RLandH
dove
eri finita?
Ho passato le ultime settimane o a scavare quaranta-gradi
all’ombra (senza
ombra) come una talpa o a identificare ceramica romana (spoiler non
sono
esattamente bravina in questo campo), quindi semplicemente sono cotta.
Poi sono
tornata a casa ed ho ripreso a lavorare. VIVA ME.
Ho usato ogni momento libero per scrivere questo capitolo e, bho,
cioè è finito
così, non so se è bello o brutto.
La situazione sta delirando un po’, al punto che il titolo
originale era: La
situazione nel frattempo è delirata, seguito dal secondo
titolo, che forse
avrei preferito: ‘EX on the FIELD’
Edizione Folkvang, che un riferimento
al programma trashissimo “Ex on the Beach” per
questo in inglese (anche in
italiano si chiama così), di cui, spergiuro, non ho visto
neanche un episodio
(nonostante io non sia manchevole nei programmi trash). Poi dopo un
edificante
conversazione con LarcheeX (se siete fan di Inuyasha vi prego leggete
le sue
storie) ne mezzo di una stazione, si è optato per questo.
Ringrazio di cuore Farkas perché perde ancora tempo a
recensire questo piccolo
delirio, che finalmente posso dire, con gioia, aver cominciato la sua
parabola
finale.
Un bacio e buona lettura, lascio due disegni infondo.
RLandH
Stellan
si accende come una lampadina due
volte, che non è molto, ma è strano che sia
successo due volte
“Benvenuti
sulla Glamexpress, qui parla Glam”
aveva dichiarato una voce
piuttosto allegra, alzando anche le braccia come segno di saluto.
Era una ragazzina, Jason non le avrebbe dato più di quindici
anni, con un viso
tondo, i capelli lunghi fino alle spalle di un eccentrico turchese.
Indossava
un paio di pantaloncini rosa, lunghi fino a mezza-coscia, con le
sneakers
abbinate. La maglietta era colorata con una scritta piuttosto vivace: Han
Solo spara per primo!
“Sono confuso” aveva dichiarato Mel ad alta voce.
“Tu … Lei è una Disir” aveva
commentato a mezza-bocca Jason, ricordando le dee
trasportatrici di anime, con i loro mantelli oscuri come la notte ed i
cavalli
di ossa, eppure c’era quella con i capelli pastello, che li
aveva salutati.
“Sì, amici miei. Lei è
Glaumvör, una delle dìsir.
Non ero sicuro che le valchirie avrebbero potuto ricevere il permesso
di
spostare anime dal dominio di Odino a quello di Freya. Una valchiria
che ufficialmente
come valchiria[1]
porta un’anima da un oltretomba all’altro potrebbe
creare un pericoloso
precedente, secondo la mia adorabile matrigna” aveva spiegato
Bragi.
Jason aveva sentito ogni nervo del suo corpo tendersi a quel commento,
“Ma le dìsir,
in quanto, anche dee del destino, possono essendo al disopra di
tutto” aveva
commentato didascalico e rispettoso Bragi.
La piccola dea aveva sorriso, “Preferisco Glam” si
era presentata questa, “E
sarò felicissima di scortarvi!” aveva ridacchiato.
Nonostante il tono pieno di giocosità e divertimento di
quest’ultima, la stanza
si era fatta insostenibilmente più pesante.
Jason non ne aveva avuto l’impressione la prima volta che le
aveva viste –
forse solo una sensazione – ma aveva accomunato le
dìsir alle valchirie, le
devote di Odino, ora realizzava fossero creature ben al di
là, erano vere e
proprie signore del destino.
“Quanto sarebbe problematico come precedente?”
aveva chiesto con gentilezza
Madina, il suo tono sembrava disinteressato, ma i suoi occhi tradivano
tutta la
sua insicurezza. Jason non aveva detto quella parte della storia, non
esplicitamente, ma Madina doveva aver dedotta il resto della storia da
sola –
d’altronde aveva scoperto che Jason era morto da mesi.
Bragi aveva sollevato le spalle, “Ah non saprei
sull’immediato. Ma immagino che
molti, potrebbero appellarsi a questo per cercare di cambiare
paradiso” aveva
cominciato Bragi, “O i vivi potrebbero corrompere le
valchirie, quelle ancora
mortali, per cambiare luogo ai propri cari” aveva considerato
Astrid, “Oh, sì,
ti prego, facciamolo così posso andare all’inferno
che dico io” aveva
considerato Fred, guadagnato una spallata dalla sua buona amica.
“Oh! Ymir Marcescente! Speriamo proprio
di no! Se già lo spostamento di
un’anima da un nostro mondo all’altro sarebbe
tragico, ma se le valchirie si
mettessero a spostare anime tra un aldilà e
l’altro di diversi Pantheon
potrebbe divenire la miccia di un vero conflitto” aveva
considerato il dio
della poesia.
Jason si era fatto rigido come una spada, anche Madina aveva strozzato
un
singulto, guadagnandoci un’occhiata dal suo fidanzato.
“Per evitare questa spiacevole situazione, me ne
occuperò io” aveva dichiarato
Glam, invitandoli verso l’Ascensore per seguirla,
“Ti prometto mio buon Bragi
che li riporterò qui entro ventiquattro ore
asgardiane” aveva aggiunto.
“Andiamo” aveva detto alla fine Fred, essendosi
tolto dalla testa l’idea di
essere portato in un inferno di fuoco e dolore, “Togliamoci
questo dente.”
“Buona fortuna mie prodi eroi, gli dei vi sono grati per il
vostro contributo”
aveva detto Bragi quando li aveva congedati,
“Scriverò dei versi in vostro
onore.”
“Questo mi sembra piuttosto famigliare” aveva
commentato a mezza-bocca Jason,
ricordando ciò che aveva subito nel corso della vita, per
smorzare l’aria,
cercando di soffocare l’immagine che Bragi aveva aperto nella
sua mente.
Dei celesti, Thrud e Kym!
“Sì, ma io non ho mai avuto una canzone personale,
vorrei qualcosa come: Madina
Ullrdottir La Coraggiosa” aveva raccontato con il suo solito
tono felice
Madina, ma con una voce un filino troppo acuta, prendendo la mano del
suo fidanzato,
“Che ne dici di Madina La Sconsiderata?” aveva
commentato a mezza-bocca Fred –
era stato ignorato a pie-pari.
Mel non si era
ritratto dal gesto della
fidanzata, “Io sono finito negli Annali di Tacito,
conta?” le aveva chiesto,
“Be, probabilmente è più di quanto
avrò mai io” aveva considerato Fred.
“Tranquillo Fred, con la mia incredibile abilità
nel fare rime baciate scriverò
la canzone di Fred il Rompiscatole” lo aveva preso in giro
Astrid, “Parla
quella che è stata tagliata fuori dalla Vinland
saga[2]”
aveva replicato il monaco.
Le porte dell’ascensore si erano chiuse, mentre Glam
cominciava a digitare
tasti – probabilmente non – casuali dei piani.
“Il mio fratellastro ha scritto una canzone tragica per il
mio funerale” aveva
commentato Jason, l’aveva ascoltata dalla playlist di Spotify
della dea
Melione, molto toccante.
La dìsir aveva fatto saettare lo sguardo incuriosito verso
Jason.
“Mi ricordate i vostri nomi? Passano un sacco di persone
sotto il mio sguardo”
aveva commentato Glam alla fine.
Si erano presentati, incerti, mentre le porte dell’ascensore
con un sonoro
‘ding’ si apriva sul nulla cosmico.
“Jason Grace, hai detto? Molto interessante!” aveva
esclamato quella.
“Interessante?” aveva chiesto Jason pieno di
preoccupazione.
“Attenti ai piedi, o potreste cadere nel nulla cosmico
… cosa che a questo
punto non so cosa potrebbe comportare” aveva dichiarato Glam,
uscendo per prima
dall’ascensore, ignorando la domanda che le era appena stata
posta, solo allora
Jason si era accorto che davanti a loro, c’era un grosso
ramo, con un diametro
di almeno due metri, dalla corteccia grande, nodosa, di un colore
castano
vibrante d’oro. Quando erano usciti tutti, tenendosi in fila
indiana,
aggrappati alla maglietta della persona di fronte – a Fred
era capitato
l’ingrato compito di reggersi alla dìsir., Jason
aveva avuto il coraggio di
guardare il mondo davanti a lui, c’erano rami, infiniti ed
eterni altri rami che
si dipanavano e perdevano nel nulla, come grosse autostrade di legno,
tutti
però, come raggi sbilenchi si riunivano al tronco, che da
quella distanza a
Jason pareva solo un muro eterno alto di cui non si vedeva la cima ne
il fondo.
“Lo Scoiattolo?” aveva chiesto Astrid, con un certo
nervosismo. Jason sapeva
dello scoiattolo maledicente che poteva entrare nella tua mente e
tormentarla
con verità scomode e menzogne.
“Oh! Tranquilli quel birbante non ci proverà
affatto ad avvicinarsi a me” aveva
detto Glam con tranquillità. Jason aveva visto la schiena di
Mel, davanti a
lui, irrigidirsi come fosse fatto di ferro.
“Stellan Brighstide, giusto?” aveva chiesto Glam,
da capofila, l’elfo aveva
avuto un singulto, “Sì, certo!” aveva
detto con un nervosismo ben netto, “Sei
per metà un Liósálfar,
giusto?” aveva chiesto la dea.
“Sì” aveva risposto pieno di vergogna il
ragazzo. Jason non aveva mai sentito
quel nome prima, “Vorrei che tu passassi avanti?
