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Autore: Glenda    13/05/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera il cielo aveva colori tiepidi e soffusi, ma in realtà faceva freddo.

Non come a Mòrask, ovviamente.

A Mòrask il freddo era vero freddo. Cattivo ed onesto come un pugno in faccia.

A Noravàl no.

A Noravàl anche l’inverno era morbido, come erano morbide le linee del paesaggio, i larghi fianchi dell’estuario e le nuvole paffute. Ma il freddo si infilava sinistro sotto le giacche, tra le dita delle mani, nella testa: spesso aveva forma di vento di mare, altre di umidità densa, ed il guaio era che non te ne accorgevi finché la pelle non cominciava ad arrossarsi e i brividi a solleticare la schiena.

Così era quella sera, sul belvedere: il freddo scendeva e scendeva, mentre lui parlava e parlava, e non sapeva se voleva parlare e parlare ancora, all’infinito, finché Adrian fosse rimasto ad ascoltarlo, o se desiderava solo che un qualche dio gli togliesse la voce, e lo facesse per sempre.

 

***

 

Era stata una brutta giornata, piena zeppa fin dal mattino di quel freddo di cui non si era accorto.

Si era recato alla sede del partito, di buon ora, convocato da Kàrkoviy. Solita routine.

Zjam gli aveva già accennato altre volte di avere progetti per le amministrative, ma i suoi propositi, così come le sue promesse, erano – ormai Noam lo aveva capito fin troppo bene – sempre a tempo indeterminato: se ne parlava, sì, ma come due bambini parlano di cosa faranno da grandi.

Era pienamente consapevole che questo atteggiamento gli avrebbe reso difficile ottenere che la questione “statuto autonomo del Dàrbrand” fosse trasformata da anonimo “punto 25” nel programma elettorale a effettiva proposta di legge, specie finché fossero rimasti il partito d’opposizione, ma si rendeva anche conto che la sua presenza poteva assumere un peso: il suo ruolo era l’essere diventato il collega propositivo di Zjam, quello che cercava di trasformare le speculazioni in tentativi, e siccome Zjam non era il tipo di uomo che temeva di essere scavalcato dalle nuove leve, col tempo avevano stabilito un buon sodalizio. Politicamente, Noam non lo stimava molto: era il tipico personaggio che dava un colpo al cerchio e uno alla botte, e le scelte di Liberi insieme rispecchiavano la sua leadership; tuttavia lo riteneva una persona onesta e sinceramente disposta a correre qualche rischio, purché le conseguenze non danneggiassero troppo la sua immagine. La popolarità era, ahimè, il suo punto debole, forse sentiva il bisogno di lasciare un segno per non essere dimenticato, forse si sentiva vecchio, in ritardo, ma questa brama, quasi ansia, di attenzioni era la principale ragione per cui aveva sostenuto tanto la candidatura di un darbrandese bizzarro che aveva raccolto attorno a sé in meno di un paio di anni un movimento di proporzioni inaspettate. I voti dei sostenitori di Orizzonte erano stati una risorsa per Liberi insieme, Noam era finito in parlamento e le principali proposte del suo movimento inserite nel programma. Programma migliorabile, certo, e “paraculo” da diecimila punti di vista, ma che era, appunto, privo di linguaggio d’odio, cosa che non si poteva dire per alcuni degli uomini che sedevano al momento alla guida della nazione. Dunque, bene così. Zjam era il male minore, ed era, da molti punti di vista, una persona generosa e accogliente.

Dunque, quel mattino.

Ufficio di Kàrkoviy.

Freddo furfante e infido, di inverno che sembrava voler già finire.

“Carissimo, ho una notizia che ti farà senz’altro piacere!” gli aveva detto, e poi gli aveva spiegato un sacco di cose che no, non gli avevano fatto piacere, o invece sì, ma avevano anche permesso a quel freddo di infiltrarsi piano piano nelle sue ossa.

Umidità.

Il partito non era mai riuscito ad avere un candidato sindaco a Mòrask, e la ragione, ad uno sguardo superficiale, era semplice.

A Mòrask chi aspirava alla poltrona doveva trovarsi in una di queste due condizioni: o essere un darbrandese doc con una qualche fama alle spalle tale da meritare il rispetto dei propri concittadini, e quindi aver acquisito il diritto a candidarsi sotto l’egida di un qualsivoglia partito dell’odiato governo, o essere un “gambemolli” (soprannome attribuito all’inizio agli abitanti della costa e nel tempo a tutti coloro che non fossero nati e cresciuti nel Dàrbrand) di idee centraliste estreme, ben finanziato e mosso dalla “nobile causa” di porre fine alla piaga del terrorismo. Questi ultimi, in genere, non duravano a lungo. Negli ultimi 50 anni ne erano morti sei: cinque per attentato, e uno in un incidente stradale (e per quanto fosse stato accertato che l’auto era uscita fuori strada perché il guidatore era ubriaco, anche su questa disgrazia si favoleggiava di omicidio).

Da qui le macabre battute a cui Noam aveva dovuto fare il callo, stabilendosi a Noravàl.

Ad uno sguardo superficiale era semplice vedere molte cose.

Vedere il Dàrbrand come diviso a metà tra “la brava gente” e i terroristi, dove la brava gente doveva essere difesa, anche usando il pugno di ferro; vedere le persone divise in due fazioni, due e solo due, i buoni ed i cattivi; oppure vederne solo una, i darbrandesi come corpo unico o come un concetto: popolo di violenti, di briganti e di selvaggi, che parlavano lingue incomprensibili e disprezzavano il confronto con l’altro, chiunque esso fosse.

