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Autore: shilyss    12/06/2022    2 recensioni
Ecco a voi una raccolta di shot legate alla fanfiction "Tutte le tue bugie." Nonostante alcuni riferimenti alla long fic, potete leggere i vari capitoli anche considerandoli come testi scollegati rispetto alla storia madre.
Dal capitolo 1: Se Loki fosse stato meno sarcastico, se nei suoi occhi chiari Odino avesse visto l’ombra di un sincero pentimento, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma Lingua d’Argento era stato sprezzante e tronfio e si era presentato ammantato di tutta la sua feroce eleganza di fronte al padre adottivo che non lo aveva chiamato figlio, ma prigioniero. Un altro imperdonabile errore dovuto non alla mancanza di discernimento di Odino, ma all’amara constatazione di come Loki, il suo brillante figlio, non fosse poi così acuto come pensava e sembrava.
Dal cap. 4: Solo che Loki era un furfante travestito da principe, un cantastorie come nemmeno nelle piazze più oscure della città se ne trovava uno uguale.
Non tutto è come appare, quando di mezzo c'è il dio dell'inganno in persona.
Capitoli 3-9: Barbare usanze;
Cap. 10 - Forse era scritto nel destino.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Il palazzo

If you, if you could get by

Trying not to lie

Things wouldn't be so confused

And I wouldn't feel so used

But you always really knew

I just want to be with you

(Linger, The Cranberries)

 

 

Loki riprese a spogliarsi, liberandosi del mantello di un verde talmente cupo da sembrare nero, slacciando la bella corazza di pelle intrecciata, ma senza smettere di guardarla. “Ha davvero importanza, piccola Vanir? Ogni nostra singola azione genera una serie infinita di futuri possibili, soggetti a un’incalcolabile quantità di nostre varianti,” chiosò sfoggiando un mezzo sorriso furbo e ammaliatore. “Ha davvero senso immaginare ciò che presumi sarebbe accaduto se, ignorando la quantità di variabili che ci circondano?”

“Per me lo ha, Loki. Per favore.”

L’Ase rifletté sulle sue parole, scrutando la figura sottile ed eterea della principessa che sarebbe diventata sua moglie. Si sedette sul letto e con un gesto della mano la invitò a sfogarsi, ad aprirgli la sua mente.

Sigyn abbassò lo sguardo. Era ancora in piedi di fronte a lui, ma valutò che fosse più opportuno sistemarsi accanto al mago. Il segreto della sua gravidanza, disse, era emerso a causa di uno svenimento improvviso. Visitandola, i guaritori avevano scoperto la verità che lei celava solo da pochi giorni, di cui era abbastanza sicura, ma non certa, avvertendo immediatamente Njord e Theoric.

“Sono tutte cose che so,” osservò Loki.

“Se Theoric non avesse subito negato di avermi toccata, avrei comunque dichiarato che non aspettavo alcun figlio da lui. Non sarei mai stata capace di fingere.”

“Ma farlo ti avrebbe evitato un considerevole numero di problemi,” osservò il mago, pungente. “Se si fosse dimostrato comprensivo, se avesse deciso di aiutarti nonostante tu l’avessi ferito, davvero avresti rinunciato alla soluzione più comoda, che ti avrebbe salvata dal Tempio, che avrebbe protetto anche ciò che cresce dentro di te?”

Lei annuì con forza, scattando in piedi e sfiorandosi il ventre ancora piatto. “Certi inganni non mi appartengono, Loki di Asgard. Theoric si è dimostrato un uomo meschino imponendomi un fidanzamento e attenzioni che non desideravo. Non lo avrei mai reso padre. Se non fossi svenuta, avrei chiesto il tuo aiuto,” dichiarò in fretta. Le sue guance erano rosse dall’emozione, la lingua si fece improvvisamente muta. “Ma tu, tu che tipo di aiuto mi avresti dato?”