Riesci?” aveva chiesto con
gentilezza. “P-posso” aveva detto Stellan, ma le
sue parole sembravano
profondamente incerte.
Astrid si era fatta da parte, mentre Madina lasciava la presa sulla
salopette
dell’elfo, così il ragazzo aveva cercato di
scavalcare prima la nipote di Sif,
poi Fred, aveva quasi preso la mano della Dísir, quando era
scivolato su una
parte curva e ripida del tronco ed era quasi caduto, a salvarlo era
stato il tempestivo
intervento della dea stessa e dei venti di Jason, che si erano mossi
prima
ancora delle sue mani.
Nessuno aveva detto nulla.
“Calmo, calmo, va tutto bene” aveva sussurrato
dolce Glam, tenendolo
saldamente.
Stellan aveva ricambiato la stretta della dea, aggrappandosi a lei con
una
morsa serrata.
“Va meglio, ora?” aveva chiesto con gentilezza la
disir, “Sì, si” aveva ammesso
rincuorato Stellan, “Va bene, passeremo per i mondi bui, a me
non fa effetto,
ma temo che un’oscurità profonda come quella del
nulla cosmico potrebbe avvilirvi.
Questo luogo, infondo, non vi appartiene. Quindi, ho bisogno che tu
rischiari
questo scuro mondo, con la tua magia, che tu dia un calore
paliativo” aveva spiegato
calma.
“Cosa sono i Liósálfar?”
aveva chiesto Jason calmo, alla persona a cui era
aggrappato: Mel, perché la sfortuna era sempre sua amica.
Mel si era voltato di profilo, con gli occhi verde oliva, ancora
collerici,
“Dovrei …” aveva cominciato,
“Ricordati che le missioni mortali non ammettono
ignoranza, amore” lo aveva richiamato, con un tono carico di
gentilezza Madina,
“Sono gli elfi della luce” aveva sbuffato Mel.
“Pensavo che tutti gli elfi fossero elfi della
luce” aveva considerato Jason,
“Se così fosse non avrebbero bisogno di questa
denominazione, no?” era stata la
pigra risposta di Mel.
“Senti” aveva detto Jason dopo un sospiro,
“Amico, mi dispiace tantissimo di
non averti detto che sono un Romano figlio di Giove” aveva
ammesso, “Non
dimenticare ex-pretore” aveva considerato Thumelicus.
“Sì, scusami. Non sono stato corretto”
aveva ammesso Jason; “Ma mettiti nei
miei panni. Sono nell’aldilà
vichingo…” era stato interrotto da Mel stesso, che
aveva replicato: “E hai finto di essere un mortale scemo come
un altro”; “Quello
me lo ha detto Thrud. Forse si è accorta sia stata una cosa
stupida raccogliere
la mia anima, che dovevo finire non so nelle Isole Beate, nei Campi
Elisi o
degli Asfodeli” aveva insistito lui.
Mel aveva cercato di guardarlo, dandoli un profilo velenoso, ma gli
occhi
cominciavano ad essere un po’ meno scuri. Una parte di Jason
avrebbe voluto
dire a Mel che neanche lui era stato del tutto sincero, certo aveva
detto di
essere un guerriero cheruscio, ma non aveva mai detto tutto il resto
– incluso
suo cugino o che la sua sorella di latte fosse la dannata Agrippa
Minor. Ma non
era giusto si rese conto, “Amico, mi dispiace. Quando ho
capito che eri un
gladiatore e quanto odiassi Roma, ho avuto paura. Anche
perché io amo Roma, non
tutta e non tutta insieme, per i miei amici sono molto più
greco. Ma sono
sicuro di una cosa: la Roma che amo non è la stessa che odi,
sono passati
duemila anni ed altri tanti regni, imperi e sovrani. A Nuova Roma non
ci sono
schiavi, di nessun genere, non ci sono gladiatori né
combattimenti all’ultimo
sangue. Anzi se vuoi sapere l’ultimo ludo che ho visto sono
stato costretto io
a parteciparci, con un mio amico, contro due giganti” aveva
spiegato.
“La tua Roma è la Roma di Augusto, Tiberio e
Caligola – e, fidati, quelli che
sono venuti dopo non sono migliori. Ma la mia Roma è la Roma
di Reyna, Frank,
Dakota che sono persone meravigliose” aveva ammesso,
“Ed, ecco, se non cadiamo
nel nulla cosmico, spero tu possa perdonarmi, anche perché
si prospetta una
vicinanza piuttosto lunga” aveva aggiunto.
“Con una capacità dialettica così
pessima sei riuscito a diventare Pretore di
Roma?” aveva chiesto retorico Mel, sembrava una battuta, una
battuta alla Fred
che stonava sulle labbra di Mel, ma era comunque una battuta.
“Lasciavo a
Reyna l’incombenza di scrivere i discorsi, io ero il braccio
armato e lei la
testa” aveva ammesso Jason, con un sorriso gentile, anche se
Reyna avrebbe
potuto essere ambedue senza problemi, “Infatti, dopo di me,
si è beccata altri
tre pretori.”
“Wotan, che imbarazzo. Ricordo che Caio Iulio passava un
sacco di tempo da
ragazzino a provare discorsi da megalomane in camera sua”
aveva considerato
Mel.
“Oh, devo dire che è diventato davvero bravo. Sul
serio, spaventoso” aveva
aggiunto Jason, un lieve sorriso complice aveva attraversato i due
ragazzi, ma
era stato breve le labbra di Mel erano tornate dritte e gli occhi cupi.
“Oh!
Mon
Deu!” aveva esclamato Fred, prima di
un’altra serie di improperi in
francese che Jason non aveva compreso, ma aveva invece individuato
ciò che lo
aveva sconvolto.
Stellan era luminoso, di una luce bianca e fredda – non
sapeva perché ma aveva
immaginato che la sua luce avrebbe dovuto essere calda – ma
non era quello che
attirava l’attenzione, ma la cosa a cui era accanto.
Era l’unico punto di luce in quel buio pesto, ma il ramo su
cui era una
biforcazione più piccola di un altro, ben più
grande, enorme, come
un’autostrada a sette-corsie, che doveva essere collegata
direttamente al
tronco, parcheggiata, come se fosse stato un posteggio, c’era
un destriero da
incubo.
Un enorme cavallo fatto di ossa e mantato di oscurità,
agganciato ad un carro
nero come l’ossidiana, scoperto sulla cima, con due ruote,
oscure, con i raggi
fatti di ossa, abbastanza spazioso per ospitarli tutti e sette.
“Lei è la mia Judy” aveva detto Glam con
orgoglio, con gli occhi luccicanti pieni
di amore, accarezzando il muso del cavallo. Jason aveva pensato alla
grossa
signorina O’Leary.
“Bene, Stellan caro, sali sul carretto, la tua luce
terrà illuminato l’ambiente
ed i tuoi amici saranno al sicuro. Io siedo sul cocchio
davanti” aveva
dichiarato Glam spingendo leggermente l’elfo, “Chi
di voi mi farà da copilota?”
aveva domandato gentile, Jason aveva ponderato la cosa e quando Madina
aveva
fatto scattare la sua mano in cielo, l’aveva fatto anche lui,
anche Mel li
aveva imitati subito.
“Oh! Così tanti volontari” aveva
esclamato estasiata la dísir, “Ma credo
prenderò il giovane monaco” aveva detto, battendo
una mano sulla spalla di
Fred, “Noi due abbiamo un po’ di cose di cui
discutere” aveva considerato
quella, “Ah sì?” aveva chiesto il figlio
di Gerd, privo della sua abituale
pesantezza emotiva a favore di genuina confusione,
“Sì, sì, di quella volta che
ho quasi raccolto la tua anima a Costantinopoli, ma tu sei rimasto
stoicamente
in vita” aveva commentato a mezza-bocca quella, mettendoli
una mano sulla
spalla.
“La mia anima è stata raccolta da una valchiria di
nome Tomris” aveva
considerato Fred, con una leggera acredine nella voce; “Oh,
sì, ma è una storia
molto più divertente” aveva scherzato Glam.
Stellan era
salito sul carro, seguito da Madina, dritta con un balzo, Mel le era
stato
dietro immediatamente, pronto a riprenderla se fosse caduta, poi si era
issato
su anche lui.
Astrid si era voltata verso Jason, facendo oscillare le trecce nere,
“Come va
con il nostro germano preferito?” aveva chiesto,
“Ho notato una certa tensione,
ma anche un paio di risate.”
“Be, va bene direi: Fred mi odia, Mel mi odia e tu sei
arrabbiata con me” aveva
scherzato lui, “Almeno ho Madina e Stellan” aveva
aggiunto.
“Nah, non sono arrabbiata con te, te lo ho detto. Hai fatto
un casino con Váli
ma è anche colpa mia che ti ho spalleggiato, come
ho detto: difetto mortale. Inoltre, se tu non avessi salvato
l’altro Váli, tu e
Madina sareste permanentemente morti” aveva commentato
Astrid, salendo sul
carro e guardandolo, “E mi piace avere intorno Madina, rende
il mondo un posto
leggermente più colorato. Riguardo a Mel, gli
passerà, è una persona troppo
buona per odiare arbitrariamente qualcuno solo per chi è e
Fred … odia tutti,
indiscriminatamente” aveva aggiunto.
Jason l’aveva raggiunta.
“Lo sai, vero, che Fred vi ama tutti?” aveva
chiesto retorico Jason, “Sì, ma
non glielo dire, gli permettiamo di vivere nell’illusione che
pensiamo ci odi
tutti” aveva scherzato lei.
