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Autore: _Bri_    25/09/2022    4 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - Iscrizioni chiuse]
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Dalla caduta di lord Voldemort sono passati molti anni e la pace tanto agognata, purtroppo, ha avuto vita breve. Una guerra terribile ha coinvolto maghi e babbani, portando le parti coinvolte a decimarsi vicendevolmente. Ma nel momento di massimo buio, dalle macerie fumanti, si è sollevata una voce di donna, che ha promesso la pace per chiunque l’avesse seguita. Ma a quale prezzo?
Dopo 60 anni di regime in cui la magia è stata soppressa, non tutti hanno messo a tacere il loro pensiero e piccoli ma battaglieri gruppi di dissidenti, sono pronti a dare battaglia contro il regime di Nadia e della sua Corte.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
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CAPITOLO XII
La famiglia Millan

 
Quelli non erano tempi semplici, nient’affatto. Procreare, invero, era impresa assai ardua e la causa con ogni probabilità bisogna andare a ricercarla nella terribile guerra in cui i babbani si schierarono contro chi possedeva sangue magico. La popolazione mondiale si decimò e le donne dapprima partorivano figli affetti da gravissime disabilità, fin quando questi non presero a venire al mondo privi di vita, morti; infine le gravidanze si ridussero sempre più e rimanere incinta era dono assai raro.
Probabilmente grazie alla pozione di lunga vita che aveva rallentato il loro processo di invecchiamento, fatto sta che Nadia ed Etienne riuscirono a ricevere in dono ben due figli: Harry, così chiamato in onore del famoso Harry Potter, colui che aveva sacrificato più volte se stesso per portare la pace fra i maghi, nacque per primo e tre anni dopo, Nadia dette finalmente alla luce una femmina, anche lei con indosso il nome di una grandissima strega che aveva dato battaglia per riportare la pace nel vecchio mondo: Minerva.
I coniugi non potevano desiderare niente di più dalla vita, perché mettere al mondo due figli forti e capaci era qualcosa di sensazionale, di straordinario.
Quando Minerva venne al mondo il piccolo Harry, che aveva già dimostrato di possedere un carattere dolce e riservato, rimase tutta la notte ad osservare quella minuscola creatura, le piccole dita delle manine racchiuse, il respiro che gonfiava il corpicino, la boccuccia umida che alternava gli sbadigli ai vagiti. Pensò, di un pensiero non ancora totalmente formato tipico dei bambini della sua età, che Minerva fosse proprio un bellissimo regalo che i suoi genitori avevano voluto fargli e che lui, qualsiasi cosa fosse successa, l’avrebbe accudita e coccolata e le avrebbe insegnato a giocare con le spade di legno, a nascondino, ad arrampicarsi sugli alberi.
Ed effettivamente con il passare degli anni, il pensiero che illuminò la testolina dai capelli ramati di Harry quella notte di Settembre, assunse forma concreta, perché Minerva divenne la sua più grande amica. La piccolina, vitale ed energica, non si allontanava mai dal fratello maggiore e con una parlantina precoce e loquace, passava le sue giornate a chiedere ad Harry di insegnarle tutto ciò che lui conosceva. E quando non era Harry a meravigliarla e accudirla, ci pensava suo padre Etienne, che non perdeva occasione di tenerla stretta a sé e di ricordarle quanto fosse felice di averla nella propria vita.
 
“Tu es lune qui illumine mon ciel, tu es la lumière de papa.” “Sei la luna che illumina il mio cielo, sei la luce di papà.”

 
 
Quante volte Etienne le aveva ripetuto questa frase, Minerva non sarebbe stata in grado di contarle; nel guardarli interagire, sovente Nadia provava anche un velo di invidia, perché era chiaro quanto suo marito fosse cambiato dalla nascita di sua figlia. Non che non fosse affezionato ad Harry, ma probabilmente il fatto che il figlio maggiore fosse così simile a lui caratterialmente, gli aveva sempre impedito di costruire con lui un rapporto più intimo. Ma con Minerva era semplice, perché la piccola era così spigliata, naturalmente affettuosa, loquace fino allo sfinimento, che era impossibile non adorare la sua presenza.
Anche Nadia provava una predilezione per Minerva, ma nel più profondo del suo animo, era chiaro che il motivo fosse che riponeva nella sua unica figlia femmina la speranza che un giorno potesse sostituirla nel difficile ruolo di Governatrice Suprema. Mai, Nadia Millan, aveva preso in considerazione che potesse essere Harry a prendere in mano il timone, nonostante il ragazzo fosse naturalmente portato al comando e avesse mostrato, fin dalla pubertà, qualità militari e diplomatiche invidiabili.
Minerva non si rese contro troppo presto di quale sarebbe dovuto essere il suo fardello mentre Harry, più maturo e centrato, aveva compreso quali fossero i piani che Nadia riservava per sua sorella, fin quando un giorno aveva deciso di parlare con sua madre della situazione.
 
“Posso entrare?”
 
Nadia era china sul modellino di quello che sarebbe presto diventato il nuovo granaio della Corte, quando alzando gli occhi incrociò lo sguardo chiaro del suo giovane figlio; un sorriso illuminò il viso della donna, nell’osservare il suo Harry dall’aria così composta e matura, benché non avesse che sedici anni.
 
“Tesoro, vieni qui, stavo osservando il modello che mi ha portato Markl. Mi sembri preoccupato, è successo qualcosa?”
 
Harry si accertò di non essere stato seguito dalla costante presenza di Minerva, così chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò alla madre con titubanza; dovette ingoiare un gran quantitativo di saliva, prima di rivelare a sua madre quali fossero i pensieri che oscuravano i suoi occhi limpidi.
 
“Io non credo che Minerva abbia la giusta indole per prendere in mano la gestione della Corte, lei… è molto candida, lo sai. “
 
Fu in quel momento che lo sguardo di Nadia si vestì di sospetto. “Cosa vorresti dire con questo?”
 
“Mamma, non sono più un bambino. Mi alleno per diventare una Sentinella da ormai due anni e so bene che in questo posto ma non solo, anche al di fuori della Corte, non è tutto oro quel che luccica. C’è tanto, tanto sporco sotto la tua coperta che ti ostini a lavare ogni giorno.”
 
Le parole di Harry arrivarono alle sue orecchie come stilettate, benché il tono del ragazzo fosse sereno; d’altronde era difficile da accettare che suo figlio l’avesse appena accusata di agire nell’ombra. Gli chiese di ripetere ciò che aveva appena avuto il coraggio di dire e Harry, con calma disarmante, tornò a dire ciò che pensava: che era convinto che lei e suo padre si sporcassero le mani in più di un’occasione e che le decisioni che venivano prese, spesso avevano una ripercussione negativa sugli esseri umani, ma che al contempo si rendeva conto che forse era necessario per governare al meglio.
 
“Io sono in grado di capire queste cose, ma Minerva non ci riuscirà; arriverà il momento in cui ti chiederà di lasciarla stare, di non coinvolgerla in questo arido meccanismo. Sono qui per chiederti di far si che possa essere io a prendere il suo posto, io sono più pronto.”
 
Ma Nadia, come spesso accadeva, fraintese le parole di Harry; lei che non era in grado di provare empatia, non aveva capito che suo figlio aveva come unico interesse il benessere e la salvaguardia dell’amata sorella minore. Per Nadia non era altro che un arrivista, desideroso di ottenere quanto più potere possibile. Ragion per cui, dopo averlo congedato con un sorriso di cortesia e averlo rassicurato dicendogli che ci avrebbe pensato su, quella sera stessa Nadia parlò con suo marito, decidendo con lui che la cosa migliore per far si che Harry non crescesse con la convinzione di poter ottenere con semplicità ciò che desiderava, sarebbe stata anche la più difficile.
Così, qualche settimana dopo, a soli sedici anni, Harry Millan diventò a tutti gli effetti una Sentinella e venne spedito nella Colonia più vicina. Il giovane non tentò nemmeno di replicare quando sua madre, carezzandogli le guance e con gli occhi lucidi, gli disse che lo stava facendo solo per il suo bene, in modo che in lui esplodesse il vero talento.
Harry partì con i singhiozzi della sorella a contargli i passi, mentre nel suo cuore prendeva piede la consapevolezza che i suoi genitori fossero molto peggio di quanto avesse sempre sperato.
La lunga esperienza nelle Colonie indurì il suo cuore, almeno fino a quando non incontrò la giovane, talentuosa e magnifica Lillie.
 
*

 
“Minerva! Ti prego, scendi da quell’albero altrimenti tuo padre mi metterà sulla gogna!”
 
“Beh allora preparati a rimetterci l’osso del collo, io da qui non ho nessuna intenzione di muovermi!”
 
Da quando suo fratello era stato praticamente esiliato, Minerva era entrata a tutti gli effetti nella sua fase di ribellione. Inutili erano le parole di Harry che le arrivavano tutte le settimane sotto forma di lettera, perché Minerva non avrebbe comunque mai accettato l’idea di immaginare suo fratello a spaccarsi la schiena alle Colonie. E poi senza di Harry, la giovane Minerva si era ritrovata improvvisamente sola, perché non gli era stato mai permesso di stringere forti legami con suoi coetanei.
Aveva passato i primi mesi a lamentarsi e chiedere di continuo che le fosse accordato il permesso di andare a trovare suo fratello, ma i genitori erano sempre stati più che evasivi, con lei; d’altronde come poter spiegare alla propria figlia che cosa erano davvero le Colonie e quanto quelle fossero pericolose anche per le stesse Sentinelle? I rifiuti e i fumi tossici non risparmiavano nessuno e l’unica arma a favore delle Sentinelle erano le maschere antigas, ma certo quelle non facevano miracoli.
Anche se rispetto ai suoi colleghi Harry poteva avvalersi dell’ausilio della bacchetta, benché Nadia ed Etienne si fossero raccomandati di non farsi mai vedere da nessuno nel momento in cui praticava gli incantesimi di protezione sul proprio corpo.
Comunque Minerva era totalmente all’oscuro di qualsiasi tipo di dinamica che poteva coinvolgere Harry all’interno delle Colonie e l’unica cosa che percepiva, era il vuoto lasciato da suo fratello.
 
“Sai che non ti posso lasciare lì ancora. I tuoi ti cercano da questa mattina, sono preoccupati da morire!”
 
Gli occhi vispi di Minerva corsero ad incontrare quelli di Violet, la Sentinella incaricata di occuparsi dell’addestramento di Minerva, nonché colei che le teneva compagnia. A Minerva, Violet non era mai piaciuta; non le piacevano i suoi modi accondiscendenti e pacati, né la sua voce cantilenante. Detestava passare il tempo in sua compagnia, specialmente da quando non era diventata che l’unica presenza costante nella sua vita, al di fuori dei genitori.
 
“Se proprio ci tieni, puoi sempre pensare di prendere ascia e sega e buttare giù l’albero, così che quando rimarrò schiacciata da questo tronco potrai smettere di preoccuparti della tua sopravvivenza, visto che mio padre di taglierà la gola con un sol colpo!”
 
Fu istintivo, per Violet, portarsi la mano a tastare il collo. Avrebbe voluto far tacere quella piccola e insopportabile strega con un ceffone ben assestato, se non fosse stato per il piccolo particolare che, effettivamente, la sua vita sarebbe stata recisa in men che non si dica. E come se il suo più grande terrore si fosse materializzato alle sue spalle, la voce di Etienne fece sussultare la povera Violet che, per poco, non si ritrovò a dover gestire un bel colpo al cuore.
 
“Minerva, scendi da quell’albero s’il voul plaît. Non è per niente carino far attendere ancora i nostri ospiti e non voglio trovarmi a dire di nuovo che mia figlia ha un forte mal di pancia. “
 
“Scusa papà, ma non mi interessa! Lo so perché la mamma ha fatto venire quelli lì; pensa che possano sostituire Harry, che io la smetta di tenere il broncio.” Minerva si premurò di mostrare a suo padre la sua faccia accigliata “E per la cronaca non lo sto facendo, solo che non voglio che mamma pensi di potermi comprare così, non sono più una bambina!”
 
Etienne sospirò, ma al contempo un sorriso sfuggì dal suo viso. Si ritrovò a pensare che quel lato così battagliero di sua figlia, fosse lo stesso che tanto amava di sua moglie.
 
“Se è vero quello che dici, allora dimostralo e scendi di lì. Le situazioni spinose non si risolvono scappando.”
 
Io non sto scappando!”
 
“E allora torna a casa con me, sei libera di dire a tua madre quello che pensi senza avere paura; ti appoggerò io, vedrai.”
 
Lo sguardo di Minerva si fece sospettoso e titubante; certo era che in quattordici anni d’età –quasi quindici-, non c’era stata mai una volta che suo padre le avesse mentito: perché avrebbe dovuto iniziare in quel momento?
Durante tutto il tragitto in automobile fino a casa, Minerva non rivolse a suo padre nemmeno una parola di sua spontanea volontà; braccia conserte e sguardo ostinatamente concentrato sul paesaggio fuori dal finestrino, mentre Etienne le rivolgeva, con pazienza, alcune domande alle quali rispondeva controvoglia. Non sopportava quella parte di lei che l’aveva data vinta a suo padre, perché alla fine finiva sempre così. Altro che sua madre! Era suo padre che riusciva sempre ad avere la meglio con lei.
Quando arrivarono al cortile, Etienne lasciò che una delle sue più fedeli Sentinelle parcheggiasse la macchina e Minerva non mosse un passo prima di suo padre; procedette, invece, alle sue spalle come fosse la sua ombra. Così entrarono in casa e attraversarono un lungo corridoio e più si facevano vicini alla grande sala in cui Nadia soleva ricevere visite, più risonanti arrivavano le voci alle sue orecchie.
Arrivati davanti alla porta, Etienne si girò per lanciare un’occhiata a sua figlia, che solo per un’istante ricambiò il suo sguardo prima di voltare il capo e irrigidire la bocca, portando l’uomo a trattenere una risata.
 
