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Autore: eclissidiluna    11/08/2022    2 recensioni
SPOILER SU TUTTA LA SERIE COMPLETA! FINALE ALTERNATIVO
Spiego le vele controvento, seguendo rotte diverse che si delineano all’orizzonte. Come sempre non so dove approderò. Ma so che ho bisogno di andare per mare.
Buona lettura!
Lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo. Prima o poi. Un cacciatore è “vecchio” anche se, nel mondo “normale”, è poco più che maggiorenne. Quando si è riunito a Sam si percepiva già un “sopravvissuto”.
Ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita, facendo “tira e molla” con l’aldilà, a chiedersi “Perché sono ancora vivo?!”. Ma la domanda “vera” avrebbe dovuto essere: “Per chi sono ancora vivo?”. Non è mai stato un “fan” di se stesso però… è sempre stato il primo “sostenitore” di Sammy. Ma ora Sam può “sostenere” quel posto vuoto…sull’Impala. E’ pronto.
E’ un buon momento per “distrarsi”. Ora che l’Universo è in mano a Jack può concederselo. Il Paradiso arriva nei modi più impensati. Un punteruolo che trafigge donandoti un Cielo che invade, trasformandoti in nuvola. informe, leggera, soffice.
Sarà tutto perfetto. Sarà pace. Sarà quiete. Sarà respiro profondo, libero, ritrovato.
O forse no.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Il supermercato è gremito e, all’ingresso, ci sono un paio di stand allestiti con festoni e carte lucide, dalle tonalità sgargianti. Alcune commesse abbigliate come se fossero sul set di “Elf” ti accolgono con un sorriso smagliante. Offrono promozioni su dolciumi e liquori in confezione regalo. Marin è particolarmente attratta dalle caramelle mou, in versione strenna. C’è già aria di Natale.

. E’ il periodo dell’anno che preferisce anche se, in quei giorni, Joshua le manca più del solito. Accarezza il grande fiocco dorato che impreziosisce una scatola rettangolare, a righe rosse e verdi. Contiene tre birre di marca che Marin ricorda di aver visto da qualche parte. Forse in uno spot pubblicitario. O forse…in quella stanza rimasta… “in attesa”.

Si ritrova a pensare che Sam, ben presto, soffrirà…
più del solito.

Scacciando quella malinconia che già s’insinua tra pacchetti abbacinanti e volantini ridondanti, Marin fruga nella borsa, nel portafoglio e, con uno sbuffo innervosito, nella tasca del paltò. Si mordicchia il labbro maledicendo la propria sbadataggine. Della lista della spesa non c’è traccia.

“Oh no! Accidenti!” esclama, incurante delle occhiatacce degli altri clienti. Le capita spesso di parlare da sola, ad alta voce. Sa che, in quelle situazioni, può apparire un po’ stramba ma non se preoccupa più di tanto. Quando conosci la follia, quella “vera”, non temi il giudizio di chi si stupisce di fronte ad un innocuo “pensiero ad alta voce”. Ha uno spiccato senso pratico, Marin. E’ consapevole che la sua memoria è piuttosto debole.

 Ricorda che la dispensa del bunker è semivuota.
Ricorda un frigo…decisamente vuoto.
Ricorda di aver scritto una serie di parole ma…non riesce a “visualizzarle”.
Sta per telefonare a Sam, chiedendogli un cambio di programma. Dovranno tornare al bunker e recuperare la nota. Ma, quando è certa di doversi “arrendere”, sente “qualcosa”, nella tasca interna della borsa, a fianco del cellulare. Eccola! Ma...non è un semplice elenco di acquisti…c’è una paginetta che pare quasi essersi incollata al promemoria scritto con scrupolosità, per evitare di tralasciare qualcosa. Ma, su quel foglio colloso non c’è la sua calligrafia.

Marin “rievoca” cos’ha fatto, prima di uscire.