Jason le aveva sorriso, “Ti prometto che usciremo fuori
dall’Holmagang da
uomini liberi” aveva considerato lui, Astrid lo aveva
guardato, “No,
probabilmente no, ma ci proveremo” aveva risposto lei.
Era stupido, ma gli era mancato parlare con Astrid.
Glam aveva dato una sferzata alle briglie e la sua Judy aveva preso la
corsa
sul nulla, loro erano stati colti all’improvviso da un
singulto, che gli aveva
quasi fatti ruzzolare orizzontalmente, e poi erano partiti alla
velocità, nel
nero, tra i rami, le bestie e l’infinito.
Jason vedeva
piccole luci sottili, “Quelli sono i mondi, credo”
aveva raccontato Astrid,
mentre Madina si sollevava per sporgersi ed osservare meglio tutto,
sostenuta
dal suo fidanzato se avesse avuto la sgraziata idea di cadere di sotto.
“Non
sono nove” aveva considerato Jason, “Certo, i rami
portano a diversi, diversi,
portali nei nove mondi” aveva spiegato Astrid, “E
tu ti sei arrampicato sul Yggdrasil
da solo?” aveva chiesto Jason, ammirato, a Stellan.
Pensando a come lo aveva visto controllare i rami, “Oh,
sì, sono un
giardiniere, possiedo l’alfseidr” aveva
considerato, “E sei mezzo- elfo della
luce, qualsiasi cosa significhi” aveva commentato Jason.
“Tutti gli elfi sono
elfi della luce” aveva risposto Stellan calmo.
Jason si era voltato
verso Mel, un po’
in cerca di spiegazioni, un po’ ricordando la conversazione
che avevano avuto
in precedenza; “Se vuole che segua questo dogma non lo
contraddirò” aveva risposto
Mel con una leggera incertezza sulla voce. Lui aveva deciso di annuire,
dopo
tutto il discorso fatto sembrava stupido mettersi a pontificare su
quello. Lo
sguardo sul viso dell’elfo si era fatto vacuo, arrivando a
distogliere gli
occhi per destinarli al nulla cosmico.
Il figlio di
Giove si era voltato verso Astrid, “Pensavo di aver risolto
con elfi, elfi
oscuri e nani” aveva rivelato lui, con un leggero imbarazzo.
La skraeling aveva
fatto roteare gli occhi, “Sono nell’Edda in Prosa,
l’altra” aveva spiegato poi
pratica, prima di continuare dopo aver avuto un segno
d’assenso da Jason,
“Esistono i dvergar che sono i nani, gli
Elfi Oscuri, i Svartálfar,
nani ma discendenti di
Freya, poi ci sono gli alf, elfi, la maggior-parte
sono efli della luce,
ma esistono anche Dökkálfar gli
elfi neri, che no non sono elfi oscuri[3]”
aveva terminato
Astrid.
Un solido minuto era intercorso tra loro.
“Penso dovrò prendere degli appunti”
aveva spiegato Jason, con un certo
imbarazzo.
Astrid aveva scosso le trecce nere, “Oh, tranquillo, questa
cosa non è chiara
neanche a loro e a gli elfi, che sono un bel po’
perfezionisti e forse un po’
razzisti, piace far finta di nulla” aveva raccontato lei,
calma.
Un pensiero, dopo quell’ultima nota, aveva attraversato la
mente di Jason:
mezzo- Liósálfar, voleva dire metà di
qualcos’altro? Era lì, il vero problema?
Judy di
tanto in tanto posava i piedi su qualche legno, facendo sobbalzare il
carro e
cadere loro. “Oh cielo divino, il tronco!” aveva
strillato Madina, indicando
qualcosa, erano vicini alla corteccia centrale, del grande albero del
mondo,
ancora, davanti a loro si apriva un muro di legno esterno, solo che da
così
vicino, non aveva né fine ne inizio anche lateralmente. “Ti fa
sentire infinitamente piccolo” aveva considerato
Mel esterrefatto. “Ma no! Intendo dire che a Jason ed Astrid
servono dei legni,
giusto?” aveva considerato la ragazza, recuperando il punto.
“Me n’ero quasi
dimenticata” aveva considerato Astrid, guardando anche lei il
tronco.
Sia Astrid, sia Mel avevano ragione: anche lui aveva dimenticato quella
piccola
condizione per la sfida – quattro legni che dovevano essere
raccolti da loro –
ed il fatto che il tronco dell’Yggdrasil fosse davvero
così enorme e potente da
lasciare senza fiato. Appariva anche così l’Olimpo?
Qualcosa di così mastodontico da farti percepire
immensamente piccolo?
“Ragazzi
reggetevi,
brusca virata!” aveva squittito la dea, attirando nuovamente
la loro
attenzione, prima che la cavalla scendesse, improvvisamente, in
picchiata,
accompagnata da un urlo poco virile di Fred.
E poi erano stati invasi dalla luce.
Una luce diversa.
Quasi sbagliata.
Calda, forse troppo, annebbiante.
“Il Glamexpress finisce la sua
corsa!” aveva esclamato la Dísir.
Jason aveva messo a fuoco il mondo davanti a lui, era come una
gigantesca
Idavoll, solo più bella, campi d’oro e verde, con
alberi da frutto, pace.
L’aspetto che un glorioso doveva avere.
Fiori di ogni tipo.
Tutto di una bellezza travolgente.
E luce, “Se dovessi nascondere un verro luccicante, questo
sarebbe il luogo
giusto” aveva considerato Madina, “Non si noterebbe
per nulla con tutta questa
luce”.
“Questo è il giardino
dell’Eden?” aveva chiesto Fred, scivolando
giù da
cocchio, “No, sciocchino!” aveva cantato una voce
femminile.
Si erano voltati tutti, per vedere chi aveva parlato.
Jason era rimasto senza fiato, il primo pensiero era stato: Venere. Ma
Venere
aveva sempre qualcosa di qualcuno, gli occhi
iridescenti di Piper, il
sorriso divertito di Thalia, i biondissimi capelli di Annabeth, le
movenze
gentili di Hazel ed era un continuo puzzle di tutte le donne a cui era
stato
legato, la donna davanti a lui era semplicemente splendida, in una
maniera
superba, senza possibilità di difesa.
Alta, flessuosa, dalla pelle d’ambra, i capelli biondi,
imbevuti del sidro del
sole, ed un sorriso smaliziato, composto la labbra piene e denti
perlacei
perfetti; indossava un prendisole bianco, con le spalline sottili e la
gonna
corta che scopriva le cosce. Alle orecchie, tonde, perfettamente
uguali,
piccole e graziose, scintillavano orecchini dalla forma di gatti.
“Giovani Einerjar lei è la divina
Freya!” si era apprestata subito a introdurla
Glam, “Non che fosse necessaria la presentazione”
aveva aggiunto, prima di
elencare i loro nomi.
Freya si era mostrata abbastanza interessata a Thumelicus, ma tutte le
sue
attenzioni erano finite su Fred, appena Glam aveva pronunciato il suo
nome.
“Il bastardo della mia cara sorella acquisita”
aveva commentato Freya e tutta
la sua eleganza era scomparsa, succhiata in un gelido freddo.
“Sì” aveva squittito
Fred, cercando di non guardare troppo la dea, “Hai suoi
stessi occhi da
pes-occhi gentili” aveva detto la dea senza dolcezza,
“Grazie mia signora”
aveva risposto Fred incolore.
“Perfetto, mia signora, io mi congedo, verrò a
riprenderli tra ventiquattro ore
midgardiane” aveva concesso la dísir,
“Certo, ovviamente Glam se per quell’ora,
qualcuno di loro sarà rimasto qui; di al caro Odino che li
considererò
acquisiti al mio dominio. Si è preso Magnus, mi deve ancora
qualcosa” aveva
soffiato la dea.
“L’accordo non mi sembra così male, qui
è bellissimo” aveva considerato Madina,
“Probabilmente verrei ucciso tutti i giorni solo per rendere
felice la dea” aveva
detto Fred.
Stellan che era rimasto in silenzio tutto si era fatto rigido, Jason
l’aveva
visto incerto, cercare con lo sguardo Mel, da che era arrivato nel
Valhalla era
la persona con cui aveva stretto di più, ma il germano aveva
uno sguardo di
ferro rivolto fuori.
“Potrebbe non essere così semplice, ma
lascerò a voi due signori queste
quisquiglie” si era congedata con quelle parole Glam.
“Bene ragazzi, immagino
avrete già cenato, ma mi sono
permessa di organizzare una festa per l’arrivo di Thumelicus
figlio di Harmin,
cugino di Italicus re dei Cherusci” aveva dichiarato la dea,
posando lo sguardo
su tutti loro.
“Ne siamo immensamente riconoscenti, mia signora”
aveva detto Astrid con
gentilezza e posatezza, chinando il capo, assecondata da tutti loro.
Freya aveva sorriso, “Snorri vi aiuterà a
sistemarvi” aveva chiocciato la dea,
prima di farsi da parte per far bassare un baldo vichingo.
Jason aveva pensato immediatamente allo Snorri dell’Edda, ma
l’uomo viveva tra
i Thenn nel Valhalla, sedendo alla tavolata di Odino.
L’uomo davanti a loro era molto diverso, alto e spesso, con
una lunga barba bianca
con striature di grigio, stretti in una treccia, così era
per i capelli. La
possanza del corpo si era piegata con il tempo.
Era ansiano, ma ancora vigoroso, a modo suo.
Forse era semplicemente un altro caso di omonimia.
Astrid aveva emesso un singulto, prima di correre verso Snorri, sotto
cui i
baffi spessi si era aperto un sorriso, pieno,
“Astrid!” aveva detto pieno di
gioia, anche la ragazza lo aveva chiamato.
