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Autore: Marti Lestrange    27/09/2022    2 recensioni
[ Dall'atto I: "Era cattiva, Walburga Black, e forse è proprio la sua cattiveria ad averla tenuta viva negli ultimi mesi, quando la malattia se la voleva portare via ma lei si aggrappava al suo letto con tenacia e perseveranza. Mi sono chiesta che cosa accendesse quella cattiveria, che cosa l’alimentasse persino quando non c’era più nulla, intorno a lei e dentro di lei, al quale attingere." ]
— mini-long in cinque capitoli partecipante all’iniziativa “Cinque fette di torta alla melassa” indetta sul gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta” ;
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Walburga Black
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'in the name of the Black.'
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dance of death.

 

[ atto V — time ]

 

La memoria è un’instabile alleata. Walburga Black era solita insistere su questo punto, ma penso che la sua memoria fosse tutto tranne che instabile. Penso che ricordasse benissimo, fin troppo bene, ogni singolo istante di quei sessant’anni che invece sembrano novanta, e le pesano addosso come una montagna intera, da quando quella strana malattia l’ha colpita un anno fa, e l’ha portata dritta alla morte. Non ha più tempo, Walburga Black.

 

“Il tempo è un amico benevolo, Josephine. Ti aiuta a mettere una pezza sulle ferite, a guarire dai graffi e dai lividi, a metabolizzare certe cicatrici che nessuna stella potrà mai coprire ma che il tempo, il tempo sa come rendere lievi.” 

 

La guardo, alzando gli occhi dai fogli ora pieni di nuovi appunti. Mi chiedo ancora a cosa serva tutto questo. Chissà a chi potranno mai interessare le memorie di una vecchia stanca e malata. Eppure Walburga sembra tenerci molto. Prima di iniziare mi ha fornito due indirizzi, con sopra scarabocchiati i nomi di Andromeda Tonks e Narcissa Malfoy. “Perché anche Andromeda?” le ho chiesto, ben sapendo che la nipote era stata “bandita” dalla famiglia - e dall’albero genealogico - quando aveva deciso di sposare Ted Tonks. “Non fare domande di cui non ti riguarda conoscere la risposta, bambina,” è stata la sua risposta, e io non ho mai più domandato. Avrei solo dovuto mandare una copia di ciò che avevo scritto ad Andromeda e Narcissa e loro ne avrebbero disposto come meglio avrebbero creduto. Un’altra copia l’avrei tenuta io, in quanto madre di Rod ed Emily. Avrei poi deciso io se tramandare loro quelle memorie, un giorno. 

 

“Dici che il tempo ha tutto questo potere?”

Annuisce. “Sì. Tante cose sono successe in questi anni che stento quasi a crederci, eppure siamo ancora qui, anche se io ci sarò ancora per poco, ahimè.” 

“Perché non hai accettato le cure dei Medimaghi?” È da un po’ che desidero chiederglielo.

“Perché ho perso tutti quelli che ho amato, bambina.”

“Ci sono ancora i tuoi nipoti.” In realtà non lo penso, in realtà non ho mai desiderato Walburga nelle vite dei miei figli, ma non posso essere troppo sincera con una donna a due passi dalla morte. 

 

Walburga sospira. 

“Loro sono così tuoi… Assomigliano fisicamente ai Black ma hanno il tuo animo. Sono le tue creature, così tue che è come se fossero circondati da un’aura che li cela al mondo intero e alle sue interferenze. Spero che tu riesca a proteggerli per sempre, e celarli a ciò che di cattivo c’è là fuori.”

“Il male è anche dentro. Dentro di noi. È in tutte le cose.”

“Sarà. Ma c’è una cosa che protegge più di qualsiasi altra: l’amore.”

 

È strano sentirla parlare d’amore. Inarco le sopracciglia.

“Non guardarmi come se mi fossero spuntate le corna, insolente che non sei altro.” Sa essere ancora dannatamente dispotica. Mi mordo la lingua per non replicare. “Non ho mica vissuto per niente, sai? So molte cose.”

“Non lo metto in dubbio.”

“Ho amato anche io. Te l’ho appena raccontato.”

“Hai amato anche i tuoi figli?”

 

La donna mi guarda con occhi sottili. “A modo mio, sì.”

“Quell’amore non ha protetto Regulus dalla morte, però.” 

Non mi risponde subito. La vedo sospirare, torcersi le dita. Non tocco l’argomento Sirius, non penso che sia una buona idea. Sono sicura che Walburga abbia amato Sirius, fino ad un certo punto. Poi, non l’ha amato più. Mi chiedo come si possa smettere di amare un figlio, sangue del tuo sangue, e solo in nome di quello stesso sangue che ti ostini a voler mantenere puro. Non potrei mai smettere di amare Rodney o Emily, qualsiasi cosa accada e qualsiasi scelta facciano. 

 

“Forse sono stata punita. Forse perdere la cosa più preziosa che avevo al mondo è stato il prezzo che ho dovuto pagare per ciò che ho fatto.” 

Ci penso, e convengo tra me e me che forse ha ragione. Penso con insistenza alla zia Medea e sono sicura che abbia ragione, nonostante il prezzo che ha pagato sia stato Regulus. 

“Penso che tu abbia ragione,” dico ad alta voce quindi, sincera. “Quella magia non arriva mai senza un fio da pagare. Ti presenta sempre il conto, presto o tardi.”