Ha recuperato la nota lasciata incautamente in mezzo a quegli appunti che, disseminati sul tavolo, costituiscono “la missione di Sam”. Nella fretta deve aver preso una parte di quella prima “stesura”. Lo intuisce dai cerchi intorno alle parole e da quegli asterischi ai margini. Immagina che Sam, in un secondo momento, abbia trascritto “in bella” il corposo lavoro di traduzione. Quello che ha tra le mani non è che un insignificante scampolo di “minuta”. Qualcosa le dice che sarebbe meglio limitarsi a ripiegare il foglio, concentrandosi sul “suo” scritto che “narra” di marmellata, pane tostato, verdure di stagione… utile a "riempire" il carello e il cervello di…normalità.

Meglio non sapere cosa prevede quel “rituale di ritorno”.

Ma, alla prima confezione di biscotti, Marin non resiste alla tentazione. Vuole scoprire quale sarà “l’offerta speciale” che permetterà a Dean di festeggiare il Natale…con Sam.

Marin legge. Ed è la parte “saliente”. Quella che Sam, inizialmente, non ha compreso.
Marin legge ed è sufficientemente vigile, lucida e avvezza al “mondo di Sam”, per intuire l’orrore.
Nessun fraintendimento. Nessuna svista.

La corsia degli alimentari si fa improvvisamente imbuto. Le scatolette di fagioli diventano mine di latta, pronte ad esplodere, le caramelle incellofanate proiettili e, più in là, i detersivi in polvere si trasformano in armi chimiche che le bloccano il respiro.  La testa gira, insieme a quei treni di lettere, montagne russe di un dirompente saliscendi che riduce il cuore a fisarmonica. Marin cerca di recuperare fiato e concentrazione, fissando l’incarto della barretta di cioccolato che riproduce un allegro Santa Claus…respira. Torna a respirare, tra Babbi Natali e frolle a forma di abete.

Prende il cellulare e cerca in rubrica il numero del dottor Carter. Compone le prime due cifre ma poi si ferma. Non può telefonargli. Per dirgli cosa?! Sam non l’ha aggredita. Sam non ha fatto male a nessuno. Non ancora.

Ma ucciderà.

Sam come Albert…per ragioni diverse. Con modalità diverse. Ma le sue mani saranno mosse dal medesimo buio. Marin non può avvisare Carter. La pazzia è già "partita" complicata quando si “gioca” con le regole della Terra. Un "campo soppranaturale" sarebbe troppo. Anche per un primario capace e sensibile come lui.

Solo lei può tentare di impedire che quell’oscurità avvolga Sam…e il malcapitato che sarà immolato a breve.
Marin esce di corsa da quel supermercato che è già vestito “a festa”.

C’è aria di Natale.

Nell’andirivieni di sentimenti e pensieri che la confondono, ha un’unica certezza: Sam non accetterà di soffrire…

 più del solito.
---
Sam gli ha  parlato di Stanford, dell’ “azienda di famiglia” che avrebbe dovuto mandare avanti, di quel John burbero ed esigente…il giovane omonimo di suo padre non ha fatto che ascoltarlo. Attentamente. Empaticamente.

“Mi spiace molto per tuo padre…però credo che… che fosse diverso dal mio. Lui ti voleva bene, Sam. Doveva essere una brava persona…”
Sam fa un cenno di assenso, stringendo un poco il volante.
“Lo era…sì…lo era…anche se non riusciva a dimostrarmi il suo amore…non come avrei voluto e forse, non come avrebbe voluto. Però John…un padre è sempre…” e Sam, quasi involontariamente, si ritrova a volerlo consolare. Una parte di sé vuole che muoia convincendosi di essere stato amato.

Tutti dovrebbero morire con la rincuorante certezza di essere stati desiderati e amati.

Ma John non ha potuto contare su Dean. Non ha avuto un fratello maggiore pronto a farti da padre anche se, egli stesso, aveva un disperato bisogno di sentirsi figlio. John non ha avuto qualcuno che riempisse i silenzi con una battuta o che si prendesse un ceffone al suo posto. John era solo, con il fantasma di Gerard tatuato sul polso.
“No…è tutta un’altra storia…” e John batte nervosamente l’indice sulla tappezzeria che contorna il finestrino.

Sam, a questo punto, comprende che John lascerà il proprio corpo maledicendo suo padre e quel ferro rovente. La cicatrice non sarà più affar suo.