Era una domanda dolorosa, che non aveva avuto il coraggio di porgli quando erano in attesa della sentenza di Njord. L’aveva temuta quella sera in biblioteca, vicina e lontana al tempo stesso, così come ne aveva paura ora che Loki sarebbe diventato suo marito. Si rendeva conto che la loro relazione era ancora fragile, sottile come la serie di clausole e di trattati che avrebbero determinato la loro unione. Sapeva anche che, giunti a quel punto, se la risposta dell’ingannatore fosse stata troppo crudele o spietata, lei non avrebbe avuto la possibilità di annullare le nozze. Facendolo, avrebbe perso quella piccola cosa che già amava disperatamente e cresceva dentro di lei.

Ma Loki, sempre così svelto nel ribattere, tanto sicuro delle sue idee, stavolta pareva dover ragionare a lungo sulla questione, come se non se la fosse mai posta prima d’ora. Era un’illusione, naturalmente. Ci aveva pensato, sciorinandone ogni singolo dettaglio.

“Perché esiti, Lingua d’Argento?” gli sorrise Sigyn debolmente.

L’Ase s’inumidì le labbra. “Ti avrei chiesto cosa volevi fare. Sarebbe stato un tuo diritto, scegliere. Ad Asgard è così che funziona, in questo io credo. Ma tu sei la principessa dei Vanir. Questo bambino sarà l’erede al trono di Vanheim, di Jotunheim e di Asgard stessa. Non so se lo avrei reclamato subito come mio figlio, però. Probabilmente, avrei suggerito un tuo viaggio ad Asgard, per trascorrere lì gli ultimi mesi di gravidanza. Dopo la sua nascita, lo avrei consegnato a qualcuno di fidato. Tu saresti tornata qui.”

“No, Loki: non sarei mai tornata.”

“Questo avrebbe provocato una situazione simile a quella che abbiamo vissuto, presumo.” Si alzò anche lui e Sigyn, guardando il volto di lui affilato e segnato dalla stanchezza, si rese conto di quanto fosse esausto. Immaginò gli dolesse il braccio e si sentì terribilmente sciocca ed egoista, perché anziché limitarsi a essere felice per le sue nozze imminenti col padre del suo bambino, che amava, doveva rovinare quella preziosa serata insieme con recriminazioni, dubbi e ipotesi che non avevano alcun senso, cui Loki rispondeva di malavoglia. Avrebbe desiderato essere più serena, più felice. Accoglierlo come meritava, col sorriso – sarebbe stata una sorta di promessa, un assaggio delle notti che dovevano venire dopo, ma invece non sapeva sciogliere quel groppo che le prendeva alla gola impedendole ogni felicità. E questo non perché non provasse dei sentimenti intensi e veri per il dio dell’inganno, né perché non credesse di pronta ad affrontare la cerimonia lunga e complessa che li attendeva. Si sentiva prigioniera di una fragilità senza nome, profonda e oscura, a cui non era abituata, che non riusciva a razionalizzare o a contenere.

 

Loki le aveva detto più di quanto avrebbe sperato di sentirsi dire, questo era un fatto, e se anche fosse stato meno loquace ed esplicito ci avrebbero pensato le sue azioni a rendere palese il suo volere. Fino a quel momento si era sempre valsa di questo ragionamento per provare a capire, a interpretare il volere di un uomo che non si abbandonava alle emozioni o ai sentimenti, abilissimo nel mistificare le proprie reali intenzioni e a mutarle per meglio favorire i propri scopi. Ma ora che alcune di quelle volontà si erano fatte palesi, Sigyn cercava in esse l’inganno. Nel momento in cui avrebbe dovuto fidarsi di più di Loki, la sua razionalità veniva meno, i dubbi aumentavano, la sua fedeltà si piegava su sé stessa.

Le disse che avrebbe gradito immensamente sorseggiare un goccio di idromele e stendersi nel letto – e forse, aggiunse, avrebbe fatto meglio a farlo anche lei. Non si dissero altro, per quella sera. L’ingannatore si addormentò sul fianco sano, dandole le spalle. Il suo era il sonno rapido e leggero dei comandanti e dei guerrieri, abituati a cogliere ogni momento di pausa per ritemprarsi da ogni fatica, ma sensibile a qualsiasi mutamento esterno. Vicino al letto, abbastanza da poter essere afferrata in caso di un repentino bisogno, scintillava l’elsa di un pugnale infilato nella sua fodera. Sigyn, accanto a lui, registrò il suo respiro farsi più profondo, lento e regolare, e solo allora osò abbracciarlo, cingendogli il fianco, pensando a tutte le volte in cui, sola nel suo letto, aveva provato una nostalgia cocente e inopportuna per quel semplice gesto – dormire insieme, respirare ognuno l’odore della pelle dell’altro. Doveva scacciare ogni inquietudine, qualsiasi timore e pensare all’incantevole abito che le sarte già stavano iniziando a preparare, alla profusione di fiori che avrebbero abbellito Vanheim, ai gioielli che Freya le avrebbe donato. L’ultimo pensiero, però, lo rivolse a quella vita che cresceva dentro di lei.