“Cercherai almeno di mostrarti un po’ educata con i nostri ospiti? Lo faresti per me?”
 
“Non penso proprio potrò riuscirci, visto che questo è un raggiro in piena regola.”
 
Etienne aprì la porta e, di nuovo, Minerva si attaccò a lui, mantenendo le braccia incrociate e un’aria che avrebbe fatto paura a un drago.
 
“Oh, finalmente a mia figlia è passato il mal di pancia!” La voce di Nadia, gioviale come sempre, interruppe il silenzio venutosi a creare con il loro arrivo nella sala, così Minerva si sentì costretta a rivolgere lo sguardo ai presenti. Etienne e Nadia si occuparono di presentare Grace Roberts, la donna seduta compostamente sulla poltrona accanto a quella di sua madre.
 
“Lei è una nostra cara amica, nonché la Governatrice di una Comune limitrofa.”
 
“Così cara che non ne ho mai sentito parlare.”
 
“Minerva!” la riprese Nadia, che subito si scusò con un certo imbarazzo; l’affermazione di Minerva regalò un sorriso a Grace, ma ad attirare l’attenzione della giovane Millan non fu lei, bensì una bassa risata di gusto che proveniva dall’angolo destro della sala, dove una grande finestra si affacciava sul cortile interno della Magione.
 
“Pare che mio figlio apprezzi il tuo spirito. Bene, questa conoscenza sta iniziando con il piede giusto!”
 
Grace si alzò in piedi, così fece cenno al ragazzo di avvicinarsi. Minerva si ritrovò a scrutare due espressivi occhi scuri incastrati in un viso pallido e squadrato, incorniciato da una voluminosa chioma nera. I giovani si guardarono a lungo, fin quando non fu l’ospite a muovere qualche passo nella direzione di Minerva, regalandole un sorriso calibrato, ma che alla ragazza scaldò istintivamente il cuore.
 
“Piacere di conoscerti, io sono Enoch.”
 
*

 
Dopo quattro anni passati quasi sempre nelle Colonie, se non per qualche sporadica visita alla Corte, Harry poteva dire di aver visto davvero tutte le cose peggiori di quel mondo. I racconti che erano giunti alle sue orecchie quando ancora si trovava alla Corte non erano nemmeno lontanamente paragonabili all’orrenda realtà in cui le Colonie erano inserite: chilometri e chilometri di zone desertiche, con cumuli di sostanze tossiche che i disertori di Nadia erano costretti a smistare e, in maniere nocive e spesso inefficaci, tentarne lo smaltimento; condizioni di lavoro disumane, con i prigionieri guardati a vista dalle Sentinelle, che avevano l’ordine di non mostrare alcuna pietà davanti a qualche colpo di testa o tentativo di fuga. Acqua per lavarsi putrescente –tanto valeva non lavarsi affatto- e razioni di acqua potabile e cibo scarsissime. Inizialmente Harry fu tentato di scappare egli stesso, ma benché fosse munito di bacchetta magica, era ancora troppo giovane e sapeva che non sarebbe resistito a lungo fuori dalle recinsioni delle Colonie.
Arrivò a pensare, il giovane Millan, di trovarsi meno in pericolo lì, piuttosto che con sua madre alle calcagna, il che era un pensiero orribile, lo sapeva bene.
Comunque con il passare del tempo, il mago si fece sempre più forte e contemporaneamente distaccato, arrivando a non provare più alcuna empatia nei confronti di quelle persone che si trovavano lì, senza acqua, ai lavori forzati, senza maschere antigas a tutelare i loro polmoni. Di fatto Harry era diventato uno spietato automa che si limitava a svolgere il suo lavoro e che non batteva ciglio se uomini e donne cadevano davanti ai suoi occhi come mosche, perché l’unica cosa che importava, per lui, era poter tornare presto alla Corte.
Fin quando un giorno – da poco aveva compiuto vent’anni- una nuova Sentinella con solo un paio d’anni più di lui era arrivata a quelle Colonie; fra tutti i suoi colleghi, Harry era rimasto subito affascinato dalla giovane Laurie Lemoine –che tutti chiamavano Lillie-, non tanto per il suo bell’aspetto, senz’altro innegabile, quanto per la fiamma viva che riluceva nei suoi occhi chiari. Lillie aveva polso fermo nonostante la giovanissima età, non sembrava affatto impaurita da quell’ambiente e in pochissimo tempo aveva conquistato la fiducia dei suoi colleghi.
Improvvisamente, con accanto Lillie, Harry tornò a provare una, seppur minima, sfumatura di emozioni umane.
Con il passare dei mesi i due entrarono in confidenza, sebbene Harry nascondesse a lei, come a tutti gli altri, la sua vera identità; Lillie invece si aprì totalmente con Harry, spiegandogli di provenire da una piccola comune sita nel territorio francese e di aver scelto di sua spontanea volontà di recarsi in quella Colonia, sapendola una delle più grandi e meglio gestite di tutto il territorio ex europeo.
 
“I miei genitori sono disertori e un giorno sono scomparsi di punto in bianco, lasciandomi da sola a gestire l’odio che la mia comune aveva accumulato per loro. È stata davvero dura, ma non mi sono lasciata abbattere; ho pensato fosse meglio stringere i denti e combattere, così ho iniziato il percorso per diventare una Sentinella. All’inizio è stato… complicato, ecco. Diciamo che il mio superiore non mi vedeva di buon occhio e ancora porto i segni delle legnate che mi sono beccata; ma quando ha capito che non mi sarei piegata in alcun modo, allora ha deciso di darmi una possibilità e alla fine sono praticamente diventata il suo braccio destro, ci crederesti?“
 
Harry si sentì minuscolo in confronto a quella ragazza che non sembrava avere sangue magico, ma che aveva dimostrato una forza incredibile.
 
“Alla fine ho deciso di venire qui; lui non l’ha presa tanto bene. Voleva che rimanessi a gestire gli affari della nostra comune, ma non era possibile, io avevo bisogno di fare questa cosa qui.”
 
Solo un anno dopo quella conversazione, Harry capì davvero per quale motivo Lillie aveva deciso di lavorare in un posto simile, quando chiunque altra Sentinella che si trovava lì, aveva commesso qualcosa di davvero grosso, tanto da far meritare una punizione simile.
Harry girava per il territorio della Colonia, in un giro di ronda di routine. Stranamente, quel giorno, nessuno aveva alzato la voce nei confronti delle Sentinelle, né vi erano stati tentativi di fuga. Una calma anomala e preoccupante accompagnava il crepuscolo, Harry lo sentiva.
Si lasciò il refettorio alle spalle e proseguì fino al recinto dei maiali, che grufolavano nella speranza di ricevere qualcosa in più da mangiare. Fu uno strano rumore ad attirare l’attenzione del mago, come una sorta di squittio, ma più forte, meno acuto, umano.
Quando vide un uomo e una donna rannicchiati contro una parete, proprio a fianco di un buco  nella rete di contenimento, Harry puntò contro di loro il mitra.
 
“Lasciali stare, ti prego. Dai la colpa a me, ma lasciali andare.”
 
Harry si ritrovò costretto a girarsi per qualche istante.
 
“Fatti avanti! Getta la pistola e vai dove stanno loro, forza!”
 
Aveva riconosciuto subito la voce di Lillie, la quale fece come le era stato ordinato; Harry la osservò inorridito da dietro la maschera anti gas: cosa diamine stava tentando di fare?
La ragazza sfilò la propria maschera, la gettò a terra accanto alla pistola e infine alzò le mani, ma i suoi occhi si incastrarono nelle orbite scure della maschera di Harry.
 
“Harry, dammi la possibilità di spiegarmi e dopo se vorrai potrai anche farmi saltare in aria la testa.”
 
“Dimmi perché dovrei farlo, eh? Stai facendo fuggire queste persone, stai disertando!”
 
“Persone innocenti che non meritano di essere qui. Harry… so che in cuor tuo vuoi capire perché sto facendo questo; lasciali andare, tieni me al posto loro. Se ora dovessero rimanere qui saresti costretto ad ucciderli ed avresti sulla coscienza due persone che non hanno colpe, se non quella di aver tentato di salvare i loro due figli da morte certa.”
 
Harry era combattuto e in quel momento percepì la sua testa e il suo cuore andare in conflitto; fino all’arrivo di Lillie alla Colonia, Harry era una Sentinella dal cuore indurito dalle mostruosità a cui aveva assistito, ma dal suo arrivo qualcosa era cambiato; tutte le sere passate a parlare, persino a ridere, avevano avuto un effetto positivo sulla sua persona. Sentire i racconti di Lillie, della sua vita nella comune, di come aveva combattuto per tutto ciò in cui credeva nonostante fosse rimasta sola, avevano fatto pensare ad Harry che il mondo, in fondo, era un posto migliore di quanto avesse sospettato, che esisteva ancora qualcuno di genuinamente buono.
Harry sapeva che se non avesse permesso a quelle persone di scappare e a Lillie di spiegarsi, probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato, mai. Così abbassò il mitra, lentamente.
 
“Andate, sbrigatevi.”
 
Harry riuscì a leggere la gratitudine nei volti terrorizzati della coppia, che non attese un secondo di più prima di attraversare quel buco e sparire nel nulla delle Terre di Nessuno. Solo quando furono lontani dal suo sguardo, solo allora Harry sfilò la propria maschera per poi puntare gli occhi grigi in quelli della Sentinella.
 
“Hai dieci minuti di tempo per convincermi a non denunciarti, né ammazzarti.”
 
Lillie non perse tempo e dalla sua bocca un fiume di parole –sincere quanto sconvolgenti- travolse Harry in pieno. Lillie spiegò al compagno che tutto quello che gli aveva raccontato fosse vero, tranne che quella non era la prima Colonia in cui si era ritrovata a prendere servizio, bensì la seconda.
 
“Ecco spiegata la naturalezza con cui hai approcciato il lavoro qui.” Affermò stizzito e rassegnato Harry, mentre a sé stesso dava dell’idiota per non aver capito niente. Lillie proseguì a spiegarsi: gli disse che durante il suo addestramento aveva lungamente pensato ai suoi genitori, così aveva fatto delle ricerche e aveva scoperto che, probabilmente, quelli si erano uniti a gruppi di dissidenti che agivano contro Nadia per soverchiare il suo potere corrotto. Era arrivata alla conclusione che non l’avessero abbandonata, ma che se le avessero lasciato anche solo un biglietto di spiegazioni, l’avrebbero messa in serio pericolo.
Lillie aveva dunque deciso che sarebbe diventata una Sentinella e avrebbe sfruttato la propria posizione per aiutare chi si trovava ingiustamente nelle Colonie, facendo un distinguo con i veri criminali.
 
“Ho fatto evadere decine di persone dalla precedente Colonia, persone che come loro,” aggiunse indicando con un gesto del capo il buco nella rete “non avevano alcun motivo per essere condannati ad un simile destino. Poi ad un certo punto i miei compagni hanno cominciato a nutrire dei sospetti; non sospettavano di me, sia chiaro, del resto perché mai sospettare di una ragazzina dall’aria innocente come la sottoscritta? No, loro puntarono il dito contro un mio collega, quindi capii che era giunto il momento di levare le tende e spostarsi in una Colonia più grossa, perché se fossi rimasta lì, probabilmente avrei finito per farci rimettere qualcuno che non aveva nessuna colpa. Quindi eccomi qui.”
 
 
Harry ascoltò in silenzio quanto Lillie aveva da dire e solo una volta che la ragazza si fu zittita, decise di parlare: Ora è chiaro per quale motivo quei prigionieri sono riusciti a scappare… tutte quelle persone scomparse nel nulla senza lasciare traccia: sei stata tu, li hai fatti evadere e poi hai coperto le loro tracce.”
 
In quel momento Lillie chiese ad Harry di potergli mostrare una cosa; il ragazzo acconsentì, ma fu abbastanza furbo da puntare nuovamente il mitra contro di lei per non avere strane sorprese. Fu così che Lillie estrasse dall’interno della sua giubba quella che Harry riconobbe subito essere una bacchetta.
 
“Non provare ad usarla, altrimenti ti sparo!”
 
“Sai Harry, se avessi voluto avrei potuto spararti prima, oppure usare la magia quando hai trovato loro… ma non l’ho fatto. Non voglio farti del male, perché sono convinta che, in fondo, anche tu pensi che tutto questo sia giusto. Mi fido di te Harry, voglio fidarmi.”
 
“Tu non hai idea…” Harry deglutì “…non hai idea in quale persona hai riposto la tua fiducia.”
 
Per la prima volta dall’inizio di quel bizzarro confronto, Lillie si mostrò turbata.
 