Diventerà “l’eredità” di Dean. Sam la vedrà ogni giorno. Quando Dean pulirà le armi, quando accarezzerà Miracle, quando berrà una birra con lui. Si augura che suo fratello perda l’abitudine di arrotolarsi la manica della camicia. Il polsino abbottonato potrebbe aiutarlo a… non ricordare.

Sam vorrebbe invertire la rotta, trovare una bugia plausibile per “cambiare strada”. E tornare indietro. Viaggiano da ben poco ma è già troppo...perché ormai ha scelto quale “strada” percorrere.  John non arriverà mai a St. Louis. 

Miracle mugola accucciandosi sul sedile posteriore, come se volesse schiacciare un pisolino. Sam immagina che non voglia assistere alla “preparazione” di quel “surrogato di Dean”. Si sveglierà a cose fatte. Meglio così.

“Il cucciolo qui, ha sonno!” osserva John, voltandosi all’ indietro, per dare un buffetto sulla testolina pelosa di Miracle.
“Bene…bene…non gli piace granché l’auto…patirà meno il viaggio” mente, Sam.
“A proposito…non vorrei sembrarti scortese e di poca compagnia…ma ho gli occhi che si chiudono, Sam. Ti spiace se mi appisolo, solo una mezz’oretta?”
Sam deglutisce. Pare che John, totalmente inconsapevole, voglia rendergli le cose più facili.
“No, certo che no…riposati. Ti chiamerò più avanti…quando saremo quasi arrivati…” acconsente Sam, con la voce che oscilla.
“Sei fantastico!! Io credo nella dea bendata, sai?! Un paio di volte ho trovato lavoro per caso, grazie a un caffè preso di fretta, bevuto aspettando il bus. Il titolare aveva appena ricevuto la disdetta del gruppo musicale ingaggiato per la serata! E’ stata una vera fortuna incontrarti!”
“Già…una vera fortuna…anche per me, John” concorda Sam, avvertendo il mostro che si sta facendo largo tra clown urlanti e il “Prof. Lucifero”.

Pochi minuti dopo John è addormentato, in quel posto che, come Miracle confermerebbe, ha ancora l’odore di Sam. E’ il posto di Sam.
Negli anni è stato occupato raramente da Dean, giusto quando era ferito o troppo stanco per guidare.

Nella penombra gli pare di scorgere le fattezze di Dean. Anche se, la “custodia”, non ha ancora il suo prezioso contenuto. Si lascia cullare in quella stolta emozione. C’è già Dean, sull’Impala. Sta riposando…
L’incisione del chirurgo non lascerà scampo ma non sarà taglio che conduce alla morte. Riporterà alla vita.

Quegli occhi saranno più tendenti al nocciola, i capelli di una tonalità più ambrata e non sarà la voce di Dean a pronunciare “Sammy…”…ma sarà perfetto.

O quasi.

Sam fa inversione. Lasciandosi alle spalle la freccia con l’indicazione per St. Louis.
---
John dorme profondamente. Il respiro tranquillo, regolare, sereno. Di chi si sente al sicuro. E’ uno che ha fiducia nel prossimo, John. Nonostante quel burrone che è stato voragine per lui e la sua famiglia. Non si è accorto di nulla. Non ha avvertito la brusca manovra, l'acceleratore a manetta e poi...l’Impala rallentare. Fino a fermarsi.

Sam è sceso. Ha aperto la portiera dal lato passeggero. Lo ha tramortito con una pietra. Un semplice grugnito. Come se avesse appena disturbato quel riposo. Ma Sam doveva assicurarsi che, quel sonno spontaneo, fosse indotta perdita di coscienza. Almeno per un po’.
Quando si risveglierà gli chiederà scusa per quel bernoccolo al centro della nuca. Chiederà scusa a…Dean. Non a John.

Lo trascina, posandolo a terra, a pochi metri da quel dolmen in miniatura. Quei quattro sassi che sono il “riferimento” dello scout esperto. Dovrà dissotterrarlo, riportarlo alla luce, sottraendolo a quel buio che forse, per suo fratello, è già bagliore. Ma non importa. Si scuserà… anche per questo.