 

Loki era nato per essere re. Nelle sue vene scorreva l’aristocraticissimo sangue di Laufey ed era stato educato alla corte di Odino, credendo di essere suo figlio. In ogni sua azione c’era un che di energico e assertivo e trascinante, capace di ammaliare chi aveva la fortuna di osservarlo più del suo aspetto innegabilmente bello o della sua voce roca e convincente. Sigyn, con gli occhi ancora gonfi di sonno, lo sentì alzarsi quando il cielo aveva appena iniziato a schiarire. Si raggomitolò nelle coperte che trattenevano ancora un po’ del calore dell’ingannatore, certa del fatto che anche quella mattina, come la precedente, non sarebbe riuscita a mandare giù nemmeno un biscotto al miele. La nausea l’avrebbe travolta, ma quel malessere era uno dei tanti segni del figlio che aspettava, ancora così infinitamente piccolo.

“Oggi penso che andrò a vedere il palazzo,” annunciò puntellandosi su un gomito.

L’Ase si voltò appena. La giudicava una mossa sensata, le disse infilandosi i pantaloni nonostante le difficoltà. Il braccio steccato, pur limitandogli i movimenti non gli avrebbe impedito né di occuparsi dei compiti giornalieri, né di cimentarsi nel suo consueto e immancabile allenamento, indispensabile affinché il suo fisico asciutto continuasse a mantenere la forza e l’agilità che lo contraddistinguevano. L’immobilità non rientrava nei piani sempre mutevoli di Loki neppure se bende e stecche tentavano di porvi un freno e forse era questo che preoccupava Sigyn: l’ambizione sfrenata del dio dell’inganno lo avrebbe portato ad allontanarsi da lei – da loro? Quel trono accarezzato a lungo, desiderato con risentimento e ferocia e che ora, grazie alla loro unione, gli sarebbe spettato di diritto, avrebbe spento quel fuoco che lo corrodeva? E lei, desiderava questo – imprigionare uno spirito inquieto e affascinante, che aveva amato e ammirato per la sua spietata coerenza, così com’era?

Loki era mutevole nelle alleanze e nelle modalità con cui perpetuava i propri obiettivi, ma questi ultimi erano fissati con pervicacia e seguiti con puntualità. Quando aveva deciso di umiliare Asgard sul campo militare, per esempio, aveva escogitato molte astutissime trappole, ideato un numero incredibile di manovre geniali e ispirate, allo scopo di contrastare un esercito che conosceva come le proprie tasche per averlo comandato, ma alla fine si era accontentato di stipulare una pace particolarmente vantaggiosa per Vanheim. Alcuni sostenevano che sconfiggere completamente Odino era una cosa che Loki non sarebbe stato comunque in grado di fare e che inchiodare il vecchio re al tavolo per trattare da pari era il massimo cui l’ingannatore e i Vanir potessero aspirare. Altri ritenevano, però, che Loki non aveva mai voluto sconfiggere completamente gli Æsir: secondo questi ultimi, la parità e il rispetto erano esattamente quello che l’ingannatore andava cercando, perché erodere il prestigio di Asgard non voleva dire sconfiggerla e Loki, pur odiando Odino, amava troppo quel regno immerso nei fiordi per causarne volontariamente la distruzione.

 

Il palazzo dove l’ingannatore aveva deciso di dimorare insieme a Sigyn era uno dei più belli e sontuosi di tutta Vanheim: lo aveva acquistato anni prima da una famiglia caduta in disgrazia per una somma ridicola, tale da far nascere la diceria che i vecchi proprietari, andandosene, lo avessero maledetto. Loki aveva riso di cuore, quando gli avevano riferito per la prima volta quello che aveva bollato come uno sciocco pettegolezzo. Sigyn, che era ancora solo una ragazzina, non era riuscita a nascondere il proprio stupore.

