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Autore: MaikoxMilo    01/05/2022    2 recensioni
Vi fu un tempo, anche se privo dello stesso concetto di tempo, in cui, si narra, Cielo e Terra, Mondi e Dimensioni, Caldo e Freddo, Umido e Secco, coesistessero in una sola sostanza che racchiudeva tutto; tutto ciò che avrebbe poi assunto un nome, ma che, allora, nome non possedeva. Non c'era quindi un inizio, né una fine, non esisteva Destino, né legge, tutto era miscelato, un tutt'uno indistinto, estroflesso, inscindibile, nonché eterno. Tale concentrato di materia venne chiamato posteriormente "Principio Primo di Tiamat", prima di scomparire completamente nella Notte dei Tempi, svanendo per milioni e milioni di anni.
Tutti gli universi possiedono quindi un'origine comune? Che ne fu di quell'epoca, CHI ordinò il Creato, dandogli una forma propria, dividendo le dimensioni, espandendole all'infinito di propria mano? Chi ebbe la forza per farlo? Perché lo fece, imprimendo così la propria imperitura effige?!
Marduk, Sommo dio Marduk, fosti tu a volerlo, stracciando il gigantesco corpo della dea Madre Tiamat, scindendo così, per la prima volta, il Cielo dalla Terra; gli Universi dalla Matrice?!
Storia ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, di cui è quindi indispensabile la lettura insieme alle fanfiction precedenti.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 7: Amicizia e lealtà

 

 

16 novembre 2011, pomeriggio

 

 

Era riuscito a raggiungere il Santuario soltanto quando il sole aveva già percorso ¾ del suo cammino.

Era riuscito a raggiungere il Santuario, ansimando, inveendo tra sé e sé, perché non era in grado di pregare.

Era riuscito a raggiungere il Santuario, e non vi era che distruzione intorno a lui.

Distruzione e nient’altro.

Il braccio martoriato di Death Mask ciondolò mollemente al suo fianco, privo di vigore, ma anche se ce l’avesse avuta, la leggendaria vigoria, di sicuro gli sarebbe stata estirpata dal petto una volta visto quello spettacolo: templi distrutti, cadaveri irriconoscibili sparsi qua e là, la sensazione, tremenda, di soffocare. Irreversibilmente.

Qualcosa scattò in lui davanti a tutto quello e corse più forte; corse più che poté, guardandosi smarrito intorno, cercando qualcuno, cercando lei, o qualcuno che, per lo meno, gli avesse potuto spiegare che caspiterina fosse successo lì.

Da quando i Cavalieri d’Oro si sottomettevano senza reagire?! No, impossibile!

Il Grande Tempio di Atene sembrava essere appena stato bombardato. Corpi lungo le strade, lungo i sentieri, ovunque l’occhio capitasse. Inconcepibile. Apocalittico. No, doveva essersi una spiegazione, c’era sicuro, DOVEVA.

L’istinto lo guidò fino all’arena di combattimento. Nessuna faccia conosciuta, i pochi apprendisti superstiti ne sorreggevano altri o portavano dei cadaveri di vecchi sulle spalle. Un brivido corse la schiena di Cancer nel rendersi conto che, alla lontana, taluni di loro somigliavano ad alcuni allievi di Cavalieri d’Argento. Si disse che era impossibile, eppure… da dove derivava quell’improvvisa moria di gente attempata?! Da quando il Santuario ospitava così tanti individui in età così avanzata, quando, soventemente, crepavano tutti prima?! Carne da macello erano. Lo erano tutti, proprio per questo, di solito, si lasciava quel maledetto mondo ancora giovani e forti, sbudellati, certo, falcidiati dai nemici, ma ragazzetti o poco più.

Finalmente un vociare famigliare poco distante. Accelerò il passo, il cuore in gola, gli occhi quasi fuori dalle orbite da quanto spalancati fossero. Girò una colonna spezzata, quasi sbattendoci il braccio -Fanculo!- Fitta di dolore, gocce di sangue che continuavano a sgocciolare dalla ferita. Non importava. Doveva sapere. Doveva vedere.

I contorni dei visi finalmente si delinearono avanti a sé. Non riuscì a fermarsi nel distinguere il volto un poco rigido e tirato di Saga di Gemini che, aiutando uno degli apprendisti a portare una barella dalla quale si vedeva ciondolare solo un braccio pieno di rughe, dava al contempo direttive agli altri Cavalieri suoi subordinati a loro volta intenti a spostare le macerie. Non si fermò, no, se possibile andò ancora più dritto, come un proiettile che deve centrare il bersaglio.

“Saga!!!” un singulto strozzato, striminzito. Una lunga pausa di attesa.

“Death Mask...” fu la laconica risposta del compagno, l’espressione seriosa, un’unica linea a sottolineare lo stato emotivo che lo avvolgeva. Eppure… sembrava un dio anche in quella situazione.

Il Cavaliere di Cancer si scoprì improvvisamente a corto di fiato, si piegò quasi su sé stesso, sorreggendosi alle ginocchia, nel tentare di respirare l’ossigeno che improvvisamente sembrava essergli mancato nei polmoni, nelle vene, dappertutto, come se si fosse trattenuto fino a quel momento.

“Sei ferito” osservò Gemini, girandosi completamente verso di lui, mantenendo comunque la distanza che si confaceva alla sua persona. Perché un dio, per quanto terreno, non poteva permettersi di miscelarsi troppo alle emozioni umane.

“Non ha… non ha importanza, anf, anf, errori di gestione e nient’altro… - cercò di recuperare Death Mask, alzando lo sguardo – E comunque anche tu...” gli disse, notando la ferita alla tempia sinistra, le escoriazioni sulle braccia e probabilmente la spalla lussata, stante la posizione innaturale. Eppure non si scomponeva di un millimetro.

“Non ha… importanza! - fu la basilare risposta, accentuando poi il tono della voce nel dare indicazioni all’altro Cavaliere di posare la barella poco più in là. Ci avrebbe pensato poi lui a dare degna sepoltura al compagno caduto – E’ stata una dura battaglia, ma non la prima e di certo non l’ultima. Il male è molto forte ora...” aggiunse, scrutando i dintorni con un pizzico di rammarico.

“Che cosa… che cosa è successo?!”

Un’eventuale risposta fu interrotta dall’allungarsi di un’ombra imponente verso di loro; un’ombra accentuata da due corna.

“Anche Soter della costellazione del Triangolo ci ha lasciati…” sussurrò Aldebaran, l’armatura scintillante del Toro che rifletteva la luce opaca di un giorno turbolento che andava declinandosi. Aveva un’espressione colpevole, dilaniata, il gigante buono, mentre garbatamente posava per terra il cadavere rachitico di un vecchio di almeno novant’anni.

“Co-cosa?!” esclamò Death Mask, quasi sobbalzando, prima di essere attirato dal suono dei pugni che si stringevano di Saga.

“Capisco...” asserì solo il Cavaliere di Gemini, cupo, senza altre apparenti e particolari emozioni se non quella stretta ferrea delle sue dita sui suoi palmi.

Death Mask li guardò attonito entrambi: stavano parlando come se Soter fosse stato quel vecchio dalle pelle olivastra che sembrava visibilmente morto di vecchia… non poteva essere possibile!

“Era… un bravo ragazzo!” mormorò Taurus, passando una delle sue manone tra i capelli del morto nel preoccuparsi di sistemarlo con cura e dargli una dignità che la Nera Signora aveva tentato di strappargli.

“Ma andiamo, ragazzi, vi siete ammattiti?! Soter aveva diciotto anni, se non vado errato, come può essere questo… questo… signore?!”

Gli stava sfuggendo un ‘vecchio’ tempestivamente censurato, perché effettivamente, al di là dell’evidente disparità di età, lo ricordava nettamente. Non c’era... margine di errore!

Gli altri due Cavalieri d’Oro continuavano a tacere sull’accaduto. Aldy era del tutto perso a osservare le spoglie del defunto, Saga invece, gli occhi chiusi e il viso rischiarato dalla luce, sembrava rimuginare su qualcosa, domandandosi probabilmente cosa fosse andato storto nella battaglia appena conclusasi per permettere quella mattanza.

“Ragazzi, cosa… cosa è successo per davvero?!” insistette quindi Cancer, cercando disperatamente l’attenzione dei parigrado.

“E-ecco, io non… non lo so!”

“E-eh? - si ritrovò ad inarcare un sopracciglio nella direzione del gigante buono – Che significa?!”

“Che non ho ricordi miei della battaglia...”

Non aveva ricordi suoi della battaglia. Death Mask era allibito. Saga prese la parola.

“Sono successe tante cose mentre tu eri fuori...”

La questione stava diventando irritante e Cancer, che di pazienza ne aveva meno di zero, si ritrovò ben presto a bollire dall’esasperazione.

“E ALLORA SPIEGATEMELE, CAZZO! Questa tiritera sta diventando snervante, si può sapere che diamine è...”

“Ora ascoltami bene, Death Mask...”

L’occhiata di Saga si era fatta tagliente, autoritaria, per non dire quasi dispotica, da far attorcigliare le budella e provare l’impulso di rimpicciolirsi fino a scomparire. Il Cavaliere della Quarta Casa si ritrovò improvvisamente zittito, di riflesso si mise immediatamente sull’attenti come quando, da più giovane, riceveva una direttiva da lui ben sapendo che avrebbe dovuto seguirla per filo e per segno. Gemini, in fondo, era sempre stato così, deciso e autorevole, fermo di propositi quanto paurosamente volubile; infinitamente benevolo, quanto maligno, capace di darti tutto, con un unico schiocco di dita, e di togliertelo con altrettanta semplicità. La sua forza esprimeva davvero, da sé, tutta la maestosità, l’integrità, la dirittura morale di un Grande Sacerdote di Atena. Impossibile sfuggirgli, se ne rimaneva invischiati, completamente irretiti.

“Ho bisogno della tua completa attenzione, puoi concedermela?”

“S-signorsì!”

“Bene, ascoltami molto attentamente ora...”

Si trattava di una storia pazzesca, quella che usciva dalle labbra di colui che da tutti era riconosciuto universalmente come il Cavaliere d’Oro più forte che il Santuario avesse mai ospitato. Difficile credergli, se solo loro, come Sacri Custodi, non fossero già intessuti, per non dire impregnati, in un universo di cose insensate, assurde, come la vita medesima che ti sbatacchiava di qua e di là la realtà delle cose con un soffio di spregio. Gli venne così narrato brevemente dell’attacco nemico dopo il terremoto, di Clio, la ex Musa, di Ermete il Trismegistro, e dei loro poteri sovrumani; della decelerazione -o accelerazione- che la dea decaduta aveva lanciato su tutti gli abitanti del Grande Tempio, condannando ognuno di loro ad una metamorfosi, regressiva o progressiva, che non gli avrebbe lasciato scampo alcuno. Ciò -sosteneva Gemini- dipendeva in larga parte dalla composizione sanguigna di ognuno, ma fortunatamente non si era rivelato un processo irreversibile, almeno per i fortunati che, per qualche ragione, erano rimasti in vita.

“...Shaka ed io non abbiamo avuto molto a che fare con questa Clio, eravamo già troppo distanti per subirne gli effetti. Quel che ti ho spiegato poc’anzi è una teoria, valida, di Aphrodite, dovremmo affidarci a lui, che ha esperienza con la manipolazione del sangue, per scoprirne di più. – Saga accantonò il primo discorso per concentrarsi sulla parte che gli premeva di più, quella vissuta da lui in prima persona – Ermete invece è… un mostro! Difficile da battere, difficile perfino da scalfire. Usa una sorta di alabarda in grado di falciare lo spazio stesso. Ha dato del filo da torcere a due Cavalieri d’Oro uniti nella lotta, mi chiedo come sia possibile. Temo… temo inoltre che abbia usato solo una minima parte della sua forza, e già così...”

Ma Death Mask non lo stava più ascoltando da un pezzo, si era fermato ben prima, a Francesca, Aphrodite, Kiky e al ragazzo nuovo, Stevin, che, a quanto pareva, erano riusciti a liberare la forza vitale -tale Ergon- che la ex Musa aveva sottratto… sì, ok, ma non gli aveva detto altro inerente a loro, andando invece a parlare della battaglia fianco a fianco con la Vergine… MA CHI CAZZO SE NE FREGAVA, POI?!

Ad un certo punto il Cavaliere di Cancer non ci vide più, assecondando il formicolio alle mani, interropendo il flusso di dialogo di Gemini, che era partito per la tangenziale, lo prese irruentemente per le spalle, incurante delle proprie condizioni fisiche. I suoi occhi lampeggiarono in quelli verdi di Saga e, per la prima volta, si accorse di non avere alcuna remore a farlo, perché tutto il resto, il rispetto, la devozione, perfino il timore che aveva sempre provato in sua presenza, sbiadiva se confrontato a lei.

“Suppongo… non mi stessi seguendo in quest’ultimo punto, giusto?” domandò placido il Cavaliere della Terza Casa, senza scomporsi minimamente.

“Chi cazzo se ne fotte, dico io! Voi state bene, no?!”

“Si può dire dire di sì...”

“E allora, scusa tanto, fanculo Ermete! Dicesti poco fa che Francesca e Aphrodite hanno liberato l’Ergon sottratto, giusto?”

“Corretto...”

“Dove cazzo sono loro?!”

“Death...”

Inaspettatamente il tono confidente, da vero parigrado e non da vetta irraggiungibile quale in realtà era per davvero, lo indispose ancora di più.

“Dove CAZZO sono loro adesso?!”

“Il tuo braccio… sta sanguinando copiosamente.”

“FOTTESEGA UN CIUFFOLO DEL BRACCIO, SAGA! TI HO CHIESTO DOVE STRACAZZO SONO ADESSO!!! - si rese conto che stava perdendo le staffe, che aveva cominciato a scrollarlo con veemenza, del tutto preda della foga del momento. Cercò di ricomporsi – Stanno… bene?”

“Sono al sicuro, sì...”

“SAGA. Ti ho chiesto...”

“Calmati Deathy… - si intromise lestamente Aldy, posando una mano sulla spalla di entrambi e dando delle leggere pacche – Stai sanguinando molto dalla ferita, ha ragion...”

“PORCA DI QUELLA MERDA, MI VOLETE RISPONDERE?!? Mi preme solo...”

“Li abbiamo già soccorsi, non agitarti. Francesca era messa piuttosto male...”

Colpo al cuore.

“Ha perso molto sangue ed è stata avvelenata dalle rose di Aphrodite...”

Altro colpo al cuore, che rimbalzò direttamente in bocca. Merda. Merda. Merda. Quel pesce stralunato dove aveva la testa?! A che diamine pensava mentre combatteva?! Cancer si sentì ribollire dalla rabbia. Francesca ferita?! Come? QUANTO?!?

“Il Potere di Clio è tremendo, come ti dicevo, ella manipola il sangue. C’era un vincolo di parentela tra loro, la dea lo ha usato per, diciamo, colpirla in profondità...”

“Un vincolo..?! Come è possibile?! - chiese di getto, prima di rendersi conto della reale entità delle parole del compagno – Giusto, quella è una delle Muse, il che significa che è sorella di Urania, sua madre, e quindi è...”

“...sua zia, sì!”

“E quella… quella troia, come ha osato farle del...”

“Inoltre ha il potere di riflettere qualsivoglia tipo di attacco, sia fisico che telecinetico… - continuò Saga, recuperando il controllo del discorso che gli premeva di concludere – Secondo quanto ci ha riferito Kiky, ha rimbalzato indietro con estrema semplicità le rose di Aphrodite, colpendo brutalmente sia Francesca che il nuovo ragazzo, Stefano.”

Death Mask non sapeva minimamente come gli riuscisse di stare ancora in piedi, come era possibile respirare ancora, stante l’enorme peso che si era incuneato in lui; e Saga continuava a parlare delle doti dei nemici, diavolo, del loro potenziale terribile, di quanto avrebbero dovuti stare attenti e avveduti loro, le dorate schiere di Atena, contro questi avversari fuori dal comune, su quanto fosse in bilico l’equilibrio terrestre. Parole su parole. Vacue. Inesistenti. Insulse. Non gli importava! Non in quel momento. Non più. Almeno finché non avesse visto con i propri occhi le condizioni della sua ragazza.

“...Aphrodite è stato comunque lesto ad intervenire dopo lo scontro, ha soccorso subito Francesca, l’ha… depurata… possiamo dire.”

Death Mask si sentì un poco più leggero, mentre qualcosa di orrendamente simile ad un abbozzo di pianto gli cominciava a punzecchiare il contorno occhi.

“Ora è alla dodicesima casa con lei, c’è anche Kiky in loro compagnia. La ragazza ha reagito bene alle cure, l’emorragia si è definitivamente arrestata e...”

“Fanculo, Saga, non potevi dirmelo subito?!? - Cancer si sentì sgonfiare come un palloncino privo di elio, la stanchezza lo avvolse – Ti chiedo come sta e tu me lo dici in fondo ai tuoi bei discorsi?! Sei proprio… bah, lasciamo perdere!”

Si buttò a capofitto in avanti, con tutto l’intento di correre dove lo portava il cuore, ma poi, sentendosi in qualche modo in colpa, tornò sui suoi passi, dai compagni di tante battaglie. Chinò leggermente il capo, al limite dell’imbarazzo.

“Gra-grazie per… non so bene neanche per cosa, ma…”

“Death Mask...”

L’interpellato si rizzò, tornando a guardarli nell’aspettarsi un rimprovero. Contrariamente ad Aldebaran che aveva assunto un’espressione serena, come a dire di non preoccuparsi e di andare dalla fidanzata senza più esitare, la linea delle sopracciglia di Saga era tornata severa e inflessibile.

“Vai, ma quando avrai messo da parte il fervore giustificato del momento… noi Cavalieri d’Oro dovremmo riunirci in assemblea. La situazione, non solo per la pace di questa dimensione, ma per tutto il Multiverso, è drammatica. C’è molto più in gioco… - Saga assottigliò lo sguardo, la sua voce si fece più concreta e profonda – dei nostri drammi personali!”

“S-signorsì!” rispose, senza troppa convinzione, avendo ben altri pensieri guidati dall’ardore del momento, come diceva Gemini, che starlo a sentire. Si girò, scattando in direzione del dodicesimo tempio senza più alcun tentennamento.

Fanculo i doveri da Dorato Custode.

E fanculo anche il Multiverso, per quello che gli importava.

L’unica cosa che gli premeva era ricongiungersi a lei, dimenticarsi di essere Cavaliere d’Oro, di aver assunto un nome diverso dal suo originario; un nome che instillasse paura e sbigottimento negli altri, un nome per rigettare la sua umanità, il suo essere un debole, patetico, rifiuto precipitato per caso in quel mondo in cui era la sola legge del più forte a valere. Un nome per dimenticare il concetto stesso di morte, personificandola su di sé tramite soprannome, Death Mask, ‘maschera mortuaria’.

Era sempre suonato così sinistro... i nemici tremavano al solo pronunciarlo, perché quelle due parole davano un senso di onnipotenza, come un dio, come un castigo. Eppure in quel pomeriggio che volgeva a sera, mentre si avvicinava ai gradini della Casa dell’Ariete, un giovane uomo che aveva cercato di ostracizzare il senso stesso della morte, assumendola su di sé, desiderò follemente, ardentemente, tornare indietro. Al passato. A quel nome che credeva di aver seppellito per sempre. Quel nome che sua madre aveva scelto per lui, prima di morire.

Quel nome che mormorava un augurio, oltre che una speranza; la speranza di essere sempre forte e valoroso, come un leone.

Leonardo e non Death Mask. Molto più banale, certo, ma… umano… e c’era bisogno di umanità in quel momento.

Si morse il labbro nel trattenere una risatina nervosa, accorgendosi che a Francesca non aveva detto ancora nulla di quel nome, e ancora… che non avevano che iniziato a parlare dei propri peccati, ed era tremendamente ingiusto. Alzò lo sguardo verso il primo tempio, promettendosi mentalmente di farlo il prima possibile, di chiarire, prima che la vita madre e matrigna gli potesse nuovamente fuggire via dal corpo per estinguersi in un inferno ghiacciato che non avrebbe mai avuto fine.

Già, avrebbero parlato e… quasi inciampò al primo scalino, la vista improvvisamente offuscata. Non se ne curò, riequilibrandosi un attimo per poi riprendere la salita.

Uhmpf, di nuovo le odiate scale.

Di nuovo la dannata sensazione che fossero infinite, le maledette.

Scale, scale, scale… vedeva solo quelle, e il tempo che perdeva nel percorrerle nella loro interezza. Perché diamine il Santuario doveva essere arroccato su un monte?! Non poteva essere lungo una spiaggia assai più agibile?!

Finalmente, dopo un periodo che era sembrato infinito alla sua percezione, il Cavaliere di Cancer giunse nei pressi della dodicesima casa.

Tutt’intorno a lui dimorava la distruzione, lo sfacelo, l’oltraggio ad un luogo sacro che era stato violato impunemente. Il dolore al braccio si era acuito nella corsa, perché, senza curarsene, lo aveva sbattuto qua e là. Lo trattenne con una smorfia. Anche quello non era importante, scompariva, semplicemente. Proseguì, varcando finalmente il tempio dell’amico.

Non perse tempo a chiedere il permesso, né ad ispezionare i dintorni, sapeva già dove trovarli. Si diresse senza esitazione al piano di sopra, spalancò per istinto la prima porta che si trovò davanti.

Lo colpì forte l’odore intenso, balsamico, di erbe medicamentose.

Lo colpì la luce diffusa, come da tavolo di sala operatoria, al punto da costringerlo a ridurre gli occhi a due fessure.

Lo colpì il legger chiacchiericcio che, al suo arrivo, si esalò in un silenzio ammutolito.

Ma nessuna delle tre cose gli diede una mazzata assoluta come il distinguere nel letto in fondo alla stanza la persona che ci giaceva sopra.

La gola gli si seccò ulteriormente, la mandibola si serrò al punto di fargli digrignare i denti in un modo tale che Death Mask non avrebbe mai potuto credere possibile.

Lei su quel letto. I fili che le legavano il braccio. Le bende sporche di sangue. Il respiro affaticato. L’espressione piegata dalla sofferenza. No, dai, non poteva essere lei veramente, non… una dea, non...

Qualcosa gli si arrabattò dentro, tonfò, prima di picchiare tra le pareti del suo cervello e farlo tremare dalle fondamenta. Era lei veramente, non c’era possibilità di equivoco.

No…

Cos’era quel siparietto assurdo?! Chi si stava prendendo gioco di lui, portandolo a credere che la sua ragazza fosse davvero in quelle condizioni pietose?! Chi… aveva osato?!

“Deathy...”

Un richiamo lo raggiunse da qualche parte nella stanza, poteva essere dall’angolo opposto, oppure dal centro, boh, anche quello non importava, anche quello scompariva. Cancer dovette mettersi di buzzo buono per codificarlo pienamente, perché era sfasato, incredulo, costernato e… tremendamente incazzato!

“Deathy, mi dispiace… sono stato io a...”

Aphrodite non si era mai posto il problema di chiedersi se, in natura, ci potesse essere qualcosa di più rapido della velocità luminare; sapeva solo che un Cavaliere d’Oro poteva raggiungere tali vette inaccessibili a chiunque, tanto bastava per reputarsi ‘splendente’, ben al di sopra dei comuni mortali. Tuttavia quel giorno, in quell’esatto momento, si accorse che, al di fuori di ogni dubbio, vi erano individui che potevano agevolmente varcare tali confini, se ne rese conto, più o meno distintamente, proprio nell’attimo in cui, un nanosecondo prima, l’amico/compagno era ancora dalla porta e, un nanosecondo dopo, le sue dita stringevano con rabbia il suo niveo collo. Si ritrovò quindi a sobbalzare, l’aria improvvisamente carente, sebbene non al punto da fargli perdere coscienza. Sgranò gli occhi nel distinguere il viso snaturato di Death Mask a pochi centimetri dal suo. Sembrava tornato… l’assassino inflessibile di un tempo!