“Io non capisco…”
 
“Abbassa la bacchetta.” Gli ordinò Harry, così lei acconsentì. Ma lo stupore illuminò il suo viso, quando anche Harry estrasse la propria bacchetta, mostrandogliela con aria impassibile.
 
“Anche io so utilizzare la magia, ma non è l’unico segreto che possiedo.”
 
Nonostante non ci fosse proprio nulla da ridere in quella situazione disastrosa, Lillie non riuscì a trattenere una tiepida risata, adducendo la sua reazione alla faccia tanto misteriosa che Harry aveva messo su.
 
“Credo che ormai tu possa dirmi tutto, tanto temo di avere i minuti contati con te. Allora dimmi Harry, quale sarebbe questo segreto?”
 
Lillie si trovò a perdere il sorriso in un batter d’occhio, non appena il ragazzo che aveva di fronte aprì nuovamente la bocca.
 
“Io mi chiamo Harry… Harry Millan. Sono il figlio di Nadia, quella Nadia.”
 
*
 
Harry non ritenne saggio parlare della sua relazione con Lillie ai suoi genitori; anche se sarebbe stata sua sorella a diventare Governatrice al posto della madre, il giovane Millan sapeva che Nadia preferiva sempre munirsi di un piano B –qualità che d’altronde le avevano permesso di trovarsi nella massima posizione di comando-; questo si traduceva in una cosa alquanto semplice: Nadia in persona avrebbe dovuto decidere con chi far sposare e procreare il figlio.
Così da quando quella con Lillie era passata dall’essere una collaborazione insurrezionalista a una vera e propria relazione, Harry si era limitato a far visita alla Corte giustificando la presenza della compagna asserendo che Laurie si trovasse lì, in quanto ci teneva a presentarla al capo delle Sentinelle della Corte, vista la sua incredibile capacità di combattimento e l’attitudine a risolvere prontamente qualsiasi situazione spinosa.
 
Tutto questo durò qualche anno, fin quando un giorno i coniugi Millan si ritrovarono una bella sorpresa in casa loro: Harry portò da loro Lillie e il suo vistoso pancione, scatenando la gioia di Minerva, ma sentimenti ben diverse dai genitori. La reazione di Etienne fu decisamente più calibrata rispetto a quella della sua consorte, che passò dallo sgomento, alla rabbia, alla paura. Sgomento in quanto Nadia non riuscì a credere che suo figlio non l’avesse messa al corrente della relazione che intercorreva con quella ragazza – e per questo si sentì raggirata ed esclusa-; poi arrivò la rabbia, perché lei stessa aveva permesso ad Harry di stare lontano dalla Corte per troppo tempo, senza guida né supervisione da parte loro, che erano i suoi genitori e che avrebbero dovuto essere in grado di condurre il figlio nella direzione migliore per la loro famiglia. Poi Nadia pensò che, nonostante tutto, nella pancia di quella sgualdrinella cresceva un suo potenziale erede; sapeva bene quanto fosse difficile mettere al mondo dei figli e non era detto che Minerva ci sarebbe riuscita, quindi l’essere umano a cui Harry aveva dato la vita doveva essere tutelato ad ogni costo. Lapalissiana fu dunque la reazione di Nadia, nel rendersi conto dove fosse stata concepita la sua progenie e in quali pessime condizioni stesse crescendo fino a quel momento.
Fu così che Harry fece definitivamente ritorno alla Corte per volere della madre e con lui la sua compagna, che presto diventò sua moglie.
Etienne fece erigere per suo figlio una bellissima casa accanto alla loro, convinto che quel gesto fosse gradito; i coniugi non sospettavano affatto che il loro Harry era diventato un nemico di quel sistema che stavano costruendo da anni.
 
Il tempo passò in fretta e Lillie dette alla luce Jude in un caldo giorno d’agosto; quel bambino rappresentò una gioia immensa per tutta la famiglia, ancor più perché da subito mostrò evidenti segni di magia. Potente magia.
Il piccolo Jude era l’unico a possedere un potere e di questo Nadia fu ovviamente entusiasta; Etienne non perse l’occasione per studiare l’affascinante potere di suo nipote, mentre sua moglie mostrava Jude con orgoglio al suo popolo.
In realtà né Harry, tantomeno Lillie erano affatto contenti che il loro bambino venisse esposto come fosse un trofeo, ma il primo era convinto –e spiegò con pazienza a sua moglie- che quello fosse l’atteggiamento giusto da seguire.
 
“Tu non li conosci, non hai idea di quanto siano bravi a nascondere chi sono davvero. Se gli lasciamo concentrarsi su Jude, noi saremo liberi di continuare a svolgere il nostro lavoro, tanto loro hanno ottenuto ciò che vogliono.”
 
Alle parole del marito, Lillie rabbrividì e mentre stringeva il proprio bambino, assottigliò lo sguardo in quella maniera minacciosa che aveva sempre spaventato Harry.
 
“Stai dicendo che dovremmo usare Jude? Dico, sei forse impazzito? Lui è tuo figlio, Harry, credevo lo amassi!”
 
“Stai fraintendendo le mie parole…” Harry si avvicinò alla moglie ed allungò una mano per carezzare la testolina bionda di Jude, ma la donna lo allontanò da lui; rimase però in silenzio, dando la possibilità a suo marito di porre rimedio a ciò che aveva appena detto.
 
“È vero, i miei genitori si sono rivelati di tutt’altra pasta rispetto a il modello che mi ero costruito nella mente, ma fidati se ti dico che non farebbero mai del male a Jude, né al sottoscritto. E poi farli affezionare a lui, permettere loro di fornirgli la migliore educazione che possa avere è la cosa migliore che possiamo fare…”
 
Con un sospiro, Harry sedette al fianco di Lillie, la quale aveva rilassato l’espressione ed aveva preso ad ascoltarlo con sincero interesse. “…Facciamo cose pericolose, che mettono a repentaglio la nostra vita giorno dopo giorno, Lillie. Ti sei chiesta che cosa succederebbe se ci scoprissero?”
 
“Non hai appena detto che non ti farebbero mai del male?”
 
“Non farebbero del male al figlio che credono di avere, ma non sono sicuro che non ci sarebbero estreme conseguenze se venissero a sapere che proprio il loro primogenito agisce contro quello che costruiscono da anni. Noi liberiamo persone da morte certa, Lillie. Persone che mio padre e mia madre hanno fatto in modo che venissero rinchiuse; persone che secondo le regole di questo nuovo mondo non meritano di vivere.”
 
Uno spesso silenzio calò fra i due, fin quando non fu Lillie a spezzarlo: “Quindi cosa c’entra Jude?”
 
“Jude e il loro passaporto per assicurarsi che questo loro sistema continui a funzionare per molto tempo ancora; credo…” La bocca di Harry si fece asciutta e ci mise molto impegno per dare una forma ai pensieri che si erano incastrati in gola “Credo che anche se dovessi fare una brutta fine, loro farebbero di tutto per tutelare lui. Jude è al sicuro.”
Così Harry prese in braccio suo figlio e lo osservò mugugnare, lasciando che un mite sorriso illuminasse il viso intristito da quei pensieri. A quel punto, come se avesse realizzato in un sol momento, Lillie poggiò una mano sulla gamba di suo marito e a lui regalò uno dei suoi sorrisi più rassicuranti.
 
“Scusami, non volevo dubitare di te, è che questa situazione mette anche a me a dura prova, senza considerare il fatto che anche un cieco capirebbe che tua madre mi guarda con così tanto disprezzo da farmi raggelare. Credo che non mi abbia ancora gettata ammanettata nelle Terre di nessuno solo perché ho portato in grembo suo nipote!”
 
“Consolati, a mio padre piaci parecchio, sarà che vi accomunano le origini francesi.”
 
I due ragazzi liberarono una risata, per poi scambiarsi un tenero bacio; ormai raramente avevano tempo e modo di scambiarsi effusioni, specialmente per la presenza di quell’esserino dai capelli chiari, che soleva attirare tutte le attenzioni su di sé.
Per mezzo anche della sua peculiare capacità magica che sfruttava di tanto in tanto in maniera involontaria, chiaro.
 
*

 
Era successo esattamente ciò che Nadia ed Etienne avevano programmato; da quando Harry aveva lasciato la Corte, i due coniugi si erano spesi per trovare il modo di calmare l’irascibile figlia e la sua propensione alla ribellione. Quale poteva essere la mossa giusta, che non avrebbe comportato radicali cambiamenti nei loro piani di formazione nei confronti di Minerva?
Avrebbero dovuto trovare qualcuno che riuscisse a sostituire la presenza di Harry, non solo come figura di riferimento, ma anche e soprattutto come amico; Minerva aveva bisogno, come tutti i ragazzi, di persone con cui passare il tempo, confidarsi, condividere sogni e passioni; ma contemporaneamente questo qualcuno doveva guadagnarsi la fiducia dei due, provenire possibilmente da una famiglia verso la quale provavano stima.
Fu Etienne ad avere l’idea di contattare Grace Roberts; la donna era la governatrice della comune più grande adiacente alla Corte. Contava circa quattordicimila abitanti e aveva la fama di essere la meglio gestita; pare che le Sentinelle che venivano addestrate lì, fossero le più integerrime e le più spietate seconde solo a quelle della stessa Corte e ovviamente questo era motivo di grande vanto per Grace e suo marito Conrad. Quest’ultimo era un grande amico di Etienne e fu tramite lui che Nadia conobbe Grace; la donna le piacque così tanto che, dopo qualche anno passato a stretto contatto alla Corte, Nadia aveva deciso di affidarle la gestione di quella comune che sembrava essere ingestibile. Infatti, prima di Grace e Conrad, ben due governatrici avevano abdicato, rinunciando al proprio ruolo senza particolari rimpianti. Quando Grace prese in mano la situazione, aveva appena dato alla luce la sua primogenita Allison e nonostante tutto dimostrò di essere nata per ottemperare a quel dovere.
La comune di Grace crebbe e divenne famosa per la formazione del corpo delle Sentinelle, al punto che molte giovani leve da varie parti del territorio europeo venivano mandate a formarsi proprio lì.
 
Comunque dopo cinque anni dalla nascita di Allison, Grace aveva dato alla luce Enoch, che a conti fatti aveva la stessa età di Harry; il motivo per cui ad Etienne venne in mente di chiedere a Grace e Conrad di poter conoscere e ospitare il loro figlio, derivava dalle minuziose descrizioni che quest’ultimo faceva nel loro frequente scambio epistolare, che avevano scatenato la curiosità del pozionista. Enoch veniva descritto da suo padre come un ragazzo posato, elegante, mansueto sebbene niente affatto remissivo; un giovane scaltro, portato per l’equitazione che amava dialogare con chiunque attraesse il suo interesse, con una grande sete di conoscenza e, pare, uno spiccato senso dell’umorismo.
Tutte qualità, quelle, che si rivelarono vere e che ci misero poco a conquistare anche Minerva.
Quello con Enoch fu un amore che nacque di colpo, senza bisogno di passare mesi e mesi per conoscersi davvero. Bastò giusto qualche giorno, prima di scambiarsi il loro primo bacio –non è ben chiaro chi dei due fece la prima mossa- .
Enoch e Minerva divennero inseparabili e non riuscirono a nascondere a lungo la loro relazione, al punto che le due famiglie festeggiarono una sorta di fidanzamento ufficiale quando Minerva non aveva nemmeno compiuto i diciotto anni di età.
Vicino ad Enoch, la giovane futura Governatrice sentiva di essere sinceramente felice; il ragazzo divenne il suo migliore amico, il suo confidente, colui su cui sapeva di poter contare senza provare il timore di essere tradita. Amava ogni singola cosa di Enoch, persino quel suo aspetto stravagante e il suo sguardo talvolta triste, forse perché in qualche modo le ricordava quello di suo fratello.
 
“Senti, credo dovremmo sposarci.”
 
Un giorno, a diciannove anni appena compiuti, Minerva sentì Enoch pronunciare quelle parole; non era stato un gesto che poteva essere definito romantico, visto che proprio in quel momento stavano cambiando i ferri dei cavalli di proprietà della famiglia Millan. Forse per questo le venne così tanto da ridere.
 
“Ok che mi trovi buffo, ma non è molto carino da parte tua ridere così. Sono serio… ehi, smettila!”
 
Uno dei motivi per cui sentiva di amarlo così tanto era senza ombra di dubbio che Enoch riusciva a strapparle le risate più sentite. Cercò di calmarsi per quanto le fu possibile – l’immagine del suo fidanzato con la zampa di un cavallo in mano intento a pulirgli lo zoccolo non era proprio fra le più romantiche-, infine con estremo sforzo ci riuscì.
 
“Credo anch’io che dovremmo sposarci; in fondo, sai, penso di averlo sempre desiderato, da quel giorno in cui ti ho incontrato per la prima volta e ti ho sentito ridere in quel modo. Sei stato la mia prima e unica cotta, Enoch Roberts.”
 
“Anche tu te la cavi abbastanza, Minerva Millan.”
 