S’erano abbracciati.
“Dei come sei bella, così tragicamente
giovane!” aveva detto lui, con una voce
a metà tra la gioia pura ed il dolore, “E tu
invece sei un vecchio bacucco! Che
gioia vederti così vecchio” aveva ammesso lei.
Allora Jason aveva capito e si era sentito stupido per non averlo fatto
subito.
Nel Valhalla, così come doveva essere a Volkfang, si
giungeva con l’aspetto
della propria morte. Astrid, come Jason, Fred e gli altri doveva essere
tragicamente morta giovane, il suo amico invece doveva aver avuto una
lunga
vita.
Astrid l’aveva preso per mano, “Loro sono i miei
amici” aveva detto elencandoli
tutti per bene. Anche Stellan, era diventato viola come un mirtillo
quando si
era sentito apostrofare così, “Lui è,
invece, Snorri Thorfinnson il mio più
vecchio amico” aveva raccontato,
“Letteralmente” aveva precisato il vecchio,
“Non avevo neanche due anni, quando posavo
l’orecchio sulla pancia di Panikpak
per sentire questo diavoletto scalciare” aveva ammesso lui,
scompigliando
l’acconciatura di Astrid.
“È un piacere conoscerla signor Thorfinnson, ho
letto tanto di lei” aveva detto
invece Fred, prendendo la mano dell’uomo con estrema
ammirazione.
“Svolta inaspettata” si era lasciato sfuggire
Jason, “Direi di no, Snorri
Thorfinnson è, praticamente, l’iniziatore della
cristianizzazione del mondo
vichingo” aveva spiegato Mel.
“Io sto con Jason, comunque, Fred non è mai
così gentile, non lo sarebbe
neanche con il papa in persona. Sul serio ha preso a sberle quello
del Drago
una volta” aveva replicato Madina.
“Quello del Drago?” aveva
chiesto Jason confuso, “Giwargis è una persona
molto meno piacevole di quanto la gente intenda” aveva detto
Mel, “D’altronde
lavorava per Diocleziano[4].”
Jason decise di non informare il suo belligerante amico che quello era
il suo
imperatore preferito.
“Forse … forse … vuole fare bella
figura con un amico di Astrid” si era
intromessa la dea Freya, con un sorriso di chi la sapeva lunga,
“Vado a
direzionare meglio per la festa. Volevo assoldare il dj migliore dei
Nove
Mondi, ma a quanto pare Bragi era impegnato a fare il Baby Sitter
così ho
dovuto ripiegare su altro” aveva detto la dea, leggermente
sconsolata,
“Ricordatevi di non lasciare i confini
dell’aldilà, o potreste morire male e potrebbero
esserci molti problemi burocratici per me, e scoprireste che anche Hela
è più
gentile di me, quando mi arrabbio” aveva detto Freya con
scioltezza, prima di
voltarsi verso Stellan, e del tutto a sorpresa aveva pigiato il naso
dell’elfo.
Una vibrante luce, calda, amichevole, era esplosa nel ragazzo, come se
fosse
stata una lampadina, poi si era assopita.
“Come ti senti?” aveva chiesto lei, gentile,
“Rinvigorito” aveva ammesso l’elfo
con disagio, “Non permetterei mai ad un cittadino di mio
fratello di ferirsi.
Ti ho donato la mia benedizione, giovanotto, per almeno ventiquattro
veglie
sarai come un einherjar” aveva spiegato la dea.
“Ah!” avevano detto all’unisono Jason,
Mel e Stellan, “Non prendete a male,
Bragi. Solo Odino avrebbe potuto farlo e non è uomo da
dispensare magia così
gratuitamente, ha una reputazione” aveva stabilito quella
quasi divertita.
“Sì, giusto, la magia la praticano solo le donne,
circa” aveva commentato
Jason, “O almeno così piace dire loro, conosco
molti uomini che fanno
trucchetti. Inoltre, se mi permettete: è uno spreco
utilizzare un dono solo a
metà” aveva risposto Freya.
Jason concordava.
Loro quattro
avevano seguito diligentemente il vecchio Snorri, che parlava
amorevolmente con
Astrid, con gli interventi tal volta molesti di Fred.
Per un po’ aveva pensato che Snorri potesse essere lo
stregone di Astrid,
quello che le aveva donato la pelliccia e le rune.
Ma visto come Freya aveva ricordato che la magia fosse affare da donne
– o da
Jotun – e dal fatto che quello Snorri fosse un
così devoto cristiano da avere
pure l’ammirazione di Fred, dubitava potesse anche essere uno
stregone, ma la
vita era piena di sorprese.
“Come è riuscita ad organizzare una festa
così velocemente? Neanche un’ora fa
lo abbiamo detto ufficialmente a Bragi” aveva considerato
Jason, certo lo
avevano accennato al dio prima, ma ne avevano avuto conferma solo dopo
lo
scontro con Iulia Agrippina.
Mel sollevato le spalle, “Uhm … è la
dea Freya, signora dell’amore, della magia
ed altre cose, probabilmente ha una festa nel corno
da tirare fuori ad
ogni occasione” aveva raccontato, il suo tono era rigido, con
gli occhi
saettava a destra e manca, forse teso del dover incontrare suo cugino.
Jason a quella descrizione non aveva potuto che evocare
l’immagine di Piper con
la sua cornucopia che rovesciava bicchierini da cocktail e stuzzichini.
“Oh dei di Asgard!” aveva esclamato Madina,
attirandolo fuori dai suoi
pensieri.
Ovviamente la festa della divina Freya non somigliava ai cocktail con
gli
ombrellini e gli stuzzichini che Jason aveva appena ipotizzato.
Non somigliava neanche alla prima immagine di festa che aveva avuto
quando la
dea ne aveva parlato, aveva teorizzato qualcosa nello stile del campo
mezzosangue - gente
da campeggio che
canta il corrispettivo norreno delle canzoni country, intorno al fuoco
- non
sapeva perché, non il coachella.
Davanti Jason si apriva un mare di carne, teste e gioielli al
neon, che si
muoveva al ritmo di una musica profonda.
Doveva dichiararsi confuso, Jason perché non riusciva a
distinguerne i suoni.
“Io … wow … non mi invitano
mai alle feste, sono tutte così?” aveva chiesto
Stellan.
“Somiglia a Woodstock!” aveva esclamato Mel,
“Oh me la ricordo. Anche quella
l’aveva organizzata Freya vero?” aveva considerato
Madina.
“In mezzo a tutta questa gente … trovare
Gullinsburti sarà come cercare l’ago
in un pagliaio” aveva riconsiderato Jason, avrebbero potuto
riversarsi sulla
luce, ma il Folkvang sembrava una terra in eterno giorno, anche se un
giorno,
caldo e nostalgico, come se fosse il pensiero di una bella giornata che
una
rappresentazione reale di un meriggio soleggiato.
“Seguitemi, che vi darò degli abiti più
consoni” aveva detto Snorri.
“Abiti, io vedo vestita pochissima gente” si era
lamentata Astrid, Madina aveva
già cominciato a sfilare la maglietta, “Freya non
è mica la dea dell’amore per
gioco” si era giustificata. Davanti alle spalle nude, coperte
da solo le
spalline sottili della canottiera di Madina, Fred era diventato rosso
come un
pomodoro, finendo per doversi nascondere gli occhi e finendo dritto
contro
Stellan, invece, molto curioso di guardarsi intorno.
“Ti prego Madina: non uccidere Fred” aveva
dichiarato Astrid.
“Amico, sei morto da seicento anni, puoi sopravvivere a una
spalla nuda” aveva
replicato Madina, strizzando l’occhio verso il monaco.
“Ma ai tuoi tempi le
donne non rischiavano di passare per sgualdrine anche se facevano
vedere solo
una caviglia?” aveva risposto Fred, “Non so, sono
sempre stata fuori tempo”
aveva risposto pratica la giovane.
Snorri li
aveva condotti in un ambiente molto più riservato, non era
proprio una casa
lunga ma ci somigliava abbastanza. Era fatta di legna e paglia, dentro
era
piena di bauli di ogni genere.
Appena passato il capolinea dell’infisso, Jason aveva
riconosciuto una
valchiria, non poteva essere altrimenti. Era longilinea e bellissima,
con un
viso di rame, capelli nerissimi e vestita di piume. “Oh! Hai
portato i devoti
di Odino” aveva commentato con voce rude.
“Questa splendida fanciulla, qui è Amenza.
È una strega-valchiria” aveva
spiegato subito Snorri, “In vita è stata un’Amazzone
di Dahomay[5]”
aveva spiegato pratico, “Sì, be, mi è
capitato il giro sfortunato. Avrei
preferito il Valhalla” aveva ammesso Amenza senza perdere
verve, prima di
chinarsi, “Prendete! Qui, a Folkvang abbiamo
un’etichetta” mostrando loro l’interno
di un baule.
“Vi lascio nelle sapienti mani di Amazena. Nel frattempo, io
andrò a preparare
la stanza di ricevimento per il nostro giovane guerriero”
aveva dichiarato
Snorri, ammiccando a Mel. Giusto, aveva pensato Jason, formalmente
erano lì per
la spiacevole riunione di famiglia del suo amico, anziché
per cercare il
cinghiale.
A quell’affermazione il guerriero germano si era fatto teso
come la corda di
un’arpa.
Jason aveva preso i vestiti con un certo timore, mentre Madina
esclamava piena
di gioia davanti ad una stoffa piena di lustrini.
“Certo! Diamoci ai bagordi … non è come
se avessimo fretta” si era lamentato
con nervosismo Fred, mentre osservava con un cipiglio piuttosto confuso
un paio
di pantaloni di pelle lucida. Francesi, aveva detto
l’amazzone, facendo
roteare gli occhi, diretta a Fred.