Possibile che un mago potente come Lingua d’Argento si facesse beffe di una maledizione? Davvero non temeva nulla, né in cielo né in terra?

Più volte si era ritrovata ad ammirare la bellezza sfiorita di quell’enorme costruzione abbandonata a sé stessa: l’architettura snella e svettante catturava il suo sguardo, il giardino incolto cresceva traboccando di piante infestanti che si arrampicavano sui muri, le finestre, alte e a sesto acuto, fissavano cieche il mondo sotto di loro: tutto, nel castello, suggeriva l’incuria – un’incuria che era avvenuta ben prima che Loki trasformasse un affare vantaggioso in un misericordioso salvataggio. La famiglia che lo possedeva non era in grado di mantenerlo e aveva smesso persino di lottare contro il tempo che rodeva ogni pietra, il giardino che avanzava ogni giorno di più. L’idea che il palazzo avrebbe cambiato proprietario, forse salvandosi dall’inevitabile oblio, era sembrata alla piccola Sigyn qualcosa di sbagliato, come se il riparare il tetto e tinteggiare le pareti corrispondesse a togliere alla casa quella che, in qualche modo, era la sua anima. Nelle sue passeggiate casuali solo all’apparenza, in cui troppo spesso costeggiava il castello, si era ritrovata spesso a pensare che sì, quella costruzione era meglio se rimanesse inviolata e abbandonata al suo destino – essere divorata dal tempo e dai rampicanti nonostante la sua incontestabile bellezza, spezzandole il cuore.

 

Ma Loki aveva un’opinione del tutto diversa riguardo al futuro del castello che aveva appena acquistato. Nelle pareti crepate e nelle rovine da ritirare su, nel tetto sfondato e nel patio avvolto dalla vegetazione, vedeva la bellezza perduta di quel luogo che, effettivamente, sembrava stregato. Sigyn non poteva saperlo, ma l’ingannatore non era del tutto immune dal fascino trasandato del palazzo: tuttavia, ne scorgeva anche le potenzialità, con lo stesso acume che gli consentiva di individuare in una città assediata o in un campo di battaglia cosparso di cadaveri il principio di una ricostruzione grandiosa.

Il palazzo era antico e malmesso, ma comunque ancora splendido: per restaurarlo ci sarebbero voluti anni interi, ma l’ingannatore non sembrava dare peso al tempo: gli interessava il risultato e aveva supervisionato personalmente il progetto nonostante i suoi molti impegni, quasi si trattasse di un passatempo con cui liberare la propria mente.

Una sera, però, durante un banchetto, Sigyn aveva sollevato la questione di quel castello. Era il tempo dei loro battibecchi furiosi, delle infinite e quotidiane liti che irritavano la principessa e divertivano il mago. Si concludevano quasi sempre nello stesso, identico modo, con lei che si alzava da tavola furiosa, sollevando le gonne fruscianti di seta e andandosene senza nemmeno guardarlo, ma la sera successiva lo spettacolo si sarebbe svolto di nuovo; in un modo o nell’altro avrebbe coinvolto di nuovo Loki, come se le fosse impossibile resistere allo scabroso piacere di sentire la sua opinione, di stuzzicare la sua lingua affilata.

Il restauro del castello era iniziato da qualche settimana e Sigyn aveva chiesto all’Ase se intendeva mantenere lo stile puramente Vanir della sua struttura o preferisse conferirgli un aspetto più nordico. Loki aveva stirato le labbra in un sorriso compiaciuto, non privo di un piacevole stupore, perché sebbene fosse bravissimo nel mascherare ogni emozione, aveva un volto espressivo e ogni suo gesto o movenza conteneva un’infinità di sottintesi e sfumature. La sua risposta fu esaustiva e cortese. Apprezzava la struttura originaria del palazzo e l’avrebbe mantenuta soprattutto per quanto riguardava l’esterno, ma nell’assetto interno ci sarebbero state delle modifiche, necessarie affinché potesse considerare confortevole la sua nuova dimora.