“Dove cazzo eri, Pisces?! A ballare la samba o il valzer?!?”

La presa sul suo collo aumentò, tossì un poco, pur sforzandosi di rimanere contenuto nei modi come era solito essere. L’amico era fuori di sé e aveva ragione, necessitava comunque di spiegazioni, ma per dargliele occorreva riportarlo quantomeno ad uno stato di pallida calma. Rabboccò aria con pazienza.

“Sul… campo di battaglia con loro!” riuscì a rispondere, senza nascondere il rammarico.

“BENE. Seconda domanda: allora, se eri con loro… perché cazzo Francesca è in quelle condizioni?! Ti ho forse affidato la sua sicurezza, in mia assenza, per vedermela ridotta così?!”

“No...”

“E ALLORA CHE CAZZO HAI FATTO, PESCI?! ERI DISTRATTO?!? IO MI ERO RACCOMANDATO!!!”

“Lo so...”

“SAI COSA SIGNIFICA, QUESTO??? TI RENDI CONTO CHE TI HO AFFIDATO QUALCOSA DI PIU’ IMPORTANTE DELLA MIA STESSA ESISTENZA??? ”

“Sì, Deathy...”

“E TU… TU!!!”

“Mi dispiace...”

Eppure nonostante lui urlasse, lo strapazzasse, e gli inveisse contro, Pesci se ne stava lì, placido, a non reagire, gli occhi socchiusi e un poco doloranti. Era chiaramente esausto, il braccio sinistro inerte, a penzoloni, grondante di sangue senza essere stato chiaramente medicato né trattato in alcun modo. Rotto. Più o meno e probabilmente come il suo.

Qualcosa morse la coscienza di Death Mask nel vederselo a sua volta ridotto ad un colabrodo, ma la collera, ancora ben vivida in lui, non era stata affatto dissipata. Sarebbe stato tutto più semplice se avesse ricevuto in risposta una reazione forte, magari una scazzottata tra amici, di quelle che si era scambiato spesso con Shura, anche se Aphrodite non era di certo il tipo, oppure… oppure delle spiegazioni, superflue, inutili, certo, ma che avrebbero dato a lui l’occasione di sbottare ancora di più, imprecare, bestemmiare la sua furia ai quattro venti. Invece nulla… la calma piatta in risposta. Nient’altro!

“Deathy, il tuo braccio...” gli fece notare ad un certo punto l’amico, accorgendosi della copiosa uscita di sangue nell’abbassare lo sguardo.

“FANCULO IL BRACCIO! E’ l’UNICA COSA CHE SAI DIRMI?!?”

“Come te lo sei procurato? Sembra… piuttosto malridotto!”

“MA CHI SE NE IMPORTA, ADESSO, DIMMI TU, PIUTTOSTO, PER QUALE RAGIONE...”

“Perché ha salvato me e Francesca. Lui ci ha provato davvero, Death Mask, ma i nemici erano troppo superiori alle nostre forze!” si intromise una voce infantile ben riconoscibile. Delle braccine gli circondarono la vita, stringendosi a lui con un pizzico d’urgenza, e capitò come se tutto il furore venisse risucchiato.

Il ravenello che li aveva interrotti era Kiky che, fasciato e incerottato in più punti, stava devolvendo tutte le sue forze per cercare di calmare il principio di baruffa. Sembrava sinceramente sconvolto da qualcosa, al punto sa spingere Cancer a lasciare la presa sull’amico e abbassare il braccio.

“E tu, sgorbietto, cosa ci fai qui?!”

“Ho provato a combattere... - rispose lui, gli occhi lucidi di paura, come se qualcosa lo avesse traumatizzato e gli avesse fatto smarrire tutta la scherzosità che lo aveva sempre contraddistinto – Come un vero Cavaliere, ma… molti dei miei amici, gli altri apprendisti, sono morti, non… non ho potuto fare...”

“No, Kiky, sei stato brillante, invece! - lo corresse Aphrodite, lesto, con una punta di premura che raramente lasciava trasparire per gli altri – Ma i nemici avevano poteri troppo al di là di noi. E’ stata… una durissima battaglia!”

“Sì, qualcosa mi hanno già raccontato Aldebaran e Saga...” sbuffò Cancer, un poco burbero, non riuscendo ad aggiungere altro.

“...”

Si aspettava, anzi, PRETENDEVA una risposta... tuttavia né Aphrodite né il piccolo Kiky aggiunsero qualcosa, chiusi in uno sconforto sempre più marcato e mai provato prima. Doveva sollevare lui il morale a loro?! Che diavolo!

“Ehi! - attirò la loro attenzione, ricercando lo sguardo del compagno d’armi da una parte e la testa rossiccia del piccoletto dall’altra. Una volta trovata, la frullò senza pietà per tentare di ravvivargli l’umore – Da quanto dite, mi assicurate entrambi che avete combattuto, cosa sono quindi questi musi lunghi?! Guardate che ci metto poco ad incazzarmi il triplo di prima, eh!” tentò di soffiare fuori il suo sarcasmo bruciante, sebbene la rabbia non fosse del tutto assopita quanto a stento attutita. Il che era già qualcosa, visto che solo un minuto prima avrebbe volentieri spaccato qualcosa, qualcuno, soprattutto la faccia del pesce lesso.

Aphrodite si morse il labbro inferiore in una espressione che Death Mask non gli aveva mai visto prima. Sembrava prostrato oltre l’inverosimile, quasi irriconoscibile, non solo perché sporco di sangue e sudato (e lui perfino in battaglia aveva la massima cura di non mostrarsi scarmigliato!) ma anche e soprattutto perché la sicurezza di sé sembrava evaporata in una nuvola di fuliggine.

“Ripetetemi con calma quello che è successo, voglio il vostro punto di vista!” Death Mask si sforzò di recuperare totalmente il controllo dopo lo sfogo precedente, che intanto era come sparare sulla Croce Rossa, ormai lo aveva capito. Nonostante ciò, il cuore gli tamburellò più pressante in petto.

“Ebbene...”

“Sarà un discorso lungo, vero?”

“Sì...”

“Ottimo, si fa per dire… sono tutto orecchi!”

Aphrodite raccontò ogni minimo dettaglio senza mascherare i suoi errori di calcolo, di valutazione, e poi ancora le disattenzioni, a suo dire, imperdonabili. Spiegò cosa fosse successo e perché, nella più completa onestà intellettuale, ma fu Kiky a prendere in mano il discorso da un certo punto in avanti.

“...e comunque come ti ha già accennato lui prima, Aphrodite ha sacrificato il braccio per deviare il colpo di Ermete quanto è sopraggiunto all’improvviso.”

“Quindi è per questo che...” volle investigare Cancer, serio.

“Sì… ma Francesca e Stefano erano già rimasti feriti...”

“Beh… almeno non eri a ballare la samba, o il tango!” tentò di ironizzare Death Mask, grattandosi la testa a disagio nell’essere esploso in quella maniera senza chiedere prima le dovute spiegazioni. Semplicemente la visione di Francesca su quel letto lo aveva stravolto del tutto, destabilizzandolo dalle fondamenta. Non l’aveva mai vista così… così vulnerabile, pallida, apparentemente priva della vita stessa. Era una dea, dopotutto, rinata umana, ok, ma pur sempre… immortale, no?! E invece… poteva rimanere ferita, o… peggio!

No, non riusciva minimamente a posare lo sguardo su quello stesso letto che puzzava di sangue, disinfettante e alcool; sarebbe esploso, altrimenti, una seconda volta, magari contro il muro che avrebbe volentieri voluto buttar giù a suon di cazzotti precisi e programmati. Faceva davvero troppo male vedere la propria fidanzata in quelle condizioni e ciò, parallelamente, lo rendeva del tutto inconsapevole che, invece, due occhi glauchi, sebbene stremati, lo stavano difficoltosamente osservando già da un po’, da quando era piombato in quella stanza, per l’esattezza, sbraitando come un forsennato.

“Tutt’al più il valzer, Deathy… - provò ad ironizzare anche Pisces con un leggero sorriso – Gli altri due stili non mi piacciono...”

“Vabbé, vabbé… almeno non bighellonavi, oh, è già qualcosa. Se davvero i nemici sono così potenti...”

“Non è che quello che oziava eri tu, Deathy?! Dov’eri finito?!” lo punzecchiò Kiky con un sorrisetto furbo, strofinandosi il nasino.

“E-eh?”

“Sei l’unico che non ha combattuto, ti sei dato alla macchia?!” continuò il piccoletto, ghignando.

Stava riprendendo ad essere la solita lisca di pesce non voluta in una bella spaghettata alla napoletana, era rincuorante.

“Tu zitto, bamboccio!”

“Non lo sono più… - fece linguaccia il bambino, producendo anche una pernacchia con la bocca – Te lo ha detto Aphrodite che il potere di Clio mi ha accresciuto, no?! Sapevo fare il Crystal Wall, se mi ci mettevo di buzzo buono!”

“Poi però stramazzavi a terra con una sincope!”

“Non è vero, non è vero!!!”

“Ah, sì?! E allora manifestamelo qui e ora l’attacco speciale che hai ereditato da Mu, lo voglio proprio vedere con questi miei occhi!” lo prese in giro Death Mask, con una smorfia di pregustazione

“Lo posso fare! Ora lo vedi!” provò a concentrarsi Kiky, desideroso di mostrare i suoi passi avanti. Era stato facile, da più grande, manifestare il Muro di Cristallo, poteva riuscici anche in quel momento che era tornato alle dimensioni ridotte, ne era più che sicuro.

“Ebbene ‘sto muro?”

“Uuuuuuuh!!! Uuuuuuuuuh!!!” si stava sforzando intanto il tappo, congiungendo le mani in una sorta di preghiera, senza tuttavia riuscirci.

“Stai cercando di evacuare, microbo?! Guarda che il water è...”

Era spassoso vederlo struggersi così per dimostrare che davvero era cresciuto e si era fatto forte ma, a quanto pareva, era tornato esattamente alla forza di prima, quella di un decenne, per l’appunto. Il Cavaliere di Cancer si ritrovò a sghignazzare, indeciso su quale altro punto colpirlo.

“Deathy, non mi sembra il caso di...” provò a bloccarlo Aphrodite, infastidito dai comportamenti infantili del compagno.

“Solo un secondo, è troppo divertente, aha, aha!” affermò l’amico, del tutto dedito a continuare le sue provocazioni, perché davvero era troppo ridicola l’espressione del moccioso, paonazzo in volto, quasi del colore dei suoi stessi capelli.

“E’ ancora un bambino che ha appena combattuto e visto perdere i suoi compagni...” gli fece notare ancora Pisces, insistente.

“Cos’è questa botta sentimentale, Aphro?! Non mi hai mai detto che stravedi per gli infanti...”

“Beh...”

“Forse, anf, Aphrodite capisce semplicemente le emozioni di Kiky, a differenza tua, Deathy… - lo raggiunse una voce da dietro le sue spalle, tremendamente affaticata, prima di continuare dolcemente il rimprovero – Ti stai comportando da vero screanzato!”

“Santi di quei… - sussultò nel girarsi, del tutto incredulo, incrociando finalmente gli occhi sfiniti della sua ragazza – FRA!!!”

Si ritrovò a correre come un forsennato, nuovamente dimentico del braccio fratturato che penzolava a vuoto. Più o meno in simultanea, Francesca tentò faticosamente di raddrizzarsi per darsi un po’ di contegno, perché non sopportava l’idea di farsi vedere così, era proprio una cosa che non tollerava. Esattamente come il suo maestro Camus.

“Come… come ti sent..?!” Death Mask aveva la domanda già sulla punta della lingua, per inciso gli era anche uscita a metà, ma la sua voce, nel distinguere qualcosa, si tranciò.

Anche le sue gambe si fermarono di colpo, poiché il cervello, attirato dal movimento del lenzuolo che cadeva in grembo alla sua ragazza, non era più in grado di impartire alcun ordine coerente.

“S-stavo meglio p-prima, quando dormivo – rispose comunque la giovane dea, cercando di non dare peso alle braccia che tremavano come fuscelli – Tu garrisci come un gabbiano, Deathy, quando sei agitato...”

“Ah... ehm… ehm…”

“Potrei stare comunque peggio, anf, grazie. Ho solo bisogno… di un po’ di riposo, anf!”

La giovane dea guardava il vuoto, snaturata dal dolore che provava, aspettandosi comunque un tempestivo tocco di Death Mask, o almeno un avvicinamento, ma Cancer si era fermato come un mulo e la fissava allibito -sentiva il suo sguardo su di lei- spingendola così a voltare la testa nella sua direzione.

“Che succede adesso, anf, tanto baccano prima per poi..?”

Ma il Grande, Gloriosissimo, Death Mask si era trovato impreparato. Si voltò semplicemente verso il compagno di numerose battaglie, paonazzo a sua volta.

“Aphrodite...”

“Sì?”

“Ma è nuda...”

La frase estraniante colpì tanto Francesca quanto Kiky che, quasi con la stessa tempistica, si erano ritrovati ad aprire la mandibola, allibiti. Aphrodite si limitò a sospirare, scrollando la testa prima di alzarsi i ciuffi celesti dagli occhi e radunare un’altra buona dose di pazienza per rispondere con flemma.

“Mio carissimo Deathy, ti assicuro che se trovassero un modo per curare un corpo umano da distanza sarei il primo ad attuarlo, giacché non amo il contatto fisico, ma non esistendo ancora nulla di lontanamente simile non avevo alternative! L’ho comunque maneggiata il meno possibile, stai tranquillo...”

“Si, ma… TUTTA?!” trasalì Death Mask, squadrandolo.

“No, dai, solo una parte… il resto lo lasciamo lì, permettendo così alla ferita di infettarsi... ma che domanda è???” si aggiunse anche Kiky, ironizzando, desideroso di prendersi la sua rivincita. Perché, anche se aveva soli 10 anni, le cose le sapeva, gliele aveva spiegate Mu senza lesinare in dettagli, almeno per quanto concerneva la fisiologia basilare maschile e femminile.

“Tu zitto, moccioso, che queste cose non le dovresti neanche sapere… anzi NON LE DOVRESTI NEANCHE GUARDARE!!!”

“A vedere la tua reazione esorbitante ne so più di te, però! - sogghignò lui, stirando la bocca nel sorriso furbetto che meglio gli riusciva – Il Sommo, Grandissimo Deathy, che si pavoneggia di avere avuto chissà quante esperienze sul settore, cade dal pero se… AHI!”

“TU… Z-I-T-T-O!”

Gli aveva tirato l’orecchio vicino, al punto di farlo lacrimare, ma Kiky era abile a sfuggire alla morse, aveva anni di onorato servizio alle spalle. Indietreggiò con una piroetta per poi mettersi con i pugni alzati per dimostrare che era pronto alla lotta.

“Io dovevo aiutare!!! Sarò un futuro Cavaliere, allievo del Sommo Mu, e lui ha conoscenze mediche che sta trasmettendo anche a me!”

“Pfff, non ti affiderei la vita del mio cane, se ce lo avessi, figurati se...”

“Su, su, bravi voi due! - si intromise Aphrodite, stanco di quella cagnara, dopo aver notato che Francesca, esasperata da tanto rumore, aveva alzato gli occhi al soffitto, sbuffando – Deathy, le ferite erano diffuse, non avevo alternative… ora smetti di fare il tonto e fai l’uomo, che ormai una certa età ce l’hai!” sorrise poi, prendendo Kiky con il braccio ancora sano per spostarlo di un poco, in modo da lasciare più spazio di manovra all’amico.

Death Mask dovette ammettere che aveva ragione, da quando era sopraggiunto lì, fuori di sé, non aveva fatto che un casino infernale e Francesca, anche se seduta con le sue sole forze, era visibilmente stravolta dall’esperienza appena passata. Si soffermò a guardarla, non sapendo cos’altro dire, l’avrebbe abbracciata, stretta a sé, ma nessuno dei due amava le moine in presenza di altri e lo sapevano bene entrambi. Avrebbero dovuto trattenersi fino a quando il pesce lesso e il pidocchio dai capelli rossicci non avessero deciso di levare le tende e lasciarli soli.

Oltretutto la giovane dea stava ricercando una posizione comoda per riuscire a stare dritta senza soffrire le pene dell’inferno. Desiderava avvolgersi con la coperta per celarsi, ma non riusciva a tirarsela su senza che il respiro diventasse affannoso. Alla fine, con rammarico, abbandonò quei propositi con un sospiro, lasciandola immota sul grembo a nascondere giusto le gambe; il resto del corpo, se non fosse stato per il pesante bendaggio che le ricopriva il seno e le spalle, lasciando scoperto solo parte del ventre, sarebbe stato in bella mostra. Arrossì leggermente a quel pensiero, anche se non era certo la prima volta che stava praticamente nuda davanti a degli uomini.

“Aspetta, ti aiuto io...” si riuscì a sbloccare Cancer, avvicinandosi ulteriormente a lei per prendere finalmente la tanto sospirata coperta e drappeggiargliela intorno in modo che si sentisse protetta.

Nell’azione, per ovvie ragioni, fu costretto a chinarsi verso di lei, ritrovandosi praticamente perpendicolare al suo corpicino che, anche se da dea, era parecchio minuto. Francesca non oppose resistenza, semplicemente si appoggiò stancamente a lui, lasciandolo fare.

Fanculo… almeno le ha lasciato le mutande, ma poi come diavolo l’ha avvolta? Voleva imbalsamarla direttamente?! Guarda qui quanto sono spesse queste bende… la soffocano, e…

Ad un certo punto il suo campo visivo fu praticamente coperto dalla chioma celeste di Aphrodite che si era inaspettatamente intromesso, sporgendosi come i bambini curiosi. Gli venne da imprecare.

“CHE DIAVOL…?!”

“Deathy, può bastare così...- lo avvertì Pisces con una naturalezza disarmante – Almeno che tu non voglia fare un insaccato...”

“Proprio tu parli, pesce lesso e pure fesso! L’hai fasciata come se la dovessi conservare in frigo!”

“L’emorragia non si sarebbe rallentata, altrimenti… alla prossima medicazione, se il sanguinamento si sarà completamente fermato, allenterò un minimo bende, ma al momento...”

“Finitela di preoccuparvi per me! – si intromise la giovane dea, irritata da tutte quelle attenzioni, riaprendo fiaccamente gli occhi – Sono a posto, ormai...”

“MA NON MI SEMBRA PROPRIO!”

“Deathy… - sospirò ancora lei, massaggiandosi stancamente una tempia – Non urlare, ti scongiuro, sono… troppo stanca!” ammise poi, crucciata.

“Scu-scusa...”

Francesca avrebbe voluto dirgli che non c’era bisogno di chiedere perdono, che lui era lì, stava bene, e che quello, solo quello, le aveva ridato abbastanza energie per provare a muoversi, ma invece di esprimerlo verbalmente si limitò a ricercare la sua mano posata appena sulla spalla, come se avesse paura di romperla, stringendola poi tra le dita alla ricerca di un sostegno.

“Va tutto bene, ragazza, sono qui...” le sussurrò lui, un poco più sereno nel vederla più rilassata, nonostante il dolore.

“Sono comunque in grado di discorrere con voi, Aphrodite, anf!”

“Ne sei sicura?” chiese il Cavaliere dei Pesci, serio in volto.

“S-sì, aspettate solo che… recupero un po’ di fiato!” annuì lei, socchiudendo appena le palpebre.

Stettero un po’ lì, il tempo per farla riprendere abbastanza da riuscire a parlare senza il tremore della propria voce. Riaprì quindi gli occhi glauchi, i quali si stagliarono in quelli celesti di Pisces che seppe per certo, un secondo prima del movimento delle sue labbra, su cosa sarebbe andato a parare l’argomento.

“Stevin come sta?”

Death Mask osservò sbalordito l’espressione del migliore amico farsi un poco più preoccupata, anche Kiky tornò completamente serio, partecipe del discorso.

“Stabile a quanto mi ha riferito Aiolos, ma… c’è qualcosa che non va!”

“E sarebbe?” provò a chiedere Cancer, non ascoltato.

“Lo supponevo, purtroppo… l’emorragia era troppo estesa, se paragonata alla ferita effettiva… - disse la giovane dea, gettando un attimo lo sguardo fuori dalla finestra, al cielo che stava diventando sporco di nuvole – non è neanche la prima volta che avviene, nel senso… quando era piccolo, e girava per tutta la Valbrevenna con Marta, è rimasto contuso più volte. Il suo sangue è sempre stato lento ad arrestarsi...”

“Bisognerà fare tutti gli accertamenti necessari, ma… Aiolos e Shaka hanno già una pista”

“Una pista...” ripeté la ragazza, in tono quasi assente nell’osservare un punto in movimento sul vetro, una cimice, da quel poco che riusciva a scorgere, che muoveva le zampette per salire. Non se lo spiegava, non aveva mai provato disgusto per gli insetti, ma… quell’essere… in un momento simile, senza neanche una ragione, la nauseava più di quanto già non si sentisse tale.

“Dalle prime analisi, ha un gruppo sanguigno molto particolare, e sarebbe...”

“...0 negativo, vero? Il più raro di tutti!” finì la dea per lui, sorprendendolo non poco.

“Come lo sai? Non te ne ho ancora...”

“...Parlato, sì, ma è come se lo avessi percepito, nell’infuriare della battaglia, quando ero legato a quella, a Clio… era come se percepissi il sangue di ognuno di voi, e anche…”

“Ehi, ehi, aspe… date il tempo anche a me di raccapezzarmi che già mi sono perso! - si intromise Death Mask, alzando la mano, nonostante si sentisse un idiota – cosa gli è successo all’inseparabile compagno di NON bevute, visto i tipetti sobri, di Marta?”

“Ma certo che tu sei proprio un cialtrone, eh… dicevi che Saga ti aveva raccontato, e invece...” fece nuovamente linguaccia Kiky, cercando di ravvivare gli animi.

Death Mask lasciò momentaneamente la mano sin troppo calda della sua ragazza per frullare i capelli rossicci di quel bimbetto sin troppo sveglio. Il gesto, sebbene brusco, nascondeva in verità una punta di affetto.

“Vi dissi che Saga mi aveva giusto accennato qualcosa, no?! In ogni caso, preferisco sentire la voce delle persone in campo… allora, Stevin ha partecipato davvero alla battaglia, sebbene non abbia competenze guerresche?”

“Lo ha fatto, sì, si è trovato invischiato. - lo accontentò, placido, l’amico di sempre, prima di fremere impercettibilmente per qualcosa che Death Mask giudicò essere un qualche tipo di colpa – Non avrebbe dovuto, ma Clio ha attaccato a tradimento sia lui che Francesca, come ti avevo spiegato prima...”

“Ma tu… - il tono di Cancer si era fatto un poco più sarcastico, anche se tradiva comunque una certa nota di accusa – hai fatto qualcosa di utile in quelle ore, Pisces?! Praticamente tutti i tuoi compagni di battaglia sono rimasti feriti!”

“Sempre meglio di te, che ti nascondevi!” ripeté Kiky, ammiccando, sforzandosi di mantenersi vivace, perché avvertiva gli animi irrequieti di tutti e voleva rendersi utile.

“Tu taci, pestilenza!” lo frullò ancora più forte il Cavaliere del Cancro, schiacciandogli giocosamente la testa con la sua mano che copriva tutti i capelli ribelli del piccolo.

“...E tuttavia è stato proprio lui ad essere risolutivo!” terminò il discorso Aphrodite, come se nessuno lo avesse interrotto, fissando colpevolmente un punto non definito del pavimento.

“E sarebbe?”

Il compagno gli raccontò degli ultimi fatti accaduti, degli strani poteri che aveva manifestato il ragazzo e delle sue, per certi versi oscure, parole. Francesca intanto, sempre più stanca e sfibrata, si sforzava di rimanere vigile, non concedendosi la benché minima requie. Era agitata, Death Mask poteva percepire le increspature del suo cosmo solitamente placido produrre dei sussulti ben distinti.

