davvero. Era una bugia. Era arrivata la fine senza che il piccolo Teddy Lupin potesse crescere, senza che Severus potesse rivedere l'amico. Ed ora erano sul limite dell'ultima battaglia e il cuore di Severus era ancora pesante per il modo in cui era dovuto fuggire dalla scuola, con lo sguardo d'odio di Minerva che gli trafiggeva il cuore.
 Il Serpeverde apparve con uno schiocco nella Foresta Proibita, nel mezzo degli altri Mangiamorte. Nessuno parlò, ma sentì gli sguardi tesi di tutti i presenti sulla pelle: in attesa. 
 Hogwarts, lontana di fronte a lui, sembrava un puntino fragile e rarefatto da quella radura, mentre le protezioni che Vitious stava erigendo brillavano azzurrine nella notte. Severus si voltò e vide Voldemort in disparte, che gli fece un cenno leggero con il capo, perché si avvicinasse a lui. Eseguì, quasi scivolando nella direzione del suo padrone.
 “Cosa accade nel castello, Severus?” chiese il mago con tono basso, quasi affabile e lo vide, Severus Piton, quell'animo ormai sbriciolato e mutilato, a un solo passo dallo sparire. Vide la stanchezza in quegli occhi ormai così poco umani e crudeli, vide la fine di quell'agonia che era stata anche la sua vita.

 E desiderò ucciderlo, Severus Piton, desiderò cancellare quell'uomo abominevole e anche il ragazzo che un tempo era stato. Desiderò grattare via dalla faccia della terra quella persona che aveva rovinato la sua intera esistenza, ucciso Lily Evans e i suoi sogni, Regulus Black e i suoi rimpianti, costringendo lui e persone come Remus a rinunciare ad ogni cosa in nome di qualcosa di più grande. Desiderò vederlo cadere a terra con un tonfo banale, privo di solennità. Vuoto.
 “Harry Potter è arrivato, mio signore. Hogwarts si prepara a combattere” mormorò a capo chino. 
“Stolti. Come possiamo batterli?” 
 Severus strinse le labbra incerto, avrebbe potuto elencare molti modi per entrare nel castello, avrebbe potuto essere ancora una volta meschino e crudele, ma non aveva più forze. Eresse muri di Occlumanzia in un battito di ciglia e sorrise falsamente gentile.
 “Ci sono maghi molto abili lì dentro, mio signore. I professori sono decisi a difendere la scuola. Dovrebbe tentare di proporre una tregua per accedere a Potter. Potrei parlare con il ragazzo e...” 
 Voldemort agitò una mano e Severus si zittì, lo sguardo che distrattamente scivolava su Nagini, racchiusa in una sfera di luce che la proteggesse. 
“Non questa volta, Severus” sussurrò l'Oscuro “Attaccheremo a piene forze, solo dopo proporremo la tregua.”

Piton chinò il capo e arretrò, il cuore in gola che gli toglieva il respiro. Cercò di razionalizzare con fatica il panico, gli occhi lucidi di terrore vivo. C'era Minerva là dentro, c'erano suoi colleghi, studenti innocenti, c'era l'ultimo barlume della sua umanità. C'era sale dove lui e Lily Evans avevano camminato tenendosi per mano, promettendosi un futuro. C'erano i luoghi dove persino uno spezzato come lui aveva trovato conforto, dove lui e Remus Lupin avevano passeggiato, in bilico sul fragile filo della loro amicizia. C'erano...
 Severus annaspò e quasi si piegò in avanti, con disperato bisogno di aria. Alcuni Mangiamorte lo superarono, correndo svelti verso il castello, le maledizioni che colpivano la cupola di protezione, incrinandola e scuotendola in onde. Severus si portò la mano al petto, sull'ultimo biglietto ricevuto da Remus poche ore prima, cercò di ricordare come l'uomo aveva placato il suo panico in passato, ma la sua vista era annebbiata e il corpo contratto.