Comincia a scavare nella terra già friabile e smossa dall’umidità dicembrina. Intravede un lembo di stoffa sporca. Ma è solo una piccola porzione di quel cadavere che riaffiorerà. Prima di essere scheletro.
“Uhm…”
Non ora, accidenti, non ora! Doveva restare svenuto, dandogli il tempo di ultimare la riesumazione. Invece dovrà interrompersi e, con le mani scivolose di fango e sudore, impugnare il coltellino. E’ già supino, John. “In posizione”.  Sam si augura che gli occhi di John restino chiusi… ancora una manciata di secondi. Non è certo di riuscire a tollerarli, tragicamente attoniti, su di sé...mentre affonderà la lama nel suo petto.

Lo conosce appena ma abbastanza per provare un sentimento di pena e rimorso nei suoi confronti. L’unica colpa di John? Essersi fidato.
Di un uomo “rallentato” e di un cane “accomodante”.

Gli strapperà l’anima. John Stewart smetterà di esistere. Non ricorderà i luoghi visitati, i “nomi d’arte” inventati e le donne di cui non ricorda il nome.
Non saprà leggere le note musicali, i brani imparati a memoria e non potrà più suonare il suo amato basso. Però, in fin dei conti, Dean è piuttosto portato per la musica…potrebbe perfino tentare di strimpellare qualcosa...

Non potrà fare pace con suo padre. Né portare quel fiore sulla tomba di Gerard. John glielo ha rivelato durante la passeggiata con Miracle, fino all’Impala.

John, un paio di volte l’anno, prega sulla tomba di famiglia dove riposa sua madre, sepolta con il fratello che non ha conosciuto. Suo padre ci va ogni mese. La “fortuna” ha voluto che mai s’incontrassero. E, in quasi vent’anni, il padre di John non si è mai chiesto la provenienza di quell’orchidea. A volte l’ha scoperta in tutto il suo splendore, altre volte ormai avvizzita. Ma non gli ha mai fatto una telefonata per avere la riprova che, probabilmente, non gli preme ottenere. Quell’elegante fiore striato non comparirà più sul freddo granito. E l’avvocato Stewart non si domanderà il perché di quell’ “assenza”.

Nessuno cercherà John.

Una “custodia in pelle umana”. Niente più di questo.
John, nato per “sostituire”, morirà per essere “pezzo di ricambio”.

Sam avverte una profonda nausea. Salirgli dalla bocca dello stomaco, fino alle narici, passando per la gola. Impugna il coltello lo fa correre sul palmo della mano libera. Vede il proprio sangue fluire sulla lama.

E’ sporca a sufficienza, del suo sangue. Ma non sarà il solo sangue. Ad essere versato.
Difficile “prendere” la mira, con quel luccichio rossastro che annebbia la vista…
Sangue nel sangue.
Sangue che blocca sangue…che corre lento, placido, irrorando il cuore ignaro di John.
Sangue che gocciola…sulla camicia in velluto di John.
E su quella in flanella di Sam.
Sangue che è solo il suo.
E resterà…

il suo.

Non può farlo.
Dean lo ha “addestrato” alla generosità. Non all’egoismo.

 Sam ripone l’arma, nella tasca del giaccone ed estrae “il compito” per cui “Prof. Lucifero” lo avrebbe promosso. Aspira profondamente l’aria più fradicia delle sue mani imbrattate.
Sam “uccide”…
 la frase che avrebbe dovuto essere “strappo”.

 La carta si lacera, piegandosi alla prepotenza di sdrucciolose dita che non hanno un minimo di incertezza.
 Le briciole accartocciate, nel suo pugno, si fanno mistura di inchiostro e linfa carminio. Sam le lascia andare. Planano sul terreno, come minuscole farfalle grondanti sangue.
Anche la premeditazione che non si realizza in delitto, imbratta la coscienza. Comincia a piovere. Sam apprezza le schegge d’acqua sul viso. Si gode quel minuto di pace purificatorio, in cui il clown è messo all’angolo. Sembra imbarazzato e nervoso. Il meccanismo che regola il fiore “spara-sangue” si è inceppato. Nessuna risata in sottofondo.