“Spezzare il circolo… - ripeté meditabondo Pisces, fissando il soffitto sopra di lui – Suppongo che qualcuno lo abbia raggiunto, in qualche modo, e gli abbia detto così, del resto… il ragazzo possiede un cosmo latitante in lui, piuttosto potente, anche. Difficile capirne i confini, se ce li ha!”

“Allora aveva ragione Saga a temere di lui?”

“Forse… o forse no. Non è comunque avvezzo alla lotta, non è un pericolo per noi, né per nessuno, a differenza di quanto temesse Gemini!”

“E perché non dovrebbe esserlo?”

“Per la composizione del suo sangue ti posso assicurare che non lo sia, non è una minaccia.”

“Anche ematologo adesso, Pisces?!” provò ad irriderlo Death Mask, vedendolo sempre più scuro in volto e non capendo parimenti il motivo.

“No, l’ho semplicemente assaggiato...”

“COS..?!”

Sicuro aveva capito male quella volta, non poteva essere serio per davvero, non poteva intendere…

“Ho assaggiato il suo sangue...” specificò ulteriormente il Cavaliere della dodicesima casa, con naturalezza, come se avesse appena proferito una frase qualsiasi.

Quindi era serio per davvero! Death Mask squadrò prima Kiky, che era allibito come lui, e poi Francesca, la quale però era troppo stremata per avere una reazione esaustiva ad una tale affermazione.

“E-eh?!?”

“Mi è rimasto un po’ del suo sangue sulle mani mentre lo soccorrevo… mi serviva per comprenderne le sue attitudini, il suo carattere, le eventuali malattie, nonché le esperienze di vita…”

“E ti basta… questo… per comprenderlo? Cioè, tu lo lecchi, il sangue, voglio dire, e… puff, tutto ti è chiaro?”

“Sì...”

“Ah, e… ok, mmm, lo prendo per vero, amico… - farfuglio Cancer, imbarazzato, prima di ricomporsi – E cosa hai, ehm, assagg… volevo dire, saggiato, sulla base di questo?!”

“E’ un bravo ragazzo, questo è certo, ma… c’è davvero qualcosa di misterioso in lui, come un sigillo che mi impedisce di attingere alle sue vere origini, alla sua storia più intima. Ne ho percepito solo la scorza, una piccola, piccolissima, parte della sua vita e… non dovrebbe essere così, avrebbe dovuto rivelarmi molto di più!” i suoi occhi azzurri guizzarono sull’amico, sorprendendolo.

“Non pensi, forse, di essere, ehm, un po’ troppo sicuro di te stesso? Addirittura alle sue origini puoi arrivare, non ti sembra di essere troppo… oltre?!”

“NO! In verità è la prima cosa che dovrei scoprire, sondandolo in questa maniera, perché è l’unione di due persone ad averlo generato, ne dovrebbe quindi rimanere perlomeno l’impronta, i contorni, invece non ne sono stato in grado, perché qualcosa ha ostruito il processo, un incantesimo, una sorta di barriera… va ben al di là delle mie doti! – Aphrodite sembrava infastidito da non essersi destreggiato maggiormente, sospirò, tornando al discorso precedente – Comunque, con quel problema al sangue, non può essere una minaccia per noi, tralascia che non lo sia comunque, ma, intendo, anche se volesse...”

“Per il suo problema?”

“Per il suo problema, sì, ha una malattia auto-immune piuttosto rara e sconosciuta, non so neanche se, allo stato attuale della scienza, abbia un nome, figurarsi una cura. Quel che è certo, e ne sono più che sicuro, è che è trasmissibile per via ereditaria a sessi alternati: da madre a figlio, da figlio a figlia...”

“Quindi sua madre, chiunque ella sia, soffre dello stesso problema?!”

“Sì, è certo, devono condividere lo stesso gruppo sanguigno. Suo padre invece non lo so, non sono minimamente riuscito ad attingere a lui.”

A quel punto Death Mask si grattò la testa, evidentemente confuso, così come Kiky, che nonostante la buona volontà si stava perdendo sempre di più in discorsi più grandi di lui e, a tratti, incomprensibili.

“Aphrodite presuppone, dalle prime analisi, che le sue piastrine non siano del tutto sane… - si intromise Francesca, sospirando pesantemente nel tirarsi ancora più su le coperte – Per questo perdeva tanto sangue, per questo il sangue non si arrestava...”

“Ma lo avete fermato ora, no?”

“Sì, ma il ragazzo ha rischiato grosso. Ora sta riposando dopo le cure delle inservienti… - continuò Aphrodite, nuovamente serissimo – Il suo organismo produce poche piastrine, deve trattarsi di una rara forma di trombocitopenia!”

“Che brutta parola! Siate un poco più spiccioli e meno accademici, insomma! - gli fece notare Death Mask, irritato da quel gergo troppo alto locato – Cosa rischia, quindi?”

“Perdite ematiche… trombi...”

“Non credo di comprendere perché, se ha meno piastrine, dovrebbe rischiare quello! Tutt’al più è il problema inverso, o no?! Dovrebbe avere il sangue troppo liquido...”

“Servono ulteriori accertamenti, Deathy, non posso scendere più nel dettaglio di così. La situazione è da chiarire...”

Death Mask lo squadrò, scettico, per una serie di secondi. Eh, certo che il pallino di fare il dottore il compagno e amico ce lo aveva sempre avuto, fin dall’infanzia, al punto da indisporre il buon Shura, che invece gli dava del matto per le sue fissazioni, ma dopo gli ultimi eventi, e soprattutto per Stefano, sembrava che questa sua passione viscerale avesse preso maggiormente il largo.

“Beh… se così fosse, davvero non è avvezzo al combattimento. – comprese finalmente Cancer, sbuffando – Un singolo colpo, un singolo taglio, lo potrebbe condurre alla morte in breve tempo. Non è una minaccia, in tal senso.”

“Accadeva anche da piccolo… - annuì Francesca, sfiduciata, la mente presa a inseguire ricordi ormai passati – Certo, non ha mai subito ferite gravi come questa, solo qualche graffietto o sbucciatura, ma il sangue impiegava comunque molto a formare una prima crosta… anzi, no, che dico, la formava sì una prima crosta, ma poi poco dopo riprendeva inspiegabilmente a sanguinare.”

“Se mi confermi questo, Francesca, mi dai adito a restringere ulteriormente il campo sulla sua patologia. – rimuginò Aphrodite, la mano sana sotto il mento – E’ come se le sue piastrine formassero una prima crosta per tappare l’uscita di sangue, non riuscendo però a mantenerla sul lungo periodo e disfacendosi di conseguenza...”

“Brutta storia, davvero brutta storia...” commentò anche il Cavaliere del Cancro, chiedendosi che cappero di malattia fosse, quella.

“Aphro… - Francesca, con un guizzo improvviso, richiese l’attenzione di Pisces - Stevin è un bravo ragazzo, ve lo ha già detto Marta, ma… ora lo hai potuto constatare con i tuoi stessi occhi e… beh, ehm, anche con qualcos’altro, a quanto dici. Concorderai quindi che Saga ha esagerato nelle sue posizioni!” si preoccupò, ricordandosi del fatto che l’amico d’infanzia non fosse visto di buon occhio da molti componenti del Santuario.

“Questo lo so, non devi angustiarti. Avevo i miei dubbi, in principio, come tutti, ma ora penso che… sì, penso che possa confidare in lui, mi unisco alla causa Camus. Lui si fida del giudizio di sua sorella a prescindere, io posso dire di averlo anche potuto constatare per esperienza personale!”

Lo sguardo di Francesca al suo nome si fece dolente, mentre, fremendo, guardò altrove, costernata, tentando di individuare le balugini del cosmo del maestro che si percepiva a stento.

“Camus… come sta messo?”

“Non devi pensarci ora, preoccupati solo di rimetterti in forze, anche per lui. E’ in buone mani, lo rimetteranno in piedi!” provò a tranquillizzarla Aphrodite, con una punta di comprensione che non mostrava soventemente.

Entrambi sembravano comunque riottosi sull’argomento, il tono si era fatto pesante, brancolante nell’incertezza, il che spinse Cancer ad indagare a sua volta, tastando prudentemente il problema.

“Ehi, da quando sono entrato nella barriera del Santuario lo percepisco appena, che diavolo gli è…?”

“Deathy...”

Francesca avrebbe voluto dare delle spiegazioni, ma si percepì improvvisamente febbricitante, a corto d’aria. Si mise una mano sul petto, tentando di controllare il dolore. Il suo impallidire ulteriormente non sfuggì agli occhi di Death Mask che, indovinando tempestivamente la direzione in cui si sarebbe accartocciata su sé stessa, la sorresse con il braccio sano, il cuore a mille dalla tensione di vederla ancora così fragile.

“POTETE SPIEGARMI, VOI DUE?! O deve farlo lei che sta male???” urlò inviperito, squadrando prima il piccoletto e poi il parigrado come alla ricerca di un incentivo per fargli riprendere il discorso.

“Il problema è… che non lo sappiamo nemmeno noi!” si scusò Kiky, puntellando dispiaciuto i due indici uno contro l’altro.

“Non eravamo presenti...” sussurro invece Aphrodite, a disagio.

“Questo lo so! Il suo cosmo è scomparso poco prima che il Santuario venisse attaccato, Francesca ed io eravamo ancora fuori, quando è successo, per gli affari nostri, lo sapevamo ad Efeso, non è forse così?” chiese l’appoggio della fidanzata, come ad avere la conferma che non fosse stato un tutto un sogno.

“Sì, è così… era ad Efeso in missione con Michela” annuì lei, il volto scuro.

“Poi è accaduto il patatrac, ci siamo separati, io sono rimasto a soccorrere la popolazione colpita dal terremoto e non ci ho più pensato. Quando sono tornato entro i confini del Tempio, la sua aura è riapparsa, come un flash. Sembrava così piena, palpitante, ma lo è stata solo per pochissimo e ora, ora… - lasciò la frase volutamente in sospeso – Ne sapete qualcosa?

“Poco. Solo che è stato rapito e portato in una dimensione alternativa insieme a Michela. Hyoga è riuscito a raggiungerli, li ha ricondotti qui, così ci è stato detto. - narrò Pisces, ancora più nervoso rispetto a prima – Ma cosa gli hanno fatto nel lasso di tempo in cui il suo cosmo era irraggiungibile, come volatilizzato, non lo sappiamo nemmeno noi...”

“Perfetto! Andiamo proprio bene!” commentò Cancer, ben oltre il nervosismo del compagno, quasi nevrastenico. Da tutto. Dalle condizioni della sua fidanzata, che sembrava sconvolta. Dalle parole di Saga che, nell’ultimo periodo, pareva fosse sempre di umore inverso. Dall’identità dei nemici che credevano di poter fare il bello e il cattivo tempo con loro. E pure da quella spina nel fianco di Camus, che gliene andasse bene una, UNA, che diavolo!

Ma del resto… era la chiave dei piani nel nemico, anche quello ormai si sapeva!

In breve, non c’era più un cazzo che filava giusto in quel pazzo universo. A partire dalla loro rinascita, dal loro essere tornati a nuova vita. Più un cazzo! Da pensare (quasi!) che sarebbe stato meglio rimanere morti, almeno non si percepiva nulla, neanche le tribolazioni. Possibile che il prezzo per essere rinati fosse quello? Era forse una maledizione?!

“I-io non posso stare qui, devo andare a vedere come sta!”

“E-eh?”

Percepì a stento la voce, di colpo furente anche se strascicata, della fidanza, ma il suo gesto di togliersi le coperte, alzarsi e andarsene lo recepì fin troppo bene, e infatti piombò su di lei, tentando di tenerla ferma.

“Pazza! Dove diavolo pensi di muoverti?!” esclamò lui, su di lei, stringendola dal polso prima di piegare esaustivamente un ginocchio sul letto allo scopo di impedirle qualsiasi azione pertinente il sollevarsi.

“Da Camus! Non senti quanto sta male?! Non sappiamo cosa gli hanno fatto subire, ma deve essere stato terribile, ed io… ed io...”

“No! No! No! Tu stai qua e RIPOSI!” la incalzò subito lui, di riflesso, sgranando gli occhi.

“Non mi dare ordini, Deathy!” gli occhi glauchi di Francesca saettarono con la potenza di un fulmine verso i suoi, il Cavaliere ne poté percepire l’immensa magnitudo, da far tremare, ma non tentennò.

“Io non ti sto...”

“Fra, Deathy non ti sta dando alcun ordine, sono io che te lo sto dando, per bocca del Grande Sacerdote Shion: non occorre il tuo intervento, ci stanno già pensando loro, riposa!”

“Ma io...”

“Hai perso troppo sangue per renderti utile. Non sei in condizioni per alzarti, te ne rendi conto da te, vero? Sei sempre stata… la più avveduta tra le nuove ragazze giunte qui la scorsa estate!”

“I-io...”

“Non darci adito… di pensare diversamente!”

Il corpo di Francesca iniziò a tremare a seguito delle sue parole. Appariva costernata, combattuta, se seguire quelle direttive o no, pur rendendosi conto che Pisces, nonostante il tono severo adoperato, fosse tangibilmente in pena per lei, come tutti. A far pendere l’ago della bilancia da una parte, ovvero sul non-intervento, fu la pallina Kiky che, intrufolandosi improvvisamente in mezzo a lei e Deathy, la abbracciò con forza.

“Sei affaticata, hai combattuto contro una ex Musa! - affermò il piccolo, agitato – Sai, c’è anche il mio Maestro Mu con lui, e Shaka, oltre che al Sommo Shion, non è solo! Qualsiasi cosa gli hanno fatto, perfino la più brutta, loro riusciranno a curarlo!”

“Kiky… - biascicò Francesca, accarezzandogli maldestramente un ciuffo, prima di acconsentire e lasciarsi andare tra le braccia di Death Mask – Fatemi almeno sapere, quando ve lo diranno, come sta e… cosa gli è successo!” si arrese definitivamente, chiudendo stancamente gli occhi.

“Sarà fatto, promesso!” annuì Aphrodite, osservandole attentamente il volto pallido.

“E abbiate cura anche di voi!” aggiunse, prima di essere accompagnata a coricarsi da un Death Mask sempre più evidentemente in apprensione.

“Anche questo sarà fatto! - promise il Cavaliere dei Pesci, prima di dare un’occhiata esaustiva a Kiky, che comprese di doversi staccare, e poi al parigrado – Mi raccomando, Masky, stai con lei!”

“Sì, pesce lesso, non c’è bisogno del tuo consiglio! Ah, e non chiamarmi così, fa rabbrividire!”

Aphodite si concesse una breve risatina, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta, seguito dal bambino. Di nuovo gli occhi di Death Mask furono attirati dal movimento inconsistente del suo braccio che ondeggiava mollemente privo di volontà. Doveva essere di certo rotto in più punti, minimo dalla spalla in giù. Si morse il labbro inferiore, mentre un ricordo spiacevole, non del tutto suo, lo investì brutalmente.

Comparve nella sua mente un bel viso aggraziato non dissimile da quello di Aphrodite, irrigidito tuttavia dal rigor mortis e sporcato di sangue raggrumato, violaceo, come viola era il colore dei numerosi ematomi sul suo corpo. Anche in quel caso, la sola immagine del suo braccio di allora, così innaturalmente piegato da sembrare snodato, pur nel rigore imperituro della morte, gli fece togliere il fiato, portandolo a darsi una scrollata per non rivivere quei terribili momenti.

 

Scemo! Ma Aphrodite è qui, vivo, ha solo un braccio rotto, un cazzo di braccio rotto e nient’altro! Perché ora pensi a questo, perché hai permesso a quel viso così famigliare, pur nella sua diversità, di riaffiorare nei tuoi ricordi?! Quello non è più lui e… colui che lo stava assistendo, nella non accettazione della sua morte, non sono io… non più!

 

“Ah, ehm, pesce impanato e fritto, Aphrodite! - che buffo nome per chiamarlo, ma ottenne l’effetto sperato di farlo voltare verso di sé – Quel tuo braccio così è davvero orribile, curatelo, mi raccomando!”

Una preoccupazione lecita, la sua, che, come sperato, l’amico colse in tutta la sua totalità. Si abbandonò infatti ad una leggera manifestazione di risata a bocca chiusa, come era solito fare.

“Deathy, mi conosci… pensi davvero che potrei trascurare il mio bellissimo braccio e lasciarlo deturpato?! Ci tengo al mio corpo!” gli fece notare, lasciandosi svolazzare adorabilmente i capelli nel passare la mano sana sulla chioma ridente.

“No, certo che no… ma sempre meglio dirtelo in tutta schiettezza!” sogghignò Cancer, recuperando un poco del suo buonumore.

“Anche il tuo, comunque.”

“Il mio..?”

“Braccio. E’ orribile a vedersi, cerca di porvi rimedio il prima possibile!” fu la serafica risposta dell’altro nell’aprire e chiudere la porta dietro di sé.

Death Mask ci mise un po’ a riprendersi da quell’affermazione, quella volta era toccato a lui rimanere come un pesce spiaggiato. Tra l’altro l’amico se l’era pure svignata, non concedendogli il beneficio dell’ultima battuta.

“Cretino! Sai a me che m’importa di questo, non fa nemmeno… AHIA!”

Nell’enfasi della risposta lo aveva mosso ed erano stati dolori. Sbuffò, contrariato. Se ne sarebbe preso cura, certo, ma non prima di tranquillizzare Francesca, ancora parzialmente vigile, anche se coricata sul letto. La coprì meglio per quanto gli concedesse l’uso di una singola mano.

“Aphrodite ha ragione, Deathy, dovresti...”

“Non ho detto che non lo farò! Ma ora devo pensare a te!” disse, arrossendo e guardando altrove per l’imbarazzo come gli capitava di frequente quando doveva esporsi.

“Allora, anf, dobbiamo finire il nostro disc...” tentò ancora la giovane dea, prima di essere bloccata da lui, che la abbracciò senza pesarle.

“Non si fa alcun discorso ora, non finché non starai bene!” decretò, nascondendo il volto tra la spalla e il cuscino e rimanendo lì a tremare come un poppante.

Francesca capì, sorrise tra sé e sé, poi, con un poco di fatica, si permise di accarezzargli i capelli dietro alla nuca.

“EHI! Non sono un cane!” si oppose lui, alzandosi appena per vederla in faccia, ancora più paonazzo.

“E questo no, quest’altro no… che tipetto difficile! Posso fare qualcosa, Deathy, oppure…?” ridacchiò lei, divertita.

“Riposare! - rispose lui, prima di buttare fuori aria e tentare di darsi un contegno – Riposa, leonessa, hai combattuto, hai protetto gli altri… ora… ora ci sono io… a proteggere te!”

Francesca arrossì a sua volta, per non darlo a vedere, giacché non era abituata, si voltò, per quanto le fosse possibile.

“A proteggermi, eh...” si raschiò la gola, visibilmente imbarazzata.

“Qualcosa del genere, sì… riposa!”

“Io ci posso anche provare, Deathy, ma… sono preoccupata, anf, per Camus, per Michela… per quello che certamente gli avranno fatto, ovunque li abbiano condotti...”

Gli occhi le baluginarono dalla paura e dal tormento, una sofferenza non certo solo sua, ma anche per le persone che amava. Il dramma era che, purtroppo, il glorioso Cavaliere di Cancer era stato abituato a combattere, sbrindellare e uccidere, non certo a poter cogliere le lacrime di una giovane donna angosciata dalle sorti di due delle persone a cui teneva di più al mondo. Si morse il labbro, rimproverando la sua inettitudine in quel settore.

“Sai come si dice, no? L’erba grama non muore mai...”

“Deathy...” Francesca sospirò nel riconoscere il tentativo, un poco bislacco, di rincuorarla.

“Oggettivamente non so cosa abbia patito la tua amica, mi dispiace per lei, ma… sono certo che Camus l’abbia protetta ben oltre le sue forze, dando tutto sé stesso, e sai che lui ha la pellaccia, ma di quella veramente dura, eh, come le erbacce che per quanti diserbanti si usino, crescono in continuazione!”

“Camus… una erbaccia?!” Francesca sorrise a quell’accostamento nel confermare, ancora una volta, quanto il suo fidanzato fosse negato con i sentimenti.

“Sì, e sono stato fin gentile!” affermò ancora lui, chiudendo gli occhi e guardando altrove, stizzoso.

“Ma se sei sempre tra i primi a preoccuparti per lui...” gli fece notare, con naturalezza.

“COSA?! Dove lo hai visto questo film, lo danno in anteprima nei cinema?!” il suo alzare ulteriormente il tono, al limite dell’imbarazzo, lo metteva in luce ben più di quanto volesse.

“Lo sai, si vede… o, almeno, io lo vedo, non lo puoi negare!”

“Ggggh… per forza! Ovunque va quello rischia la vita, grazie al cazzo che poi ti vengono le ansie per la sua persona!”

“Non hai negato, vedi?” sorrise ancora Francesca, felice di averlo smascherato.

“Acc..!”

Death Mask era di nuovo un pesce lesso, decise di soprassedere, non fiatando più e limitandosi a stringerle la mano. Le dita di lei ricambiarono timidamente la sua presa, il pollice gli si mosse per carezzarle la pelle del dorso. Era parecchio stanca, dava segni di cedimento, ma non sembrava volersi arrendere, sforzandosi di rimanere con gli occhi ben aperti nell’assaporare quel momento tra loro.

“Dormi, sono qua… non me ne vado!”

“In verità dovresti, sei ferito e devi curarti...” mormorò la giovane dea, guardandolo dritto negli occhi.

“E allora… starò con te, almeno fino quando non dormirai profondamente. Chiederò un cambio a quel saltimbocca di Mu, o al cornuto Shura, in modo da avere il tempo per disinfettarmi la ferita e fasciarmela, dopodiché verrò di nuovo da te… meglio così?” le propose un piano, abbassando istintivamente la voce nel vederla cedere sempre di più alla stanchezza.

“Meglio, sì...” annuì lei, chiudendo le palpebre e aumentando la stretta sulla sua mano, sebbene a fatica.

“Ehi, ho detto che non me ne vado prima che tu dorma, non ti preoccupare, e anche quando me ne andrò sarò velocissimo a curarmi! La ferita non è grave, vedrai che, tempo che tu riaprirai gli occhi, io sarò nuovamente qui, fasciato, certo, ma presente e pronto ad accoglierti!”

“Mmmh...” mormorò ancora lei, annuendo appena, prima di abbandonarsi sul cuscino e crollare dopo pochi secondi, la mano ancora intrecciata alla sua.

Non era facile vederla così, così fiacca e indebolita, provata da una esperienza che doveva essere stata terribile. Effettivamente, a differenza delle altre birbe, in quei mesi non aveva mai subito ferite troppo gravi, ben avvezzata alla lotta e di indole guerriera da secoli e secoli; Death Mask non avrebbe mai nemmeno pensato che sarebbe stato possibile vederla piegata fino a quel punto, fragile, vulnerabile, ed era ciò ad averlo sconvolto fin dal profondo. Pensò ancora una volta alla loro schifosissima esistenza, alla precarietà del tutto, a maggior ragione su di loro. Si sentì esasperato, vecchio, logoro dentro, sebbene fosse ancora giovane, a cavallo tra i 20 e i 30 anni, nel fior fiore delle sue forze, quindi.

La verità era che tutte quelle forze gliele avevano prosciugate le battaglie avute in precedenza, il morire e il rinascere più volte, la condanna delle colpe, i suoi pentimenti…

Ma a cosa giovava starci a rimuginare in continuazione?! Non era mai stato così smidollato, sovraccaricato dai sentimentalismi, dai dubbi… proprio in un momento in cui la persona che amava aveva bisogno di una presenza forte, sicura, che lo ascoltasse e la sostenesse, non di una mammoletta preda dei rimorsi! Quelli c’erano, ci sarebbero sempre stati, conviverci era l’unica soluzione; conviverci senza ulteriori, vani, tartassamenti interiori!

I suoi occhi un poco tristi si posarono verso la finestra e poi ancora sull’angolo sinistro del soffitto. Acuì i sensi nel tentare di percepire il cosmo di Camus, ridotto al lumicino, una fiammella tremolante. Così debole da creare sbigottimento, anche se, a ben guardare, era la sua stessa interiorità ad esserlo, come se fosse stata sul punto di sgretolarsi a causa di una qualche frattura insanabile.