“Io
terrò i miei. Sono i pantaloni di
Ragnar Lothbrok” aveva dichiarato Mel, nervoso. Amenza aveva
sorriso verso di
lui, “Oh, certamente! Thumelicus Harminsson, per te,
c’è altro. Non vorremmo tu
apparissi meno davanti al nobile Re
Italicus” aveva chiosato, senza
vergogna.
Le guance di Mel si erano tinte di un fortissimo rosso porpora
imbarazzo. “Sarò
sempre meno” aveva detto lui, insoddisfatto, “Siete
entrambi morti con un’arma
alla mano, tale vi rende degni in egual misura” aveva
dichiarato Amenza con un
rinnovato vigore.
Non è come si vive, ma come si muore che stabilisce
il popolo a cui
appartieni, così aveva detto Astrid. Jason si era
voltato verso la ragazza,
trovando uno sguardo corrisposto. Si erano fissati per un secondo, poi
ambedue
avevano distolto gli occhi.
Avevano dato
a Jason dei pantaloni d’oro lucido, luccicanti, tristemente
appariscenti, così
come un Fedora coordinato. “Si abbinano ai tuoi
occhiali” aveva scherzato
Astrid, che aveva tolto la sua lunga toga blu a favore di un abito
corallo
dalle spalline scoperte, che la faceva apparire più una
odierna adolescente che
una mezza-vichinga dell’undicesimo secolo. “Tu
sembri molto moderna” aveva
considerato Jason, perdendosi forse troppo a guardare il corallo
risaltare con
la pelle d’ambra scura.
Astrid aveva aggrottato le sopracciglia. Sì, faceva schifo
nel fare i
complimenti, “Sei bellissima” aveva ammesso Jason
alla fine.
Era vero, ma aveva sentito le sue parole come un tizzone ardente sulla
lingua.
Astrid lo aveva fissato per un secondo con un’espressione
intensa, prima che un
leggero rossore animasse le guance, “Grazie” aveva
risposto, quasi timida.
“Sembra una meretrice!” si era infilato subito nel
discorso Fred senza colpo
ferire, osservando Jason con espressione turpe. Astrid aveva tirato un
buffetto
sulla collottola del suo amico.
Il monaco indossava lo stesso stile di pantalone e cappello di Jason,
ma invece
di essere d’oro lucido, erano di un rosso scarlatto,
ugualmente luccicante.
Niente di tutto quello sembrava molto vichingo, a prescindere.
“Non ho una maglietta?” aveva chiesto Jason
speranzoso, osservando che a Fred
era stato dato anche quel lusso; “Gloria ai Vanir no! Sarebbe
uno spreco” aveva
risposto Amenza senza esitazione.
Jason era arrossito.
“Forse … ha ragione” aveva considerato
Astrid, ondeggiando una mano il palmo
aperto davanti Jason, con una notevole incertezza.
Fred aveva guardato la sua amica con lo sguardo più
accusatorio del mondo,
mentre Jason aveva disperatamente agognato una maglietta.
Qualcuno era
entrato all’interno. “Troppo presto!”
aveva strillato Amenza, mentre tutti gli
occhi erano al nuovo arrivato.
Era magro, un po’ emaciato, luminescente come solo gli
einherjar potevano
essere, con l’incarnato quasi fluorescente, i capelli
così biondi da sembrare
bianchi, gli occhi azzurri come il vetro. Più che una
persona sembrava un
fantasma.
Un fantasma famigliare!
Lo sconosciuto aveva ignorato Amenza, aveva ignorato tutti loro, tranne
Astrid.
Il suo sguardo era inchiodato su di lei, come se il resto del mondo non
fosse
esistito all’infuori di lei.
La sua amica era rimasta in silenzio. I suoi occhi erano penetranti,
ancorati
al nuovo arrivato.
Una conversazione da infinite parole stava avvenendo nei loro sguardi,
senza
bisogno che una sola parola fuggisse alle loro labbra. Improvvisamente
tutti,
all’infuori di Astrid e lo sconosciuto, sembravano di troppo.
“Che … che sta succedendo?” la voce di
Stellan era stata l’unica cosa che aveva
interrotto quel silenzio quasi spettrale. “Oh, il giovane
Er-” aveva cominciato
a spiegare Amenza, ma era stata superata dal ragazzo stesso,
“Atuat!”
aveva chiamato, il suo tono era un tumulto di sentimenti: gioia,
rimpianto,
amore, tristezza. La sua voce era profonda, quasi cavernosa, che mal si
sposava
con il suo aspetto efebico.
Eppure un campanello, sottile, appena udibile, era suonato nella mente
di Jason
– a cui non riusciva a dare una spiegazione.
Astrid l’attimo dopo lo stringeva già,
l’aveva raggiunto con uno slancio e se
l’abbraccio che aveva dato al vecchio Snorri era sembrato
intimo, quello,
quello lo era di più. Per un secondo, uno solo, aveva
immaginato non fossero
quei due, ma così stretti fossero lui e Piper – lo
avrebbe abbracciato così?
“Oh grande Odin, Erik!” aveva sentito Jason
bisbigliare.
“Oh quello è Erik!” aveva esclamato
Madina, con lo stesso tono illuminato che
avevano gli studenti al collegio quando risolvevano un integrale,
“Sì” la voce
di Fred era stata veloce, quasi raschiante, strappato tra i denti.
“Decisamente
non male il ragazzino” aveva considerato la figlia di Ullr.
“Chi è Erik?” aveva chiesto Stellan al
suo posto.
Anche Jason aveva avuto quel pensiero, brevissimo, ma era bastato uno
sguardo
più attento, più a lungo, agli zigomi alti, il
viso di carta-da-zucchero ed i
capelli biondo-quasi-argento.
“Il figlio di Freydis” aveva esclamato.
Chiamato con lo stesso nome del nonno.
Somigliava a sua madre e Jason ricordava ciò che Astrid le
aveva detto.
Freydis
è un tipo particolare, non ha una bella fama, ha tradito due
suoi
compagni, ma è un’amica di mio padre ed
è la madre di una persona a me cara
“Il fidanzato di Astrid” aveva detto Madina,
“Credo che il termine corretto sia
Ex, ma non sono ferrato in questo gergo
giovanile” aveva risposto
spietatamente Fred.
“Tecnicamente non si erano lasciati quando sono
morti” aveva insistito Madina,
“Sì, avevano litigato da ben due ore”
aveva risposto pratico il monaco.
Jason aveva perso interesse per quelle facezie, o almeno
nell’ascoltare i due
bisticciare, non potendo evitare di guidare i suoi pensieri a Piper e
l’ambigua
situazione in cui erano stati interrotti.
Dei, Jason l’amava e lei pensava che il loro amore fosse
fittizio. “Io li trovo
carini” aveva squittito Stellan
Astrid si
era sciolta dall’abbraccio con Erik e si era voltata
immediatamente verso di
loro, con le gote leggermente arrossata e gli occhi colpevoli.
“Ehm … miei buoni amici, quest’uomo
è il mio … Erik” aveva detto, cercando
di
recuperare la sua compostezza. Loro quattro si erano presentati a
turno, il
primo era stato Jason che aveva detto solo il suo nome, poi Madina che
si era
presentata orgogliosa della sua genealogia paterna, Stellan che come un
essere
umano – elfo – normale aveva declinato il suo nome
ed il suo cognome ed in
ultimo era stato il figlio di Gerd.
“Io sono Frederic da Clermont, cavaliere
dell’ordine equestre del Santo
Sepolcro e spada di Dio sceso in terra” aveva detto tronfio.
“Perché ho l’impressione che non
è la Spada che voglia confrontare ora?” Madina
aveva bisbigliato all’orecchio di Jason, che aveva trattenuto
a stento una
risata.
“Oh, io sono Erik Freydisson! Ero un godijan”
aveva spiegato pratico il
ragazzo, “Cosa che è una stupidaggine, visto che è
uno stregone” aveva
replicato subito Astrid.
“Sai che non conosco questa roba da pagani” aveva
esclamato Fred, anche se dal
sopracciglio scuro sollevato della skraelinger e dal tono stesso
utilizzato dal
monaco non sembrava affatto convinto della sua affermazione.
“Io non lo so davvero” aveva commentato Jason.
“Ti ho detto che devi
documentarti!” lo aveva rimproverato Astrid, “Sono
passati solo quattro-giorni
e due li ho spessi a Jotunheim” si era difeso Jason.
Stellan era intervenuto, didascalico: “Godijan è
il sacerdote, colui che è immune
alla magia.”
“O Prete”, “Io sono un prete in
realtà” avevano parlato in contemporanea Astrid
ed Erik.
Jason aveva aperto le labbra ad O, mentre Madina si era trattenuta dal
ridere,
“Ed, ecco, scoperto perché ad Astrid non piacciono
i cristiani” aveva sibilato
Fred.
“Ebbene sì, il clero mi ha rubato il
marito” aveva ammesso Astrid,
occhieggiando Erik, che era diventato viola melanzana.
“Buon Odino, se avete finito con queste chiacchiere, sarebbe
ora che vi recaste
dal nobile Italicus, per la festa” aveva ghignato la
Valchiria, attirando la
loro attenzione.
Era seguita da Mel, che ne aveva approfittato subito per parlare:
“Io, ecco,
vorrei … che ci fosse solo Madina” aveva ammesso,
“Infondo una riunione di
famiglia occuperà molto tempo e sarebbe un peccato per i
miei amici non godere
di questa festa” aveva ammesso poi più calmo, per
quanto non sembrasse affatto
il solito Mel.