Quel mattino.

Il sorriso ostentato di Kàrkoviy.

Un cielo primaverile oltre le finestre.

Ma inverno, ancora inverno.

“Il professor Màrna è un uomo in gamba. Non è nato nel Dàrbrand ma ci vive da più di trent’anni e insegna diritto costituzionale all’università di Mòrask. Scrive per L’informatore. È disposto a proporre la sua candidatura se noi lo sosteniamo.”

A Noam non interessavano le credenziali, anzi, detestava la catalogazione degli individui in base alla lunghezza dei curriculum vitae, tuttavia in quella presentazione c’era almeno un elemento che faceva ben sperare: quell’uomo aveva scelto di vivere a Mòrask, non di utilizzarla come trampolino di lancio per una carriera politica futura data la carenza di rivali sul campo.

E allora perché avvertiva quel fastidio da qualche parte tra il petto e lo stomaco che non gli permetteva di condividere l’entusiasmo di Zjam?

“Vorrei che andassi a conoscerlo e che studiaste insieme una strategia.”

Sì, aveva senso. Dovevano fare così. Invece…

“Noam, qualcosa ti preoccupa?”

No, niente, assolutamente niente. Era una splendida notizia.

“Pensavo ne saresti stato contento: se Liberi insieme riuscisse a piazzare un proprio sindaco a Mòrask, sarebbe un passo fondamentale per realizzare i tuoi progetti, no?”

Certo. L’anonimo punto venticinque del programma. E tanti altri che non ricordava più a che livello della lista stessero. Eppure forse Zjam faceva sul serio. Perché non avrebbe dovuto crederlo?

“È vero. Sono solo…”

Sincero. Voleva essere sincero.

“… un po’ preso alla sprovvista, ecco. Non metto piede a Mòrask da sei anni.”

“Veramente? Pensavo che la tua famiglia vivesse ancora là. Non hai dei parenti?”

Sincero. A metà.

“Non siamo in buoni rapporti.”

Zjam sorrise di un sorriso bonario, quasi paterno. Gli piaceva quando sorrideva così.

“Non essere in buoni rapporti con te è impossibile!” disse “E il professor Màrna non potrà che pensare lo stesso!” gli batté una mano sulla spalla “Parlaci, Noam. Se non lo fai tu, chi altri?”.

Dio, che umidità!

 

***

 

Quella sera il cielo aveva colori di malinconia.

Come il viso di Adrian che lo ascoltava parlare, parlare e parlare.

Il viso di Adrian era sempre color malinconia, anche se faceva il possibile perché non si vedesse. Il viso di Adrian era il viso di un uomo che non è felice del proprio riflesso nello specchio. Ma era anche il viso di una persona che non si sarebbe stancata di starlo a sentire finché lui ne avesse avuto bisogno. L'attenzione che Adrian prestava agli altri era presenza pura, disinteressata e senza giudizio. Pur nella sua mancanza di coinvolgimento apparente, Noam la trovava una forma di amore.

“Fa proprio freddo, stasera.”

“Lei trova? A me sembra tiri solo un po’ di vento. Quest’anno la primavera arriverà presto.”

“A Mòrask forse c’è ancora la neve.”

Si strinse nella giacca, rovesciando il colletto all’insù.

“Se ha freddo, perché non rientriamo?”

C’erano cose che avrebbe voluto dirgli.

Cose che non poteva.

Ci pensò, ed un lungo brivido gli percorse la schiena.

“Noam… si sente bene?”

La mano di Adrian si posò dolcemente sulla sua spalla.

“Sì.” si sforzò di sorridere lui “No. È che ho un problema con… con questo viaggio. Non con Mòrask o col partito. Col viaggio proprio.”

Lui non incalzò con altre domande: come al solito rimase solo in silenzio ad aspettare.

“Non voglio salire su quel treno. Non voglio prendere quell’autostrada. Non voglio passare da quella galleria.”

Adrian non sollevò la mano dal punto in cui era appoggiata: la lasciò esattamente così, bloccata in una tranquillizzante immobilità.

“Beh, finché il suo problema non è il timore che qualcuno le spari, mi pare che siamo messi benino, no?” sorrise appena, con ironia gentile.

C’erano cose che non poteva dire.

Su quella galleria.

Sulla famiglia con cui non era in buoni rapporti.

Sul cosa lo rendesse tanto sicuro (era sicuro?) che non fossero stati i terroristi a minacciarlo.

Su Mòrask e il suo sortilegio.

Sulle montagne da cui era impossibile andarsene davvero. Anche se te ne eri andato.

“Per sua fortuna per raggiungere la maggior parte dei luoghi al mondo non esiste una strada sola.” fece Adrian, scherzoso, eppure con nella voce la stessa solidità della sua mano “E io adoro guidare: mi rilassa. Non ho mai fatto la strada panoramica dell’alta valle del Norav, che dicono sia molto bella: nove, dieci ore, a seconda del tempo e del traffico, e nemmeno una galleria. Come la vede?”

Che è proprio vero che sei bravo a “proteggere”, avrebbe voluto dire.

E ancora, Che ti sono grato.

E altro. Che però non poteva.

“Sarà meraviglioso.”

  
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