Era ordunque la sua stessa anima a starsi perdendo? A scivolare lentamente giù… in un limbo senza fine? In qualunque posto fosse stato catapultato, qualunque cosa avesse subito sul proprio corpo, era entrato come Camus, e ne era uscito come… già, come? Ne era uscito, certo, ma non più come sé stesso, non solo.

Vi era… qualcosa in più dentro di lui, ma cosa?!

Ovviamente questo a Francesca, ormai placidamente addormentata, non lo aveva spiegato. Non le aveva riferito il travaglio che sentiva provenire dall’anima di Camus; neanche ad Aphrodite lo aveva detto, ma era più che certo, anche se non in grado di percepire l’anima come lui, bensì il sangue, che il Cavaliere d’Oro se ne fosse reso conto da solo che qualcosa era mutato, pur tacendo saggiamente.

L’anima di Camus non apparteneva più solo a Camus, era fin troppo chiaro… forse neppure gli era mai davvero appartenuta del tutto. Così sul punto di sfaldarsi, collassare su sé stessa, da una spaccatura che si era già formata precedentemente la sua nascita. Da lì, da quella falda, avrebbe potuto collassare tutto il fianco della montagna e così l’integrità della sua stessa persona.

 

Che diavolo ti è successo per ridurti così?! Cosa ti hanno fatto, ancora? C’è qualcuno con te, dentro di te, non parlo di Dègel, la tua precedente vita, non solo, c’è… cosa sarebbe questa cosa, perché non me ne sono mai reso conto prima di adesso? Eh, certo che eri strano anche allora, da poppante, ma qui, in questo momento… questo follicolo nuovo, al tuo interno, che emana un’energia mostruosa, più grande di noi Dorati Custodi messi insieme, più grande perfino della stessa dea Atena, di Zeus, degli Olimpi tutti… di cosa si tratta?!

E’ da lì che ti stai sfaldando, oppure..?

 

Death Mask preferì non pensarci. Tacque, nel silenzio della stanza, facendo tacere perfino i pensieri. Non lo avrebbe detto a Francesca, no, né a nessun altro, cosa sembrava celarsi dentro il grembo del Cavaliere dell’Acquario, essersi svegliato, pur non spiegandosi come fosse stato in grado di riuscirci ed essere passato inosservato fino a quel momento.

Non glielo avrebbe detto a nessuno, no, ma temeva, anzi, ne era proprio certo, che, presto, sarebbero stato qualcun altro a riferirglielo, perché era una cosa troppo grossa per essere celata.

Si morse ancora una volta il labbro inferiore, a disagio, prima di abbassare lo sguardo sulla sua ragazza, profondamente addormentata. Le accarezzò la testa più volte, prima di sorridere automaticamente.

Aveva mentito, non si sarebbe allontanato subito da lei, neanche quando Mu o Shura sarebbero giunti per il cambio. Si accucciò quindi al suo fianco, permettendosi di chiudere gli occhi per seguire pedissequamente il suo respiro regolare, crogiolandosi in esso.

Fanculo le guerre, il pazzo sadico, i problemi esistenziali e pure i rimorsi… quello era il momento di vivere, assaporare il nucleo profondo della vita, legarsi a esso, indissolubilmente. Sorrise automaticamente.

Si addormentò così, vinto dalla stanchezza, la testa appoggiata sulla sponda del letto, la mano intrecciata a quella di Francesca.

Si addormentò così, per la prima volta da tanto, tantissimo, tempo, non completamente soggiogato dalle ombre del passato.

 

 

* * *

 

 

Milo era seduto per terra, appoggiato ad una delle colonne del tredicesimo tempio, le braccia conserte e il viso nascosto tra la piega dei gomiti e le ginocchia. Ogni tanto dava un’occhiata alla porta della infermeria dove avevano portato Camus per prestargli le prime cure. Non sapeva nulla delle condizioni del suo migliore amico, se non quello che aveva visto con i propri occhi.

Quando, dopo essere tornato nuovamente giovane, virile e nel pieno delle energie, era giunto nei pressi della spiaggia indicatagli mentalmente da Hyoga, vi aveva trovato solo Michela in lacrime adagiata sul corpo privo di coscienza di Camus. Gli era parso subito, con il cuore in gola, che fosse vistosamente agitato, il respiro arrivava frenetico all’addome, a sua volta scosso da spasmi e contrazioni impressionati. Del Cigno invece non vi era più alcuna traccia, sebbene si fosse raccomandato -direttamente minacciandolo!- di rimanere in zona e non muoversi, perché aveva percepito fosse a sua volta ferito gravemente a causa delle increspature meno fitte del suo cosmo.

Nulla da fare, orecchie da mercante, se ne era andato, giudicando probabilmente concluso il suo compito e altresì certo che presto avrebbero soccorso il suo maestro e la fidanzata. Se ne era andato… lasciando nuovamente quel vuoto, quel posto che invece gli spettava di diritto.

Milo, a quella constatazione, aveva ringhiato, lo aveva mandato mentalmente a fanculo, pensando per un solo istante di andarlo a ripescare, dagli una sberla, imponendogli di stare lì, con loro, la sua famiglia, che aveva così bisogno di lui. Ma i suoi occhi esperti avevano capito subito che sia Camus che Michela erano in gravi condizioni, che qualcuno si era già mosso a prestare soccorso a Hyoga, la cui flebile aura, debolissima, pulsava non molto lontano, attorniata da altri cosmi amici, splendenti. Aveva quindi scelto, non senza un certo rammarico, di lasciarlo cuocere nel proprio brodo, di rendersi utile lì, perché la situazione era critica.

Quasi senza accorgersene, si era precipitato verso mentore e allieva, il cuore sempre più forsennato nel petto mano a mano che, avvicinandosi, le condizioni in cui versava l’amico si facevano sempre più delineate. Aveva urlato i loro nomi, li aveva chiamati, ma nessuno dei due aveva dato l’impressione di poterlo udire. Di conseguenza, si era buttato a capofitto, scrollando Michela, la quale, nel riprendere finalmente coscienza di sé, l’aveva fissato con occhioni gonfi di paura, prima di fiondarsi tra le sue braccia e cominciare a sproloquiare frasi che Milo capiva a spizzichi e bocconi.

L’aveva stretta, cercando di confortarla, nonostante tutta la sua attenzione fosse per l’amico di sempre, per le sue condizioni critiche, per… quello strano liquido dorato che gli usciva continuamente dall’ombelico, sporcandogli buona parte del ventre scalpitante.

Ne era rimasto inevitabilmente sconvolto Milo di Scorpio, Cavaliere dell’Ottava Casa, perché la pancia di Camus si contraeva in maniera del tutto involontaria, preda di quelle che, ai suoi occhi sbigottiti, parevano delle vere e proprie doglie da parto. Facevano dannatamente impressione e…

...E Michela aveva continuato a parlare, diavolo, sostenendo che era stata opera di una tizia, Tiamat, che era lei ad essere dentro Camus, a fargli tutto quel male; che tutto faceva comunque parte del piano del negromante pazzoide, il risvegliarla, per poi possederlo, e ci era quasi riuscito, con le sue strie venefiche, oscure, che gli avevano contaminato i vasi sanguigni e i capillari, diffondendosi ovunque.

Ma -Milo lo aveva osservato allibito, cercando di comprendere a cosa la ragazza si riferisse- non vi era nulla sul corpo del suo amico, se non delle bruciature e quella perdita di fluido dorato ben lontano dall’essere contaminato di nero. Era inquietante, d’accordo, incomprensibile, certo, tuttavia…

Non aveva avuto il tempo di dare voce ai suoi dubbi. La ragazza era scoppiata nuovamente a piangere e giù altre lacrime, altre frasi, peraltro ancora più incomprensibili di prima, altri strilli. Impossibile cavare un discorso di senso compiuto.

Milo, ancora seduto per terra, sconvolto, si rammentò con amarezza che, per un solo attimo, l’aveva pensata fuori di testa. Alle domande del resto -Michela, cosa vi hanno fatto, quindi?- la ragazza non dava risposte concrete, continuando invece a vaneggiare su quanto fosse successo, su quanto fosse stato eroico Hyoga a salvare Camus, su quanto terribili fossero le strie del maestro. Lo Scorpione, da un certo punto in poi, non aveva avuto il coraggio di chiederle nient’altro. La vedeva chiaramente sconvolta, ed era lampante che le avessero provato a fare qualcosa di brutto, oltre che di male, a giudicare da quanto fossero disastrati gli abiti che, a stento, la ricoprivano parzialmente.

Cosa diavolo era successo, insomma?!?

Poi fortunatamente erano arrivati altri rinforzi a soccorrere Camus, alcuni compagni Cavalieri d’Oro e i Guaritori superstiti. Si erano disposti a cerchio intorno a lui, cominciando a tastarlo in più punti, controllando minuziosamente le sue funzioni vitali, infilandogli drenaggi e flebo. Milo non aveva potuto far altro che allontanare Michela urlante per permettere a loro di essere liberi di agire su quel corpo nuovamente devastato. Gli aveva così voltato dolorosamente le spalle, addolorato, sapendo bene di non poter fare nulla, la ragazza sempre più disperata che continuava a chiamare il nome del proprio maestro, opponendosi, cercando di raggiungerlo di nuovo, di toccarlo… ancora...

Gli era costato, qualcosa gli si era strappato nuovamente dentro… ma se Camus dell’Acquario fosse stato sveglio e cosciente, sapeva bene cosa si sarebbe raccomandato di fare, era perfettamente consapevole si sarebbe preso cura prima di lei, crollando poi sfinito solo nel momento in cui la sua pupilla, ormai al sicuro e medicata, si fosse addormentata.

Lo Scorpione non possedeva doti curative, sapeva solo arrestare un’emorragia in maniera drastica quando non c’erano altri espedienti, ma quel fluido dorato sembrava così diverso dalla norma, lo aveva disorientato, consegnandogli la spiacevole sensazione che, se solo avesse provato a premergli un punto di pressione, ne avrebbe peggiorato soltanto l’uscita.

Lasciando così il cuore e il suo amico, aveva portato Michela all’undicesima casa. Dopo una breve ricerca, era riuscito a trovare fortuitamente delle medicine, delle creme e delle bende, persino dei tranquillanti, che non aveva esitato a far assumere alla ragazza, sempre più sconvolta dall’esperienza passata.

Michela aveva parlottato ancora… erano usciti i nomi di prima, quelli di una certa Tiamat, di Hyoga e, uno nuovo, un certo Utopo, poi, vinta dalla spossatezza e da tutti i fatti subiti, era crollata addormentata. Milo era rimasto un po’ a massaggiarle la testa per tranquillizzarla, l’aveva quindi coperta con la trapunta, affidandola poi ad una inserviente nel raccomandarsi di farla riposare; lui sarebbe tornato presto, dopo essersi recato all’ultimo tempio.

Ed era ancora lì Milo di Scorpio, attonito, confuso e con quel dannato peso sul cuore. Provò a contattare Hyoga, ancora una volta, ma il suo flebile cosmo era troppo lontano per essere raggiunto.

“Al diavolo, Hyoga! Proprio in un momento simile!” imprecò, picchiando con enfasi la nuca contro la colonna per tentare di sbollirsi e dare un minimo sfogo a quello che sentiva.

Sciocco, sciocco, sciocco! Non ti rendi conto, tu, di quanto servirebbe a Camus la tua vicinanza, a maggior ragione in un momento come questo!

“Milo...”

Quasi si rizzò nell’udire la voce di Mu che usciva dall’infermeria, saltò in piedi nello scorgere il compagno d’armi e amico carissimo in procinto di avvicinarsi a lui.

“M-Mu! Cosa mi puoi dire di… di…”

Niente aveva preso a tremare, la tenuta aveva retto fino a due secondi prima, ora stava crollando miseramente.

“Abbiamo dovuto parzialmente sedarlo, non riuscivamo a tranquillizzarlo in altra maniera...”

“Ma come sta?” insistette lui, trepidante.

“Non bene...”

“Per le strie?”

“Quali strie?”

“Non avete visto delle… ramificazioni nere sul suo corpo? Michela asseriva che...”

“No, questa mi giunge nuova. Ha delle bruciature, questo sì, ma le strie...”

Sembrava in evidente difficoltà, non riusciva a raccapezzarsi, quindi -ne dedusse lo Scorpione- con i poteri psichici che si ritrovava, di gran lunga superiori ai suoi, non aveva individuato comunque niente, ma era impossibile che Michela, nonostante fosse sotto shock, se le fosse semplicemente immaginate.

“E allora che bisogno c’era di sedarlo?”

“Chiamava insistentemente Hyoga tra un ansito e l’altro, poi ha avuto un brutto crollo, gli abbiamo dovuto fare una nuova flebo con medicinali più potenti… è molto caldo, soprattutto l’addome, le bruciature non sono gravi, ma quel fluido dal suo ombelico ci desta preoccupazione...”

“Ascolta, Mu, ho cercato di capire qualcosa dallo sproloquiare di Michela, lei dice che sta così perché...”

“...Perché uno degli sgherri del Mago gli ha fatto dei prelievi lì, lo sappiamo.”

“Deve trattarsi di Utopo...” rimuginò Milo, preoccupato.

“Utopo?” chiese spiegazioni Mu, attento.

“Da quanto ha balbettato Michela, sì… questo è il nome di colui che li ha attaccati, ma non so altro!”

“Comunque abbiamo individuato la ferita, anche se non è che un forellino. Questo… questo Utopo che tu dici deve aver pungolato proprio quel punto per tentare di risvegliare, e poi estirpare, Tiamat!”

“Aspetta, quindi costei esiste davvero?! Michela l’ha nominata spesso, ma pensavo che… che fosse talmente sconvolta da...”

“...”

“Ehi, Mu, ma dico! Come sapete questo se Camus è...”

“Il Nobile Shion lo sapeva, ti sarà illustrato anche a te...”

L’amico sembrava sinceramente sconvolto per qualcosa, tuttavia non sembrava volerne parlarle. Guardò altrove, a disagio.

“Mu, dimmelo, cosa...”

“Non io. Il mio Maestro Shion mi ha chiesto espressamente di non farne parola, perché è un argomento che desidera trattare lui.”

“Ne sa una più del diavolo, eh...”

“E’ così difficile da credere...”

Cadde il silenzio tra loro, il dialogo sembrava arrivato ad un punto morto, privo di sbocchi.

“Posso… entrare, secondo te?” chiese il Cavaliere di Scorpio, con riluttanza.

“Sì, vai… il Nobile Shion e Shaka sono ancora con lui. Vai, Milo, a Camus piacerà percepire una presenza amica.”

Si ritrovò ad annuire, prima di avviarsi verso l’infermeria; tuttavia qualcosa, un pensiero, lo bloccò. Si voltò quindi verso il parigrado, l’espressione un poco tesa.

“Mu, come ti senti dopo l’esperienza appena trascorsa?”

“Non ricordo… nulla… dopo quel profumo così intenso.”

“Meglio così, davvero...” gli sorrise affabile, traendo un respiro di sollievo.

“E tu invece?”

“Io ricordo troppo… e non è bello!”

“Ci hanno riferito che sei invecchiato, mentre noi ci siamo involuti fino a tornare neonati. Ancora stento a crederci, amico mio, è successo qualcosa di simile anche a Kiky, ma lui...” un lampo di orgoglio passò negli occhi dell’Ariete. Era certamente fiero dell’allievo, quanto ancora incredulo e sconvolto per i fatti antecedenti.

“Me lo ha raccontato Aphrodite, sì, quel piccoletto si è mostrato ben degno della carica che dovrà ricoprire!” lo lodò Milo, genuinamente felice per i traguardi raggiunti.

“Lo penso anche io… - Mu si abbandonò ad un sorriso ricolmo di affetto, che tuttavia nascose ben presto nella solita espressione calma e composta – La strada che dovrà percorrere, però, è ancora parecchio lunga.”

Di nuovo lo Scorpione annuì, pensieroso. C’erano stati molti morti, soprattutto tra i soldati semplici e le schiere più giovani. Il recuperare l’Ergon, grazie a Francesca, Stevin, lo stesso Kiky e Aphrodite, aveva riportato indietro -o meglio, avanti- solo coloro che si erano ritrovati neonati, per gli altri non c’era stato niente da fare. Certo, ci sarebbe stato il tempo per piangere tutte le vittime, ma in quel momento una pacca sulla spalla era quanto di più concreto Milo potesse fare. Così fece, abbozzando un sorriso al caro amico, prima di dirigersi verso l’infermeria.

Fuori il sole, complici le giornate brevi di quella stagione, verteva già verso il tramonto. La flebile luce diffusa, rossa come il sangue, retaggio della nefasta giornata appena trascorsa, non faceva altro che ricordarlo.

Milo entrò nella stanza in punta di piedi ma, appena vide Camus, il suo migliore amico, steso sul letto, qualcosa si troncò dentro di lui. Accelerò il respiro e così i passi, fissando sdegnato sia Shion che Shaka, il primo intento a bloccargli le braccia vicino al cuscino, il secondo del tutto concentrato a pressargli uno dei marchingegni del diavolo sul viso. D’istinto, provò il desiderio interiore di dare una mazzata nei denti ad entrambi, poi però, ricordandosi che era un Cavaliere e non un animale, e che coloro che aveva davanti erano uno un parigrado e l’altro addirittura un superiore, raccolse quanto più ossigeno possibile per farlo affluire al cervello e darsi così una calmata.

“Aaaaah, cosa… cosa diavolo è tutto questo?! Cosa gli state facendo?!”

Ok, forse non proprio una calmata, ma… quasi!

“Non preoccuparti… è stabile adesso.”

“Stabile un cazzo, Shaka! Lo avete spogliato per torturarlo?! - si agitò vistosamente, percorrendo centimetro per centimetro tutto il corpo dell’amico con lo sguardo – Pure il respiratore e… e cosa diavolo è quella roba?!” sbraitò, alludendo agli elettrodi che gli erano stati attaccati intorno all’ombelico, dove svettava una prima medicazione volta allo scopo di tamponare l’uscita del fluido.

“Gli abbiamo somministrato una seconda dose di sedativo così, come se fosse un aerosol. Non ti angustiare Milo, non è terribile come sembra e... parla a bassa voce, se puoi, lo disturberai, altrimenti...” gli sussurrò Shion. con un pizzico di severità, pur capendo le emozioni del Cavaliere.

“Era molto agitato, straparlava, invocando Hyoga e Marta. Il suo cuore batteva all’impazzata, rischiando un ben più grave collasso cardiocircolatorio. Non avevamo alternative, Milo... - andrò dritto al punto Shaka, gli occhi azzurri sinceri e limpidi, anche troppo – E poi lo dovremo rigirare presto come un calzino, meglio che dorma senza opporsi!”

Milo desiderò prenderlo a testate selvagge, non fosse stato altro che per il tono indelicato che aveva adoperato, tuttavia si rese presto conto che era a sua volta ferito a seguito dello scontro contro Ermete, e che non si era affatto medicato, limitandosi a fasciarsi il corpo alla ben meglio per prestare le prime cure a Camus. Ciò lo ammansì, sebbene il cuore fosse gonfio di pena. Trasse un profondo respiro, sforzandosi di ritornare alla calma.

Osservò quindi il suo migliore amico, la mascherina che gli copriva parzialmente il volto, tenuta saldamente dalle mani di Shaka, l’espressione sofferente, tesa, le palpebre forzatamente serrate che fremevano a vista, e poi ancora... le cicatrici sul petto, poco più scure della sua cute, le bruciature arrossate, pur già trattate con gli unguenti e, dulcis in fundo, gli stramaledettissimi elettrodi che si alzavano e si abbassavano a ritmo del suo respiro indotto. Su e giù… come il suo ventre, come il suo torace. Non vi era nulla di naturale in quel movimento controllato, in quelle contrazioni e dilatazioni che erano predisposte dagli stessi marchingegni e che agivano in sua vece.

Shion gli mise una mano sulla spalla, comprensivo: “Credimi, è meglio per lui se rimane incosciente per gran parte del tempo, visto che dovremo… visitarlo… e tenerlo sotto stretta osservazione per giorni!”

“Per-perché?”

Shion sospirò, tornando a concentrarsi su Camus, ma fu la Vergine a prendere la parola.

“Gli hanno fatto dei prelievi incontrollati nell’ombelico, dal quale, come vedi, esce un fluido dorato. Potrebbe rischiare il formarsi di un’embolia, o di un trombo, e inoltre…”

Milo lo guardò male, quasi gli ringhiò, non apprezzava quando il compagno andava troppo dritto al punto senza prima dargli il tempo di metabolizzare la notizia: “Spiegati meglio!”

Shaka non rispose subito, diede un’occhiata nervosa al monitor studiando le linee e i segmenti che comparivano sullo schermo, poi chiese il parere del Grande Sacerdote Shion.

“Sembra appena addormentato. Dopo due dosi di sedativo dovrebbe essere molto più inibito di così!”

“Temo sia il massimo che possiamo ottenere da questa situazione...”

“Procedo comunque, Sommo?”

“Sì, hai il mio benestare!”

Milo non poteva far altro che rimanere ad osservare, impotente, lo svolgersi degli eventi davanti a sé, un nodo stretto alla gola, senza nemmeno sapere cosa dire per provare ad alleggerire la tensione palpabile nell’aria. Guardò attentamente il Cavaliere della Vergine piegarsi verso il viso di Camus, alzargli un poco la nuca, togliergli la mascherina e rimanere lì, a contare la cadenza del respiro. Uno… due… tre volte…

Shaka infine si raddrizzò, di nuovo diede un’occhiata indicativa al Grande Sacerdote, come se si potessero capire solo loro, per poi rovesciare meccanicamente la testa del compagno all’indietro.

“EHI, MA CHE CACCHIO!” alzò subito il tono Milo, confuso da quel gesto che, dal suo punto di vista, era semplice brutalità non richiesta.

“Respira regolarmente adesso...” sentenziò Virgo, prima di avvicinarsi ulteriormente al monitor per studiarlo attentamente.

“Ossigenazione?”

“97… praticamente ottimale!” rispose la Vergine, dopo aver controllato i valori del saturimetro.

Parevano due medici, si comprendevano solo loro, parlavano solo tra loro. Milo, se non fosse stato per l’amico, che -lo sentiva- necessitava di una presenza amica, li avrebbe volentieri mandati entrambi a spigolare.

“Bene, si è calmato a sufficienza. Shaka, mi confermi il sentore di prima?” chiese ad un certo punto Shion, accompagnando lungo i fianchi le braccia di Camus che non reagiva più a niente, vinto dal sonno cui lo avevano costretto a cadere.

“Non c’è alcun dubbio, Grande Sacerdote...”

“Sono ordunque quello che sembra?”

“Sì, sono… battiti!”

“COS…?!” a Milo uscì una nuova esclamazione forzata.

“...piuttosto irrequieti, anche...”

“Non vi è alcuna incertezza quindi… aveva ragione!”

“EHI, ASP… ASPETTATE!”

“Sì, deve essere lei, TIAMAT!”

A quel punto Milo, sentendosi il terzo incomodo in una situazione, quella del suo migliore amico, che invece gli premeva assai, diede in escandescenza, non capendo nulla di quel dialogo surreale che sembrava volerlo defilare volontariamente.

“MA CHE CAZZO STATE DICENDO?! MI VORRESTE DIRE CHE DENTRO CAMUS...”

“...Vi è una dea ancestrale, sì, Tiamat è il suo nome!” tentò di spiegare per la via breve Shaka, guardandolo con urgenza mista a compassione, neanche fosse stata la cosa più naturale del mondo.

“Come sì?! Vi sfugge un particolare: CAMUS E’ UN UOMO! E mi state dicendo che dentro di lui c’è… c’è!!!”

“La dea Tiamat, il Potere Primordiale della Creazione, quello che, dalle vostre informazioni, il Mago brama follemente! - continuò placido Shaka, cominciando a capire che, forse, arguire quella consapevolezza, era tutto meno che semplice. Sospirò, decidendo di ammorbidire il suo tono di voce sin troppo tagliente – Stiamo cercando di capire anche noi, Milo… lo stiamo facendo per Camus!”