 “Respira.”
 Piton annaspò e si obbligò ad espandere la cassa toracica, la sua mente ormai sfiancata dall'Occlumanzia che tremava in cerca di un barlume di stabilità. Una mano fresca e femminile gli circondò il polso in un gesto gentile. Severus abbassò lo sguardo su quelle dita pallide e poi lo rialzò, trovando gli occhi chiari di Narcissa. 
“Severus, respira” ripeté la donna, la sua voce sottile quasi coperta dalle grida dei combattenti. 
 Piton annuì recuperando di nuovo il controllo, nessuno si era accorto del suo attacco di panico, nessuno lo guardava, tutti trascinati dall'adrenalina, ma Narcissa era lì, gli occhi tremolanti di paura e orgoglio.

 “Narcissa” le disse rauco, il panico sempre più controllabile, in fiotti caldi e conosciuti che gli invadevano il petto “Almeno tu stai al sicuro” mormorò. Perché almeno una persona poteva salvarla. Lei. Erano rimasti soli al limite delle Foresta Proibita, Narcissa e il suo sguardo tagliente e Severus, pieno di controllo e rigore, spezzato nel profondo.
 Ma la donna non lasciò il suo polso e scosse il capo, mentre lo studiava attentamente in volto, lo sguardo determinato pieno di una luce tranquilla, che gli ricordò improvvisamente Lily Evans.
 “Severus” sussurrò lei “Cosa dobbiamo fare?”
 “Cosa intendi Cissy?”
Lei si corrucciò, solo vagamente confusa e fece un sorriso stanco. 
 “Lui non può vincere. Lo sai. Non può vincere, Severus”

 La protezione di Hogwarts si spezzò in quel momento, insieme alle grida dei Mangiamorte che squarciarono la notte. Piton pensò confusamente ancora a Minerva, a quelli che quella notte rischiavano di morire, a Remus. Guardò Narcissa in volto con la sensazione di vertigine. Si stava fidando. Non aveva scelta. Narcissa aveva affidato a lui la vita del suo stesso figlio, Severus si sentì di fare qualcosa di simile e le prese le mani e la guardò in volto pieno di dolcezza.
“Qualunque cosa succeda, Cissy, proteggi Harry Potter come fosse tuo figlio”

*

Un respiro.
Un altro ancora.

E la battaglia li travolse. E Remus agì. Si sorprese di riuscire a guidare il suo drappello attraverso la lotta con strana efficacia. I ragazzi lo ascoltavano con fiducia, erano preparati, erano abili e lui agiva da guida e scudo, coordinando i movimenti di tutti e rallentando ciò che a loro sfuggiva.   La furia degli incantesimi, le urla e il buio soffocavano ogni speranza, eppure avanzavano sul terreno scuro e coperto di brina e sangue. Remus si mosse agile e si stupì di considerarsi bravo, lui che un combattente non aveva mai voluto esserlo e di essere perfettamente nel suo ambiente.
Si ritrovò a usare tutti i suoi sensi, anche quelli da cui era sempre rifuggito, quelli del lupo di istinto e odore. E fu per quello forse che, dopo quelle che sembrarono ore di lotta, avvertì Tonks ancora prima che lei lo chiamasse: miele e cannella. La individuò nel primo istante, ed ebbe tempo di vedere il suo sorriso, la sua aria sicura e battagliera, bella come una dea nella polvere del campo di battaglia. Poi il lampo verde meschinamente la investì alle spalle e la vita abbandonò i suoi occhi scuri con una lentezza teatrale. Bellatrix. Tonks era appena morta per mano della stessa donna che gli aveva portato via Sirius e che ora con un sorriso bieco e uno schiocco scompariva davanti ai suoi occhi. 
 Remus mancò un battito del cuore e si sentì senza speranza, perché se fino a quel momento della sua vita non era andato alla deriva, dopo aver perso Sirius, dopo aver perso Severus, Malocchio, Silente, era stato solo grazie a Tonks, a quel suo testardo amore per quella vita che lui non riusciva più a comprendere. Perse un battito e un respiro, Remus Lupin, mentre Dolohov avanzava improvvisamente verso di lui e la sua mente si contorse, in un gioco di immagini e ombre, il pensiero che  correva al tiepido peso del corpo di Teddy quando gli si addormentava tra le braccia, quel ciuffo blu per cui aveva provato un immediato e viscerale amore, quelle minuscole smorfie di quella personcina che esisteva grazie a lui: Remus Lupin e alla dolce pazienza e volontà di vivere di Tonks.