Quando finalmente Minerva riuscì a rimanere incinta, credeva di aver ottenuto tutto ciò che voleva dalla vita; nonostante la prospettiva di diventare Governatrice al posto di sua madre avrebbe allettato qualsiasi essere umano, in cuor suo la giovane Millan sentiva di stare a posto così. Avrebbe solo voluto vivere con serenità con suo marito e crescere la persona che si stava formando nel suo ventre nel miglior modo possibile.
La nascita di Micah, sebbene fosse anche lui un maschio, portò nuova gioia per tutti; Harry e Lillie continuavano a mantenere un basso profilo, intanto che tentavano di salvare quante più persone destinate alle Colonie o al deserto delle Terre di nessuno e l’uomo non aveva fatto parola con sua sorella di ciò che faceva con la sua compagna; per quello, ci volle qualche anno prima di un confronto fra i due fratelli, così che anche Minerva ed Enoch poterono aprire gli occhi.
Ma intanto c’era Micah, un neonato vivace, poi un bambino curioso, reattivo, tenero da far commuovere. Tenacemente attaccato alla gamba dei genitori, l’unica altra presenza che totalizzava la sua attenzione era senz’altro Jude.
Enoch e Minerva erano traboccanti di felicità e Nadia ed Etienne, sebbene nessuno dei due figli avessero dato alla luce una femmina, mostrarono amore sincero verso i nipoti che rappresentavano la promessa del proseguo della dinastia. Minerva, ormai da qualche anno, era l’ombra di sua madre, sebbene la sua indole fosse decisamente più morbida e non vedesse di buon occhio alcune scelte prese da Nadia.
Così un giorno, lasciato Micah di soli due anni a suo marito, Minerva decise di recarsi da suo fratello, intenta a confidare quella stonatura che risuonava da tempo nella testa e che lei, in mancanza di strumenti di comprensione, non era in grado di decifrare.
 
“Sono qui perché so che sei l’unica persona al mondo che non mi giudicherebbe mai e poi mai.”
 
Harry aveva fatto in modo di accogliere Minerva da solo; appena entrò in casa capì immediatamente che una sottile agitazione era presente in lei, così la invitò a sedersi, per poi porgerle una tisana fumante. Era molto tempo che loro due non si trovavano da soli, a confidarsi come quando erano poco più che bambini, ma Minerva non percepì nulla fuori posto, nonostante fosse cambiato tutto nelle loro vite.
Allungò una mano per stringere quella del fratello e parlò a bassa voce, come se avesse il terrore di farsi sentire.
 
“Sento che c’è qualcosa che non va; tutto questo tempo che passo accanto alla mamma, non so… Harry. Sono molto confusa. Ho notato degli strani movimenti e mamma certe volte sembra così arrabbiata, tanto, troppo arrabbiata. Provo a consigliarla, abbiamo anche discusso perché le ho detto che dovrebbe lasciarmi più libertà di parola, visto che tecnicamente dovrei diventare Governatrice al suo posto, ma lei mi sembra restia certe volte. “
 
Harry annuiva e lasciava che la sorella si confidasse, senza lasciare la presa della sua mano.
 
“Ho provato a parlare dei miei dubbi anche a papà, ma mi sembra sempre più chiuso nel suo laboratorio, a portare avanti esperimenti e mi sembra poco lucido, un po’ distante dalla realtà. L’unica cosa su cui insiste è che noi due prendiamo quella dannata pozione per allungare la vita. Per il resto sai, credo che mamma faccia delle cose… poco etiche, se così vogliamo dire e lui non dica nulla. Ora ci sono anche i bambini, non sei preoccupato per Jude?”
 
Harry aveva pensato a lungo se parlare o meno a Minerva del movimento di liberazione che da anni stava costruendo con Laurie. Fino a quel momento aveva deciso di lasciarla stare, non volendole addossare nessun carico e non voleva destabilizzarla, portandola a scegliere da che parte stare; ma a quel punto Harry capì che la cosa migliore da fare sarebbe stata essere totalmente sincero con lei.
Così Harry le raccontò tutto: di come erano davvero le Colonie, in quelle condizioni per il volere di Nadia stessa; quanto la gente soffrisse e quanti innocenti venissero condannati a morte certa perché non rispettavano pedissequamente le regole imposte dalla loro stessa madre.
 
“Io non so se nostra madre sia sempre stata così… so solo che è arrivata a spedire suo figlio di sedici anni alle Colonie, solo perché… beh, perché qualcosa delle mie parole non gli è andato giù. Mi ha sempre detto che l’ha fatto per farmi crescere, forgiare il mio carattere, ma se tu solo avessi visto l’orrore che ho visto io in questi anni, non crederesti possibile che nostra madre lo abbia fatto a fin di bene.”
 
Tutto, delle parole di Harry, scosse nel profondo la giovane Minerva. Possibile che lei non si fosse mai accorta di nulla? Come poteva dire di amare così profondamente suo fratello, di essere la sua più grande amica, se non era mai stata in grado di comprendere davvero quanto stesse soffrendo? A seguito delle lacrime che presero a sgorgare senza soluzione di continuità, Harry tentò di rassicurarla dicendole che la colpa non era di certo la sua, essendo stato lui stesso a premurarsi di nasconderle ciò che accadeva alla sua vita.
Parlarono a lungo, si abbracciarono e piansero come mai avevano fatto prima e quando Lillie rientrò a casa con il piccolo Jude, quest’ultimo saltò sul divano e carezzò le guance del padre e della zia, chiedendo loro perché stessero piangendo. Lo rassicurarono ed Harry spiegò al figlio che piangere non è una cosa negativa e che è null’altro che l’espressione di quello che si prova.
 
Giorni a seguire, si tenne fra fratelli e coniugi una riunione segreta, sulle sponde del lago della Corte in un punto che, ne erano certi, nessuno si recava quasi mai.
A sentire i loro discorsi, i loro piani per il futuro, assistettero solo le fronde degli alberi che si affacciavano pigri sulle acque lacustri e i pesci che si muovevano indisturbati nelle acque ancora fredde. Decisero dunque che anche Enoch e Minerva avrebbero appoggiato i cognati e avrebbero fatto di tutto per muoversi in maniera più che discreta, almeno fino a quando non sarebbe stata la stessa Minerva a ricoprire il posto di Governatrice suprema. Solo a quel punto avrebbero soverchiato il sistema marcio e corrotto che Nadia aveva costruito. Fino a quel momento, però, nessuno avrebbe dovuto scoprirli, altrimenti per loro sarebbe stata la fine.
 
 
Maggio 2164
 
 
 
“Micah! Ehi Micah! Vieni a vedere cos’ho trovato!”
 
Jude, nove anni d’età –o quasi dieci, come amava ripetere- faceva segno al cugino di raggiungerlo sotto il grande albero dove, poco prima, aveva scavato una buca per nascondere al suo interno il loro tesoro, ovvero una scatola piena di cianfrusaglie rubate in casa. Il più piccolo abbandonò la sua missione: tenere d’occhio eventuali nemici con il binocolo che gli aveva regalato il padre era la sua attività preferita, ma quando era Jude a richiamarlo, ogni cosa perdeva d’interesse. Micah corse così verso il cugino e in un batter d’occhio s’accovacciò al suo fianco, pronto a stupirsi di qualsiasi cosa egli gli avrebbe mostrato.
 
“Credo sia una collana… aspetta, sembra… sembra una medaglia!” Jude, sopracciglia aggrottate e bocca storta, cominciò a pulire la medaglietta con il lembo della maglia scura, mentre Micah tratteneva la voglia di strappare al cugino l’oggetto di mano.
 
“Cosa pensi che sia?”
 
“Credo…” Jude assottigliò gli occhi velati di grigio e prese a studiare l’oggetto con aria assorta “Credo sia una di quelle medagliette che i soldati tenevano al collo. Deve essere molto, molto antica!”
 
L’interesse di Micah andò aumentando e i suoi occhi si sgranarono, intanto che la bocca andò a produrre un verso di puro stupore. Tutto ciò che apparteneva al passato lo affascinava, se poi era Jude a spiegargli le cose, allora si poteva scommettere che Micah sarebbe tornato a casa decisamente appagato. Nessuno dei due aveva mai avuto fratelli o sorelle, per questo fu naturale che i figli di Harry e Minerva crescessero insieme, come se fossero fratelli a loro volta. E grazie alla presenza dell’altro, i bambini non avevano mai sofferto di solitudine. Jude aveva preso a cuore il ruolo di fratello maggiore, occupandosi del più piccolo e da sempre più fragile senza che la cosa gli pesasse affatto; Micah non possedeva nessun potere particolare, mentre Jude dava sfoggio delle sue incredibili facoltà che –lo stesso Etienne si era ritrovato a giudicare tali con un certo orgoglio- erano fra le più strabilianti di tutta la Corte.
Non per questo, però, Jude aveva mai fatto lo spavaldo con Micah e anzi, utilizzava il suo potere spesso in favore del cuginetto.
Micah, di suo, aveva sviluppato una predilezione per Jude, giudicandolo come il bambino più portentoso di tutta la Corte e provando un’ammirazione smodata nei suoi confronti; perché se era vero che Jude fosse un po’ sbruffone con gli altri, dandosi vanto di quanto fosse già incredibilmente potente, mai lo aveva fatto con Micah, che lo seguiva come un’ombra e pendeva dalle sue labbra.
 
Fu per tutto questo che, una volta finita di lucidare la medaglietta, Jude la allungò al più piccolo e quando quest’ultimo la prese in mano con grande stupore, Jude annuì con serietà.
 
“So che è una cosa che vuoi tanto, perciò prendila, è tua. Ora aiutami a mettere il nostro tesoro: dobbiamo fare una mappa, altrimenti rischiamo di dimenticarci dove lo abbiamo nascosto! Hai portato carta e penna come ti avevo chiesto di fare?”
 
Nel pieno della felicità, Micah spalancò la bocca in un sorriso e si affrettò a mettere la medaglietta intorno al collo, poi annuì e portò la sinistra alla fronte. “Signorsì, signor Capitano! Vado subito a prenderle!”
 
Micah si alzò di scatto e corse poco più in là, dove aveva abbondano una borsa di tela con all’interno tutto il necessario per compiere la loro segretissima missione. Fu naturale per lui afferrare il binocolo e gettare uno sguardo intorno all’area, per poi accorgersi con meraviglia di una figura ben nota che si avvicinava sempre più velocemente. Abbassato il binocolo, Micah tornò trafelato da Jude.
 
“Sta arrivando Stafford! Forse vuole giocare con noi!”
 
Sentito il nome del ragazzo più grande, il visetto di Jude si fece paonazzo, così si sbrigò a ricoprire la buca come meglio poteva. Una volta arrivato da loro il quindicenne, Jude si era già alzato in piedi, le mani sporche di terra nascoste dietro la schiena e i piedi ben piantati sopra la zolla di terra ancora fresca.
 
“Dite un po’, che cosa stavate combinando?” Disse loro con un certo divertimento a trapelare dalla voce. Micah stava per gridare con entusiasmo che avevano appena nascosto il loro tesoro, ma Jude lo precedette.
 
“Ho solo accompagnato Micah a fare una cosa. Non può certo andarsene in giro tutto da solo, capito? E tu come mai sei qui?”
 
Gli occhi di Staffy saltarono di nuovo dall’uno all’altro dei cugini; ebbe l’idea che i due avessero appena combinato qualcosa di grosso, ma la cosa non gli importava affatto. Se era lì, lo doveva a suo padre che aveva insistito tanto che si occupasse quanto più possibile dei figli dei Governatori, che lui serviva con onore da molti anni e verso i quali provava una stima incommensurata.
 
“Sono qui per voi due; sono appena tornato dagli allenamenti con le Sentinelle e vi devo riportare a casa. Forza, prendete la vostra roba e andiamo.”
 
Jude affiancò nell’immediato Stafford, mentre Micah raccoglieva con gran difficoltà le sue cose e le infilava in tutta fretta nella borsa di tela, chiedendo loro di aspettarlo. Per il più grande dei cugini, Stafford era un modello da seguire e non aveva intenzione di farsi beccare da lui a fare giochi da bambini. Così dissimulò, lanciando occhiatacce a Micah ogni qualvolta quello tentava di intromettersi nella conversazione che stavano avendo a proposito degli allenamenti del più grande.
 
“Anche io voglio diventare una Sentinella!” Gridò Jude.
 
“Anche io!” lo imitò prontamente Micah, così Staffy prese a sbeffeggiare il più piccolo, dicendogli che ci sarebbero voluti parecchi anni di allenamento per lui, prima che diventasse anche solo lontanamente decente.
 
 
18 Luglio 2168
 
Il giorno in cui Nadia Millan venne a sapere che entrambi i suoi figli erano dei traditori, il sole scaldava feroce i campi della Corte e la Magione di contenimento strabordava di criminali. Uno di loro aveva cantato con estrema facilità, nel momento in cui gli era stata fatta la promessa che avrebbe avuto salva la vita, se solo si fosse deciso a riferire chi fosse stato a liberare i suoi compagni dalla Magione. Promessa che, neanche a dirlo, fu infranta nel momento in cui Konstantin Nysberg aveva avuto il piacere di estrapolare dalla sua bocca impastata, tutto ciò che riteneva di dover sapere. Il padre di Stafford poteva essere considerato il braccio destro di Etienne, per questo quando i coniugi Millan vennero a sapere di quanto gli era stato riferito, furono colpiti in pieno e con violenza da quella che, purtroppo ne erano consapevoli, non era che la verità.
Questo non vuol dire che Nadia ed Etienne non spesero il loro tempo per fare le dovute ricerche, sperando di poter smentire le parole di quello che forse aveva raccontato una bugia tanto grossa, nel tentativo di avere salva la vita. Perché Harry e Minerva Millan erano nomi grossi, nomi ingombranti, nomi che potevano esser fatti solo allo stremo delle forze.
Così passarono i mesi, durante i quali con estrema fatica Nadia ed Etienne tentarono di non mostrare alcun tipo di turbamento, benché l’impresa fosse fra le più ardue della loro esistenza. Come era possibile che i fiori del male crescessero proprio nel loro giardino?
Nadia cercava di non pensare alla possibilità che proprio i frutti del suo grembo remassero contro di lei, mentre Etienne lentamente si spegneva, perdendo quel sorriso che gli illuminava il viso ogni qualvolta aveva a che fare con sua figlia.
Quando appurarono che fosse vero, che i loro figli e i rispettivi coniugi tramavano ogni giorno da chissà quanto tempo contro il regime, fu come se un terremoto di violenza inaudita fosse giunto a mettere a dura prova le mura del loro nido.
 