“M-ma… ma...”

Sconvolto. Gli mancavano proprio le parole. Boccheggiò come un pesce: “Una cosa dentro di lui; dentro di lui che è un uomo… credo di sentirmi male!”

“Comprendo, è alquanto… insolito!” annuì Shaka, manifestando per la prima volta apertamente lo sbigottimento.

Fu Shion a prendere in mano nuovamente la situazione con piglio deciso: “Trovi quindi necessario fargli un’ecografia all’addome per tentare di scovarla?”

“Sarebbe meglio, Sommo, per vedere se questa… cosa… sia distinguibile. Da quanto avete detto, dovrebbe avere le le sembianze di un feto, giusto? Ma è… difficile da credere! L’ecografia dovrebbe rilevarla!”

“Io non… non ci posso credere!” biascicò sempre più esterrefatto Milo, spalancando gli occhi oltre l’umano possibile per poi appoggiarsi alla parete per non cadere.

Camus con una dea fetale in grembo… Cosa avrebbe raccontato alle sue allieve?! Che era… incinto? O cosa? No, ma Camus era un uomo, cazzo, e un uomo non poteva avere quel dono, e allora… ALLORA CHE DIAVOLO ERA?!

“Molto bene allora, vai, fai venire due Guaritori e prendi l’ecografo, meglio farlo ora, che Camus è sedato, da sveglio non… non sopporterebbe tutto questo!”

Shaka annuì, qualcosa baluginò nei suoi occhi, poi uscì dalla stanza.

Milo rimase in silenzio a fissare l’amico perso nell’incoscienza. Gli occhi gli erano rimasti chiusi, non più serrati, il respiro sempre dispnoico, con quei cosi incollati in lungo e in largo sul suo busto che lo monitoravano e assecondavano i movimenti della sua respirazione. Elettrodi. Sul petto per controllargli il cuore, sull’addome per controllare un ALTRO cuore, come se davvero fosse stato possibile che ci fosse un essere dentro di lui.

“E’ solo momentaneo, Milo, ha comunque perso molto sangue ed è stremato. Le macchine ci aiutano a percepire ogni più piccola variazione delle sue funzioni vitali. Vedi?”

“Ho 22 anni, so… so anche io il funzionamento di questi oggetti del diavolo!”

“Comprendo bene il tuo sentirti perso...”

“Perso, incredulo, costernato…”

“Ed è normale, questo...”

Lo Scorpione annuì, faticando non poco a trovare le parole: “Posso… stringergli almeno la mano?”

“Ma certo! E’ sempre Camus!”

Milo voleva dirgli che sapeva benissimo che Camus era, e sarebbe sempre stato, Camus, ma aveva bisogno di elaborare la notizia, che diavolo!

“Copritegli almeno le zone intime… si sentirebbe male, se sapesse di farsi vedere in simili condizioni. E’ così orgoglioso...” chiese, in un tono a metà strada tra una risata nervosa e la rassegnazione più completa.

Poi si sedette sulla sedia lì vicino, gli prese una mano tra le sue, solleticandogliela un poco, cercando di non farsi sconfortare dalle flebo che gli legavano le braccia già piene di lividi rossastri.

Shion intanto, dopo averlo sistemato meglio sul cuscino, decise di iniziare i preparativi per l’ecografia. Lo raddrizzò, tirandogli poi il lenzuolo in modo da coprirgli almeno l’inguine. Staccò momentaneamente tutti gli elettrodi per il monitoraggio, mentre, con più lentezza, rimuoveva anche la medicazione di fortuna.

Milo si costrinse a guardare; a guardare l’origine di tutti i mali: un minuscolo forellino che faceva ridere e che tuttavia spurgava una grande quantità di un fluido dorato, misterioso, come gli era stato detto. Dentro, nella fossetta, era in formazione un vero e proprio ematoma violaceo in apparente espansione. Sembrava dolere alquanto ma, più di tutti, era proprio il quantitativo di liquido che perdeva a sconvolgerlo nel profondo.

“Che diavoleria è?!”

“Pensiamo che sia il sangue di Tiamat a tingere la sua linfa vitale del colore dell’oro… ella ha trovato rifugio in lui.”

“Voglio sentire le parole da voi, Nobile Shion: c’è veramente questa dea dentro di lui?!”

“Sì…”

“Ma non può essere, Sommo!”

“Comprendo la tua incredulità, Milo, davvero...”

“Come ne siete venuto a conoscenza?” chiese lo Scorpione, sforzandosi di fissare il Grande Sacerdote in viso.

“Diciamo che… è da più tempo di quanto immagini che so della sua esistenza; di questo potere, non di Tiamat nello specifico, e ho fatto delle ricerche, ma senza l’aiuto di un amico comune, che entrambi ben conosciamo, non ne sarei venuto a capo...” calcò l’ultima frase in un fremito.

“Un amico… chi?”

Shion esitò un attimo in più, ingoiò a vuoto, prima di ricambiare lo sguardo: “Dègel, il Cavaliere dell’Acquario!”

Milo si convinse di aver sentito male. Percepì la sua espressione facciale mutare in maniera inequivocabile, ma non seppe definirla. Attese. Perché di certo Shion avrebbe ritrattato, oppure era stato lui ad aver sentito male, o forse ancora l’ex custode della Prima Casa stava scherzando, o anche…

Non ebbe comunque il tempo di chiedere delucidazioni in merito che rientrò nuovamente Shaka con tutti gli arnesi del diavolo al seguito. Lo Scorpione si fece forza sulle gambe per spostarsi, sebbene gli costasse moltissimo lasciare la mano dell’amico e ritrovarsi nuovamente impotente a osservare come uno spettatore qualsiasi.

Shaka e Shion non esitarono un attimo, ringraziati i due curatori, cominciarono a preparare Camus a quella visita. Gli allargarono un poco le braccia, gli spostarono gentilmente i capelli per evitare che si sporcassero, e accesero il monitor. Shaka prese quindi la sonda tra le mani, Shion il tubetto del gel che, subito, grazie ad una leggera pressione, fuoriuscì.

Al contatto della sostanza sulla sulla pelle, probabilmente per il freddo improvviso in un universo di caldo anomalo, il corpo sfinito di Camus sussultò, una sola volta, prima di abbandonarsi ulteriormente. Gli venne pigiata delicatamente una mano sopra lo sterno.

“La pancia è innaturalmente calda, non riesco a quantificare quanto, ma sicuramente supera i 40 gradi...” constatò Shion, iniziando a passare il gel su tutto il ventre di Camus, arrivando a coprire le costole, sebbene in maniera minore.

La mente di Milo, a quelle parole, venne ricondotta alla tecnica Katakaio della sua precedente vita. Ebbe un fremito nella paura che, quell’arcano potere, potesse funzionare nella stessa maniera, arrivando a logorare le interiora.

Shaka, ancora una volta, non disse nulla. La sua apparente noncuranza indispose ulteriormente lo Scorpione, abituato a reagire in ben altri modi, soprattutto quando si trattava del migliore amico. Semplicemente si limitava a muovere la sonda con movimenti circolari su tutta la pancia di Camus, premendo nelle zone di maggior interesse.

Gli occhi viola di Shion passarono nuovamente sul monitor, lo sguardo di Milo lo seguì, ma dovette ammettere, suo malgrado, di non capirci nulla di quelle immagini indefinite che sembravano quasi macchie di… di latte, o… o cos’altro? Come ci si poteva orientare in tutto quello?!

“Vedete qualcosa, Nobile Shion?” chiese ad un certo punto Shaka, alzando lo sguardo azzurrino.

“No, questa è l’appendice… spostati di un poco Shaka, così, premi lì!”

Premere lì… dove?!

Shaka schiacciò l’ecografo sopra l’ombelico, un mormorio di protesta, soffocato, si levò debolmente, prima di spegnersi. Milo non poté fare finta di niente.

“Ehi!”

“Qui nulla… vai un poco più giù, sotto!”

“Così?” chiese Shaka, togliendogli, senza troppi convenevoli, il lenzuolo da sopra l’inguine per potergli controllare meglio il basso ventre.

Camus voltò sofferente la testa di scatto, serrando la mascella, gesto che non sfuggì all’amico di sempre, contrariamente agli altri due, del tutto concentrati a reperire qualcosa da quella perizia.

“Ma… EHI!”

Ancora Milo non fu ascoltato, ma Camus si stava visibilmente agitando, come potevano non accorgersene?! Aveva preso a tremare, cercando di fuggire, il respiro si era fatto ancora più frenetico di prima.

“Non è neanche qui… non c’è niente, NIENTE!” esclamò con rabbia Shion, non spiegandosi la ragione di quella non-presenza della dea, se i battiti invece erano riscontrabili grazie all’ausilio di un semplice stetoscopio.

“Aspettate, provo a premere ancora un...”

Al primo cenno di pressione maggiore, Camus non resistette più. Pur incosciente, sedato e stremato dalla battaglia, tentò di svicolare via, inarcando violentemente la schiena e voltando più volte il viso sudato, quasi digrignando i denti.

“VOI LO STATE TORTURANDO, QUESTA NON E’ NEANCHE UNA VISITA!!!” si agitò Milo nel vederselo così mal partito sotto le mani di Shion e Shaka, ma non ebbe il tempo per fare altro che la Vergine, prendendolo lesto dal polso per mettergli tra le mani l’ecografo, agì di conseguenza.

“Premi qui al posto mio, Milo!” gli disse, senza tanti giri di parole, alzandosi per andare a bloccare per le spalle Camus, il quale aveva preso a muoversi convulsamente.

“Eh? Oh?”

Milo neanche sapeva tenerlo bene uno di quegli affari che scivolavano tra le mani, figurarsi poi pressarlo così sopra il suo migliore amico, ma l’intervento -un poco brutale!- di Shaka, che aveva preso a bloccare Camus sotto di sé, non gli aveva dato tempo di fare altro.

Lo vide incombere su di lui, tenerlo quasi schiacciato sul letto, mentre la schiena di Camus continuava ad arcuarsi al vuoto. Si sentì montare di rabbia per la spietatezza riservata ad un compagno di avventure, nonché ad un amico d’infanzia, ma prima di gridare di tutto alla Vergine, lo udì pregare Budda in modo che lo aiutasse a calmarlo. Un sonoro ‘oooooommmm’ si elevò nella stanza, mentre le sue mani convergevano sopra il cuore dell’Acquario che, pur con il respiro perpetuamente frenetico, aveva finalmente smesso di muoversi.

“S-Shaka...” lo chiamò. E si accorse, Milo di Scorpio, di avere un filo di voce.

“Va bene così, Camus, bravo! Calmati ora, sei al sicuro!”

La voce del Cavaliere della Vergine si era rivolta al compagno d’armi con una punta di dolcezza e premura, gli aveva poi passato una mano tra i capelli e appoggiato il volto di lato nel constatare, con un sospiro di sollievo, la sua respirazione farsi via via sempre più regolare.

“No, qui non c’è davvero niente… - buttò fuori aria Shion, sempre concentrato sullo schermo – Milo, puoi sollevare l’ecografo!”

“Eh? Ah, sì...” si ricompose lo Scorpione, rendendosi conto che, forse per l’ansia, aveva davvero premuto con troppa foga la sonda sul basso ventre di Camus, al punto da lasciargli un segno rosso e circolare sulla pelle. Si sentì di chiedergli scusa, mentre le facce preoccupate di Shaka e Shion navigavano smarrite da una parte all’altra della stanza.

“Quindi… non è visibile in circostanze normali, eppure il battito c’è, si è sentito prima!” ne dedusse Shaka, in tono grave.

“L’unica cosa che mi spiego è che riesca a nascondere la sua forma e, per quanto concerne il battito, probabilmente, se non pungolata, non si percepirebbe neanche quello, ma deve essere ancora agitata. Proprio per questa ragione, è di basilare importanza tenerlo monitorato in questi giorni per constatare ogni più piccola mutazione.”

Shaka annuì, un poco mesto, poi prese un fazzoletto per pulire delicatamente l’addome dell’amico, ancora impiastricciato dal gel. Era riuscito a ricondurre il suo corpo alla calma, ma le palpebre fremevano ancora, impossibile farlo acquietare del tutto.

Shion attese qualche minuto prima di dare nuove direttive al Cavaliere: “Ti chiedo ancora una cosa, vai a prendere una siringa, gli preleveremo altre due fiale di sangue per studiarne la composizione. Forse, almeno lì, riusciremo a distinguere qualcosa!”

“Anche???”

“In questa situazione è necessario, Milo… - affermò subito Shion, dandogli una breve occhiata – Per favore, Shaka!”

Il Cavaliere della Vergine, scuro in volto, annuì di nuovo e, dopo un breve inchino, uscì nuovamente dalla stanza.

Anche gli occhi di Shion erano bui mentre, tirandogli nuovamente le lenzuola per coprirgli la zona inguinale, gli estraeva il braccio sinistro, ruotandolo con il palmo verso l’alto per prepararlo ai prelievi. Fatto questo, prese lo stetoscopio, poggiandoglielo sul ventre senza tuttavia premerlo troppo, e iniziando a compiere il giro dell’ombelico. Lo sondò sopra, sotto, a sinistra, a destra, centro, prima di sospirare nuovamente e buttare la testa indietro, affranto.

“Il battito si percepisce ancora, anche se attutito… ma allora perché non si vede nulla?! Che razza di…?!”

Non ultimò la frase, trattenne l’emozione, memore del ruolo che rivestiva, permettendosi comunque di accarezzare dolcemente quel ragazzo che, nonostante le divergenze e le difficoltà, aveva imparato ad amare come un figlio.

“Va tutto bene, Camus, abbiamo quasi finito… stai tranquillo!” gli sussurrò, sfiorandogli la linea dell’addome con la punta delle dita come se si trattasse di acqua che scorreva delicata sulla pelle.

“Poco fa ti ho fatto il nome di Dégel, Milo, ne sarai sorpreso e ti chiederai come sia possibile...” riprese il discorso poco dopo, riaprendo gli occhi lilla che nel frattempo aveva chiuso.

“Sì, lo avete fatto, ma… pensavo che vi foste sbagliato, o...”

“No, nessuno errore, lui è ancora qui… è rimasto qui, per Marta, mi capisci?”

Milo si ritrovò a sussultare, aprendo a vuoto la bocca nel tentare di metabolizzare la notizia. Nonostante la sua tempra da Dorato Custode, suo malgrado, si ritrovò presto con la gola secca. Sbatté gli occhi. Per tre volte credette di aver trovato qualcosa da dire, per tre volte il nulla ne susseguì: non c’era semplicemente niente da aggiungere!

Anche Shion tacque per diverse secondi. Guardò Camus, gli accarezzò ancora il volto pallido, ritrovandosi per l’ennesima volta a chiedersi quanto ancora quel ragazzo avrebbe sofferto in vita sua. Si ricordò di quando si erano incontrati la prima volta, del suo estremo tentativo, sin troppo coraggioso, di salvare la sorellina dalle mani di Fei Oz che si era dimostrato, già all’epoca, un viscido verme e nient’altro. Sospirò.

“Marta… un mese dopo il nostro ritorno, diceva di aver visto lo spirito di Dégel e di averci parlato. Né io né Camus né le ragazze riuscivano a crederci, ma… allora è davvero così!”

“Sì… - confermò Shion, gli occhi velatamente tristi – in verità, non so da quanto di preciso sia riuscito a manifestarsi nel mondo fisico, quanto abbia impiegato per essere in grado di condizionare l’ambiente intorno a sé… deve essersi attaccato a qualcosa per riuscirci, l’anima di Camus è mutilata, il frammento mancante è quello che consente a Dégel di agire...”

“CO-COME?!”

“Per questo avevo allontanato Camus dal Santuario nel timore che Dégel potesse… nuocergli! - calcò l’ultima parola, lo sguardo ulteriormente rabbuiato – Certo non mi sarei aspettato un attacco di questo livello!”

“Ma Nobile Shion, che Dègel voglia fargli del male è...”

“...Impossibile? Già, Dègel è troppo di buon cuore per attentare alla sua vita, no? Lo pensavo anche io, ma… si sta corrodendo, Milo!”

“Si sta..? COSA?!?”

Lo Scorpione era sempre più incredulo, costernato e allibito davanti a quei timori. Aveva conosciuto personalmente Dègel, si era confrontato e, cosa non meno importante, era stato Cardia in una vita passata, non poteva nemmeno pensare di credere ad una simile accusa, non poteva calpestare così un’amicizia secolare!

“Uno spirito che non trova la pace si deteriora, e Dègel, nonostante il suo buon cuore, non fa eccezione...”

“...”

“Ho ben visto come guarda Marta, ho ben visto che desidererebbe tornare alla vita, con lei, per lei e… io spero di no, Milo, ma… non vorrei che...”

“Pensate che… voglia ricongiungersi all’anima di Camus, che è anche la sua, e prenderne il controllo?!?”

“Può essere, sì...”

“No che non può! Non sarebbe da Dègel!!!”

“Si sta consumando, Milo… c’è qualcosa che lo tiene fermo qui, oltre a Marta, però non ho compreso ancora che cosa. La vita è così difficile da lasciare, ancora di più se si hanno questioni in sospeso...”

“Mi volete convincere… che sia un pericolo per Camus? No, non posso neanche pensarlo!” ribatté restio Milo, serrando la mascella e i pugni.

“Neanche io lo vorrei credere, Milo, davvero...”

“E allora cosa… cosa ci state facendo con lui?! Avete allontanato Camus per paura che Dègel potesse provare l’istinto di aggredirlo, ma ancora non mi avete spiegato di cosa avete disquisito con lui, Sonia e Marta!”

“C’era anche Myrto, lei ne è la chiave, lo vede e ci discorre da anni...”

“CO… ASPE, frenate, franate, frenate! Troppe rivelazioni in una botta unica il mio cuore non le regge!”

“Che strano… sbuffò inaspettatamente Shion , sorridendo – Questa è una frase più da Cardia che da Milo, sicuro di essere te stesso, Scorpio?!”

“Io… - Milo esitò un attimo, guardando a disagio altrove, effettivamente da quando era tornato anche a lui era capitato di provare dei pensieri, per così dire, doppi, come se ci fosse un’altra mente oltre alla sua – Mentirei nel dire che l’esperienza nel passato non mi abbia lasciato i segni!”

Shion si lasciò andare ad una breve manifestazione di rilassamento, prima di concedersi di buttare fuori aria, reclinare la testa all’indietro e socchiudere gli occhi in un mezzo sorriso sincero. Tirò un poco su le coperte a Camus, in modo che lo coprissero fino allo sterno, lasciandolo così momentaneamente a riposare, visto che, quando sarebbe tornato Shaka, lo avrebbero nuovamente dovuto girare come un calzino.

“Come siete riusciti a conferire con Dègel? Che c’entra Myrto in questa storia?” chiese ancora Milo, serissimo in volto.

“Oh, per quanto Dègel riesca a muoversi agilmente nei tempi passati e in quello presente, per stabilizzarlo a sufficienza è stato comunque necessario un tributo di sangue...” iniziò il Grande Sacerdote, mostrando la fasciatura sul polso.

“Come per rigenerare le armature… - constatò Scorpio, facendosi sempre più attento – Suppongo quindi abbia funzionato e lui si sia mostrato.”

“Sì, ci siamo riusciti e… sai la prima cosa che mi ha detto? Che non c’era bisogno del sangue dei vivi per darsi così tanta pena per lui, per un morto.”

“Tipico di Dègel...”

“Tipico di Dègel, sì...” gli occhi di Shion si illuminarono brevemente a quella frase.

“Raccontatemi, dunque...”

Shion prese comunque qualche secondo di tempo prima di narrare, con dovizia di particolari, i fatti accaduti. Del resto, Milo era uno dei Cavalieri d’Oro più intuitivi e perspicaci, meritava di conoscere la verità, non solo perché convergeva sul suo migliore amico, ma anche in virtù di essere stato Cardia.

Non lesinò in dettagli. Spiegò del suo piano di attingere ‘oltre i confini della storia’ proprio grazie all’Antico Acquario che, essendo spirito, aveva molta più facoltà di muoversi rispetto ai vivi. Parlò di Tiamat, della Creazione, del perché, secondo i miti greci, il Principio Primo non venisse mai riportato, facendo iniziare tutto dall’imput ordinativo. Rimarcò che la dea primigenia era intessuta nella sua anima probabilmente già dal primo Aquarius, Ganimede, anche se non ne sapeva molto di più, perché, né lui né Dègel, ne erano venuti ancora a capo. E poi Marduk, le brame di quel demonio di Fei Oz Reed, i suoi sgherri, la distruzione intrinseca che si portavano dietro e, infine, del mondo parallelo ombra della Terra, Ipsias, ancora quasi del tutto misterioso.

Milo calmierò e calibrò le informazioni mano a mano che sopraggiungevano. Non ribatte nulla, ma gli occhi estremamente percettivi erano puntati sul volto sudato di Camus che, nonostante i sedativi, fremeva senza requie. Lentamente allungò una mano nella sua direzione, accarezzandogli i capelli che, a seguito del suo passaggio, gli ricaddero in avanti, sulla fronte. Una sola domanda albergava nella sua testa: come avrebbe reagito a quell’ennesimo trauma?

“E’ tutto quello che so per il momento...” concluse Shion, una lieve scintilla negli occhi.

No, non era tutto quello che sapeva -comprese Milo, con un pizzico di fastidio- c’era ancora qualcosa che non rivelava, più di qualcosa, a dire il vero, ma comprese che lo stesse facendo per il bene di qualcuno, nondimeno per il loro stesso bene. Decise di non indagare oltre.

“State usando Dègel… - si limitò a sibilare lo Scorpione, con un’occhiata tagliente di biasimo – Senza neanche fidarvi di lui, di un vostro compagno...”

“Milo… - Shion si sentì più vecchio di quanto non fosse, gli anni sulle sue spalle pesavano sempre di più – Si è offerto Dègel di aiutare e… non potevo negarglielo. Siamo arrivati alle informazioni di Tiamat grazie a lui!”

“Ah sì? E mi sembra giusto allora utilizzarlo come un oggetto e, al contempo, non fidarsi...” sbuffò, senza curarsi di celare il disappunto.

“E’ dura vederlo così, Milo, consumato dalle sue stesse brame...”

“A me sembra che vi stia aiutando molto, e voi… dubitate di lui!” gli puntò il dito contro, rendendosi conto di non capire se fosse stato lo stesso Cardia, dentro di sé, a parlare.

“E’ così difficile, devi credermi...”

“Per voi è difficile?! E pensate a lui, allora, che si ritrova morto e sol...”

“IO DEVO SALVAGUARDARE VOI, PRIMA DI TUTTO, IL FUTURO, NON CIO’ CHE E’ STATO!!!” perse improvvisamente le staffe il nobile Shion, sconvolgendo non poco Milo che, d’istinto, si ritrasse, quasi desiderando mettersi al riparo dalla sua furia.

Non lo aveva mai visto reagire così, con gli occhi lucidi di pianto e il corpo tremante, mai. Non durò che un istante, ma fu terribile.

“Perdonami...”

“No, perdonatemi voi, parlo perché ho la lingua in bocca!” si scusò lo Scorpione, remissivo, scrollando le spalle per dirigere altrove il suo sguardo.

“Io devo proteggere voi, i figli di quest’epoca, non ciò che siete stati in passato! Sono il presente e il futuro a dover essere preservati, per quanto ciò mi addolori… - sottolineò ancora Shion, serrando brevemente le palpebre, prima di riaprirle in un nuovo guizzo e chinarsi su Camus – Abbi ancora un po’ di pazienza, ragazzo, so che non ti piacerà, ma forse un modo per tranquillizzarti c’è...”

Milo lo vide scostargli ancora una volta le lenzuola per scoprirgli l’addome, prendere brevemente il suo viso per raddrizzarlo e passargli successivamente le mani sotto alla schiena per sollevargli un poco il busto.