Avvolge il fazzoletto attorno al taglio. Un nodo stretto stretto. Come gli ha insegnato…lui.
Sam accarezza quel lembo di lenzuolo. Tornerà. Per finire il lavoro.
Stavolta…finirà “il lavoro”.

Sam si carica in spalla il corpo ciondolante e lamentoso di John. Lo adagia sul sedile. Come più di una volta ha fatto con Dean, ferito. Anche… quella notte. Ma non usciva alcun gemito dalle labbra del maggiore.
Si lascia andare mollemente sul sedile, stringendo il volante e appoggiandoci per un istante la fronte bagnata. Avvia il motore e procede accelerando, imboccando nuovamente la statale.
Una deviazione. Un errore. Dopo tutto uno “rallentato”, alla “Forrest Gump” può sbagliare a leggere le indicazioni stradali. E non solo quelle.
Ma ora è tornato sulla careggiata. Segue la freccia che indica St. Louis.

Si scuserà.
Con John.
---
“Ehi…amico! Dove siamo?! Ho un mal di testa terribile!” dichiara John, riprendendosi, sfregandosi la nuca.
“Si…scusa…ho sbagliato strada. Tu eri addormentato e mi sono ritrovato in una via sterrata…tutta buche. Abbiamo avuto un piccolo incidente, mi sono reso conto che avevi picchiato la testa…sei svenuto…”
“Caspita! E non mi sono nemmeno svegliato?! Ho proprio il sonno pesante!”
“Sì…in effetti…eri profondamente addormentato…” balbetta Sam “mi… mi dispiace”
Gli dispiace. E si rallegra che John abbia il sonno pesante.
John minimizza “Tranquillo… è solo un bernoccolo…tu piuttosto, che hai fatto alla mano?!!”
“Nulla, mi sono ferito mentre cercavo di scavare sotto la ruota impantanata…non è niente…davvero…”
“Sam…perché non mi hai svegliato?! Avrei potuto aiutarti! Hai una faccia! Sicuro di sentirti bene?!”
Sam deglutisce. Come può John preoccuparsi per lui quando, un'ora fa, stava per essere ucciso…da lui?!
“Sei…eri svenuto, John…ho pensato fosse meglio lasciarti riposare. Io sto bene…sono solo…solo un po’ stanco…” ammette.
“Vuoi che guidi io?”
Dean non glielo perdonerebbe mai. Dean fatica…faticava a lasciare Baby persino a lui, che era suo fratello. Cosa penserebbe se la vedesse guidare da un estraneo?! Ma Sam è confuso, sfinito…e sa che, presto, arriverà la parte più difficile. Il rogo rimandato. Si concede di “disobbedire” a Dean. In fondo, da quando se n’è andato, non ha fatto che disattendere le promesse fatte al maggiore.
“Be’, se te la senti…ok…a me va bene.” propone Sam, accostando.
John si mette al volante “Wow! E’ fantastica! Non mi sembra vero di guidare una Chevy del ’67!” asserisce, entusiasta.
“Ti spiace se accendo un po’ di musica? Hai preferenze?”
“No…no…chi guida sceglie la musica…è la regola…” sussurra Sam.
“Allora…se non ti dispiace…Metallica tutta la vita!” afferma John, armeggiando con l'autoradio.

Sam appoggia la testa al finestrino. Una lacrima si confonde con quella pioggia misto nevischio che traccia geroglifici sul finestrino. Le temperature si sono abbassate bruscamente  Il clima mite degli ultimi giorni era solo una burla. Siamo a dicembre.

Dicembre. Natale. Sam soffrirà.
Più del solito.