10 Ottobre 2168
 
Ottobre aveva appena preso il posto del caldo Settembre, quando Nadia fronteggiò suo marito, pregandolo di ascoltarla. Quello che la donna disse, nulla aveva a che fare con ciò che una madre avrebbe pensato: in quel momento – Etienne lo percepì con disagio e per la prima volta paura-, era la Governatrice a parlare.
 
“Deve esserci un’altra soluzione. Deve!” Gridò l’uomo, alzandosi di scatto dalla poltrona del suo studio, per poi scatenare tutta la rabbia e la frustrazione accumulate con un colpo violento, sul pianale della scrivania. Come a beffeggiarlo, il ritratto incorniciato di sua figlia vibrò.
 
“Pensi non ci abbia pensato a lungo? Ma quelli non sono i nostri figli, Etienne. Non lo sono più! Loro non avrebbero mai fatto una cosa simile, mai e poi mai.”
 
Quella notte discussero a lungo, i coniugi Millan, tanto che le Sentinelle di guardia alla loro Residenza non videro spegnersi le luci all’interno prima dell’alba.
 
Il giorno seguente, Harry e Laurie vennero catturati mentre facevano un giro di ricognizione intorno alla Corte; il loro intento era quello di andare a trovare Jude, ormai quattordicenne, al campo di addestramento delle Sentinelle.
Enoch invece fu assalito a casa propria; le Sentinelle avevano bussato alla sua porta e lui non aveva fatto nemmeno in tempo ad intuire qualcosa, tanta era stata la velocità con cui lo avevano braccato e tramortito.
In quanto a Minerva, forse fu a lei che toccò la sorte peggiore.
La ragazza era arrivata da poco alla residenza dei suoi genitori e fu Nadia in persona ad aprirle la porta, per poi condurla nel proprio studio, dove trovò due Sentinelle ad attenderla. Le ultime parole che sua madre le rivolse, prima che le donne a suo servizio potessero portarla via, le raggelarono l’anima.
 
“Pagherai per aver ricambiato il mio amore con l’odio.”
 
La Corte
6:40 pm
 
“Stafford! Ehi Stafford, aspettami!”
 
A Stafford non era mai piaciuto particolarmente Micah; lo trovava un moccioso noioso e petulante, sempre incollato a Jude, ma interessante la metà rispetto al maggiore dei nipoti della Governatrice. Ma non poteva nemmeno permettersi di mostrare sempre fastidio nei suoi confronti; per questo si fermò quando sentì il suono della sua voce e, dopo un flebile sbuffo, si girò per puntare lo sguardo in quello di Micah.
 
“Scusami ma ho da fare. Mio padre vuole che vada ad assistere all’esecuzione che si sta per tenere e non posso dirgli di no, altrimenti rischio grosso.”
 
“Quale esecuzione?!” Chiese fortemente curioso Micah, che fu prontamente deluso da un’alzata di spalle di Stafford.
 
“Non lo so nemmeno io, ma so che si tiene in gran segreto e che saremo pochi ad assistere. Dice che vuole che assista a certe esecuzioni per capire quanto in pericolo si può trovare chiunque si trovi a disertare il Regime di tua nonna. Devono essere pezzi grossi… beh, ora torna a casa, o mi farai fare tardi.”
 
Stafford gli dette le spalle intenzionato a proseguire per la sua strada, ma Micah lo tallonò.
 
“Ti prego portami con te! Voglio poter assistere anche io, guardare negli occhi chi prova a mettersi contro i miei nonni!”
 
Staffy trovò esilarante quanto appena detto dal ragazzino, al punto di esibire una delle sue rarissime quanto fragorose risate.
 
“Ma se sei solo un moccioso! Non resisteresti un secondo a guardare una roba così!”
 
“Non è vero, lasciamelo dimostrare! Non mi avete accettato fra le matricole per diventare Sentinella, ma io voglio farti vedere che ho abbastanza stomaco per diventare uno di voi! Ti prometto che non mi farò vedere.”
 
“Non scherziamo.” Il tono di Stafford tornò a farsi serio “Rischi solo di mettermi nei guai.”
 
“Oh, io non sto affatto scherzando.” Così Micah sorrise, esponendo il vistoso spazio fra gli incisivi. “Mettiamola così, tu mi porterai con te e io non dirò ai miei nonni di quelle scommesse clandestine che fate ai Mercati; guarda che non sono mica scemo, ti ho sentito quando lo hai raccontato a Jude.”
 
Stafford provò l’istinto di prendere Micah per il collo della maglietta e sbatterlo con forza contro il muro, fino a frantumare ogni singolo ossicino di quel corpo rachitico che si ritrovava. Sapeva, però, che quella non sarebbe stata di certo la scelta migliore così, dopo dei primi attimi di esitazione, mugugnò la sua risposta.
 
“E va bene, ma ti infilerai dove ti dirò io e devi promettere che se mai ti dovessero scoprire, non ti azzarderai a fare il mio nome, chiaro?”
 
“Se faccio la spia, che io possa crepare!” (1)
 
 
 
La Corte
Magione di contenimento - 6:55 pm

 
 
Era la prima volta in tutta la sua vita che Micah metteva piede all’interno della Magione di contenimento, a lui ancora severamente vietato l’ingresso in quanto troppo piccolo. Jude, che invece ci era già stato, gliel’aveva descritta come niente di che, non fosse per il grande cortile interno costruito appositamente per le condanne a morte. Suo cugino rabbrividì quando gli descrisse l’ambiente, a sua detta lugubre e con il tanfo di morte sempre presente. Va da sé che Micah era estremamente curioso di visitarlo e non si sarebbe fatto scoprire per  nulla al mondo, altrimenti chissà quando avrebbe potuto farlo.
Così attese che Stafford distraesse suo padre all’ingresso e sgattaiolò velocemente all’interno, poi attese di essere raggiunto.
 
“Sali in cima a quelle scale, non dovrebbe esserci nessuno. In cima c’è una porticina e da quella stanza puoi affacciarti per vedere la condanna. Ricorda che se ti beccano non devi provare a fare il mio nome!”
 
Il martellante battito del cuore accompagnò i passi felpati del ragazzino, che fece esattamente come gli era stato detto da Stafford. Effettivamente in cima alle scale vi era una stanza polverosa, a cui Micah dedicò solo uno sguardo fugace; in un altro contesto si sarebbe di certo soffermato a ispezionare per bene l’ambiente, ma la curiosità nei confronti dell’esecuzione aveva vinto su quella per la stanza in cui si trovava così, estremamente cauto, fece capolino dalla finestra sperando di non essere visto.
Il tramonto, finalmente, segnò l’arrivo dei pochi presenti all’esecuzione, che rimasero in piedi davanti al patibolo sul quale erano stati preparati quattro cappi; Micah fremette, quando vide gli ultimi raggi del sole ricadere proprio su di essi, nell’immaginarsi con una punta d’orrore che tramite quelle sarebbero morte delle persone.
 
“Oh, eccoli.” Mormorò fra sé non appena vide entrare nel cortile i suoi nonni; era molto distante, eppure riuscì comunque a notare che i volti dei due erano tesi e pallidi come non mai. Non capì quale fosse la ragione, non subito, almeno, perciò non poté che rimanere in silenzio, nell’attesa che i condannati a morte fossero portati all’interno del cortile.
Quando quattro figure incappucciate e con le mani legate furono portate sul patibolo dai boia, d’istinto Micah ricercò con lo sguardo Stafford, in piedi a braccia conserte accanto a suo padre, poi tornò a concentrarsi sui nonni, nello specifico su Nadia, che aveva preso la parola. La voce arida, la gola secca.
Cosa stava succedendo?
 
“Non uso assistere alle esecuzioni, ma oggi Etienne ed io siamo qui per dimostrarvi quanto amiamo tutti voi. Credetemi… “Prese un momento di pausa prima di continuare “Quando vi dico che questo dolore non si cancellerà tanto facilmente.”
 
Nadia fece un cenno ai boia, che a quel punto sfilarono i cappucci dalle quattro teste dei condannati.
Micah perse un battito. Lui non era mai svenuto in tutta la sua vita, ma percepì i sensi venire meno, quando mise a fuoco il viso dei suoi genitori e dei suoi zii. Sua madre aveva gli occhi gonfi, come se avesse appena smesso di piangere, mentre suo padre la guardava silenzioso.
 
“Cosa succede… deve essere uno scherzo, quel bastardo di Stafford… è un’allucinazione.”
 
Micah strinse le mani attorno alla mostra della finestra, terrorizzato dall’idea di fare qualsiasi altra cosa; non riusciva a muoversi, percepiva le gambe come paralizzate e un ronzio affollò la testa di bambino.
 
“Oggi una parte di me morirà con loro.” Nadia allungò una mano ad indicare Minerva ed Harry. “Non credevo che sarebbe mai potuta accadere una cosa tanto crudele. A me, a noi.” Si corresse lanciando un’occhiata verso Etienne, che non ricambiò: con lo sguardo perso in un punto indefinito, il mago non dava segni di reattività.
 
“Eppure è accaduto. A noi che abbiamo donato ogni istante delle nostre vite affinché questo mondo potesse diventare migliore, per accogliere proprio loro, i nostri figli nel miglior modo possibile. Abbiamo lavorato per costruire loro qualcosa di meglio rispetto allo schifoso mondo che ci siamo ritrovati a vivere noi. E ditemi, qual è il risultato? Loro, proprio loro ci hanno accoltellati alle spalle, coloro per cui abbiamo dato tutto.”
 
Nadia camminò fino a posizionarsi davanti a Minerva ed Harry, centrali rispetto ai coniugi. Passò un minuto buono a fissare prima l’uno e poi l’altra, fin quando non fu Harry a proferire parola.
 
“Abbiamo combattuto la tua ingiustizia, le tue mostruosità. E sappi che lo rifaremmo per altre mille vite ancora se ci fosse possibile.”
 
Minerva intervenne e per un attimo Micah credette che lo sguardo della madre incrociasse il proprio. “Noi non siamo i vostri figli…” La donna ricercò Etienne con lo sguardo, ma quest’ultimo guardava ostinatamente in un’altra direzione; vedendo che da parte dell’uomo non avrebbe avuto riscontro, tornò a fissare Nadia “Abbiamo smesso di esserlo nel momento stesso in cui abbiamo capito che razza di mostri siete. Avidi, egoisti, crudeli.” Infine sua madre ricercò lo sguardo dello zio Harry e a lui dedicò un lieve sorriso “Nessun rimpianto, mai.”
 
Micah non fu più in grado di distinguere la realtà; fece in tempo ad apprendere vaghe parole di suo padre e di sua zia, poi, di nuovo, sua nonna si rivolse a loro con un tale disprezzo che stentò a riconoscerla. Infine Nadia ordinò loro di tacere per sempre.
 
“Procedete.” Disse secca ai boia, dando le spalle ai quattro condannati.
 
“No…no… no!” Le sillabe sgorgarono dalla bocca di Micah con rabbiosa violenza. L’ultima cosa che vide, il giovane Millan, furono gli occhi dei suoi genitori che guardarono in alto, alla ricerca di quella voce tanto familiare, quanto disperata. Infine le corde si strinsero intorno ai loro colli e per Micah, non fu altro che buio. Fagocitante, terrifico buio.
 
*
 
La Governatrice e il suo consorte passarono al setaccio ogni singola persona presente all’esecuzione, per capire come diavolo fosse stato possibile che un bambino – e non uno qualunque, proprio loro nipote- fosse riuscito ad entrare nella Magione di contenimento. La prima cosa che venne in mente loro, fu la mossa di qualche nemico, che aveva fatto in modo di rendere la situazione ancor più difficile da gestire. Fatto sta che non riuscirono ad avere alcuna risposta.
Stafford ovviamente tenne cucita la bocca, consapevole che se avesse detto al padre che era stato lui a far entrare Micah Millan nella Magione di contenimento, probabilmente sarebbe sopravvissuto a stento alle terribili punizioni corporali che avrebbe ricevuto.
Comunque, qualunque fosse stata la persona che aveva permesso che Micah assistesse alla condanna dei suoi genitori e zii, il danno era fatto. Appena avevano sentito le sue urla disperate, Etienne e Nadia avevano puntato l’attenzione sulla finestra dalla quale si era affacciato il nipote; fu Etienne a ritrovarsi in un batter d’occhio proprio lì, a prendere in braccio Micah che aveva perso i sensi, mentre i corpi dei suoi figli ancora oscillavano sulla forca.
Micah venne immediatamente portato a casa loro e lì venne trattenuto per giorni; intanto il loro piano doveva andare avanti, ragion per cui Jude era stato prelevato da un paio di Sentinelle che lo avevano condotto da Nadia in persona la quale, con occhi ancora spiritati per quanto successo, gli aveva detto che, purtroppo, i suoi genitori e quelli di suo cugino erano stati ritrovati senza vita poco fuori dalla Corte.
La reazione di Jude, nemmeno a dirlo, fu devastante; sebbene con una strana compostezza –quel ragazzo sembrava già adulto e a Nadia ricordò immediatamente suo figlio Harry-, Jude pianse senza riuscire a trattenersi e dopo pochi istanti il suo primo pensiero andò al cugino.
 