 E sentì il cuore spezzarsi, Remus, perché Severus Piton aveva ragione, non c'era spazio per persone come loro alla fine  battaglia, ma Dora avrebbe dovuto esserci, per Teddy, per il futuro di quel figlio che avrebbe meritato il mondo intero, a cui appena nato Remus aveva già sussurrato così tanto di sé, del suo passato, di Sirius, dei Malandrini, persino di Severus Piton. Chi ti racconterà quanto io e tua madre ti abbiamo amato, Teddy?
 Sbatté le ciglia Remus Lupin, sentendosi incredibilmente stanco. Pregò un Dio in cui non credeva che Harry Potter vedesse la fine di quella lunga notte di sangue, sbatté le ciglia, di nuovo, mentre rispondeva meccanicamente agli attacchi di Dolohov con tutta la sua forza. Il suo sguardo cadde sulla chioma rosa di Tonks, di nuovo, si sentì invadere dalla dolcezza, pensò alla loro casa, a lei quando si svegliavano la mattina, così stropicciata e tenera e Teddy. Teddy. E Sirius. E Tonks di nuovo. Teddy. 
 E solo quando la maledizione di Dolohov lo colpì al centro del petto, quasi di sorpresa, Remus Lupin pensò a Severus Piton. A quanto avesse ragione su tutto, alla loro solitudine alla fine di ogni cosa. E cadde, Remus Lupin, mentre le cellule cercavano di ricomporsi al limite della sua ostinata licantropia, che aveva combattuto per tutta la vita, ma a causa della quale aveva trovato le persone migliori. E mentre il suo corpo già si distaccava dalla vita, i suoi sensi avvertirono confusamente l'odore di vecchi libri e spezie, e vide i due occhi neri materializzarsi davanti a lui. Severus
 Fu allora, Remus Lupin, che capì che stava per morire. E avrebbe voluto chiamarlo, Severus dirgli “Ti prego almeno tu, vivi tutta la vita che riesci ad afferrare, anche se costellata di cicatrici”, avrebbe voluto dire lui che c'era un futuro, anche se sapeva che sarebbe stata una bugia, che la sabbia stava finendo, che i loro legamenti li avevano sorretti fino a quel momento solo per volontà, ma che facevano entrambi parte di un passato che non esisteva più. 
 E tentò di sorridere Remus Lupin, sperando che quell'uomo, Severus Piton, che per un gioco malsano si ritrovava ultimo ad assistere alla fine di un'era, con tutto il peso di essa sulle sue spalle magre, capisse che glielo aveva lasciato il beneficio del dubbio, che si fidava di lui, che era un amico e che aveva pensato spesso a quanto sarebbero andate diversamente le cose se si fossero incontrati loro due in quello scompartimento. Remus e Severus.
Le cellule nel corpo del mannaro smisero lentamente di lottare, la sua licantropia si arrese alla fine della notte. E non smise di guardare il volto contratto di Severus, Remus, lo ringraziò mentalmente di non averlo lasciato da solo, del biglietto di risposta che anche lui costudiva gelosamente nella tasca interna della giacca. Con sdegnato affetto, Severus.
 La morte era più lenta di quanto Remus Lupin si aspettasse. Pensò confusamente a Teddy, alle lentiggini di Lily Evans, la risata di James, il bacio che aveva dato sulla fronte a Tonks prima di uscire di casa e infine, con occhi sgranati, vide un'ultima volta le stelle. 
Sarà bene che ti fai trovare dall'altra parte, Padfoot. Si disse. 
Qualunque cosa per il nostro Moony. Sembrò rispondergli il cielo stellato.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