C’era qualcosa nel suo sguardo; era distante.
Rivedere la sua famiglia doveva destabilizzarlo tanto.
“Certo, certo!” aveva detto Madina, con una gioia
abbastanza fittizia, “Godetevi
la festa, ballate per me, bevete idromele … insomma, noi vi
raggiungiamo” aveva
aggiunto, un po’ più sincera, intrecciando
confortante le dita con quelle del
fidanzato.
Tutti avevano guardato la valchiria, “Come vi pare! Io non
faccio la Party
Planner ma raccolgo le anime dei caduti” aveva risposto secca
Amazena.
“Mentre
noi
nel Valhalla moriamo ogni giorno, qui fanno festa, che
disgusto” si era
lamentato Fred ad alta-voce, mentre scivolavano tra i colpi accalcati
delle
persone.
Una miriade di teste oltre loro c’era un palco montato in
legno, che aveva
Freya in persona sulla cima ed altre persone a cui Jason non aveva
tirato che
un occhio a pena.
Lui camminava tenendo la mano di Stellan, timoroso di perdere
l’elfo secco tra
la folla, e tenendo la maglia del monaco.
Astrid era un paio di teste dietro di loro in compagnia del suo
ex-fidanzato
prete.
“Mi chiedo come possiamo trovare un cinghiale qui”
aveva commentato Jason;
c’era una calca infinita di persona, coprivano
l’interezza di un campo grande
quando Idavoll.
Inoltre la luce non rendeva affatto chiaro, riconoscere una qualsiasi
altra
fonte di luminosità. “Io ed il demonietto qui
presente uniremo le nostre mani e
fungeremo da ferro per pietra di Magnesio” aveva spiegato
subito Fred, “Egli è
a quanto pare un demonio fatto di luce ed io sono uno stregone, come
abbiamo
appurato” aveva aggiunto. O Jason sospettava avesse detto
questo, una musica
composta di suoni ritmici e parole stridenti si erano alzate sulle loro
orecchie, otturando ogni possibile suono.
“Davvero?” aveva chiesto Stellan, che non sembrava
affatto turbato dall’essere
stato appellato in maniera poco gentile dal monaco, “Si me lo
ha detto Glam”
aveva confermato.
C’era sempre la possibilità che una dea del
destino mentisse.
“Oh, wow! Non sono abituato alle cose semplice”
aveva ammesso Jason.
“Non sarà semplici, sicuramente;
ma questa è la nostra missione” aveva
considerato Fred, con gli occhi verde oliva aveva declinato lo sguardo
verso la
confusione di teste che era alle loro spalle, Jason sapeva
istintivamente cosa
stesse cercando, si era voltato anche lui allora.
Astrid era rimasta un po’ indietro, muoveva il capo a destra
e sinistra, mentre
Erik le teneva una mano sulla spalla della ragazza quasi possessivo.
“Tu sei innamorato di Astrid” aveva detto Jason,
voleva essere un pensiero ma
era sfuggito alle sue labbra quel pensiero, “Ti prego non
dirmi che eri tu
quello sveglio della cucciolata” aveva replicato Fred,
“No quello era
Coriolanus” aveva replicato Jason.
Ottenendo uno sguardo stranito da Fred, che non si era affatto
aspettato quella
risposta, “Era un lupo, con cui vivevo quando ero piccolo;
sapeva aprire le
maniglie delle porte con le zampe” aveva ammesso lui.
“Sei stato cresciuto con un Lupo?” aveva chiesto
Stellan, incuriosito ed
intimorito, la cosa aveva messo in allarme anche Fred, che si era
subito
irrigidito, “Sono stata cresciuta da
Lupa, che è una divinità
protettrice di Roma, con tutto il suo branco, composto da altri lupi e,
no, nessuno
Jotun cambia forma malefico, solo una madre selvaggia” aveva
dichiarato Jason
rigido.
Lupa era stata una madre, ferace e feroce, decisamente meno abituata ai
connotati materni di quelli che la gente si auspicava, ma erano giusti
per la
severa Madre di Roma ed era stata migliore di Beryl Grace.
“Una meretrice, lo sai” aveva risposto Fred, con
una crudeltà fredda.
“Anche” aveva replicato Jason senza scomporsi,
“Lei lo sa?” aveva chiesto
Jason.
Fred aveva sollevato un sopracciglio: “Che la tua dea
è una meretrice? Spero
per lei di sì” aveva risposto.
Jason lo aveva guardato piccato, profondamente legato a Lupa,
“No, Astrid”
aveva risposto pratico.
“Sei diventato il mio padre confessore? Perché in
caso, dovrei dirti che non è
cambiato niente in queste ore” aveva stabilito venefico Fred.
“Miei
buoni
ospiti e caduti onorevoli!” aveva gridato Freya, attirando
l’attenzione sul
palco, agitando le braccia. Si era cambiata ed era ancora
più splendida
dell’ultima volta che Jason l’aveva vista
un’oretta prima, “Sono così felice di
vedervi tutti qui in questa mai festicciola” aveva squisito
divertita.
Al suo fianco c’erano due figuri, uno era vestito
assolutamente per bene, con
un completo gessato a tre pezzi ed un paio di vistosi baffi argenti a
mezzaluna
rovesciata, l’altro era uno splendido e biondo …
Apollo.
“Essendo Bragi impegnato a fare la balia agli altri caduti,
quelli noiosi, ho
dovuti chiedere aiuto a due miei vecchi amici” aveva
commentato Freya mettendo
le braccia attorno alle spalle dei due dei.
“Posso presentarvi Febo Apollo e Weles”
aveva esclamato a gran
voce, “Signori della Musica, decisamente molto più
capaci e soprattutto carini di
Bragi” aveva esclamato.
A Jason sembrava proprio che non avesse preso bene che il signore della
Musica
fosse rimasto al servizio di Odino.
“Quello è roba, tua vero?” aveva chiesto
Fred, ammiccando ad Apollo in giacca
di pelle e maglia con Icarus. “Direi di sì,
è mio fratello” aveva ammesso.
Si chiedeva se Apollo sapesse che lui era lì e se avesse
rispettato quanto
Jason aveva chiesto, con l’ultimo fiato: non dimenticare.
“Non perdiamo tempo” aveva stabilito Fred,
declinando Freya ed i suoi affari.
Jason aveva cominciato a pensare, che quella situazione dovesse
raggiungere del
surreale.
Fred gli
aveva condotti dietro una bancherella che vendeva drink alcolici e
carne di
squalo marinato, con un’assoluta faccia di bronzo. Stellan si
era fermato
chiedendosi se avesse potuto averne un po’ da mangiare, ma
era stato
strattonato di malavoglia da Fred. “Non aspettiamo
Astrid?” aveva chiesto
Jason, volgendo lo sguardo verso la folla, realizzando di non riuscire
a vedere
affatto la sua amica, “No, dalle il tempo di stare con
l’unico amore della sua
vita. Con la fortuna che si ritrova tra quattro giorni, sarà
schiava di un dio”
aveva declinato Fred.
Non erano lontani dalla musica ma Jason riusciva a sentire i propri
pensieri in
quell’occasione.
Fred aveva sfilato la sua spada magica dal fodero ed aveva guardato la
lama,
emanava un bagliore sottile, ma chiaramente visibile nella luce
morigerata del
paradiso di Freya.
“Una guerra si sta avvicinando?” aveva chiesto
Jason.
“Ah, non so se una guerra, romano, ma qualcosa
sicuramente” aveva replicato
duro, sistemando nuovamente la spada nel fodero ed allungando una mano
verso
l’elfo, “Prendila” aveva ordinato con un
punta di insofferenza.
Stellan aveva avuto un tremito, prima di allungare una mano e prendere
quella
che gli era stata tesa ed aveva preso quella del monaco. Fred aveva
sussurrato
qualcosa, ma Jason non aveva compreso le parole, erano state dette a
denti
stretti, con un tono basso, come un sussurro.
Jason non aveva compreso le parole ma aveva sicuramente compreso il
potere
dietro di esso.
L’elfo si era illuminato nuovamente, come quando si erano
trovati sull’albero,
ma in quell’occasione, lo scintillio che
l’ammantava si era spostato, come una
curva sinusale, che aveva attraversato il braccio, scintillato sulle
mani che
lo univano con il figlio di Gerd e poi avevano invaso a pieno il figlio
dello
jotun.
Stellan si era affievolito, mentre la luce bianca e luminosa che
avvolgeva Fred
si era tinta di un colore violaceo, come una lampadina al neon.
“È la seconda volta che divento una lampadina in
una giornata. Non è strano?”
aveva chiesto Stellan, ma era stato ignorato a pie pari da Fred.
“Bene …” aveva detto il monaco, anche se
non sembrava andare affatto in quella
maniera, “Adesso dovremmo cercare il cinghiale,
più saremo vicini, più sembrerò
una torcia” aveva ammesso con voce spenta Fred.
“Sarai, ehm … tipo attirato?” aveva
chiesto Jason, “Sì, di solito funziona
così” aveva ammesso Fred. “Possiamo
lasciarci le mani?” aveva domandato invece
Stellan.
“No. Siamo una cella galvanica, ora” aveva
replicato Fred, “Sai cosa è una
cella galvanica?” aveva chiesto Jason sorpreso,
“Ottocento anni sono un mucchio
di tempo per scoprire che non tutte le diavolerie lo sono fino in
fondo” aveva
commentato sprezzato il monaco.
Jason aveva alzato le mani, in segno di resa.