“E ora cosa…?!” esclamò Milo, allarmato, saltando in piedi.

“Prendi un attimo quel cuscino là!”

“E a che serve questo supplizio ulteriore?!”

“A verificare una cosa...”

Milo fece quanto chiesto, rimanendo a fissare impotente le manovre davanti a lui. Shion riadagiò il busto di Camus in modo che l’addome fosse un poco sollevato, poi, con la mano sinistra, gli schiacciò un poco lo sterno, obbligandolo così ad arcuare a sufficienza la schiena verso l’alto.

Oggi non è proprio la tua giornata, amico mio… -si ritrovò a pensare lo Scorpione, rassegnato- sembra quasi che ogni scusa sia buona per continuare a tartassarti...

Il Grande Sacerdote intanto, con piglio deciso, aveva preso a massaggiargli l’addome con la mano destra e movimenti circolari antiorari, pressando un poco di più quando la radice del palmo doveva muoversi dal basso ventre in su. La pancia di Camus, a quei passaggi ritmici, si contrasse visibilmente più volte… una, due, tre... prima di rilassarsi quasi completamente insieme al suo respiro che, fino a poco prima, era stato fin troppo accelerato.

“Così, bravo, riportala alla calma, solo tu puoi farlo… - lo incoraggiò l’ex Ariete, con voce gentile, sollevato nel vedere che il procedimento avesse effetto – tu che sei stato in grado di ammansire perfino Tiamat!”

“Nobile Shion, che cosa..?!”

“E’ una manovra che mi insegnò un vecchio amico per… per tranquillizzare il bambino nel grembo materno. – ammise lui, un poco a disagio nell’esprimere quel concetto – Fortunatamente sta funzionando bene anche con la dea!”

Quindi stava trattando Camus come se fosse una partoriente?! No, no, anche quello no, che cavolo!

“No, no, no, questa è la ciliegina sulla torta, Sommo, davvero! - si agitò esasperato Milo, facendo dietro-front con tutta l’intenzione di uscire – Io ho bisogno di aria, ADESSO, necessito di...”

Non arrivò ad aprire la porta, qualcuno la aprì per lui, lasciandolo come un ebete con il braccio protratto a vuoto e due occhi celesti che lo scrutavano interrogativamente.

“Vai già via? Lasci il tuo migliore amico così?”

“Ciao Shaka, ben ritornato! - ironizzò lui, mentre lasciava posto al compagno di addestramento per entrare – Sono un po’ sconvolto, sai? Non so se sua Buddità ha inteso, ma c’è una cosa dentro Camus, che è un uomo, lo ricordo, a scanso di equivoci, ti sembra normale?!”

“La nostra posizione lo è? Ne abbiamo viste così tante, Milo, questa non sarà di certo l’ultima! - ribatté Virgo, con una naturalezza disarmante, prima di concentrarsi su Shion – Grande Sacerdote, ho portato quanto necessario per i prelievi...”

“Grazie, Shaka!”

“EHI, VOI DUE, PRONTOOOOO! - si schiarì la voce Milo, innervosito – SCUSATE SE QUESTA STORIA MI SCONVOLGE, EH!!!”

Ma di nuovo non lo stavano più ascoltando, scoprendo nuovamente Camus per liberarlo dagli impedimenti. Gli tolsero il cuscino da sotto per riadagiarlo sul letto e passare nuovamente lo stetoscopio sull’addome, ormai quasi del tutto cheto, anche se ancora caldo.

“I battiti sono molto attutiti adesso, senti?” gli fece notare Shion, passando lo strumento al Cavaliere di Virgo e indicandogli di posarlo poco sopra l’ombelico, prima sul lato sinistro e poi sul destro. Così fece.

“Avete ragione, mio signore, anche se la pelle è ancora innaturalmente bollente… penso che possiamo comunque procedere!”

Milo aveva il cuore in gola, desiderava scappare ma non vi riusciva, perché gli sembrava di abbandonare l’amico di sempre e non se lo sarebbe mai perdonato. Stava diventando sempre più insostenibile tutto quello spettacolo, Camus che veniva nuovamente privato del lenzuolo per rendere più agevoli le manovre e la visita, senza che potesse difendersi, ribellarsi; senza che potesse prendere parte alle decisioni degli altri due, sebbene fosse il suo corpo quello su cui stavano procedendo. Si sentì mancare per lui, un’altra volta.

Destino volle che qualcosa cominciò a vibrare nei suoi jeans. Si prese un risalto, non rammentandosi nemmeno di avere il cellulare in tasca e ricordandoselo solo nel momento in cui lo estraeva nel leggervi sopra il nome di Marta. Probabilmente la ragazza, non avendo avuto più notizie, riscontrando la non raggiungibilità del telefono del fratello, aveva deciso di tentare con lui. Esitò.

“Sommo Shion, è… è Marta!” disse, come un figlio che si aspettava l’imbeccata dal genitore.

“Supponevo che avrebbe chiamato presto. Lei e Sonia erano così preoccupate per voi...”

“Che faccio, quindi?” lo Scorpione aveva davvero bisogno di un consiglio, guardò prima uno e poi l’altro, e poi ancora Camus, che aveva contratto le palpebre, come se avesse comunque percepito qualcosa. Era da lui...

“Mmh… mmmh, M-Mar...”

La riusciva a percepire, nonostante stesse male. Si agitò, muovendosi a vuoto, alla cieca, protraendo il braccio sinistro come a volerla cercare.

“Calmati, ragazzo, non è il momento, questo, per agitarti così!” lo provò a tranquillizzare Shion, trattenendogli ferma la mano sopra le lenzuola del letto.

“Uff, anf… anf...”

“Marta vorrà parlare con il fratello, il quale però è impossibilitato al momento. Scegli tu cosa sia meglio fare, Milo, la conosci meglio di me… - si sentì di dire Shaka, osservando, con i suoi occhi turchesi, il profilo dello Scorpione, prima di chinarsi nuovamente sul compagno che non ne voleva sapere di acquietarsi – Ma, se possibile, qualunque scelta farai, non qui dentro. Camus si agita per un nonnulla, non gli fa bene!”

Già, la faceva facile, lui, ma… che fare?!

Era comunque vero, Camus sarebbe stato capacissimo di risvegliarsi per lei, perché la sentiva; sentiva che era Marta, la sorellina, a chiamarlo, ma permettergli di ridestarsi in quel momento così critico per lui sarebbe stato nocivo per la sua stessa salute. Milo sospirò sonoramente, prima di decidersi. Non era più tempo per temporeggiare.

“Vado fuori dalla stanza… voi cercate di calmarlo!” decretò, sebbene gli costasse non poca fatica abbandonare l’amico di sempre nelle mani di due persone che, sì, si prodigavano per lui, ma non con la premura e la delicatezza di cui aveva bisogno.

Se solo ci fosse stata ancora Seraphina...

 

 

Milo’s POV

 

 

Seraphina… solo la tua dolcezza avrebbe potuto tranquillizzarlo con pochi, semplici, gesti. Se solo il destino non fosse stato così ingiusto con voi due!

Preda dei miei pensieri, nonostante abbia ormai preso la mia decisione, tentenno ancora un attimo. So che se accettassi la chiamata dovrei riferire a Marta tutto, aggiornarla sulle condizioni di suo fratello, sebbene sappia già di Tiamat, e dirle che ora non può rispondere perché è sotto sedativi. Non so proprio che fare, lei e Sonia saranno sicuramente in ansia per lui, per il Santuario, per le loro amiche ma…

Osservo ancora la scena davanti a me, Shion e Shaka chini sul letto, a prodigarsi per lui, a trattenerlo con dolce fermezza. Gli stringono un laccio proprio sul braccio sinistro per apprestarsi a fargli i due prelievi stabiliti con la flemma degna di due medici… no, non riesco più a tollerare il suo stato, la sua vulnerabilità, il suo essere rigirato come un calzino. Ancora. E ancora. Devo uscire, necessito d’aria!

Finalmente riesco a smuovermi. Mi chiudo la porta dall’infermeria dietro le spalle prima di premere il tasto di accettazione della chiamata, manifestando così un “pronto” che mi riesce però arrochito. Il sospiro che giunge alle mie orecchie dall’altra parte, la vocina di sua sorella, che sembra quasi non credere che qualcuno le abbia finalmente risposto, mi procura una fitta al cuore che non so bene se dipenda solo da me stesso o anche, in parte, da Cardia…

“M-Milo! G-grazie al cielo sono riuscita a contattare almeno te! Ho provato a chiamare più volte Camus ma da la segreteria telefonica, ed io...”

Poverina, sembra quasi in lacrime, spaventata, incredula, oserei dire sofferente, ma con quel cipiglio irriducibile che la rende determinata e forte, con una tempra invidiabile per avere un corpicino apparentemente così fragile.

“Ehi, piccola! Scusaci se non ti abbiamo più risposto, devi essere stata molto in pena lì sull’isola, vero?”

“Sì, a me e Sonia ci sembrava di impazzire… ma ora non ha importanza! Come sta… Camus? Come state tutti?”

Mi pone la domanda con un filo di voce, presagendo la gravità della situazione. Beh... del resto condivide le emozioni del fratello, si possono vedere nel passato e forse anche nel futuro tramite i sogni, ma quell’impiastro continua ottusamente a nasconderle il suo reale stato nella pallida speranza di proteggerla, ed è inossidabile su questo. Vuole farsi vedere forte, nonostante quello che ha passato, nonostante le abbia promesso, dopo i fatti del 1741, di essere cristallino con lei. Tutte fuffe!

“E’ stato un duro colpo, per tutti noi, ce la siamo dovuta vedere contro Clio ed Ermete ed alcuni di noi si sono trovati impossibilitati ad agire, perché...”

Le racconto brevemente dei loro poteri, dell’attacco su più fronti che abbiamo avuto, della prova cui Francesca e Stefano sono stati sottoposti, non lesinando in particolari. Lei ascolta tutto con attenzione, quasi non fiata, ma avverto il suo sgomento crescere, i suoi respiri rotti e un po’ più frenetici della norma, ma non cede e non crolla.

“Francesca e Michela quindi..?”

“Sono rimaste ferite, ora riposano, devono riprendersi dalla brutta esperienza, mentre Stefano… beh, per lui la questione si complica, non per il danno in sé, quanto perché il sangue ci ha impiegato molto ad arrestarsi completamente. Aiolos e Aphrodite si sono presi cura di lui, gli hanno prelevato una fiala di sangue per analizzarlo, stiamo aspettando l’esito!”

“C-capisco… - la sento ingoiare a vuoto, cercando di controllare il suo tono vocale in modo da non risultare troppo tremante – S-se può servirvi, succedeva anche quando eravamo piccoli… se si tagliava, se si faceva male, il sangue sembrava in un primo momento arrestarsi, ma poi riprendeva a scorrere, impiegando diverso tempo a fermarsi.”

“Lo riferirò, stai tranquilla, non è più in gravi condizioni, Aphrodite è stato abile ad agire, non rischia la vita!”

Sento palpabile il suo rilassamento, seguito tuttavia da un nuovo fremito, più forte di prima, so che la domanda sta per arrivare, che ha esitato, fino ad ora, chiedendo prima delucidazioni sugli altri, ma che ora non riesce più a trattenersi.

“E Camus, posso… parlargli?” pigola, in un tono che mi fa stringere il cuore.

“No, piccola… è sotto sedativi, non è in grado di dire alcunché...”

“Ah… - la sua voce si spegne, avverto un fruscio, come se si sfregasse qualcosa, prima di riprendere a parlare – Come sta?”

“Lo stanno visitando per sincerarsi delle sue condizioni. E’ molto provato, Marta, ma… ora è al sicuro, siamo con lui!” tento di dirle, cercando di rimanere sul generico, anche se so che non funzionerà mai, ma mi occorre per capire quanto effettivamente sappia, quanto… abbia provato sulla sua pelle di quello che ha passato suo fratello.

L’esitazione è reciproca, anche lei sembra tentennare un attimo, quasi accartocciandosi, poi prende una boccata d’aria, la butta fuori con forza, quasi soffiando, per riprendere in mano il discorso.

“L’addome… cosa gli hanno fatto nello specifico?”

“Sai… dell’addome?”

“Non posso… non saperlo!” mi illustra, sbrigativa, eclissando la propria voce

“Marta… - il mio tono si fa un poco rude – Lo hai percepito?”

“...”

“Cosa hai provato, tu? Quanto senti… del suo dolore?”

“I-io...”

“Sai dell’addome, sai perfino di Tiamat, vero? Shion mi ha riferito che… è stato lui a raccontarvelo!”

Con lui intendo Dègel, ma non riesco a nominarlo, non con lei, ben sapendo quanto ci sia ancora legata, quando ancora le faccia male il solo rammentarlo. La avverto raschiarsi la gola, tossicchiare, prima di ricomporsi.

“Dunque il Grande Sacerdote te ne ha parlato...”

“Hai rivisto Dé-gel, il suo spirito...”

“Sì, l’ho visto...”

“Come… come stava?”

Come ti sembrava. Vorrei chiederle, in realtà, perché le parole del Sommo Shion mi hanno angustiato e non poco, ma mi accorgo troppo tardi di aver posto una domanda cretina.

“Come un morto che è bloccato in questo mondo… come dovrebbe stare?!”

Ha assunto un tono freddo, sta prendendo le distanze per non soffrire ulteriormente. Come immaginavo, è una piaga non ancora risanata. Decido di deviare argomento senza dirle ciò che mi ha riferito il Grande Sacerdote sui suoi timori che perda il controllo e che decida di… no, non voglio nemmeno pensarci! Dègel non lo farebbe mai!

“Marta… cosa hai provato tu, cosa hai percepito di Camus? QUANTO del dolore di tuo fratello hai percepito?”

Dei, mi sto comportando come fossi suo padre, anzi no, come se fossi io suo fratello maggiore… non mi si può sentire, sembro davvero ridicolo ma… in fondo, è così che la vedo, con gli stessi occhi del mio migliore amico.

“Abbastanza… per comprendere!”

Se è testarda come Camus -e lo è sicuramente!- quel abbastanza significa in realtà ‘molto’. Maledizione, non mi bastava Aquarius, non mi bastava nemmeno Hyoga, ora ci si mette anche lei!

“Accidenti, Marta! - impreco, serrando la mascella – Ogni giorno che passa provi sempre di più il suo stesso dolore sul tuo stesso corpo e non glielo vuoi dire?! Sei come lui, quindi! Pensavo ci fosse un accordo, tra noi, dopo ciò che è successo nel passato, quell’accordo prevedeva...”

“Cosa gli hanno fatto, Milo? Voglio sentirlo dalle tue parole! Il Nobile Shion mi ha riferito che, mentre voi avete subito un grosso attacco al Santuario, Camus e Michela sono stati portati a forza in uno spazio di singolarità, ma non è sceso in ulteriori dettagli!”

Mi appoggio stancamente al muro, ricercando le parole adatte per iniziare il discorso. Fortuna che tra le colonne del tredicesimo tempio si respira aria pulita, perché mi manca l’ossigeno. Di nuovo.

“Che cosa gli hanno… f-fatto? Dimmelo, ti prego! E raccontami anche di Michela!”

Non posso mentirle, amico mio… ha capito, lei sta imparando a sentire tutto di te, anche ciò che vorresti nasconderle per istinto di protezione nei suoi confronti. Sta crescendo, anche se tu la vedi, e la vedrai sempre, piccola, lei merita di conoscere la verità.

“Michela e Camus hanno ingaggiato battaglia contro un certo Utopo. La tua amica è stata torturata, come ti avevo accennato, lui pure, per obbligarlo ad utilizzare il Potere della Creazione, poi è intervenuto Hyoga... dei tre devo ancora capire chi stia peggio!”

Dall’altra parte della cornetta si ode un silenzio pressoché assoluto, persino il suo respiro è ammutolito, come se le fosse difficile anche il solo respirare.

“Milo...”

Alla sua vocetta tirata, inaspettatamente produco un leggero sbuffo, mentre un sorriso amaro mi solca le guance: “Lo so, vorresti sapere nei particolari cosa gli hanno fatto per capire se i tuoi sentori siano veri. Vuoi… che, almeno io, ti reputi grande abbastanza, e forte, per accettare una simile rivelazione che tu, probabilmente, subodori già da un po’...”

“Avevi ragione, prima… - ammette, dopo un lungo sospiro – Ogni giorno che passa, questo, il sentirlo così vividamente, si acuisce in me. E’ come se… tutto passasse da lui a me come lo scorrere naturale di un fiume...”

“E cosa hai provato, quindi?”

“Ora… ora ha molto male alla pancia, è accaldato, si sente profanato e perso. Soprattutto… gli manca Hyoga, come l’aria!”

“Altro di più… fisico?” chiedo, facendomi più attento a carpire ogni più piccola variazione della sua voce.

“I-io ho… ho percepito un dolore lancinante dentro l’ombelico, M-Milo… - è imbarazzata nell’ammetterlo, ma infine decide di dirmelo, fidandosi di me – Come se… se mi avessero punto per farmi dei prelievi d-direttamente dentro, mi capisci?”

“E’ ciò che gli hanno fatto, sì...” confermo, sospirando.

“T-tu però non dirglielo che l’ho provato, v-va bene?”

“Sai che Camus vorrebbe lo stesso, vero? Non desidererebbe che tu venissi a sapere cosa ha patito… ed io sono nel mezzo, Marta, mi capisci? Entrambi siete fatti della stessa pasta, è difficile sapervi prendere...”

“Io avverto il suo dolore, non posso, né voglio, evitarlo. Lo rivivo sulla mia pelle e queste sensazioni diventano sempre più forti di percezione in percezione. So che gli hanno fatto molto male, non ha senso me lo nascondiate!”

“E’ pericoloso… questo tuo sentire!”

“Non m’importa!”

Decido di soprassedere, sospirando tra me e me prima di continuare il dialogo. Anche io ne ho bisogno, non riesco più a sopportare di essere il solo a sapere le cose senza però poter dire, o fare, nulla; di vedermelo rischiare la vita ogni cazzo di volta, incurante di tutto e tutti, di me, come di sua sorella, con quella vena suicida autolesionista che lo contraddistingue. Basta, per una buona volta! Dopo quello che è successo nel passato non lo lasceremo più solo!

“Gli hanno fatto molto male, piccola, hai ragione a crederlo… Camus è stato costretto ad usare, quest’oggi, il Potere della Creazione per difendere Michela. Fortunatamente, essendo stato utilizzato in un mondo fittizio, non ci sono stati sconvolgimenti a livello universale, ma lui ne è uscito distrutto...”

Marta non fiata, in attesa che prosegua. Percepisce perfettamente che c’è il resto, se lo sente colare già dal naso e ne ha paura, io riesco ad avvertire i suoi tremori da qui.

“Prima di questo, però… ha subito le sevizie di quell’Utopo, che pare sia una sorta di scienziato pazzo, lui… - mi blocco, serrando le palpebre, vorrei ci fosse un modo per rendergliela meno spietata, ma non lo trovo, me ne rammarico – E’ come tu dici… gli ha prelevato del sangue da lì, dall’ombelico, per un totale di 10 volte!”

“...come im-maginavo!”

Anche adesso si sta sforzando di essere forte, di non crollare, probabilmente lo farà ultimata la chiamata, lontano da occhi indiscreti. Camus… devi essere così fiero di lei, lo sei di sicuro, lo so bene, ma spesso, vuoi per il tuo estremo desiderio di proteggerla, vuoi perché la vedi pur sempre piccola, tendi a sottovalutarla.

“Milo..?” mi richiama lei, notando il mio silenzio improvviso. Mi riscuoto per riprendere il dialogo.

“Si è formato un versamento in quella zona, ha avuto un’emorragia composta da un fluido dorato e incommensurabilmente caldo, si stanno prodigando per fermargliela. Le bruciature, invece, sono di poco conto, quelle guariranno in fretta, solo che... proprio a causa di questi prelievi incontrollati che ha subito, è necessario monitorarlo per una serie di giorni, sai... per avere la certezza che non sviluppi un’embolia!”

“Un’embolia...”

“Sì, ma il Nobile Shion sostiene che il rischio sia basso. Ha una tempra d’acciaio tuo fratello, come te!” la provo a rassicurare, in tono soffice, con un mezzo sorriso.

“Gli ha fatto i prelievi lì… perché è lì che si nasconde il Principio Primo di Tiamat, dentro il suo grembo!”

Il tono di voce che percepisco, tagliente come non l’ho mai sentito, mi spiazza, facendomi quasi rabbrividire. E’ una vera e propria vena omicida, terribile… e distruttiva!

“Quel verme… non so come intendesse sfruttare la dote di Camus, ma è in quella zona che si annida il Potere della Creazione, ha quindi provato ad estirparlo da lì, invano, visto che non può esserne separato. L’ombelico ne è l’impronta, la forma che racchiude la sostanza. Per questo mio fratello si è sempre sentito vulnerabile in quella zona, per questo tende a coprirsi l’addome. E’ l’istinto ad averlo messo in guardia, senza sapere nitidamente cosa celasse. Un potere femminile in un corpo maschile… d-dobbiamo proteggerlo, Milo ad ogni costo, è un essere più che speciale!”

“Sì, questo è certo, lo sai, è stata la nostra promessa di non lasciarlo più solo, scambiata in quell’agosto del 1741, ma… - esito un attimo, indeciso se proseguire o no – Tu tutto bene?”

“Perché non dovrebbe andare bene?”

Quindi non ha avvertito minimamente il cambio della sua voce? Che me lo sia immaginato?!

“No, nulla, scusa...” bofonchio, un poco teso.

“M-mi… hai tempo e voglia per chiacchierare un po’ con me?” mi chiede, quasi supplichevole, desiderando avere un conforto vocale. Ciò mi regala un moto di tenerezza che scalza immediatamente via la tensione di prima.

“Ma certo! Anche io… anche io ne ho bisogno, sai, piccoletta?”

Così rimaniamo a parlare per un po’ sullo stato di salute degli altri, sui danni al Santuario, sulle sue amiche. So che sta cercando di dimostrarsi forte, anche se è in pena per te, amico mio, anche se vorrebbe essere qui con te, perché ciò che hai subito la atterrisce.

Ad un certo punto del dialogo, odo un singhiozzo non più trattenuto dall’altra parte. E’ breve, ma sufficiente per farmi ben percepire il suo stato emotivo, il suo desiderio di crollare, senza però poterlo fare. Vuole essere un sostegno per te, si è impuntata che non può dimostrarsi fragile, Camus, come te, per te, ricalcando i tuoi stessi errori. Non posso accettarlo!

“Marta...”

“Scu-scusami, Milo, sto bene, sto… mi hai detto che Michela sta riposando, vero? E’ tremendo quello che le hanno fatto passare...”

“Sì, ma tuo fratello è riuscito a proteggerla, anche lei ha avuto una tremenda esperienza che dovrà superare… se solo quell’impiastro di Hyoga tornasse, invece di essere allo sbando… gioverebbe sia a Camus che a lei, ma ha preso dal suo maestro, non c’è niente da fare!”

“Hyoga se ne è andato altrove a curarsi?” mi chiede, sbigottita.

“Sì, quel… lascia perdere, la prima volta che lo vedo lo appendo al muro e lo insulto, non mi importa se non sono il suo maestro, ma...”

“Sei comunque il suo maestro in seconda!” esclama lei, sforzandosi di alleggerire il dialogo.

“In terza… c’è già chi ha avuto quel ruolo!” affermo, ripensando per un attimo ad Isaac.

“P-però a protetto sia Camus che Michela, è grazie a lui se ne sono usciti.”

“S-sì, è stato formidabile, se solo se ne rendesse conto anche lui!”

“Gli sono grata… abbraccia Michela da parte mia, e tira le orecchie a Hyoga se torna al Santuario, digli che i nemici pagheranno tutto quello che hanno perpetrato, TUTTO!”

“Glielo dirò, piccoletta, ma ora… - rabbocco aria, preparandomi – parliamo un po’ di te...”

“Io sto bene, Milo, n-non ho preso parte alla battaglia.”