La fine delle cose è semplice. Circolare.
 Severus Piton aveva avuto la certezza che quella notte sarebbe stata l'ultima della sua vita quando vide Remus Lupin morire. E un istante prima che accadesse a lui, mentre Voldemort parlava di bacchette e destini, Severus Piton capì che avrebbe potuto fuggire, con lucida consapevolezza. Avrebbe potuto salvarsi e andare lontano, come gli aveva detto Silente, lasciando che altri si svenassero al suo posto, che altri rinunciassero a qualcosa. Ma era rimasto. 
 Era rimasto perché nell'attimo in cui aveva compreso che la sua vita sarebbe finita in modo più simile a quello di Charity Burbage che a quella di Remus Lupin, si era reso conto di non sapere dove andare. Che non aveva più posto nel mondo. Non sulla collina dove i fantasmi di sé stesso e Lily Evans bambini avevano corso nelle estate tiepide e piovose di Spinner's End. Non nella casa dove sua madre si era spenta e lui aveva imparato ad odiare suo padre, nascondendo il suo dolore tra pagine di libri, inchiostro e pozioni che sobbollivano lente. Non nelle stanze vacue di Grimmauld Place e nemmeno lì ad Hogwarts, dove la sua anima si era stracciata negli occhi chiari di Albus Silente e il corpo di Remus Lupin giaceva nell'erba umida di brina, sotto il cielo stellato.
Severus Piton accolse la sua solitudine alla fine dei suoi giorni, insieme ai denti di Nagini, provò un terrore tanto veloce da non riuscire a razionalizzare, come a fare un passo nel vuoto quando ti aspetti un altro gradino. Non ebbe tempo di pensare, Severus Piton, costretto a cedere anche quegli ultimi istanti di vita a uno scopo non suo. Fai sapere ad Harry il suo destino. E lasciò che parti di sé stesso scorressero fuori da lui in fiumi argentati, annegò nel verde di Potter per non dover morire con negli occhi la sua solitudine. E pensò a Lily, Severus, si chiese se ora avesse fatto abbastanza per meritarsi il suo perdono, o se dovesse stracciare altri parti di sé stesso. Ma cosa rimaneva in fondo?
Severus  giacque sul pavimento in legno di quella stanza dove un tempo Remus Lupin era stato felice pur in un corpo non suo, dove il dolore si era trasformato in speranza, intrecciato con la vita di spezzati vittoriosi. Vide gli occhi di Potter allontanarsi e capì che per il mondo era già morto. Era lenta però per lui la morte, mentre i pensieri si facevano tiepidi e incoerenti, costellati di lentiggini, biscotti allo zenzero e piedi in corsa. E improvvisamente, senza nessuna ragione, gli parve di vedere il volto di Remus Lupin chino sopra di lui.

 “Accetterei volentieri quel Whiskey insieme ora, Lupin. Avrei così tanto da raccontare” gracchiò.
E gli parve di sentire la risata gentile e discreta dell'uomo vicino a sé.

 “Mi racconterai di Lily, Severus? Di come hai ricucito le tue ferite?”
 “Di Lily, dei miei sogni di bambino, che si sono infranti sulla mia solitudine”

 “È molto da raccontare a una persona che non consideri tua amica.”
 “Hai altro da fare, Lupin? Certo che sei mio amico”
 “Hai dovuto morire, testardo di un Piton, per ammetterlo”
 “Taci, mannaro”
Le parole uscirono in gorgoglii sempre più indistinti dalla gola di Severus, nel vuoto intorno a lui, solo come era sempre stato. Allucinava, nell'aria stantia della Stamberga Strilante. Perché era vero, avrebbe potuto fuggire, si rese conto, ma non aveva saputo dove andare. Perché era nato sotto la stella sbagliata, gli diceva sua madre, perché era uno spezzato, perché rimaneva solo a testimoniare della vita di un'intera generazione.
 “Lupin” gorgogliò.
 “Severus”

 Gli pareva di sentire risate, un odore che sapeva come di erba tagliata, il calore sulle membra contratte.
 “Puoi non lasciarmi solo ora?”
 “Sono con te, Severus. Ma dovresti chiamarmi per nome.”
La mente allucinata di Severus non considerò quell'appunto. Si sentiva spaventato, come da bambino. Gli sembrava che tutti i morti del suo passato stessero venendo a prenderlo. Si chiedeva se sarebbe stato ancora odiato.
 “Fa male, Lupin?” 
 “Morire?”
 “Sì”

 “Certo che fa male. Devi lasciare andare quel che ti ha tenuto in vita e poi ricominciare tutto da capo. Hai squarci in tutto il corpo, Severus. Nagini ti ha dilaniato. Devi arrenderti, stai soffrendo.”
“Ho paura. Non volevo davvero morire”