“Ohh! Sento qualcosa” aveva detto l’elfo,
attirando la loro attenzione, aveva
chinato lo sguardo davanti ai suoi scarponcini di plastica da
giardiniere, dove
era appena spuntato un fiore pieno di petali bianchi, poi un altro.
“Perché i
fiori?” aveva chiesto Jason.
“Siamo stati incaricati da mia madre, la signora del cortile,
forse” aveva
ipotizzato Fred, “No, io credo sia il mio potere che
… interagisce con la
natura. Credo …” aveva provato l’elfo,
incerte. “Va bene, seguiamo il sentiero
di fiori” aveva concesso Fred.
I primi fiori avevano cominciato ad appassire ma nuovi erano sorti,
creando
così un percorso di petali bianchi da seguire.
“No!
Stiamo
rientrando nella bolgia” aveva detto Stellan, mentre
osservava i fiori sparire
tra i piedi della massa sudata, “Non possiamo lasciare le
nostre mani” aveva
dichiarato Fred con sicurezza, Jason si era sporto per prendere la
maglietta
del monaco, ma era stato fermato da quello stesso, “No.
Interferiresti con il seidr
e l’alfseidr con la tua magia”
aveva spiegato subito il monaco, per la
prima volta il suo tono non era stato pieno di insofferenza e
maleducazione, ma
era di una serietà implacabile.
“Cercherò di non perdervi di vista”
aveva promesso Jason, “Cerca di non farti
un nemico mortale, anche qui” era stato rimbeccato.
Jason aveva sorriso con una certa amarezza, “Non posso fare
promesse in merito”
aveva dichiarato.
Come i tre si erano avvicinati, la folla si era spostata un
po’, interessata
alla luce che emanavano i due, ma la cosa non aveva suscitato poi
troppo
interesse e presto la gente aveva ricominciato a chiudersi a tenaglia
su di
loro, per inghiottire loro tre nel corpo unico.
Ci aveva
provato sul serio, Jason, a non perderli di vista; ma tra tutte quelle
teste
era stato difficile, tra la gente che lo inondava, sgomitava, oltre che
la
musica così forte da impedire ai suoi stessi pensieri di
affacciarsi … e poi
era arrivata la schiuma da un cannone. Che aveva confuso ancora di
più Jason.
Il cantante lo aveva visto con la coda dell’occhio, era
l’uomo vestito per
bene, con i baffi a mezza-luna rovesciati verso il basso e la voce
più ipnotica
e magica che avesse mai sentito, mai nella vita.
Si era sentito frastornato, incantato, completamente rapito ed ammirato
da
quella voce. Weles così lo aveva
chiamato Freya.
Era rimasto così incanto da quelle parole sconosciute, quel
tono così profondo,
da annegarci dentro. Tutti erano lì, presi da un ballo
tribale, quasi
viscerale. Jason aveva sentito delle mani toccarlo, si era sentito
praticamente
divorato da quello, ma non aveva avuto alcun impulso
dell’andare via. Di
cercare i suoi amici.
Era completamente in balia di quella musica.
Non evocava niente in lui se non la fame, se non il bisogno intero, di
restare
lì, di lasciarsi trascinare, di svuotare la mente. Era come
nei Campi Elisi,
nessun pensiero, nessun peso, era libero. Libero[6].
E poi una mano lo aveva preso.
“Jason! Jason! Dei! Jason!” una voce lo aveva
chiamato, una mano lo aveva
preso, più reale e tattile di chiunque altro al mondo.
Astrid? Era una voce di donna infondo?
No!
Si era voltato.
Piper.
Assolutamente senza senso.
“Non puoi essere tu Jason. Jason tu … non
… può” aveva mormorato piena di
dolore.
Ma era Piper con i suoi occhi dai mille colori, la pelle di rame i
capelli
sfilacciati con le piume e le perle.
E dei, bellissima
“Piper, tu …” aveva provato, ma non
sentiva niente, oltre i suoi pensieri.
Piper lo aveva stretto in un abbracciato quasi soffocante, prima di
staccarsi,
con il terrore nei suoi occhi cangianti.
“Cosa … chi sei tu?” aveva detto lei,
spaventata, prendendo una mano sul suo
viso, toccando con il pollice il labbro, dove non esisteva
più alcuna ferita,
“non sei Jason” aveva considerato, piena di
angoscia, scappando poi.
Jason l’aveva inseguita, “No! Piper! Sono io! Lo
giuro sullo Stige!”
aveva gridato inseguendola.
Perché Piper era lì?
Cosa era successo?
Era stato un regalo di Apollo? Sapendo tutto l’aveva portata
lì?
Era un gioco a caso di Freya dea dell’amore che doveva darsi
una mano con
Afrodite?
Non aveva senso.
Eppure questi pensieri che un tempo lo avrebbero costretto a fermarsi,
a
riflettere, non erano nulla, assolutamente nulla davanti
all’unico pensiero che
divampava nella sua mente: quella era Piper.
Aveva
inseguito la ragazza sgomitando tra la folla.
Piper era uscita dalla ressa, si era voltata verso di lui ed aveva
estratto katoptris
dalla fondina puntandola verso di lui. “Chi sei? Sei il demone
del dito di
ferro[7],
vero?” aveva chiesto Piper piena di ardore.
“No sono io! Sono Jason!” aveva esclamato lui!
Cos’era il demone del dito di ferro?
“Non ti credo. Ho visto Jason morire! Ho pianto sul suo corpo
e tu non sei
neanche riuscito ad imitarlo bene!” aveva ringhiato Piper,
“Perché siamo qui?
Dove siamo? Pensi che mi farò ingannare?” aveva
chiesto Piper senza perdere
mordente.
Jason aveva sentito la sua schiena farsi dritta come spilli, era ovvio
che
Piper fosse finita in una situazione tragica come lui.
“Io … sono io … io posso
provarlo!” aveva detto Jason.
Perché se non avesse potuto provare di essere sé
stessa a qualcuno che non
fosse Piper, non avrebbe potuto provarlo a nessun altro.
“Puoi chiedere a Nico, Percy ed Annabeth, inoltre”
aveva aggiunto Jason più
tranquillo, sollevando le mani in segno di resa.
Piper aveva ancora il pugnale verso di lui, ma la sua mano tremolava,
“Jason
non si vestirebbe mai così” aveva considerato
Piper, “Jason non mangerebbe
neanche ad una cena con dei ghoul ma lo ha fatto ad Itaca”
aveva provato lui.
“Risaputo” aveva risposto Piper, ma il suo tono
sembrava più cedevole.
Jason aveva sorriso, “Ti ho detto, dopo la battaglia contro
Gea che da quel
momento cominciava la nostra vera storia e tu mi hai baciato, decidendo
che
quello sarebbe stato il nostro primo bacio. E siamo stati felici e poi
in un giorno
di pioggia, il tredici di gennaio, mi hai chiesto spazio e, dei, se era
spazio
che volevi, ti dissi: sarei andato anche sulla luna, senza
ironia” aveva ammesso
Jason.
Piper aveva deglutito.
“Jason” aveva sospirato, lanciandoli le braccia al
collo, stretta, amichevole,
materna e famigliare.
Jason aveva odorato i suoi capelli, aveva recuperato quella dolcezza.
“Perché sei qui? Chi è il demone del
Dito di ferro?” aveva chiesto.
“Perché sei qui tu? Dove è qui? Come
sei vivo? Che è successo alla tua faccia?”
aveva chiesto di rimando.
“Allontaniamoci dove potremmo parlare meglio!”
aveva considerato Jason.
Aveva fatto
un riassunto a Piper, molto stringato, evitando di citare la fine del
mondo ed
il coinvolgimento di Thrud e Kymopoleia, riferendosi solo a questo
strano
evento che era capitato senza ragione, che una valchiria avesse
raccolto la sua
anima. Si era sentito un vermo, ma aveva anche percepito la
necessità di quella
menzogna.
“Se è mai esistito un uomo coraggioso da meritare
questo onore nella morte, questo
sei tu” aveva detto Piper, carica di dolcezza e affetto.
Jason le aveva sorriso, “E tu?” aveva chiesto.
“Oh, be. Dopo che mi sono trasferita a Tahoma le cose avevano
cominciato a
funzionare, in maniera molto mortale. Ma poi sono cominciate delle
strane morti
… ed a quanto pare il Demone del Dito di Ferro, un farabutto
cambia-faccia
mangia fegati si è insediato nella nostra
comunità così ho cominciato ad
investigare, insieme a Shell, lei è la mia rag-amica e
Barnabas, un tipo strano
è figlio di uno scarabeo-d
’Acqua” aveva cominciato a spiegare,
“Be,
investigare omicidi commessi da un demone mutaforme non è
come affrontare un
gigante. Paradossalmente è molto più difficile,
specie quando incastrano una
tua amica degli omicidi e i nativi non vivono esattamente il tempo
migliore
della loro vita … senza dimenticare che è morto
un bel ragazzo bianco come la
neve” aveva dichiarato Piper con rabbia.
“E come sei finita qui?” aveva chiesto Jason.
Piper lo aveva guardato, con i suoi intensi occhi d’oro, con
dei riflessi verde
giada, i più bei che aveva visto, “Oh quello
è stato molto divertente!” aveva
detto Piper ed il suo tono era cambiato improvvisamente.
Jason aveva sentito freddo – uno glaciale lungo la schiena,
“Vivo qui!”.
Il sorriso era storto, arcigno e cattivo.
“Sei tu a non essere Piper!” aveva esclamato
indignato, sentendosi stupido.
“No, però l’imitazione era abbastanza
convincente!” aveva replicato la Finta
Piper, passandosi la mano sulla camicia a quadri di flanella.