“Ma hai provato quello che ha sofferto Camus, è come se avessero torturato anche te!”

“N-no, quando era nel mondo di là non potevo neanche percepirlo, è quando è tornato che ho avuto male e...”

“E..? Diamine, Marta, PARLA!”

“E-ed ero qui, impotente… non ho fatto niente… ancora una volta!”

Il modo con cui pronuncia la frase mi trasmette una stilettata al cuore, dandomi ulteriore conferma del suo stato emotivo.

“Questo non è assolutamente vero, piccola, non voglio sentire più una cazzata simile, neanche tuo fratello lo vorrebbe!”

“Mmm...”

“Da quando ti ha ritrovata, è rinato. Gli hai salvato la vita e, non in ultimo, lo hai riscosso dal lutto per Isaac. Pensavamo di averlo perso, allora, di aver perso il suo cuore, ma tu e le altre siete riuscite a riattivarglielo, questo lo sai bene!”

Silenzio dall’altra parte, avverto le sue emozioni palpabili. Non strepita, non singhiozza, ma è lì lì per crollare, si percepisce fin troppo bene e… mi fa tenerezza, diavolo, quasi vorrei abbracciarla per rassicurarla.

“Milo… da quanto tempo sono qui?”

Per qualche secondo mi soffermo a fare i conteggi, confuso dal suo quesito improvviso.

“C-cinque mesi, ma questo cosa mai...”

“I-in questi 5 mesi… ho perso i-il conto di quante volte lui abbia rischiato di morire per salvaguardare me...”

Rimango in silenzio, colpito dalla veridicità delle sue parole. E’ vero, non posso negarlo, ma non posso comunque accettare che si senta in colpa per simili questioni. Ne ho già due che si sentono responsabili per ogni minima cretinata… anche lei no!

“Piccola, ascolta… tuo fratello ha rischiato la vita anche prima di ritrovarti. E’… è lui ad essere così sconsiderato e incurante di sé stesso, non è di certo colpa tua! Farebbe di tutto per te, per noi, lo sai meglio di chiunque altro, Marta...”

“Lo so...”

“E allora non piangere, perché so che hai gli occhi gremiti di lacrime e Camus non lo vorrebbe!”

Un mormorio soffocato mi giunge alle orecchie, sale fino a strozzarsi, per poi essere difficoltosamente celato. La sento fremere, mi viene nuovamente voglia di abbracciarla. Forse, se fossi ancora Cardia, riuscirei a farla sorridere come faceva lui, ma... Cardia è il mio passato, è una personalità che non mi appartiene più!

“Perdonami, Milo… non dovrei lamentarmi con te; con te che sei già sovraccaricato, ma… ma...”

“Parla pure liberamente invece, non fare come tuo fratello, o esploderai, dammi ascolto!”

“E’ che… - esita ancora un attimo – non ce la faccio proprio più...”

“Per… cosa?”

“A vedermelo rischiare la vita in continuazione! Non sta mai bene, Milo, c’è sempre qualcosa che lo fa soffrire, lo attaccano, gli fanno del male, tanto… e lui continua a combattere, continua… continua... continua! Prima o poi esploderà, lo prenderanno loro, lo… sigh!”

Purtroppo capisco l’ultimo verbo in sospeso, perché si annida, come tetra verità, tanto in me quanto in lei: lo violeranno ancora e ancora, essendo lui l’obiettivo primario del nostro nemico… Recupero due toni di voce prima di riprendere il discorso.

“Marta… Marta, ascoltami! Io ti posso capire meglio di chiunque altro, ma… noi siamo con lui, vero? E, insieme a noi, anche Michela, Hyoga, Francesca, Sonia, gli altri Cavalieri d’Oro...”

“S-sì, siamo con lui...”

“Ecco! E allora non disperare: non sarà più lasciato solo, veglieremo su di lui, diventeremo più forti per salvarlo dal suo destino, lo sai, piccola, lo sai… tu puoi salvarlo, puoi proteggerlo, sono fermamente convinto di questo!”

“M-Milo...”

“Credi in me, aggrappati a questa consapevolezza: quell’essere non lo sfiorerà più neanche con un dito, puoi contare su di me. Se scopro qualcosa; anche qualcosa che lui vorrebbe nascondere, te lo racconterò immediatamente, tu… cerca di fare altrettanto, siamo intesi?”

La sento sussurrare stentatamente un “sì”, prima di prendere uno, due, tre, sospironi e ricondurre tutto sotto il suo ferreo controllo.

Non so più cosa dirle, sembra ancora notevolmente scossa, mi mancano le parole per concludere il dialogo, ma fortunatamente è la sua voce a palesarsi nuovamente.

“Milo… sei ancora in linea?”

“Sì...”

“Camus sta dormendo, giusto? Non è quindi cosciente...”

“Sì, è stremato, piccola, ma le sue condizioni sono stabili adesso. Credo gli abbiano prelevato altre due fiale di sangue per analizzarlo… è un po’ anemico, visto anche quello che ha dovuto subire, ma, sai, era imprescindibile per capirne le condizioni fisiche. L’ecografia invece non ha mostrato niente: il suo addome è normalissimo, come quello di un qualsiasi uomo della sua età!”

“Gli avete fatto un’ecografia all’addome?! D-dopo quello che ha già passato?!?”

“Era già sedato quando gliela hanno fatta, non avevano altre alternative...”

“Ma lui la percepisce lo stesso, Milo! Ha una percezione incredibile e… e...”

“Lo so… ce l’ha da quando era piccolo!” sorrido, nel ricordarmelo emaciato con quel ciuffetto a castagna perennemente ribelle.

“Non si poteva… proprio evitare?”

“Temo di no...”

“Capisco… però Tiamat non si vede, giusto? E’ latente?” mi chiede, vacua, ancora tremante.

“No, non si è vista, ma prima, quando gli hanno appoggiato glie elettrodi e poi lo stetoscopio, si udiva distintamente un battito, anche se in attenuazione.”

“Come è possibile?”

“Non so bene neanche io, ma… appena so qualcosa, sarai la prima ad essere informata, promesso, giurir giurello!” esclamo, riappropriandomi giocosamente di un’espressione che usavo nella mia infanzia.

“Ho… ho capito, aspetterò!”

Rimane in silenzio per un altro po’, il respiro accelerato. E’ ovvio tema qualcos’altro, ma tace, forse non desiderando darmi un’altra, l’ennesima, brutta notizia...

“Volevo chiederti se...”

Riprende dopo un po’, esitando vergognosa. Il suo tono si fa ovattato.

“Sì?”

“Volevo chiederti di abbracciarlo al mio posto, ma lo potresti svegliare, per cui… accarezzalo, come se fossi io lì...”

“Marta… - sussurro, intenerito da una simile richiesta, prima di ridacchiare – sarà fatto non temere!”

“Volevo anche chiederti di dargli un bacio da parte mia, sulla fronte… a lui piacciono tanto, come le carezze tra i capelli, ma immagino che tra maschi non sia così facile, e che sia, sì, voglio dire, imbarazzante...”

A quell’ultima affermazione rido di gusto. Per quanto voglia un bene dell’anima a Camus, le volte che l’ho baciato si possono contare sulle dita di un’unica mano, e non sono neanche sicuro che raggiungano le due.

“Effettivamente sarebbe un po’ imbarazzante, sì, noi maschi non siamo espansivi come voi ragazze, non siamo soliti cedere a questi tipo di effusioni tra noi, più facile farlo con voi piccolette!”

“L-la carezza però… q-quella puoi…?”

“Quella sì, contaci! – le dico, prima di prendere un attimo di pausa e rivolgerle la mia domanda fondamentale – Myrto sta meglio? E Sonia?”

“Sonia sta bene, mentre Myrto deve solo riposare… ti ha detto il Nobile Shion che cosa ha fatto? Ci ha protette!”

“Sì, me lo ha detto… - annuisco, un poco rammaricato dal non essere stato in grado di fare altrettanto con lei – E’ sempre stata molto protettiva verso le ragazze come voi, nonché… una femminista stra-convinta!”

“Sai, un po’ credo di essermene accorta: è una donna molto forte e combattiva, impossibile non volerle bene!”

“Oh, lo è, lo è… una vera e propria leonessa! - confermo, sentendomi pervadere da una certa malinconia nel rammentare il nostro vissuto intimo – Stanotte riposate tutte e tre, intesi?”

“G-grazie, ma riposati anche tu, Milo, mi raccomando, e salutami tutti gli altri!”

“Sarà fatto, piccola, buonanotte!”

“Notte a te e… - il suo tono di voce cambia nuovamente, colorandosi di una sfumatura maliziosa – E puoi star tranquillo, ci prenderemo cura noi del tuo eterno amore e… dannazione!”

“COS..?! No, aspetta, non è come pensi, non...” starnazzo, sentendomi immediatamente le guance farsi bollenti e tingersi del colore del papavero.

“Ihi, nessun timore, Milo, Myrto è in mani sicure… bye bye!”

Come ‘bye bye’?! No, aspetta… aspe…

TU-TUUUUUU.

Mi risponde il suono della chiamata chiusa e nient’altro. Sospiro melodrammaticamente, infilandomi il dispositivo nella tasca dei pantaloni. Che furbetta… ha compreso cosa c’è stato tra me e Myrto -o glielo avrà detto Sonia?!- e me lo dice solo all’ultimo, con tanto di risolino divertito e tono scanzonato. Questa non me l’aspettavo proprio da te, birba!

Mi dirigo nuovamente verso la stanza che hanno adibito per Camus, le guance ancora un poco arrossate per il nostro ultimo scambio di battute. Arrivo giusto in tempo per vedere il Nobile Shion uscire, chiudersi la porta dietro e sorridermi con naturalezza. Devono aver finito con la visita, per fortuna…

“Ho fatto andare Shaka a medicarsi...” mi informa, in tono pacato.

“Menomale… sua Buddità ogni tanto si dimentica di possedere un corpo umano e quindi di avere anche delle necessità da soddisfare!” ironizzo, pur sollevato nel sapere che il mio compagno e amico si stia prendendo finalmente cura anche delle sue ferite.

“Hai parlato con Marta?” mi chiede poi, interessato. Non so davvero come faccia ad essere così flemmatico su tutto, davvero.

“Sì, è comprensibilmente sconvolta per suo fratello...”

“E’ naturale! Quello che è successo a Camus, ciò che è, ciò che è contenuto nel suo grembo, ha sorpreso un po’ tutti. Sarà molto disorientato quando si rimetterà in forze, avrà bisogno dell’aiuto di tutti – poi sbuffa, con un sorriso amaro – Ma, visto il tipo, tenderà ad isolarsi. Non bisogna lasciarlo solo, Milo, non ora che abbiamo capito che questo potere ha un nome, che Tiamat è dentro di lui!”

“Nobile Shion… - tento di iniziare un altro discorso che mi preme, cercando di farmi forza – Questa Tiamat, che dite essere una dea primigenia, è buona o cattiva?”

“Non ne sono… sicuro!” dice, incerto, guardando altrove.

“Proprio non la conoscevate prima che Dégel ve ne parlasse?”

“No… i testi sono estremamente frammentarie lacunosi, i pochi che sono stati reperiti grazie al suo aiuto, peraltro antichissimi, la rendono malvagia, ma… c’è qualcosa che non torna!”

“Un punto fermo, quindi...” arrivo alla conclusione, serrando la mascella.

“Un punto fermo, l’ennesimo...” conferma lui, criptico, trovando interessante l’angolo del muro.

Decido quindi di deviare argomento.

“Camus sta riposando? Posso rimanere un po’ con lui? Poi andrò da Michela!”

“Certo, Milo, ora ha solo bisogno di tanta tranquillità, gli farà bene avere una presenza amica al proprio fianco...” mi avvisa con un sorriso dolce, prima di andarsene via per informare gli altri Cavalieri d’Oro di quello che abbiamo scoperto.

...ovvero quasi niente, ma vabbé, ci sono abituato!

Entro quindi nella stanza, avvertendo come prima cosa il ‘beep’ dei macchinari e poi il suo respiro lento e regolare. Il mio cuore da un impulso nel constatare che devono nuovamente averlo collegato ai marchingegni del diavolo. Accendo la luce della lampada posta sul comodino.

Sorrido meccanicamente, avviandomi poi verso la finestra per chiudere le tende e sedermi al suo fianco, sulla sedia di legno dalla parte opposta dell’entrata. Lo osservo in silenzio, la tenue luce rischiara appena la sua pelle diafana -sei sempre stato troppo pallido, amico mio, fai tenerezza!- dandomi la sensazione di avere un qualcosa di tremendamente fragile davanti a me.

Non ha più quell’espressione rotta dalla sofferenza, ma il busto è comunque coperto dagli elettrodi per il monitoraggio, disposti a cerchio intorno al capezzolo di sinistra, sopra quelle ferite ormai cicatrizzate, che per poco non me l’hanno portato via… un’altra volta!

Devono averlo girato dalla testa ai piedi, perché è in una posizione diversa da prima, il volto parzialmente reclinato sul cuscino, le mani lungo i fianchi, appena sopra le lenzuola tirate in grembo; il resto del corpo è privo di difese ai miei occhi, scoperto, se si escludono i fili che lo collegano ai macchinari e -gli sollevo appena le coperte per controllare sotto!- il bendaggio nuovo, più grosso, consistente in una garza di dimensioni perfino maggiori posta proprio al centro dell’addome, dove gli hanno fatto quei prelievi incontrollati. Lo ricopro con cura, stando attento a non toccare nient’altro.

Mi chino tacitamente su di lui, gli prendo la mano vicina e gliela sollevo appena a peso morto, prima di racchiuderla tra le mie dita. Non è né fredda né calda, non saprei come definirla. Il ventre invece, che poco fa gli ho sfiorato, è ancora bollente, come se tutto il calore fosse condotto lì. Suda, la fronte è sudata, la pelle un poco lucida anche a seguito dei medicamenti, i muscoli dell’addome ancora un poco tesi, nonostante il sonno e la stanchezza.

Amico mio, non riesco a non posare lo sguardo proprio lì, dove si dovrebbe annidare Tiamat… è tutto così strano, assurdo, inimmaginabile… sei un uomo, eppure hai questa cosa dentro di te, l’hai sempre covata.

Sapevo fossi speciale dal primo giorno che ti ho visto. Quel bambino corrucciato e malinconico che è stato portato da Shion qui al Santuario, ultimo tra i Dorati Custodi, ha fatto breccia nel mio cuore fin dal principio, ma non avrei mai pensato che tu potessi essere gravido…

… dei se suona male così, che diavolo vai a pensare, Milo?! Camus è Camus, lo sarà per sempre, non importa se questa cosa è dentro di lui, non importa se è costei che brama il nemico, insieme al suo stesso corpo. Camus è Camus, è un uomo, un Cavaliere, un amico e un fratello.

Istintivamente gli accarezzo la spalla, avvicinandomi ulteriormente a lui per sussurrargli parole che voglio lui sappia, anche se è incosciente, perché sembra ancora così teso, con quella piega delle sopracciglia, la bocca dischiusa e la sensazione, vivida, che vorrebbe nascondersi dalla vergogna.

“Sei… sei un essere straordinario, Camus, me ne accorsi la prima volta che ti vidi, e poi ancora e ancora. Ogni giorno che passava me lo confermava sempre di più. Sei giunto qui già in possesso di poteri eccezionali, sapevi già usare il ghiaccio e, quella volta, in estate, in cui mi mostrasti per la prima volta la neve, che non avevo mai visto, riproducendola dalle tue stesse mani, mi chiesi quanto lontano avresti potuto andare...”

Prendo una pausa, passandogli, lieve, le mie dita sul bicipite per tranquillizzarlo, laddove non sono presenti aghi, perché sembra davvero così indifeso, si vergognerebbe da morire a mostrarsi così nudo, persino davanti a me, come quella volta, il primo anno della nostra amicizia, in cui lo costrinsi a fare un bagno in mare perché lui, accaldato con i pantaloni a pinocchietto e la maglietta a righe, a malapena metteva i piedi in acqua, già tanto, perché di spogliarsi e nuotare con noi neanche per l’anticamera del cervello gli passava!

“Eri un nostro coetaneo, ma crescesti con il doppio della velocità nostra… a 7 anni l’investitura, come tutti qui, e subito dopo la partenza con Fyodor, il dover diventare Sciamano, gli anni di lontananza, a scambiarci lettere, a vederci poco o niente… e poi ancora il terribile lutto del tuo maestro, il senso di straniamento, di non farcela, il rimorso per aver causato la sua morte… ma sarà poi stata davvero colpa tua, testone? Non me ne hai mai voluto parlare nel dettaglio, ti faceva troppo male...”

Fisso un punto non ben definito del muro, come carpito dai ricordi, prima di scrollarmi di dosso la sensazione di irrimediabilmente perduto e ricominciare.

“Non mi parlasti di quel che era accaduto, ma quella notte dopo il tuo ritorno, piangesti tra le mie braccia. Non avevi mai pianto davanti a me, sai, Cam? Sembravi un minuscolo fiore, schiacciato da uno stivale… il tuo tacito urlo era a stento percettibile, ma io lo potevo ben avvertire come parte di me, come risonanza – sospiro, fermandomi un poco per stringergli più forte la mano, perché al nome del suo maestro si è visibilmente agitato, il suo cuore sfinito ha dato un impulso irregolare, e non gli fa bene – Siamo cresciuti insieme Cam, ma tu sei sempre stato avanti anni luce a me. Ti hanno affidato i primi allievi a 13 anni, io l’anno dopo persi la verginità… che traguardo, eh? Tu maestro, praticamente un adulto, io a filare dietro a Myrto come i ragazzetti in piena crisi ormonale. Non me ne pento di certo, ovvio, ma… è emblematico del divario che c’era, e c’è ancora, tra noi!”

Ridacchio nel pensare che, se solo potessi, farei ancora l’amore con Myrto, non è proprio cambiato niente, dopo dieci anni, eppure, allo stesso modo, siamo cambiati così tanto.

“Tu sei sempre stato speciale, Cam, unico e prezioso, questo non potrà mai cambiare, MAI, anche se inficcartelo in quella testaccia che ti ritrovi è impresa da guerra di resistenza contro il Turco... ora ti crederai ancora più fragile, con questo potere dentro di te, meno uomo, meno te stesso e pippe varie. Avrai paura di non essere più in grado di proteggere Marta, Hyoga e le tue allieve, io lo so… perché sei fatto così… non sai, no, non capisci, quanto tu sia tutto per me, quanto ti ammiri, quanto… tu sia parte integrante del mio cuore! Dentro di te vi è questo potere eccezionale, creduto perduto dalla notte dei tempi, ma è dentro di te, non so come, non so perché, ma tu solo ce l’hai… tu solo! Non so se Tiamat sia buona o cattiva, ma so che riuscirai a controllarla, ad imbrigliarla e, altresì, so che noi, tutti noi, faremo di tutto per proteggerti dalle mani del Mago, io, la tua Marta, il tuo Hyoga...”

Al mio pronunciare il nome dell’allievo, lo vedo inarcare debolmente la schiena, prima di stringere le palpebre e voltare la testa dall’altra parte, la mascella serrata.

“Camus?” lo provo a chiamare, alzandomi in piedi per prendergli il volto e ruotarglielo dolcemente verso di me in modo da fargli percepire la mia vicinanza.

“Hy-Hyoga… d-dove sei, anf?”

La sua dannata percezione… è stremato ma riesce ad avvertire qualcosa, al di fuori del buio che lo circonda, il nome del suo allievo gli ha sfiorato le orecchie e poi il cuore, e ora si agita nel chiamarlo, avvertendolo così lontano.

“Non è qui, Cam, ma è al sicuro…” gli dico cautamente, consapevole che non sia totalmente in sé, altrimenti non si mostrerebbe così con me, né con nessun altro.

“Il… mio… Hyoga, dov’è, anf? E’… in salvo?”

Non so neanche se mi riesca a udire, tuttavia, ancora con la mano a sorreggergli il volto, altrimenti caderebbe di lato, decido di rispondergli: “Sì, è alla fondazione Kido, in Giappone, da Atena, là lo cureranno!”

Camus alle mie parole sembra irrigidirsi di più, soffrire. L’elettrocardiogramma sembra impazzire (e menomale che il Nobile Shion mi aveva ammonito di tenerlo tranquillo, cazzo!!!), il corpo si contrae più volte, come se volesse alzarsi ed inseguirlo ovunque si trovi.

Con quali forze, amico mio, quali?!

“Camus, calmati… sei ancora molto debole e non assolutamente in grado di raggiungerlo!” lo fermo, vedendo che, così com’è, ovvero più incosciente che conscio, impigliato come una sardina nella rete, ha provato davvero ad alzarsi, non riuscendoci, perché i macchinari lo bloccano al letto. Gli tengo il volto dritto, i pollici sulle guance pallide, mentre le sue labbra si dischiudono a esprimere faticosamente altre parole.

“Perché è andato l-là, anf?”

“Non lo so...”

“Era... ferito gravemente…”

“Questo lo so, invece, ho tentato di tenerlo qua, ma era irremovibile, Cam...”

“Anf… urgh… n-non d-doveva...”

“Calmati adesso… là o qua è al sicuro, questo conta, no? Devi rimetterti in forze anche tu, solo così potrai riabbracciarlo!”

Annaspa, respira a scatti, sembra quasi sul punto di piangere se non fosse Camus dell’Acquario. Fa una tale tenerezza che mi fa venir male.

Hyoga perché lo hai lasciato? Perché te ne sei andato? Ancora non riuscite a capirvi?! Camus ti ha sicuramente percepito vicino a lui nell’infuriare della battaglia, lo hai salvato, e tu te ne sei andato in un momento così delicato per lui. Perché non capisci che ha bisogno di te?! Perché è così difficile farvi arguire che siete indispensabili uno per l’altro?! Che vi amate… come padre e figlio!

“S-so perché lo ha… f-fatto… anf...”

Ora cosa sta dicendo?! Lo capisco appena da quanta fatica faccia a pronunciare anche solo poche, semplici, parole.

“Cam, cosa..?”

“N-non… mi… vuole più, anf...”

Sta vaneggiando alla stragrande… ottimo!

“Questo non è vero, Camus! - esclamo, cercando di utilizzare un tono più fermo possibile – E’ pippologo, come il maestro, per questo se ne è andato, perché è tonto ed è un pulcino sperso, non sa dove andare, non sa cosa...”

“M-m… m-mio figlio… non mi vuole… più, anf!”

Continua a straparlare e non so come calmarlo, deve stare davvero tanto male per ammettere una cosa così, sebbene Hyoga lo sia sempre stato per lui, come Isaac. Li ha sempre visti così, quei due, ma dirlo apertamente è una cosa che Camus dell’Acquario farebbe solo sotto tortura, o in momenti di estrema debolezza, come questi!

“Camus...”

“L’ho p-perso… nnnnngh, il mio… Hyoga, anf!”

Pugno nello stomaco nel vedermelo crollare di nuovo, reclinando la testa sulla mia mano. Lo adagio meglio sul cuscino, gli allineo nuovamente le braccia lungo i fianchi, poi, ricordandomi della promessa fatta a Marta, gli accarezzo i capelli cercando di imitare le movenze che farebbe lei per tranquillizzarlo.

Camus, ancora sotto sedativi, al mio maldestro tocco, apre difficoltosamente gli occhi a due fessure, piccole balugini di blu in un universo di ombre. Non sembra ancora in sé, il suo respiro è frenetico, così come l’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto, ma almeno è riuscito a dischiudere le palpebre, anche se non so ancora cosa riesca a vedere.

“M-mi manca così t-tanto...”

“Ma è al sicuro, Cam, come Marta, come Sonia, come le tue allieve...”

“Stanno… bene?”

“Sì, hai allieve molto forti, Camus, devono aver preso dal loro coraggiosissimo maestro – modulo la voce, in modo da rassicurarlo - Ho sentito Marta al telefono poco fa, mi ha chiesto di regalarti una carezza tra i capelli al posto suo, visto che non può raggiungerti al momento.”

“La mia… piccola… l-l’hai sentita a-al telefono?”