“Dove sta Micah?! Voglio andare da lui, voglio essere con lui quando glielo direte! Io non lo posso lasciare da solo, lui è fragile! Nonna… nonna…”
 
Così Nadia strinse le mani di suo nipote e trattenne il respiro; trovò, sebbene con grande fatica, il coraggio di guardare negli occhi quel ragazzo già tanto più alto di lei e dette voce alla messinscena che avevano concordato poco prima con suo marito.
 
“Tesoro ascolta… Micah purtroppo è già a conoscenza di quanto è successo. È sotto shock… temo che non sia possibile per te vederlo. Devi sapere che è capitata una cosa davvero orribile al nostro bambino.”
 
Così Nadia raccontò a Jude che era stato proprio il povero Micah a ritrovare i corpi esanimi dei loro genitori. Pare che il ragazzino fosse sgattaiolato di nuovo fuori dalle mura e si fosse imbattuto in quel terribile evento; probabilmente vittime di qualche facinoroso che aveva voluto dimostrare qualcosa al Regime, aveva concluso la donna. Jude associò i suoi occhi lucidi e il visibile stordimento, al tragico evento; del resto sua nonna aveva appena perso entrambi i suoi figli e il suo nipote minore era quello che li aveva ritrovati.
 
Durante i giorni seguenti Etienne, ancora sotto shock anche lui ma consapevole di dover procedere in tal senso, iniziò un difficile lavoro su Micah; il ragazzino si rifiutava di mangiare, gridava contro di lui e sua nonna, piangeva disperato e si tratteneva raramente dal farlo. Il mago si munì di pazienza e cominciò ad instillare nel nipote il falso ricordo che avrebbe portato avanti la loro tesi.
 
Ma vie, ora cerca di calmarti. Il nonno e la nonna non potrebbero mai aver fatto una cosa del genere a mamma e papà. Noi… noi li amavamo, li amavamo così tanto… “ riprese “No, purtroppo sta accadendo una cosa prevedibile: la tua mente ti sta tutelando, Micah. Avrai sentito qualche brutto racconto e ora ti stai convincendo di aver visto l’esecuzione dei tuoi genitori, ma non è così.”
 
Etienne spiegò a Micah che era stato lui stesso a ritrovare genitori e zii; cominciò a indurgli dei falsi ricorsi, descrivendogli come erano vestiti i genitori, specificando che Minerva ed Enoch si tenevano per mano. Gli faceva delle domande, come davvero non ti ricordi di essere passato dal cancello ovest? Ci hai portato tu lì, dietro a quel grande cespuglio di rovi. Tenta di ricordare, Micah. Provaci.
E il giorno successivo accade di nuovo, e quello dopo ancora, fin quando il falso ricordo non sostituì davvero quello vero, nella mente sovraccarica dell’undicenne.
Quando fu permesso a Jude di incontrare Micah, la prima cosa che fece fu di abbracciarlo con tutta la forza che aveva e Micah, anima distrutta, ricambiò fra i singhiozzi disperati. Raccontò a Jude cosa era successo, o almeno quello che credeva fosse realmente successo e Jude gli disse di non preoccuparsi, che non erano soli perché c’erano i loro nonni a prendersi cura di loro, ma specialmente c’erano l’uno per l’altro.
Da quel momento sarebbero stati sempre insieme e avrebbero affrontato il mondo fianco a fianco, come due veri fratelli.
 
*
 
 Aprile 2174
 
 
“E in quello lassù vedo un veliero. Immenso e pieno di vele!”
 
Alida guardava il cielo con una certa curiosità, con le mani allacciate sopra la pancia; quando Micah nominò quella parola, non riuscì a trattenere una risata.
 
“Ma quale veliero! Ma come ti è venuto in mente, poi!”
 
Il ragazzo sgranò gli occhi e roteò subitamente la testa in direzione dell’amica “Impossibile che tu non riesca a vederlo. Guarda poi, ha anche una sirena che spunta sulla prua!”
 
“Si certo, ci mancano le sirene. Stai studiando troppo ultimamente, dovresti prenderti una pausa.”
 
Il sorriso che si era formato con spontaneità sul viso scavato, morì con estrema rapidità. Con un sospiro e un colpo di reni, Micah sedette, per poi darsi un’altra spinta ed alzarsi in piedi. Alida rimase per qualche istante a guardarlo interdetta, prima di imitarlo nel gesto e posargli una mano sull’avambraccio. “Ehi, ho detto qualcosa di sbagliato?”
 
Micah scosse il capo e tentò di sorridere di  nuovo “Macché, solo che purtroppo devo tornare a studiare davvero, o mia nonna si farà venire una sincope se non mi vede.” A quel punto il ragazzo allungò il braccio per cingere le spalle di Alida “E devi rientrare anche tu, se non vuoi finire nei guai.”
 
La giovane strega annuì, sospirando a sua volta prima di compiere un pezzo di strada con Micah. A pensare alla vita di lui, provava sempre una stretta allo stomaco; nonostante la sua esistenza fosse totalmente devoluta in favore della Governatrice, le veniva naturale provare pena per il suo amico, che era costretto a seguire le orme di Nadia senza volerlo. Micah, lei lo sapeva bene, avrebbe sempre voluto diventare una Sentinella come Jude, ma questo non gli era mai stato concesso. Doveva invece studiare, apprendere la magia, diventare un grande stratega, visto e considerato che un giorno sarebbe diventato Governatore della Corte e di conseguenza del mondo tutto. Che pensiero spaventoso.
Micah, invece, non era attratto dal potere. Aveva sempre pensato che Jude sarebbe stato molto più capace di lui, in una posizione di comando. E non troppo ironicamente, spesso aveva detto al cugino che ci doveva pur essere un motivo se era nato con un potere del genere, capace di piegare alle proprie volontà qualsiasi essere vivente al mondo.
 
Invece Jude era diventato una Sentinella e senza alcun tipo di stupore da parte di nessuno, una delle più capaci. Aveva solo vent’anni, ma fra le mani stringeva un potenziale esplosivo. Questo, però, lo stava rendendo sempre più solo e Micah ne soffriva molto, perché sapeva quanto Jude fosse meritevole di rispetto, stima, ma specialmente amore. Jude era un ragazzo capace anche senza quel suo strabiliante potere, ma quasi nessuno sembrava capirlo, in primis i loro nonni che spesso e volentieri lo trattavano più come un fenomeno da baraccone, che come il loro nipote, bravo e lodevole.
Fortuna, pensò Micah in quel momento mentre ancora stringeva il braccio sulle spalle di Alida –erano sufficientemente lontani dal centro abitato della Corte quindi poteva permettersi quel contatto intimo-, Jude aveva accanto persone come quella testolina bionda che era al suo fianco; poi c’erano Andra e Stafford, quest’ultimo che dimostrava di tenere davvero alla sua formazione. E anche se non ci fosse stato nessuno di loro, Jude poteva comunque contare su di lui, che mai e poi mai lo avrebbe abbandonato e che avrebbe continuato a ripetergli quanto fosse speciale per tutto il resto della loro vita.
 
“Sento i pensieri sfrecciare nella tua testa, Sonne.”
 
Micah sfoderò un mite sorriso e arrestò il passo. Non si era reso conto che a forza di camminare, erano giunti ai margini del lago, sulla sponda opposta a quella che ospitava un grande cottage di legno. E proprio sulla struttura finì lo sguardo chiaro del ragazzo, che allungò un braccio per indicarlo.
 
“Quello lì è un posto speciale. I miei nonni lo avevano fatto costruire per loro, ma poi hanno preferito un posto meno soggetto all’umidità, per costruire casa loro. Però io e Jude la adoriamo e presto ci andremo a vivere noi.”
 
La ragazza osservò il cottage, poi annuì. “Ci sono passata molte volte davanti e mi sono sempre chiesta perché non fosse abitato. Strano, non mi è mai passato per la mente di chiedere a te o a Jude.” Alida prese una pausa, infine spostò l’attenzione su di Micah, andando a ricercare il suo sguardo.
 
“Siete molto fortunati, anche a me piacerebbe vivere in un posto così, sai?”
 
“Beh, ma tu sarai sempre la benvenuta quando ci trasferiremo lì. Sono sicuro che anche Jude sarà contento di avere la tua fastidiosissima presenza in mezzo ai piedi.”
 
“Ehi! Io non sono fastidiosa!”
 
“Possiamo anche negare la realtà se la cosa può in qualche modo confortarti.”
 
Micah schivò il pugno che Alida aveva tutta l’intenzione di indirizzare alla sua spalla destra, così prese a correre, ma non al massimo della velocità, consapevole di avere le gambe ben più lunghe di quelle di lei.
Che poi a dirla tutta, non aveva nessuna intenzione di non farsi prendere.
 
 
Ottobre 2177
 
Se Jude avesse saputo che stava portando avanti una comunicazione epistolare con una ladra di bacchette, sarebbe rimasto scioccato, senza ombra di dubbio. Il fatto è che da quando Juliette –così si chiamava- lo aveva salvato, qualcosa nella sua testa aveva cominciato a cambiare. Stafford era sempre stato fedele al Regime di Nadia, anche se più per l’educazione impartitagli dal padre che per un reale moto spontaneo; fatto sta che a ventotto anni stava mettendo in dubbio tutto: dalla sua educazione, per l’appunto, alla sua intera vita come Sentinella e tutor di Jude.
Era ormai giunto alla conclusione, Stafford, che anche se non era affatto convinto che i Ladri di bacchette agissero per il meglio, comunque il sistema che la Governatrice Nadia aveva messo in piedi, fosse malfunzionante in alcuni ma fondamentali meccanismi. Questo a prescindere di cosa pensasse delle Sentinelle e della tipologia di addestramento che si trovavano ad affrontare, perché in fondo quello in cui vivevano era un mondo crudele e spietato, e altrettanto spietata doveva dunque essere la preparazione per la sopravvivenza.
Così, che fosse colpa o merito di Juliette non aveva la capacità di comprenderlo, arrivò il giorno in cui Stafford Rowley-Nysberg decise di abbandonare la Corte e con essa la sua intera vita.
 
Ma prima di fuggire, Stafford si sentì in dovere di liberare quel segreto che aveva trascinato con sé per dieci lunghi anni; in fondo sebbene non fosse il più grande fan di Micah Miller e preferendo di gran lunga Jude a lui, sapeva bene quanto quell’evento traumatico –rimosso e modificato- avesse in qualche modo cambiato la sua vita. Stafford riteneva inoltre che a vent’anni, una volta saputa la verità sulla fine di genitori e zii, Micah avrebbe davvero potuto scegliere la via migliore per sé.
E va aggiunto, evento di non poca rilevanza, che una parte di lui si sentiva incredibilmente in colpa per quanto successo, perché se non fosse stato per lui, Micah Millan non avrebbe mai assistito alla condanna a morte di Minerva ed Enoch –condanna al tempo ritenuta da lui anche giusta, ma che con il passare degli anni Stafford aveva in qualche modo rivalutato-.
Quindi, in un ultimo quanto eroico gesto prima di darsi alla fuga, Stafford aveva dato appuntamento a Micah, raccomandandosi di raggiungerlo da solo, cosa che il ragazzo fece.
 
Quando Micah arrivò ai confini della zona paludosa delle Terre di Nessuno, trovò Stafford con una sacca sulla mano destra, che lo attendeva con aria rilassata; era il crepuscolo, il che lasciò intendere al più giovane che ci fosse qualcosa di molto strano nell’atteggiamento del maggiore.
 
“Stai partendo per qualche missione?” Chiese retoricamente Micah, che non si stupì affatto quando l’altro gli rispose che, in verità, stava per lasciare per sempre la Corte.
 
“Prima di farlo, credo di doverti qualcosa. È probabile che non mi crederai e che delicato come sei, potresti non reggere a una simile notizia.”
 
Non ci furono parole più o meno adatte per rivelare a Micah la verità sulla morte dei suoi genitori, o almeno Stafford non ne aveva trovate. Inizialmente il nipote della Governatrice sfoderò una bella risata, chiedendogli che razza di scherzo fosse mai quello, ma contestualmente alla serietà del suo volto, rammentò quanto Staffy non fosse affatto una persona di spirito.
 
“Mi stai dicendo che quello che ricordo sulla morte dei miei genitori è una menzogna? No, non è possibile.” Ancora una risata, ma questa volta decisamente più flebile e meno convinta della precedente “Fidati, ricordo perfettamente i corpi dei miei genitori accanto a quelli dei miei zii; è un’immagine che non mi toglierò mai più dalla mente.”
 