Nella penombra vede John canticchiare, andando a tempo di rock, mentre guida. E’ allegro. Per un attimo gli occhi hanno quell’inconfondibile verde.
Quel verde.
“Grazie…”
“Per cosa, amico?!”
“Per esserti messo alla guida…al mio posto…”
“E un piacere e poi, quando mi ricapita una macchina così?! Tu riposa…ci penso io!”
Ci penso io…se solo aggiungesse… a te…sarebbe perfetto. Perfino la voce non gli sembra più quella di John.
Sam sorride.
E’ solo un’illusione. Come quel sole fuori stagione. Ma assaporerà ogni minuto di quel viso che dondola, a ritmo di musica.
---
“Allora…ciao…Sam e grazie della compagnia”. John scarica lo zaino e il basso, seguito da uno scodinzolante Miracle, sceso per sgranchirsi le zampe e “segnare” il territorio. Pare aver capito che non dovrà abituarsi a quel “Dean non Dean”.
“Grazie…grazie a te, John”
John prende in braccio Miracle, si fa leccare il viso. Sam abbassa lo sguardo e il cuore perde un battito.
Poi, vedendolo entrare in uno di quei motel a basso costo, dallo “stile”  ben noto, lo richiama. “Comunque…prova…prova a chiarirti con tuo padre…potrebbe bastare una telefonata…”
“No…non servirebbe a nulla ma…invece…perché non mi dai il tuo numero di telefono? Potresti venire a sentirmi suonare! E ti offrirei una birra!”

Sam, si passa una mano tra i capelli, corrugando la fronte e accennando un sorriso storto. John…nato per essere… “sostituto”. Ma Dean è insostituibile.

“Sono sempre di corsa…non ne avrei il tempo, John…grazie lo stesso:”
John ripone il cellulare in tasca, un po’ deluso.
“Ok…come vuoi…allora…addio, Sam”
“Addio, John…prenditi cura di te”
“Anche tu…Forrest!”

Sam, prima di salire sull’Impala, si sofferma ad osservarlo, mentre assolve le formalità per ottenere la camera. Il corpulento proprietario mastica chewingum e gli chiede di ripetere le proprie generalità.  John, imperturbabile, fornisce nuovamente i dati. L’albergatore lo squadra, un po’ perplesso ma poi, vedendolo pagare in contanti, non approfondisce, completando la registrazione.
“Benvenuto signor Perry Mason, ecco le chiavi della sua stanza, la 24.”

John, dalla vetrata della hall, intravede la sagoma di Sam tra gli alberi del parcheggio. Ha i gomiti appoggiati al tettuccio dell’Impala, come se volesse assicurarsi che quel soggiorno inizi…sotto una buona stella.
John, facendogli l’occhiolino, gli mostra il numero inciso sul portachiavi in legno.
Sam, scorgendo quel “24”, sorride. Il 24… fra un paio di mesi, festeggerà i “suoi 40”.

Sarà una stanza fortunata.

Per John.
---
Quando rientra al bunker è ormai giorno. Davanti al portone, c’è lei ad attenderlo.
“Sam!” grida Marin, al limite. Ha gli occhi arrossati e sta visibilmente tremando.
“Marin…mi dispiace…io…”
“Ti dispiace?! E’ tutto ciò che sai dirmi?! Sono impazzita, al parcheggio! Non c’era più l’Impala, ti ho atteso per ore. Poi sono tornata qui! Ho pensato di tutto! Che ti fossi addormentato alla guida, che fossi scappato! Sei sotto la mia responsabilità! E poi…poi…” in quel momento Marin vede la mano fasciata di Sam e macchie di sangue rappreso su camicia e pantaloni. Gli occhi le si riempiono di lacrime e terrore.
 “Sam…la mano…il sangue…cosa…cosa hai fatto, Sam? Cosa hai fatto?” sussurra.

Sam sospira. “E’ il mio sangue, Marin…è solo il mio sangue. Per…per farlo tornare…avrei dovuto…avrei dovuto uccidere un innocente ma…non l’ho fatto. Mi sono fermato. Dean non tornerà più…Dean sparirà in fiammata…come Joshua.” E Sam crolla, in ginocchio, piegato da quel crimine non commesso. La sua coscienza resterà moralmente integra. Ma si spezzerà comunque.

Lei si china, abbracciandolo, accarezzandogli i capelli. “Andrà bene…andrà tutto bene, Sam…lo faremo insieme…io non ti lascio…ci penso io a te.”

Ci penso io a te.
Non è la voce di Dean. Ma, stranamente, quella frase ha lo stesso “potere” di rassicurarlo.

 "Finirà il lavoro" e Miracle non sarà il solo testimone di quel mesto falò.
 
 
   
 
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