“Sì, mi ha detto di accarezzarti la testa, come ti piace tanto, in sua vece e… ah, ti posa anche un bacio sulla fronte, l-lei… - biascico, a disagio, guardando altrove – P-però n-non chiedermi di fare anche questo, Cam, è imbarazzante, s-siamo due maschi, fai però come se lo avessi fatto, ok?!”

“Pff! – ha prodotto un mormorio stentatissimo come se fosse una risata, lo vedo sorridere leggermente, sebbene sia ai minimi termini, prima di chiudere nuovamente gli occhi – Questo… è degno di l-lei, anf, riesce ad essermi così vicino… anche in simili momenti… c-come… come… urgh!”

“Cam?”

“Come quando… nel 1741… q-quel mostro mi ha… mi stava per…”

Non parla mai di quei momenti terribili, di come si sia sentito e di cosa quel verme gli abbia fatto provare. So che si percepiva come un cigno dentro un’ondata nera di petrolio, che ha provato un dolore straziante, ben oltre l’umana sopportazione, e che, di fatto, ha subito un abuso senza pari.

Serro la mascella nel ripensare a questo, cercando comunque di non dargliela a vedere. No, Camus dell’Acquario non si è spiegato oltre dopo i fatti accaduti nel 1741, non ce ne era bisogno, del resto non ci sono parole per descrivere quella violenza, né altro da dire per rinfrancarlo, eppure adesso, in questo momento di estrema fragilità, lo vedo tentare nuovamente di svicolare da qualcosa, inarcare la schiena e voltare la testa dall’altra parte, come se qualcuno lo bloccasse a terra per fargli del male.

“M-Milo, io… e-era dentro di me, q-quell’essere, mi ha… sembrava di avere dei coltelli che mi trapassavano l’addome. L-le sue mani s-su di me, sul mio collo, s-sui fianchi e… e poi… n-non gli… bastava, q-quello...”

“Camus, non c’è bisogno di rimarcare questo adesso, NON DEVI!” provo a tranquillizzarlo, notando che sta rischiando di avere un altro attacco di panico. Gli racchiudo goffamente la mano tra le mie, come se stessi raccogliendo un uccellino.

Lui contraccambia la stretta come può, annaspa, cercando un sostegno che non lo faccia crollare.

“Milo, anf… - il sollievo nell’udire le sue labbra pronunciare il mio nome, dimostrazione che si sta lentamente riprendendo, viene scalzato via dalle sue successive parole - Non sono più… un uomo, anf!”

“Lo sei, invece, lo sarai sempre, amico mio, e nessuno potrà togliertelo!”

“Non sono cose… anf… che dovrebbero accadere ad un uomo, q-queste!”

Io non posso fare altro che carezzargli il dorso con il pollice, percorrendogli poi il braccio con lo sguardo. Devono avergli fatto almeno altri tre prelievi nella piega del gomito, dove gli hanno puntualmente messo il cotone, ora rosso di sangue, ma ho l’impressione che gli verrà un bel livido anche lì, oltre a quello già presente sull’addome e i numerosi altri rossastri.

“Fa ancora… c-così male...”

“Che cosa?”

“L’ombelico, anf, dentro… s-sembra t-tutto come allora, ed io… n-non ce la farò per sempre. E’… troppo difficile!” ammette, riaprendo a fatica gli occhi, che ora mi sembrano lucidi, ma di paura.

Gli discosto istintivamente le lenzuola, notando che il bendaggio, forse per i movimenti convulsi di prima, è nuovamente sporco di sangue.

“Sanguini di nuovo...”

“N-non si è mai fermato, anf...”

“Cam, io… non sono bravo, in questo, sei sempre stato tu quello che si prendeva cura di me – gli sussurro, alludendo anche a Dégel e Cardia, al fatto che lui mi abbia sempre, sempre, salvato – M-ma non posso lasciarti sporco, devo ricambiarti il bendaggio, mi… mi consenti di farlo?”

Dei, quanto mi sento idiota… ma perché proprio io qui, del tutto impedito in queste cose?! Marta e Sonia, certamente più portate di me, sono lontane, le altre ragazze K.O. non ci sono che io a poter agire...

“Mmmh...”

Sembra nuovamente semi-svenuto, ha chiuso gli occhi, vederlo ridotto così fa dannatamente male, soprattutto dopo quello che ha detto poc’anzi. Non ho alternative. Le mie mani tremano un poco mentre, discostandogli la coperta, poso le dita sul cerotto quadrato.

“Scusami davvero… - biascico, prima di strapparglielo con un unico movimento brusco. A lui sfugge un mormorio di dolore, lo vedo sussultare nitidamente, prima di abbandonarsi – Non sono delicato come la tua Marta...”

Passano minuti in cui non reagisce di nuovo, dando così a me il tempo di tamponargli maldestramente l’uscita di sangue e prendere un altro cerotto per incollarglielo meglio che posso sopra l’ombelico.

Andrà bene così?! E’ storto, l’angolo sinistro superiore non si è incollato bene, ci ripasso ma non ottengo nulla, quello rimane sollevato. Maledetti Shaka e Shion, potevate stare ancora un po’ qui, eh?! A me, affidate queste cose, che sono un inchiappettato cronico su questo!

“M-Marta, anf...” d’improvviso si riscuote, come se di colpo avesse rammentato una cosa importante.

Ha riaperto gli occhi, che tuttavia non sembrano ancora vedermi; non sembrano vedere alcunché, a dirla tutta, con quella strana ombra che li attraversa.

“Amico, che succede? Sognavi?” provo a chiedere, accarezzandogli una spalla con una mano. Vorrei che reagisse alla mia esortazione, ma sembra perso in un pensiero che vuole tramutare in discorso probabilmente molto più grande di lui.

“Ti prenderai cura di lei, anf, quando io n-non ci sarò… più?”

“Ora non cominciare a dire STRONZATE che non voglio neanche sentire, che domanda è, questa?! Dormi, piuttosto!”

“E’ impor-tante per me, anf, i-io… non ce la farò per s-sempre!”

“Tu ce la farai, invece! - ribatto, quasi fremendo nel pronunciare tali parole – Ce la farai perché non sei solo, perché non sarai più solo! Ci siamo noi, gli altri Cavalieri, le tue allieve...”

“C-continueranno ad attaccarmi, Mi-lo, finché non otter… anf, finché non avranno ciò che cerca-no...”

“Sì, lo faranno, e noi non gliela daremo vinta! - lo fermo immediatamente, non volendo neanche sentire quell’ipotesi – E tu non azzardarti ad arrendere, chiaro?! Marta ti ha ripescato in mezzo ad un mare nero di petrolio, non provarci neanche a gettare la spugna!”

“L-lo ha fatto s-sì… - sorride a fatica lui, percependo finalmente l’esortazione nel mio tono, poi richiude gli occhi e sospira – Ma a quale prezzo, Milo? Ha… ha subito su di sé i miasmi, la mia stessa sofferenza, ed io… non voglio che le succeda più niente! Non voglio che succeda più niente… a n-nessuno di voi, perché siete… l-la mia famiglia!”

Beh, sono lusingato lo riesca finalmente ad esprimere, ma continua a straparlare alla stragrande e mi è stato raccomandato di tenerlo tranquillo… ottimo, davvero!

“Il massimo che può accadere è che ci porterai alla tribolazione, Camus, tu e la tua vena insalubre di sacrificarti e andarti a farti ammazzare. Questo sì che ci può succedere, quindi vedi di non farlo accadere, perché dipende solo da te!”

“M-Milo...”

Lo vedo provare ad alzarsi, non degnando al solito le mie raccomandazioni, ciò mi manda in fumo il cervello. Non gli do semplicemente il tempo di farlo, lo inchiodo al letto, pur stando attento a non pesargli troppo.

“E adesso dove pensi di andare?!”

“M-Michela e F-Francesca, l-loro...” ma è lampante non sappia dove andarle a cercare, si guarda spaesato intorno, percependo il loro cosmo ma non sapendo come raggiungerle. Sarebbe quasi da dargli una botta in testa… i sedativi con lui non durano che pochissimo e, al momento è rincoglionito, è vero, ma non mi meraviglierei se fra un’ora andasse già a zonzo per le Dodici Case nel cercare le sue adorate allieve.

“Lasciale riposare, povere ragazze, ci hanno già pensato gli altri Cavalieri d’Oro a trattare le ferite subite.”

“L-loro…”

“Giù, E CHE CAVOLO!” mi impongo, in un tono che non ammette repliche.

Non riesce ad opporre una valida resistenza, troppo stremato per farlo, vedo con distinzione una scintilla di dolore passargli negli occhi.

“Miche-la, anf, ha subito un brutto trauma, ugh – prova a spiegarsi, cercando di non mangiarsi le parole – E-e anche Francesca, da quel poche che, anf, percepisco del suo… c-cosmo.”

“Lo sappiamo, ci abbiamo già pensato!”

“Almeno… sono al sicuro?”

“Sì, lo sono, e tu devi stare tranquillo anche per loro, Cam. Sono preoccupate da morire per te e, se non ti rimetti in sesto, rischi di vedertele capitombolare qua con chissà quale rimedio, grondanti di sangue per averti cercato una cura. Hai portato il tuo corpo al limite… ora devi permettergli di riprendersi con le giuste tempistiche, intesi? - mi raccomando, continuando ad accarezzargli i capelli come farebbe Marta - Non strafare, respira con calma… ecco, bravo, così!”

Lo vedo respirare un poco più profondamene di prima, annuendo appena, più docile del solito, nel lasciarsi cullare dal mio tocco fino alle porte del sonno. Le palpebre, ora nuovamente chiuse, non sono più serrate dolorosamente come prima, il suo petto si alza e si abbassa cheto, senza grossi scossoni. Deve essersi addormentato.

Sorrido, rasserenato, accarezzandogli un poco la chioma ribelle per poi rimettermi dritto in piedi.

“Avrò cura io delle tue allieve in questi giorni, tu rimettiti presto e torna più forte di prima, come solo Camus dell’Acquario sa fare!”

“G-grazie, Milou, s-so che lo… farai, anf.”

CAZZO, MA NON STAVA DORMENDO?!

Arrossisco di netto, maledicendolo mentalmente: mi ha fregato, come quella volta in Siberia!

Tra l’altro, non so se mi stordisce di più il modo con cui pronuncia la ‘u’, allungandola come faceva spesso quando era piccolo, o il suo tiratissimo sorriso.

“Sono fortunato… ad averti al mio fianco, anf!” riesce ancora a dire, sereno.

“Dei, se sei nuovamente rintronato! Non ti lasciavi andare a queste effusioni verbali da quella volta, in Siberia, quando Sonia ed io siamo venuti a trovarti dopo l’incidente...”

“Uhmpf, non sono… così rintronato, solo… solo un poco!” mi sorride, mantenendo gli occhi chiusi, il tono via via sempre più impastato.

“Un poco tanto, però!”

“Marta e Hyoga mi hanno insegnato che, anf… s-si può essere forti anche manifestando i propri sentimenti...”

“Certo, chiaro… loro ti hanno cambiato la vita!” sorrido, intenerito.

“A-avevo… semplicemente... bisogno di dirtelo, M-Milo e… grazie… per tutto qu-quello che fai per me.”

“Ho… ho capito, Cam, lo so, non c’è bisogno di...”

“...”

“Cam?”

Gli do una piccola sberletta sul braccio.

Niente.

Dorme.

Più nessuna reazione. E’ crollato per davvero, la testa reclinata sulla mia mano, il respiro un poco più sicuro di prima.

E mi ha gabbato un’altra volta!

“Dannato… mi continui a far tribolare, sembra che tu ci provi gusto! - ringhio, fintamente offeso, sistemandolo meglio prima di addolcire il mio tono – Riposa, Cam, riposa… te lo sei meritato e… troveremo una soluzione per strapparti da quell’abominio, te lo prometto!”

Lo osservo ancora un po’, come quella notte in Siberia, per l’appunto, quando Sonia ed io lo eravamo venuti a trovare dopo che lui aveva rischiato di morire. E’ tutto davvero come allora… capisco Marta che non regga più vedere suo fratello così, ma questo montone mancato, cocciuto peggio di un mulo, ha una predilezione per rischiare la vita, non è certo colpa di sua sorella, né mia, né di Hyoga, non è colpa di nessuno… è lui ad essere fatto così, il suo cuore immenso lo spinge a non badare troppo a sé stesso in favore delle persone che ama, e i risultati si vedono.

Potresti scriverci un curriculum, Camus, su quante volte tu abbia rischiato di farti ammazzare in neanche 23 anni di vita, superi di gran lunga ogni record mondiale!

Sospiro tra me e me, un poco scoraggiato: “Quanto durerà ancora?”

So che devo recarmi al più presto da Michela, lasciata alle cure delle inservienti, so che Camus vorrebbe che dessi la precedenza a lei, che ha vissuto a sua volta l’inferno con questa brutta esperienza e che, proprio come lui, sente la mancanza di Hyoga, così farò, ma penso che mi prenderò ancora questi tre minuti a rimanere al suo fianco, magari lisciandogli i capelli nell’attesa che si tranquillizzi del tutto.

Anche se siamo due uomini, anche se siamo due personalità agli antipodi, anche se ti strozzerei per quante volte mi fai rischiare gli infarti… ti voglio bene, Cam, non smetterò mai di dirtelo e di provare a fartelo capire. Ti voglio bene! Era così a 6 anni, sarà così anche a 60…

...sempre che ci arriveremo, certo! Non è che la nostra esistenza abbia chissà quante garanzie, ma sono rinato come Milo per continuare ad essere il tuo migliore amico, di certo lo sarò anche nella prossima vita, e in quella dopo ancora. Ti seguirò sempre, dovesse anche cascare il mondo o implodere il sole, fino alla fine di tutti i tempi.

E questa è una promessa che continuerò a mantenere, Camus!

Come Milo, ma anche come Cardia per il Dègel che sei stato... e che sei tutt'ora, anche se cerchi di celarlo.

“Non è forse così… Marta?” chiedo al vuoto, con un mezzo sorriso, sperando che la piccoletta sia un poco più tranquilla dopo la nostra chiamata al telefono.

In fondo… entrambi abbiamo attraversato il tempo per un motivo ben preciso, no?!

 

 

* * *

 

 

Isola di Milos, 16 novembre 2011, sera

 

 

Non andava bene, in fondo lo sapeva.

Non andava bene… e non le importava.

Ma negare l’evidenza… no, era impossibile.

Si strinse la mano sull’addome, premendoselo in prossimità dell’ombelico, come a impedire al dolore di uscire, riportandolo forzatamente sotto controllo.

Uno spasmo più intenso degli altri la investì… partiva dal centro e si diramava verso l’alto. Eccola, un’altra crisi dopo pochi, pallidi, secondi di calma. Quella… non sarebbe riuscita a trattenerla, ne fu certa poco prima che la sensazione di acidulo le risalisse in gola.

Si piegò ulteriormente sopra il water prima di sboccare. Serrò disperatamente le palpebre, augurandosi che fosse davvero l’ultima. Ormai ciò che usciva non poteva essere più cibo, quello lo aveva già smaltito ampiamente, quindi… no, meglio non pensarci!

Non volle neanche vedere cosa aveva rigettato, semplicemente, alla cieca, tastò la mano contro il muro, ritrovando il pulsante dello sciacquone per premerlo. Udì il vortice d’acqua che veniva tirato giù, portandosi dietro tutto quello che, fino a quel momento, aveva vomitato; l’acutizzarsi di quel suono le indicò che era sceso nelle fognature. Silenzio. Attese qualche secondo in più, mentre, sempre a tentoni, prendeva la carta igienica e si puliva più volte la bocca, buttando nuovamente tutto giù con un nuovo sciacquone.

Attese nuovamente. Secondi. Minuti. La crisi finalmente sembrava finita dopo ‘soli’ quattro conati di vomito. Si raddrizzò cautamente, studiando ogni più piccola, nuova, reazione del suo corpo. Ancora nulla. Sì, erano veramente finiti. Trasse un sospiro di sollievo mentre riapriva gli occhi.

Avrebbe di certo dovuto mangiare o bere qualcosa per scacciare quel retrogusto disgustoso, senza però dare nell’occhio. Non voleva certo che Sonia si insospettisse più di quanto già non fosse, tanto meno Milo, ma fortunatamente lo Scorpione non l’avrebbe chiamata fino al giorno dopo. Avrebbe quindi avuto tempo di celare quel malessere, come stava imparando a fare sempre di più e sempre meglio.

Marta riuscì finalmente a raddrizzarsi completamente, decidendo volutamente di non guardarsi allo specchio. Ormai era passata, la fase acuta sarebbe definitivamente scemata.

Tremò un poco a quell’ultimo pensiero, ricordandosi che, poco prima di vomitare l’anima a causa della sensazione sin troppo intensa e difficilmente gestibile, aveva giusto fatto in tempo a sollevarsi la maglia per guardarsi l’ombelico, vero e proprio nucleo, punto di partenza, di tutto il dolore che si era diramato a tutto il corpo, sconquassandola.

Non vi era comunque più motivo di indagare. Ormai sapeva. Perché lo aveva provato sulla sua stessa pelle, e tuttavia volle nuovamente una conferma. Si alzò la maglia quel tanto che bastava per scorgerlo. Lo scorse. Ne tastò a fatica i margini e, quando venne il momento di toccarne l’interno, qualcosa, una paura viscerale, unita al dolore, acuto, penetrante, la distolse dai suoi progetti. Fu sul punto di vomitare un’altra volta, solo con un atto di forza si controllò. Lentamente, posò la fronte contro le fredde mattonelle del bagno. Chiuse gli occhi. Respirò profondamente. Le ci volle tutta sé stessa per mantenere il sangue freddo.

Non c’era possibilità d’errore… l’interno della fossetta andava tingendosi di viola scuro, faceva male al solo sfiorarsi. Più ancora, al solo saperlo di averlo lì, in posizione mediana del tronco, le faceva provare l’impulso di strapparselo via, da quanto male facesse, da quanto… la mettesse a disagio!

E lei… pur non avendo mai amato mostrarsi nuda, tutt’altro, non aveva mai avuto di simili problemi, non aveva mai… provato quella sensazione orrenda di profanazione, di essere stata violata, perché ad un pazzo, perché quello era, era balenata in testa l’idea di torturarla con i prelievi allo scopo di far riaffiorare una divinità misteriosa e arcana custodita, contro la propria volontà, all’interno del proprio ventre.

Quelle erano sensazioni provate da Camus, ne era consapevole… e sentiva, allo stesso tempo, che sarebbero potute anche aumentare, perché le loro vibrazioni, da quella notte in cui lei, per salvarlo, era riuscita ad accedere alla sua interiorità, compenetravano sempre più spesso, diventando quasi un’unica cosa, un unico battito…

Inaspettatamente sorrise tra sé e sé, nonostante la stanchezza, la vulnerabilità, il sentirsi completamente esausta. D’istinto, si accarezzò più volte il ventre, sforzandosi di riportarsi alla calma, ma più ancora di tranquillizzare lui, che si sentiva così indifeso.

Perché, in fondo, se le emozioni passavano da lui a lei, con naturalezza, poteva anche accadere il contrario...

“Va tutto bene, Cam… sei al sicuro adesso, sei con Milo, dormi, riposa… più nessuno verrà a farti del male!”

E poi ancora, socchiudendo gli occhi per immaginarsi bene la scena con la mente e trasmetterla così a lui…

“E’ giugno, inizio estate, tu sei sotto un grande albero di tiglio che ti fa ombra, l’arietta fresca gioca con i tuoi capelli, ti accarezza il viso… sei felice! - sussurrò, concentrata, immaginandosi un momento molto delicato del suo passato, con Stevin – Non… avere paura!”

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Dopo mesi (4) di attesa, rieccomi giunta qui con un capitolo corale in cui, all’incirca, ho cercato di dare una parte ad ognuno (compreso Saga, sì, che mi sta qua, ma vabbé, ormai lo sapete).

Prima di partire con le spiegazioni, premetto che, molto probabilmente, causa impegni, poco tempo libero, scarsa voglia di pubblicare per una serie di motivi, non riuscirò più ad aggiornare con la stessa frequenza di prima. Per cui, salvo il prossimo capitolo di Le petit Cygne, già ampiamente scritto e solo da revisionare, che dovrebbe uscire ad inizio giugno, i tempi si allungano, per cui… mi dispiace per chi segue, ma davvero non riesco a fare più di così, sperando in tempi migliori.

Dunque… un capitolo corale, dicevo, in cui ho fatto parlare un po’ tutti, anche se i due protagonisti principali sono sicuramente Death Mask e Milo. Insieme a loro qui, per la prima volta, ho vagliato, per la prima volta il POV milesco… perché? Diciamo… che è un nuovo approccio scrittorio, sto valutando di rendere la quarta storia, quando e se mai uscirà, un succedersi di punti di vista differenti, non solo quello di Marta, quindi, il principale, ma anche quello degli altri. Farò così? Non farò così? Chi lo sa! Per il momento mi sono divertita un mondo a rendere il linguaggio e i pensieri del nostro Scorpionide preferito, spero abbiate apprezzato anche voi.

Questo è un capitolo ricco di spiegazioni, non c’è che dire, e di riassestamenti dopo i fatti accaduti precedentemente. Camus ne è uscito distrutto, ma anche i suoi compagni e amici hanno accusato il colpo della scoperta di Tiamat nel suo ventre; Francesca e Michela sono traumatizzate, Milo e Deathy increduli, costernati, e via così…

In tutto questo penso si possa ben percepire che, tanto per Death Mask, quanto per Aphrodite, per lo stesso Milo, e così per gli altri Cavalieri d’Oro, il confine tra i sé stessi di adesso e quelli del passato (perché sì, per me, pace alla caratterizzazione del Kuru, ma i Gold del Lost Canvas sono a tutti gli effetti precedenti vite dei Cavalieri del presente) si è assottigliato al punto che i ricordi stanno compenetrando in questa nuova vita, portando a qualcosa di nuovo. Ovviamente in Milo sarà di certo più marcato che in, per così dire, Aphrodite, stante il suo viaggio nel tempo, ma avremo comunque modo di approfondire, statene certi.

Tutte le anime stanno correttamente attingendo all’esistenza passata, tranne quella di Camus, così come è facilmente intuibile dalla lettura del capitolo, a causa dell’interferenza di quel frammento mancante che tiene legato alla vita/non-vita Dègel… e anche qui le parole di Shion risultano sinistre, terribili… avrà ragione ad avere di simili paure?

I Dorati Custodi non sono gli unici a subire questa compenetrazione… anche a Marta sta accadendo qualcosa di non dissimile, in maniera forse perfino peggiore. In questo caso, non è l’anima di Seraphina a farlo (che comunque si è già risvegliata in lei, sebbene le tenga nascosti ancora alcuni ricordi), ma l’anima dello stesso Camus. Nel capitolo 37 di Sentimenti che attraversano il tempo (quello famoso, sì, che ho corretto 400 volte XD), la ragazza per salvare il fratello ha dovuto accedere in lui per vedersela frontalmente con il Mago, questo suo gesto, dettato dall’amore fraterno, non è stato ovviamente privo di effetti collaterali, come potete vedere. Tuttavia… non è l’unica ragione ad acutizzarle il malessere, a permetterle di sentire il dolore e le emozioni di Camus con il doppio dell’intensità, ma non posso essere più chiara di così, al momento, mi spiace. Avrete le risposte passo passo, non temete. Certo è che, loro padre, Efesto, ben sa di questa situazione, e ne è preoccupato, ne ha parlato al figlio maggiore proprio nel primo capitolo di questa storia e, va da sé, che a Camus, questo, non possa andare bene in alcun modo.

Si scontrerà con la sorella per provare a reprimere un potere che le provoca così tanto dolore e che tuttavia lei non vuole assolutamente perdere? Anche qui, se avete imparato a conoscere un po’ i personaggi già sapete la risposta…

Mi pare non ci sia altro da aggiungere come noti finali. Come sempre ringrazio coloro che seguono le mie storie.

Un caro saluto a tutti e… alla prossima! :)

 

  
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