Sigyn non poté che ritenere impeccabili le parole di Loki – e lo erano quasi sempre, in effetti, perché anche quando i suoi ragionamenti prendevano una piega moralmente distorta o crudele, l’ingannatore non abbandonava mai la sua logica affilata e stringente. La domanda seguente era stata più insinuante: non credeva alle dicerie che circolavano sul castello? E se non fosse stato Loki a raggirare i precedenti proprietari, ma loro a ingannare lui, facendosi pagare per lasciare una dimora bellissima, ma invivibile e maledetta? Non credeva forse nei sortilegi, il potente Loki, maestro del seiðr?

Sigyn non poteva saperlo, ma in quel momento l’Ase l’aveva fissata come si guarda una donna desiderabile – desiderata, e non come la nipotina di Njord che alla fine si era fatta proprio graziosa. Si era trattato solo di un momento, nient’altro che un’occhiata indecifrabile e fugace, che la ragazza aveva completamente frainteso, immaginando che Loki la guardasse in quel modo perché infastidito dalla sua insolenza. Non sapeva quanto il principe degli Æsir fosse bravo a celare i propri pensieri, né quali dettagli avesse raccolto di lei, dalla collana di perle bianche, rosa e dorate che le arricchivano la scollatura al punto di rosa vivace dell’abito, che si sposava così bene con la sua carnagione, fasciandola tanto da sottolineare con grazia squisita le curve che lei, al contrario di Freya, non sapeva esibire.

“Cara Sigyn,” esordì, sorseggiando l’Ase senza fretta il vino rosso e corposo di Vanheim, che a lei faceva girare la testa non appena vi accostava le labbra. “Credo nelle maledizioni e nei sortilegi, ma temo solo quelli scagliati da chi è più potente di me.” Le sue labbra sottili, che sapevano certamente di vino, si stirarono in un ghigno sardonico e arrogante. “Ma senza dubbio hai ragione: sono stato generoso, avrei potuto chiedere molto di meno per quel palazzo.”

Sarebbero diventati amanti solo qualche mese dopo, cedendo a una tensione che già allora iniziava a infiammare i loro spiriti, a far convergere verso un unico punto i loro pensieri. Il restauro del palazzo era proseguito senza intoppi e talvolta alcune delle sue stanze erano servite per qualche breve e concitato convegno, ma Loki riteneva – e Sigyn con lui – che fosse scontato e pericoloso incontrarsi in una delle proprietà dell’ingannatore. Meglio scegliere qualche angolo nascosto e neutrale del palazzo reale di Njord. Così, la giovane principessa di Vanheim non aveva mai avuto modo di visitare approfonditamente quell’elegante castello che aveva acceso la sua fantasia fin da quando era bambina: poteva farlo ora che sapeva di doverla chiamare presto casa, adesso che nel suo ventre ancora piatto sapeva esserci il figlio o la figlia del dio dell’inganno in persona. Njord e Freya avevano accolto con grande favore la scelta dell’Ase di accelerare gli ultimi ritocchi della sua imponente dimora. La ritenevano degna di una principessa di Vanheim e credevano così di potersi in qualche modo rimpossessare di un castello che avevano sempre desiderato possedere, ma che non erano riusciti ad acquistare.

Sigyn raggiunse il palazzo nel pomeriggio e chiese di poterlo visitare da sola, ma fin dal momento in cui ne varcò il cancello non poté fare a meno di trattenere il respiro, di sfiorare la bellissima collana d’ametista dei Nani che teneva sempre al collo fin da quando Loki non gliela aveva descritta. Ricordò di aver detto all’ingannatore che amava l’aria romantica di quel vecchio palazzo, di adorarne lo spirito, ma non credeva che Loki avrebbe potuto o voluto preservare l’originaria bellezza di quel luogo. Il giardino non era più una selva incolta, ma manteneva la sua traboccante opulenza. Le facciate erano state ristrutturate e rese più vicine al gusto sobrio dell’Ase, ma senza perdere l’eleganza e la leggerezza dei palazzi Vanir. Anche entrando Sigyn ritrovò applicato lo stesso principio, sebbene, come promesso, il castello all’interno ricordasse molto di più la bella Asgard: regnava sovrano il legno nelle sue calde sfumature rossastre, accostati ad affreschi di indubbio gusto, a particolari scelti con cura nel corso dei continui e numerosi viaggi di Loki in lungo e in largo nei Nove Regni.