Stafford a quel punto scosse vigorosamente il capo “Io c’ero quel giorno. Sono stato io a farti entrare nella Magione di contenimento, è per colpa mia che hai visto i tuoi nonni condannare a morte tuo padre e tua madre.”
 
A quel punto il buio stava fagocitando l’intera area, così Stafford affermò che il suo tempo fosse scaduto.
 
“Se ancora non ci credi, puoi sempre andare a leggere il libro su cui vengono segnate tutte le condanne a morte avvenute nella Corte. Lo puoi trovare proprio nella Magione di contenimento, ormai sei grande abbastanza per andarci da solo.”
 
Micah si rifiutò ancora di credere a quanto gli aveva appena riferito Stafford, sebbene l’idea di andare a controllare il registro gli stuzzicasse la mente. Stafford, di suo, alzò le spalle con stentata rassegnazione. “Io ti ho avvisato, ora la mia coscienza è libera. Fai pure ciò che ritieni più giusto per te, ma se vuoi accettare un ultimo consiglio da parte mia, smetterei di fidarmi tanto ciecamente dei tuoi nonni. Mettili in discussione, fallo per Jude.”
 
Un rapido cenno della mano, così Stafford scomparve nell’oscurità delle Terre di Nessuno, mentre Micah ne seguiva la figura con lo sguardo chiaro, fin quando questa non venne assorbita dal nero più profondo.
Tornando a casa fu impossibile frenare i pensieri e dopo aver passato le prime ore della notte a tentare di prendere sonno, decise che lo avrebbe fatto: il giorno a seguire avrebbe trovato il modo di accedere a quel registro e solo con quel pensiero, finalmente il ragazzo riuscì a prendere sonno.
 
La mattina aseguente Micah non esitò a recarsi alla Magione di contenimento, con l’intenzione di recuperare quel maledetto registro di cui Stafford gli aveva parlato. Non gli fu difficile intortare la Sentinella a guarda della piccola biblioteca presente all’interno dell’edificio, d’altronde lui era il nipote di Nadia e colui che avrebbe preso il suo posto come Governatore; in tal senso, Micah aveva carta bianca e si spostava sempre con grande libertà all’interno della Corte.
Riuscì a recuperare il registro, che sfogliò con estremo coraggio solo una volta trovatosi nella solitudine della piccola radura adiacente al cottage che sarebbe diventato presto casa sua. Tornò indietro, fino al dieci ottobre del 2168, lo fece con estrema fatica, mentre percepiva il palato farsi arido e la sudorazione aumentale, assieme al ritmo cardiaco. Infine quando il suo sguardo ricadde sulla pagina, sentì il cuore saltare un battito.
Nessun nome era presente alla data della scomparsa dei suoi genitori. Allora che cosa era successo? Perché Stafford gli aveva raccontato che le cose fossero andate diversamente? Era un modo sadico per applicare una vendetta per sua nonna, forse? 
“Non capisco…è tutta una bugia forse, come è possibile…”
 
Micah lasciò che il registro gli scivolasse dalle mani e rimase così, col respiro sospeso e la brutalità della realtà a prenderlo a pugni. Eppure lui ricordava il corpo dei suoi genitori. Erano lì, a terra, legati e freddi proprio come i suoi zii. Ricordava gli occhi scuri di suo padre Enoch, così come quelli vitrei di suo zio Harry.
E quelli di sua madre, così… vivi.
No, i ricordi non tornarono alla mente con velocità, ma con minuscoli passi. Micah si sforzò di ricordare, di ritornare a quel giorno in cui aveva incontrato Stafford, in cui voleva seguirlo. Ma Stafford gli aveva detto di no, e allora lui che aveva fatto?
E poi, d’improvviso, l’immagine dei corpi dei quattro che si faceva sempre più sbiadita, sempre più difettosa.
Tornò ancora indietro: era uscito di casa, aveva incontrato Stafford, lui gli aveva detto che stava per andare a un’esecuzione importante, non lo voleva con sé. Ancora il vuoto, di nuovo i corpi dei suoi genitori.
Di nuovo indietro: incontrò Stafford, lui stava andando ad assistere ad un’esecuzione, era suo padre che lo voleva. Non sapeva chi stesse per morire.
 
Portami con te!
Non se ne parla, mi metterai nei guai!
 
Ma ecco, l’immagine di una forca, quattro cappi, poi di nuovo l’immagine dei suoi genitori e dei suoi zii. Ma questa volta erano in piedi, vivi.
Sentiva come se la testa stesse per scoppiare da un momento all’altro, ma non poteva permettersi di fermarsi proprio in quel momento, quando qualcosa si stava smuovendo.
 
Jude cercò suo cugino in lungo e in largo. Aveva dato ordine a chiunque di interrompere quel che stavano facendo, per poterlo trovare. Ci mancava solo Micah, aveva pensato Jude indispettito, anche se una parte di lui era seriamente preoccupata per il cugino, che era scomparso da ormai un giorno intero. Il giorno precedente avevano lanciato l’allarme per la scomparsa di Stafford, che chissà che fine aveva fatto.
Quando Jude lo ritrovò, Micah era seduto davanti la porta di quel cottage, semi nascosto dal buio della notte. Se ne stava immobile, con lo sguardo perso a contare le fessure nascoste fra il legno degli scalini su cui era seduto.
 
“Micah, ehi Micah, che è successo?”
 
Jude sedette accanto al cugino, per poi cingergli le spalle con un braccio; era gelido, chissà da quanto tempo si trovava lì, in quella condizione. Inizialmente Micah non reagì; si limitò a chiedere a Jude di mandare via le Sentinelle lì presenti e solo una volta rimasti soli, allora Micah incastrò gli occhi glaciali in quelli del cugino.
 
“Devo dirti una cosa, ma i nonni non devono sospettare di nulla, o per me è la fine.”
 
*

 
“I ricordi sono ancora confusi, ma credo… credo che le cose siano andate così.” Poi le parole gli morirono in gola e un singhiozzo ininterrotto schizzò dalla bocca; Jude, dal canto suo, era raggelato. L’unica cosa che il ragazzo fu in grado di fare, si concretizzò con un abbraccio intenso; nell’immediato l’idea di quello che Micah aveva potuto subire e che quel ricordo –seppur sottotraccia- aveva potuto provocare in lui, lo faceva sentire male. Jude non era diventato una persona in grado di provare affetto per molte persone, ma il suo amore nei confronti del cugino non era mai stato messo in discussione e mai come con Micah sentiva di provare quei livelli di empatia.
Lo teneva stretto e carezzava la sua nuca di capelli scuri, perché nient’altro era in grado di fare, perché troppi orribili pensieri stavano occupando la sua testa.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Aveva appena scoperto che le persone che avevano cresciuto lui e suo cugino, erano i fautori della morte dei genitori. Mani macchiate di sangue, quelle di Etienne e Nadia, per giunta il sangue dei loro stessi figli; che cosa sarebbe successo se avessero scoperto che Micah aveva recuperato i ricordi?
Jude aveva bisogno di pensare: in quel momento non gli era possibile abbandonarsi al dolore e alla rabbia; i suoi nonni erano potenti e dalla loro avevano un intero popolo, pronto a scagliarsi contro di loro che, con ogni probabilità, avrebbero fatto la stessa fine dei loro genitori.
E se quello era un destino che, tutto sommato, poteva accettare per se stesso, mai la stessa cosa poteva valere per Micah. Aveva solo vent’anni, aveva passato nove anni della sua vita a sentire sulla schiena una responsabilità che non voleva, con un ricordo atroce tanto quello reale a corrodergli la testa; ora era giunto il momento che Jude facesse qualcosa per lui. Doveva comportarsi da fratello maggiore, dandogli la possibilità di fuggire dalla Corte.
E Jude sapeva bene che per fare in modo che quello accadesse, per dargli il tempo sufficiente per salvarsi, avrebbe dovuto sacrificarsi lui; insomma, i suoi nonni dovevano concentrarsi su Jude, di modo che Micah potesse allontanarsi senza essere seguito nell’imminente.
 
“Ehi, stammi a sentire. Ora smetti di piangere, ci penserò io.”
 
Micah riuscì a trattenere a stento quel pianto a dirotto e tentò di capire che cosa Jude avesse in mente di fare, ma quest’ultimo gli disse solo che doveva prima di tutto calmarsi, perché Nadia ed Etienne non dovevano sospettare nulla. Avrebbero fatto ritorno a casa e lui avrebbe dovuto prepararsi per lasciare la Corte.
 
“Ma tu verrai con me, non è vero?”
 
“Certo che verrò con te. Fidati di me.”
 
*
 
Ai coniugi Millan dissero che Micah doveva avere incontrato qualche strano animale fantastico che lo aveva confuso; Jude asserì che proprio un paio di giorni prima era stata avvistata uno stormo di creature volatili aggirarsi intorno alla zona sud della Corte e che più di una Sentinella ne era rimasta stordita. Così spiegarono lo strano –quasi catatonico- comportamento del ragazzo, che passò i successivi due giorni barricato in camera, uscendo solo di tanto in tanto per mangiare qualcosa.
Intanto Jude si stava preparando per affrontare suo nonno; non poteva, infatti, parlare anche con Nadia, perché era consapevole che insieme i due lo avrebbero messo velocemente all’angolo.
Quel che fece, fu tentare di rimanere il più sereno possibile, almeno all’apparenza e attendere qualche giorno prima di recarsi da Etienne, il tempo almeno di dare la possibilità a Micah di prepararsi per allontanarsi dalla Corte.
 
“Posso entrare?”(2)
 
Etienne, sguardo chino su un qualche strano intruglio, fece cenno a Jude di farsi avanti, così il ragazzo attese che il nonno gli prestasse attenzione. Etienne alzò infine lo sguardo preparando un largo sorriso in favore di Jude, ma nell’istante stesso in cui incrociò il suo sguardo, il sorriso morì con velocità.
 
“Non ti vedo bene, è successo qualcosa?” Preoccupato, Etienne chiese al nipote di sedersi. Jude trasse un profondo respiro, si assicurò che al di fuori del laboratorio di Etienne non girovagasse nessuno, infine si decise a parlare.
 
“So cosa è successo davvero a papà, mamma e agli zii.”
 
La schiettezza del nipote arrivò violenta al suo animo e per Etienne non fu affatto difficile associare l’immagine di Jude a quella di Harry.
L’unica cosa che contemplò di fare, fu di mentire spudoratamente; era ciò che Etienne aveva fatto con Jude e Micah per nove anni, non avrebbe di certo smesso in quel momento.
 
“Scusami Jude, non ti seguo.”
 
“Prevedibile.” Soffiò il ragazzo, che accompagnò quella secca parola con un sorriso tetro “Ma vedi nonno, non ho voglia di iniziare questo gioco puerile in cui io ti racconto dei fatti e tu menti, e io insisto, e tu menti di nuovo… che ne dici se saltiamo quella parte?”
 
“Ti vedo molto scosso, spiegami che cosa è successo e farò in modo di aiutarti come posso.”
 
“L’unico modo in cui puoi darmi una mano, è non prendermi in giro. Qualsiasi altra cosa puoi anche lasciarla perdere. “
 
Etienne pensò con rapidità; per deduzione giunse alla conclusione che sarebbe stato meglio far parlare Jude, perché se non aveva idea di ciò che veramente sapeva, non avrebbe potuto smentire sensatamente. Così lo fece parlare e dovette trattenersi dal mostrarsi sconvolto, quando Jude gli raccontò per filo e per segno del giorno dell’esecuzione dei suoi ragazzi.
 
“E non chiedermi chi me lo ha detto, ti basti sapere che è una fonte sicura.”
 
Per un qualche miracolo ad Etienne non venne in mente Micah, piuttosto fece un’associazione semplice, quanto perfettamente funzionate, il giorno dell’esecuzione era presente anche il giovane Stafford Rowley-Nysberg che, casualmente, era sparito da qualche giorno dalla Corte. Era possibile che fosse stato proprio lui a rivelare a Jude cosa fosse realmente successo quel giorno? Etienne poteva praticamente metterci la mano sul fuoco.
 
“Jude, per piace… ascoltami.”
 
“No, nonno, sarai tu ad ascoltare me.”
 
Jude spiegò ad Etienne che non aveva la minima intenzione di lasciare Micah in balia dei loro deliri di onnipotenza; se fino a quel momento il minore dei cugini era stato l’ombra di Nadia e aveva seguito pedissequamente le sue regole, affinché lei potesse plasmarlo a suo piacimento, le cose sarebbe presto cambiate.
 
“Micah non è un giocattolo, una marionetta da piegare e gestire come più vi fa comodo. Micah è vostro nipote, che ha sofferto più di tutti noi e che andava solo protetto, invece voi l’avete solo sfruttato.”
 
Jude percepì la rabbia montargli dentro. Fino a quel momento quel sentimento non l’aveva mai fatta da padrone nella sua persona; eppure quella cresceva sempre più e il pericolo d’esplosione era imminente. Etienne dovette accorgersi di questo cambio repentino del nipote e tentò di bloccarlo, ma Jude non volle sentire ragioni: continuò a parlare obbligando il nonno a tacere.
 
“Non hai diritto di proferire una sola altra parola. Tu hai fatto uccidere i miei genitori, i tuoi figli, sei… sei mostruoso. Entrambi lo siete.”
 