 Remus Lupin lo guardava. Così reale. Con il suo pastrano sulle spalle magre. Il corpo lungo e dinoccolato, lo sguardo benevolo. Amichevole. Così fastidiosamente gentile. Teneva la mano intrecciata a quella di Black, fermo al suo fianco, visibilmente più giovane, con il suo sorriso da lupo. Lily Evans era alle loro spalle bella da far male, felice come un fiore, il viso ricamato di lentiggini e dolcezza. E poi c'erano altre persone si muovevano dietro di lei, forse Potter, forse Eileen Prince, raggiante come lo era stata ad Hogwarts e lo sguardo paterno di Albus Silente e quello affilato e gentile di Regulus Black, ma Remus Lupin stava davanti a tutti loro, concedendo il suo tempo a Severus.
 “Non sarai solo, Severus. Sono qui tutti per te.”
 “Non mi odiano?”
 “No, non qui”
 “Tutto questo è nella mia testa?”
 “Sì, Severus. Stai solo morendo. Lascia andare”

 “Ok, Remus. Mi fido di te.”
 “Ok, Severus. È tutto ok.”
 Il corpo di Severus Piton giaceva senza vita nello squallore della Stamberga Strillante, il collo dilaniato e il sangue mischiato agli abiti scuri. Solo una lacrima rimaneva come cristallizzata sul volto ormai privo di vita. Il biglietto di Remus Lupin appoggiato sopra il cuore, nascosto nel suo vestito.

Di tutti gli uomini nati sotto una stella sbagliata, tu, Severus Piton. 
Sei il migliore che abbia conosciuto.
Ho amato la felicità che mi sono concesso. 

Ti aspetto dall'altra parte. È tutto ok”

Severus Piton era appena morto, solo, da uomo grigio e incompreso. Le cicatrici sul corpo, simili a quelle dell'anima, come una ragnatela. Un biglietto sul cuore. In un battito di ciglia erano tutti diventati memoria.


E non ci furono più respiri.
Erano solo memoria.


*Angolo Autrice*

Ciao lettori. 
Lo so, manco da un po', ma eccomi qui a concludere questa storia. 
Mi sono ritrovata ad affrontare questo racconto a cui tengo moltissimo in un periodo curioso della mia vita, che me ne ha resa difficile la scrittura, ma sono molto contenta di aver finito questo capitolo e anche se difficilmente chi scrive è soddisfatto del suo lavoro, sono anche molto orgogliosa di questa breve raccolta, che spero avrà maggior visibilità di quella ricevuta finora.


Non ho mai trovato molto da leggere su un'amicizia tra Remus e Severus, mi sono sentita un po' una pioniera nell'analizzare questo rapporto per me in realtà così lampante e ne sono uscita ritrovandomi ancora più legata a questi due personaggi spezzati. 

 Spero con le mie parole di avervi fornito un nuovo punto di vista e nobilitato un poco questa amicizia e la loro storia. Così come spero di aver spiegato in modo esauriente la mia visione di come sia la Wolfstar che la Remadora sono ai miei occhi due relazioni assolutamente canon e piene di dignità e rispetto. 

Unico appunto che mi sento di lasciarvi è sulle due morti dei personaggi. Mi è piaciuto ipotizzare l'esistenza di un breve tempo di "Limbo" che chi muore vive prima di perdere la coscienza. Harry si allontana dal corpo di Severus perché per lui è ormai già morto, ma la coscienza di Piton ancora aleggia appena fuori dal suo corpo e in modo allucinato gli permette di avere una breve conversazione immaginaria (o forse no?) con Remus. Idem per la morte lunghissima di Remus, resa ancora più sospesa grazie alla sua testarda licantropia. 

Spero di ritrovarvi presto tra altre righe e altre storie. 
Se volete sostenere la mia scrittura con un caffé potete farlo QUI

Come sempre grazie mille. 
Aspetto vostri commenti, dubbi e reazioni. 
Con affetto

vi

ps. La traduzione della frase "Anything for our Moony" è una citazione alla bellissima storia di "All the Young Dudes" di Mskingbean89, che vi consiglio caldamente 

  
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