 

La solitaria perlustrazione di Sigyn procedeva incurante del tempo: oltre le finestre nuove e scintillanti la luce si faceva più soffusa e aranciata, regalandole lo spettacolo di un tramonto pieno di colori diversi. Mentre sfiorava alcuni degli arredi già sistemati in quello che sarebbe stato lo studio del dio dell’inganno, la ragazza si chiese se in quel palazzo sarebbe stata felice – sarebbero stati felici, perché iniziare a pensare a loro due come a una coppia vera, reale, le sembrava strano, incredibile. Era qualcosa a cui non avrebbe mai potuto abituarsi del tutto: ci sarebbero sempre state giornate in cui, alzandosi dal letto, si sarebbe chiesta se quella era veramente la sua vita – svegliarsi ogni mattina accanto a Loki, figlio di Odino.

“Spero che quello che hai visto fin qui sia di tuo gradimento,” la sorprese la voce sempre velatamente ironica dell’ingannatore.

Era nel vano della porta, diritto e altero come sempre, con le braccia incrociate dietro la schiena e un ghigno beffardo dipinto sulle labbra. Vedendola sorpresa non poté fare a meno di ridere brevemente. “Ti ho spaventata? Eppure si diceva che qui abitassero i fantasmi.”

“Non ti ho sentito entrare,” rispose lei. “È bellissima, Loki. Hai fatto un lavoro magnifico.”

L’Ase sorvolò con eleganza sul complimento. “Hai qualche idea per rendere ancora più accogliente questo posto?” s’interessò.

Lei gli andò incontro: sì, replicò, aveva mille progetti, che sperava fossero realizzabili in tempo per le loro nozze e si augurava gli piacessero: cominciò a parlare di arredi, di tendaggi e di soluzioni architettoniche con un entusiasmo che divertì senza dubbio Loki, ma quando la distanza tra loro si fece quasi nulla, l’ingannatore aggrottò la fronte e Sigyn, sfiorandogli il braccio, si accorse di stare parlando non col suo futuro marito in carne e ossa, ma con una sua illusione. Ritrasse la mano, rapida.

“Dove sei?” soffiò.

“Lontano. Per qualche giorno ti lascerò sola, Sigyn,” ammise l’ombra, avvicinando due dita al suo volto, come se volesse accarezzarle la guancia. “Ho chiesto a Thor di tenere d’occhio Njord e te, naturalmente,” concluse. Nel modo in cui serrava la mascella diritta e ben definita, Sigyn indovinò più di quanto l’ingannatore avrebbe ammesso ad alta voce: che, probabilmente, erano entrambi in pericolo.

 

 

L’angolo di Shilyss

Ok, qualche precisazione prima di ringraziarvi <3

Il matrimonio di Loki e Sigyn in “Tutte le tue bugie” viene celebrato in tempi brevissimi non appena Njord accetta di dare la mano della nipote al dio dell’inganno. Mentre lui sa che avranno una figlia, Sonje, lei ancora non lo sa. L’episodio della biblioteca si situa, come detto nello scorso capitolo, circa una settimana prima degli svolgimenti di “Tutte le tue bugie.” La pena per le ragazze che rimangono incinte al di fuori del matrimonio in questo mio personale universo (bigotto) è di essere rinchiuse in un orribile tempio, come detto nei primi capitoli di questa storia che è una raccolta di shot un po’ sui generis ^^. Il prossimo dovrebbe essere l’ultimo capitolo dedicato a questa raccolta, perché poi sarà ora di continuare “Altro che il Ragnarok” e, soprattutto, Giochi pericolosi, che è ferma da 4 anni e di questo me ne vergogno profondamente. Vi anticipo che probabilmente cambierà nome.

Allora, grazie, grazie, grazie per essere giunti fin qua e per la pazienza che avete con i miei aggiornamenti caotici e discontinui.

Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: sono piccole cose, ne convengo, ma danno più di quanto crediate e so’ pure gratis XD. A parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

 

Shilyss

   
 
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