“Cosa è successo a Piper?” Jason
l’aveva chiesto recuperato Giunone dalla sua
tasca, “Quella parte era vera. Per tenere una menzogna devi
farla vicina alla
verità. Sta dando la caccia ad un demone della consunzione.
A mio avviso, gente
poco simpatica, ma nulla che una lingua ammagliatrice non possa
gestire” aveva
dichiarato quella in modo annoiato.
“Non sono incline a crederti” aveva declinato
Jason, con nervosismo.
La Finta Piper aveva sorriso piena di cattiveria, “Questo
è un problema tuo”
aveva ammesso.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, facendo schioccare la moneta in
aria ed
afferrando la lancia – anche lì non sarebbe morto,
giusto? – osservando con
nervosismo la donna, “tu sei H, vero?” aveva
chiesto. La domanda era sorta
spontanea come i fiori bianchi di Stellan.
“H? Sì, anche se tecnicamente
io sono colei che è chiamata Heidi[8]”
aveva detto la Finta Piper con un tono pieno di gioco, aveva lasciato
Jason
elaborare la notizia. Dopo un buon minuto di silenzio era stato ovvio
al romano
che Heidi si era aspettata una reazione che non c’era stata.
“Non ti dice niente?” aveva chiesto, con un
po’ di incertezza.
“No, dovrebbe?” aveva chiesto Jason,
“Sono nuovo in queste cose” aveva ammesso.
Ovviamente, avrebbe dovuto conoscere Heidi, Jarnsaxa aveva detto fosse
l’incubo
di Odino.
“Hai letto l’Edda?” aveva chiesto la
donna, “Sì, non tutta però”
aveva risposto
Jason
Quella situazione stava prendendo una piega paradossale.
“La Vǫluspá?” aveva insistito la donna,
“Si certo!” aveva detto Jason. L’inizio
e la fine del mondo, anche se a quel punto, stava andando tutto a
rotoli.
“Io sono lì” aveva insistito Heidi.
Jason aveva sentito l’inquietezza darsi una
mano con l’imbarazzo, perché quella situazione era
quasi soffocante.
“Nessun campanello? Sul serio? Capo-verso ventuno?”
aveva chiesto Heidi quasi
indignata. “Mi dispiace?” aveva provato Jason, che
si era ritrovato a corto di
parole, “Non ora, ma stai sicuro che lo farai, che ricorderai
il mio nome e mai
lo dimenticherai Jason Iovisson” aveva risposto lei, con una
punta di
spietatezza.
Jason aveva stretto il pungo sulla lancia, pronto a combattere.
Poi l’espressione collerica di Heidi si era addolcita,
“Aspetta …” aveva
cominciato, “Per caso la hai letta in inglese?”
aveva chiesto.
“Sì” aveva risposto Jason.
“Oh, per tutti i vanir, quale atrocità. Leggeresti
mai l’Eneide in inglese? I
testi vanno letti in lingua originale per apprenderli e goderne al
meglio”
l’aveva bacchettata.
“Non so l’antico norreno ma avevo messo in conto di
impararlo, grazie” aveva
replicato Jason.
Heidi aveva riso divertita, “Ne parleremo meglio dopo, ma
adesso, Jason
Iovisson, dobbiamo andare. Prima che la festa degeneri in
un’orgia che potrebbe
scandalizzare i tuoi occhi puri – abbastanza ironico per un
romano, se ci penso”
aveva dichiarato lei. “Perché dovrei venire con
te?” aveva chiesto Jason.
“Perché non hai scelta … Forse ti ho
mentito sulla tua fidanzatina? O forse
dovrai prepararti ad affrontare Bei-Capelli senza la tua compagna se
non fai
come ti dico” aveva replicato Heidi quasi divertita.
Un freddo brivido aveva attraversato la schiena.
Si era voltato alla ricerca di Astrid ed Erik, ma in tutta quella
marmaglia di
persone non sarebbe mai riuscito a vederla, non vedeva neanche i suoi
amici
luminosi.
Heidi poteva star mentendo, ma poteva anche star dicendo la
verità, non solo su
una o sull’altra, ma su entrambe. Piper!
O mentiva, usando l’amore della sua vita come leva ed Astrid,
che in quel
momento poteva essere in cerca del cinghiale in compagnia del suo
fidanzato-prete.
Era rimasto fermo, ondeggiando da un tallone all’altro, nel
dissidio più
totale. “Eccolo, il proverbiale difetto fatale: il
temporeggiare. Fai la tua
scelta, Jason Iovinsson, le lancette del fato scorrono
veloci” lo aveva
incalzato Heidi, “Presto il wyrd non potrà
più indirizzarti dove vuole e dovrai
assumerti la responsabilità delle tue scelte” lo
aveva stuzzicato.
Jason si era voltato di scatto, “Posso impiegare eoni a
prendere una scelta, ma
è una mia scelta sempre” aveva ringhiato; anche se
non sentiva del tutto
sincerità nella sua voce – era corso a salvare
Váli Lokison perché lo aveva
sentito, quasi un insistito atavico, prima ancora della ragione
– “Oh, calma
Ragazzone” lo aveva preso sfacciatamente in giro Heidi.
“Ma visto che il wyrd sta implodendo, questa volta la scelta
la prendo io, giacché
non ho voglia di vederti soppesare tutto, mentre ti mordi il labro e
sfoggi un
viso da lupetto bastonato” lo aveva avvertito la donna,
l’attimo prima di
soffiare sul viso della polvere d’oro. Jason non era riuscito
ad opporre alcuna
resistenza, neanche vocale; “Fratelli miei, speriamo che
Santa Lucia non mi
faccia causa per copyright” era stata
l’ultima cosa che Jason aveva
udito prima di perdere i sensi.
Regolare.
Glaumvör:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Pop-Art-910062642
(Che inizialmente doveva avere un ruolo molto più ampio di
quello che le è
stato destinato)
H(eidi): https://www.deviantart.com/rlandh/art/Golden-Lady-923693983
[1]
AKA:
attività extra di Sam non contano.
[2]
A scanso
di equivoci non si sta parlando del fumetto, di cui mi hanno parlato
comunque
molto bene (ma per cui io ho trigger perché quando stavo
scrivendo dei
vichinghi in america continuava ad uscire sempre fuori) nonostante non
mi pare
appaia Freydis (ed in quella saga è una figona) ma si
riferisce alla Saga di
Erik il Rosso (che secondo la mia amica che ha vissuto in islanda
dovrebbe
invece chiamarsi: La Saga Rossa di Eirik – e ho pure dubbi se
prima della R ci
vada una I lol) che ha una sezione prima dedicata a Leif che arriva in
America
e poi la vera e propria Vinland saga con quel figone di Thorfinn (che
spoiler,
è il protagonista del manga a quanto pare). Comunque,
ovviamente essendo Astrid
mezza Skraeling e mezza “Vichinga” pare abbastanza
probabile che sia stata
concepita durante gli eventi della Vinland Saga. Comunque il povero
Einar è
stato ridotto a “Vichingo base 3) e Astrid è del
tutto assente.
[3]
In
realtà i Dökkálfar
sono gli elfi oscuri,
in opposizione agli elfi della luce e gli Svartálfar sono gli elfi
neri (ma nel Riordanverse gli Svaralfar sono elfi oscuri,
Blitzen). Alcune fonti riportano che siano la stessa cosa, altre no.
Alcune
fonti dicono che i nani e gli elfi oscuri siano la stessa cosa, altre
no. Nel
riordan verse Elfi Oscuri e Nani sono una specie molto, molto simile,
cioè
praticamente gli Elfi Oscuri sarebbero i semidei dei nani
(così mi è parso di
capire) così ho deciso che i Dokkalfar sono
un’altra cosa ancora.
[4]
Giwargis
è il nome siriaco di Giorgio, qui stanno parlando di S.
Giorgio (quello che ha
sconfitto il drago). Non entro nel merito, perché non voglio
offendere/indignare qualcuno.
Giorgio era un combattente (se non sbaglio guardia pretoriana
di
Diocleziano, secondo l’angiografia almeno – che non
è una fonto storicamente
accurata) morto e risorto più volte – da avermi
fatto pensare che sia divenuto
un Einherjar e che continuava a ritornare nel Valhalla e
‘risorgere’ più volte.
[5]
Le Mino
del Dahomey, anche dette le Amazzoni del Benin, erano un gruppo di
guerriere-donne del Dahomey del diciannovesimo secolo (uno dei pochi
corpi
interamente femminile – anche perché non avevano
più uomini) che se le sono
date due volte con i francesi. Presto uscirà un
film con Viola Davis sul
tema, che sicuramente salterà la parte poco simpatica in cui
il Dahomey
trafficava in schiavi)
[6]
WELES o
Veles/Volos è il dio della musica, ma anche della magia e
degli ingannatori
della mitologia slava. Sì, alla fine un dio slavo lo ho
dovuto infilare a
forza, ma è più un cameo (tipo Frey in ToA).
[7]
E’ un
mostro della mitologia Cheeroke, che prende l’aspetto di una
persona “lontana
da casa” e che si nutre del parentato. Insomma, un demone
mangia uomini
trasformista.
[8]
Il nome
Heidi andrebbe scritto Heiði, ma visto che quel simbolino
carino è uno dei
pochi che ho sempre trascritto come D come nel nome di Thrud, lo ho
modificato
(di solito lascio solo le vocali accentate perché sono
particolari). Ho deciso
di risparmiarmi una battuta sul cartone animato giapponese, in quanto
ritengo
che probabilmente Jason con la vita che ha avuto non ha probabilmente
mai visto
il cartone. Così sì, mi sono dovuta legare le
mani.