Mantenere la calma in quel contesto non era affatto facile. Etienne aveva tentato di sotterrare quel ricordo per anni, perché non c’era giorno in cui una parte di lui non sentiva di essersi pentito di ciò che aveva fatto, nonostante i suoi figli avessero agito contro di lui e contro Nadia, l’amore della sua vita.
Per questo ascoltare le parole di Jude era doloroso, estremamente difficile, quasi impossibile invero.
 
“Quel che farò sarà andare da Micah, parlargli di quello che ho scoperto e poi lo farò allontanare dalla Corte, tanto sono sicuro starà meglio nelle Terre di Nessuno che fra le mura della vostra prigione. Dopodiché mi occuperò di voi; so bene che non posso fare davvero qualcosa per ostacolarvi, ma ho quantomeno bisogno di tutelare lui, che non si merita tutto questo.”
 
Aveva fatto intendere a suo nonno che Micah fosse all’oscuro di tutto, era stata la cosa migliore da fare. A quel punto Jude allungò una mano per afferrare la propria bacchetta all’interno della giacca del suo completo.
 
“Era solo un bambino.” Mormorò disgustato, ma prima che lui stesso potesse essere in grado di compiere qualsiasi magia, Etienne sfoderò il proprio legno, lo puntò contro Jude e lo immobilizzò con un incarceramus.
 
Agitarsi fu totalmente inutile da parte sua. Etienne osservava affranto il corpo di suo nipote tentare di dimenarsi, mentre lui pensava alla cosa migliore da fare. Poteva usare l’incantesimo di obliviazione, ma lo aveva escluso con Micah al tempo, ritenendolo pericolosamente reversibile, sarebbe stato sciocco utilizzarlo in quel momento con Jude.
Allora passò lo sguardo sulla grande vetrina contenete le sue pozioni, fin quando lo sguardo non ricadde su una boccetta di vetro blu.
La afferrò e mentre la rigirava fra le dita, pensò che fosse la cosa migliore da fare con suo nipote; a quel punto Etienne piroettò su se stesso e si avvicinò cautamente a Jude, che manteneva su di lui gli occhi sbarrati.
 
“Questa è una pozione contenente veleno di Swooping Evil(3). Ti cancellerà i ricordi negativi e sarà come se tutto questo non fosse mai successo. Tu padre e tua madre, i tuoi zii… loro morirono per mano di alcuni nostri nemici e fu tuo cugino a trovarli, ma è stato tanto tempo fa. Non crederai a nessuno che ti dirà il contrario, hai capito Jude?”
 
Jude tentò di combattere fino al momento in cui Etienne non spinse la fiala della pozione nella sua bocca, costringendolo a berne il contenuto. Per quanto frustrante potesse essere, il ragazzo abbandonò i reali ricordi con una speranza, seppur minima. Perché sapeva che Micah si stesse preparando per andarsene e lui stesso lo aveva tutelato, non rivelando ad Etienne che era stato proprio suo cugino a ricordare quanto successo quel dieci ottobre di nove anni prima.
 
Imperius.”
 
Etienne concluse la sua opera con quella che un tempo veniva definita maledizione senza perdono.
 
“Ti recherai da chiunque ti ha rivelato le falsità riguardante la morte dei tuoi genitori e difenderai me e tua nonna ad ogni costo. Hai capito?”
 
“Ho capito.” Si trovò a ripetere Jude contro la sua volontà, poi abbandonò lo studio di Etienne, lasciando l’uomo a fare i conti con un passato che era tornato a bussare alla porta con prepotenza.
 
*
 
Oramai Micah aveva pronta ogni cosa gli sarebbe stata utile per scappare dalla Corte; aveva messo in uno zaino lo stretto indispensabile per sopravvivere fino ai Mercati più vicini, poi aveva preso con sé il diario di suo padre, un ritratto di sua madre e un amuleto che gli aveva fatto Alida e che, a detta della ragazza, sarebbe stato utile a tenerlo lontano da ogni guaio –sempre che l’avesse portato con sé giorno e notte-. Ovviamente custodiva la sua bacchetta nella tasca interna della giaccia e si era premurato di rubarne anche un’altra dallo studio di sua nonna, assieme a un paio di pistole sufficientemente leggere e maneggevoli.
Ormai non gli restava che attendere Jude, che gli aveva detto di aspettarlo al loro posto segreto –quel lato del lago che nessuno frequentava-, così Micah obbedì. Finalmente Jude arrivò all’appuntamento, proprio quando Micah stava per perdere la lucidità e cedere all’impazienza.
 
“Finalmente sei arrivato! Allora come è andata?”
 
Qualcosa nello sguardo di Jude non gli quadrò. Il cugino sembrava assente, come se non fosse davvero presente a se stesso. Micah fu costretto a ripetere la domanda per una seconda volta, prima che il maggiore dei cugini gli rispondesse.
 
Umh? Andata cosa?”
 
“Devi essere te a dirmelo.” Rispose Micah, che prese a grattarsi meccanicamente un gomito, investito d’improvviso da uno sgradevole senso di disagio.
 
“Non capisco a cosa ti riferisci.”
 
“Beh ecco… dovevi parlare con lui, no? Con il non…con Etienne di quanto successo. Jude, ma si può sapere che hai?”
 
Jude alzò la destra e andrò a stringe l’incipit del naso, come se un forte mal di testa fosse giunto all’improvviso.
 
“Non ho niente, però non so di cosa parli e ho molto da fare, si…”
 
“Ma cosa stai dicendo!” Micah si posizionò davanti al cugino che conseguentemente afferrò per le spalle “Dovevi parlargli della morte dei nostri genitori, della condanna a morte che gli è toccata per mano loro! Ora ti è più chiaro?” Micah assottigliò lo sguardo e si ritrovò a pensare che ci fosse qualcosa di davvero ambiguo nello sguardo pallido di Jude. Quando quest’ultimo ascoltò il racconto di Micah, lo allontanò con un gesto brusco, tale da prendere il cugino in contro piede.
 
“Ma che cazzo vai dicendo, eh? Possibile mai che tu dia retta ai discorsi di uno come Stafford?”
 
“Jude… Stafford è il tuo mentore.”
 
“Ed è un maledetto disertore!” Gridò a quel punto il maggiore “Ti sei reso conto che è scappato qualche giorno fa? Probabilmente ti ha raccontato queste stronzate per metterci contro i nonni, per fare in modo di creare qualche grosso casino all’interno della nostra famiglia! Possibile che tu sia così ingenuo?”
 
A Micah cominciava ad essere chiaro che fosse successo qualcosa a suo cugino, che stava avendo in quel momento una reazione non solo sconsiderata, ma anche totalmente opposta a quella avuta fino a qualche ora fa. Jude sembrava cambiato, diverso, come se anche a lui fossero stati modificati i ricordi. Ma se questo era possibile con un ragazzino fragile come lo era stato lui, traumatizzato da un evento aberrante come quello al quale aveva assistito, la stessa cosa non sarebbe stata possibile con un adulto; Jude aveva ventitré  anni, non si sarebbe mai fatto manipolare da Etienne, a meno che… quello non avesse usato la magia su di lui.
Allora Micah tentò una nuova forma di dialogo con Jude, ripercorrendo quanto successo solo qualche giorno prima e dicendogli quanto fosse stato strano che sul registro della Magione di contenimento, la pagina dedicata al dieci ottobre del 2168 fosse rimasta immacolata, non registrando nemmeno un’entrata o un’uscita.
Questo purtroppo non fece che scatenare una rabbia profonda in Jude, che aggredì Micah con violenza, arrivando a spintonarlo.
 
“Tu sei un vero idiota! Non capisco come sia possibile che nostra nonna voglia affidare a te il Governo della Corte; sei così stupido e ingenuo che finirai per farci saltare in aria!”
 
“Ti prego Jude, non sei in te…” Micah tentò di allungare una mano per afferrare con conforto il braccio del cugino, ma Jude non glielo permise. Quel che fece invece fu tirarsi indietro ed estrarre la pistola dalla fondina, per poi puntargliela contro.
 
“Oh, io sono lucidissimo, ma sono stufo di doverti stare dietro. Dovrei essere io il tuo braccio destro? Davvero? Tu che vai in giro a raccontare queste cose sulla nostra famiglia, dovresti sostituire la nonna? Sai che c’è Micah… faresti un favore a tutti se sparissi dalla circolazione. Mi eviteresti l’imbarazzo di portarti dai nonni e dare loro spiegazioni su questa cosa.”
 
“Senti Jude, prendiamoci tempo. Dammi solo il modo di capire che cosa ti hanno fatto, perché è chiaro che qualcosa deve essere accaduto poco fa.”
 
La risposta di Jude, per volere della maledizione Imperius, fu quella di caricare il grilletto della pistola. A quel punto Micah si paralizzò; si rese conto che non solo non avrebbe potuto fare nulla per il cugino, ma che se avesse continuato ad insistere ci avrebbe rimesso la vita e Jude non si sarebbe mai perdonato di averlo ucciso, sebbene probabilmente contro la propria volontà. Alzò quindi le mani e fece qualche passo indietro.
 
“Va bene Jude, ritiro tutto quello che ho detto. Ho sbagliato, non è successo niente, Stafford mi ha sicuramente raccontato delle cazzate…”
 
“Vattene.” Lo intimò Jude. I due cugini rimasero a fissarsi per qualche istante, fin quando Micah percepì di non poter più rimanere lì. Si abbassò lentamente per raccogliere il suo zaino da terra, poi scappò quanto più velocemente gli fosse concesso. Jude rimase fermo nella sua posizione, l’unica cosa che fece fu tenere sotto tiro il cugino, che nel giro di poco scomparve nel fitto bosco che conduceva alle sponde del lago. Infine, come se nulla fosse accaduto, Jude abbassò la pistola e tornò alla Residenza dei suoi nonni con estrema calma. Presto l’effetto della maledizione Imperius sarebbe scomparso e lui non avrebbe ricordato molto di quel suo ultimo incontro con Micah, se non un confusionario botta e risposta. Ciò che invece gli sarebbe rimasto in presso nella mente sarebbe stato che Micah, l’essere umano a cui teneva di più al mondo, si era dato alla fuga dopo aver ascoltato i racconti deliranti di un disertore come Stafford, che probabilmente covava nell’ombra di Nadia da chissà quanto tempo.
E lui sarebbe rimasto solo, senza la guida di quello che riteneva essere il suo mentore, né delle parole di addio da parte di Micah, il quale con gesto codardo avrebbe preferito il nulla delle Terre di Nessuno, alla loro famiglia.
La sua scomparsa avrebbe segnato un solco profondo nell’animo di Jude, che difficilmente sarebbe stato in grado di ricucine e con quello un senso profondo di biasimo verso se stesso, inconsapevole che se lui stesso non si fosse sacrificato, Micah avrebbe perso certamente la vita come era accaduto ai suoi genitori.
O peggio ancora, sarebbe finito alla mercé totale di Nadia, in una condizione ancora peggiore di quella di Alida.
Ma no, tutto questo Jude Millan non poteva saperlo e da quel momento sarebbero rimasti solo astio, rancore e dolore a colmargli l’animo.
E solitudine, implacabile e amara, senza la presenza di Micah nella sua vita.
 

 
(1) Credo l’abbiate riconosciuto tutti, comunque è il giuramento dei piccini del cartone Disney di Robin Hood.
 
(2) In qualche modo si ripete la scena che vide protagonisti, tanti anni prima, Harry e Nadia.
 
(3) Lo Swooping Evil è una creatura fantastica che, a quanto ho capito, appare anche nell’ultimo film della saga di Animali fantastici.
 
Credo di non avere più parole da usare, dopo aver sfornato questo lungo e faticoso capitolo. Mi scuso per il clamoroso ritardo, eppure mi sento di giustificarmi dicendovi che per scrivere questo capitolo qui avevo bisogno di qualche giorno di tranquillità e solitudine, cosa che finalmente ho ottenuto dopo tanto tempo.
In realtà non ho molto da dire e preferirei passare la parola a voi, per sapere cosa pensate della storia della famiglia Millan visto e considerato che, finalmente, è chiaro perché i cugini abbiano preso strade tanto diverse.
Però ci tengo a precisare un paio di cose prima di concludere le note. In primis è la faccenda dei ricordi modificati di Micah; so che può sembrare una forzatura, ma purtroppo non lo è e accade molto più spesso di quanto uno possa immaginare. Nello specifico l’idea mi è venuta in mente ascoltando il podcast sui Diavoli della Bassa, un caso di cronaca davvero terribile che vi invito a recuperare (dal podcast hanno fatto anche una serie Netflix) Sia il podcast che la serie si chiamano “Veleno”.
 
E poi un’altra cosina riguarda Jude. Eccolo qui, il vero Jude, il mio tesoro grande: coraggioso, altruista, capace di provare tutto quell’amore per suo cugino. Sono davvero felice che finalmente abbiate avuto la possibilità di scoprirlo nella sua interezza.
Così come sono altrettanto felice che abbiate conosciuto la storia di Micah, che davvero ha subito il gesto più malvagio che Nadia potesse mai compiere e nonostante tutto è ancora in piedi; certo, emotivamente mezzo rotto, ma ancora funzionante. Lo so, mi maledico da sola per aver fatto questo al mio Micah, che proprio non se lo meritava.
E niente, ricordatevi che Jude e Micah si sono voluti tanto, tantissimo bene.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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