“Durante quegli anni ho perso tutto. Prima Regulus, e poi Orion. Non ha retto la notizia della morte di suo figlio, ma d’altronde, è sempre stato un uomo delicato, troppo delicato per questo mondo.”

 

Ho sempre considerato Orion Black una vittima, una di quelle persone destinate a soffrire per partito preso. Stava dentro quel matrimonio come se ci fosse capitato per caso e faceva il padre come meglio riusciva. Penso non abbia lasciato quasi nulla dietro di sé, un’impronta, o una traccia del suo passaggio. Se n’è andato silenzioso com’è arrivato. 

 

“Damien è morto l’anno scorso.”

Non dico niente, so che Walburga non ha finito. 

“Non è più stato lo stesso, dalla morte di Evan, nel novembre dell’80. Abbiamo entrambi perso i nostri figli.”

Vorrei dirle che ne aveva ancora uno, di figlio, ma taccio. I suoi rapporti con Sirius si erano guastati da troppo tempo, già allora, e niente avrebbe potuto porre rimedio a quella spaccatura. E Sirius neanche voleva. 

 

“Quasi un anno dopo finì tutto quanto. Ci furono i processi. Damien stava già male dopo il colpo al cuore che gli era venuto alla notizia di Evan. Non fu mai mandato ad Azkaban, ma gli fu ordinato di non lasciare i confini di Rosier Hall. È lì che è morto, l’anno scorso, in maggio. Mentre fiorivano le rose.”

Ricordo tutto dei processi, ovviamente, ma non lo specifico. Walburga ha bisogno di esorcizzare i suoi ultimi demoni, e io non ho la forza per oppormi, non all’ultimo desiderio di una donna in fin di vita. 

 

“Eravamo necessari l’uno all’altra, Damien e io. Così necessari che ciò che ci univa non ci faceva respirare. Il nostro era un amore distruttivo. Forse è per questo che è finito o avremmo rischiato di ridurre il mondo in cenere.” 

“Riguardo la collana…” inizio. “Come si chiamava il demone? Non me l’hai detto.”

“Tu non hai chiesto.”

“Te lo chiedo ora.”

“Rosier.”

 

Spalanco gli occhi. “Come?”

“Si chiamava, si chiama, Rosier1. Il demone del possesso. Dell’amore irrazionale.”

“Un regalo davvero… come dire… accattivante.” 

“Era così che Damien concepiva il nostro amore. Ma basta parlare della collana, sono stanca di rammentarla.” Sbuffa, chiudendo per un attimo gli occhi. 

 

“Hai detto che quell’agosto cambiò tutto.” 

Annuisce, sospirando, e tossisce leggermente quando riapre gli occhi per tornare alla realtà. Mi fa segno di versarle dell’acqua nel bicchiere che tiene sul comodino, e l’accontento. Beve a piccoli sorsi, come un cagnolino. 

“Quello che avevamo iniziato come un gioco quando eravamo ragazzi a Hogwarts si trasformò radicalmente. Nulla aveva avuto importanza, prima, era solo un rincorrerci qui e là, un nascondersi in qualche vecchia aula polverosa… Niente, davvero. Furono quei due anni di lontananza a cambiarci. Ma questo te l’ho già detto prima. Lo sai.” 

 

“Non ho mai vissuto niente come quell’agosto. Mai più.” Aggiunge quindi dopo un momento di pausa. 

 

Scende il silenzio, rotto solo dall’orologio che ticchetta, cadenzato e regolare. Il tempo sarà anche un amico benevolo, ma scorre. Scorre inesorabile. 

 

“C’è un’ultima cosa che ti chiedo, Josephine. Un ultimo favore a questa carcassa morente.” 

“Che cosa?” Come sempre, ho paura di ciò che Walburga Black potrebbe chiedermi. Dietro ogni sua richiesta potrebbe celarsi qualcosa di pericoloso, o un inganno ben congegnato. 

“Apri il primo cassetto del comò.” Non chiede mai niente “per favore”, Walburga Black. Tutto suona come un ordine, per lei. E lo è, anche. 

 

Mi alzo e raggiungo la cassettiera, come mi ha detto. Apro il primo cassetto.

“Cosa dovrei cercare?”

“Sotto le camicie da notte c’è una busta di velluto bordeaux: prendila, ma fa’ attenzione, è pesante, e il contenuto è vecchio e prezioso.” 

Obbedisco, e la sento prima di vederla. Il velluto è liscio sotto le mie dita. La sollevo, ed effettivamente pesa, è come se contenesse un volume spesso. 

“Vieni qui.”

 

La raggiungo e Walburga allunga le sue mani storte verso di me. Le deposito la busta in grembo e attendo. Lei ne accarezza il dorso varie volte, come se stesse cullando un bambino. La lascio fare, sento che ne ha bisogno. La guardo sorridere, e mi chiedo se si renda conto che io sono ancora qui, in questa stanza che puzza di morte, e posso vederla. 

“Aprila per me, dentro c’è un libro, ma come ti dicevo, è vecchio e delicato. Le sue pagine sono antiche di qualche secolo.” 

 

Faccio come dice. Infilo la mano all’interno, anche se a malincuore, e ne sfilo via un libro. Da come pesava, sembrava si trattasse di un volume spesso, e invece è piuttosto nella norma. È più grande del formato romanzo, e la copertina è di un rosso ormai sbiadito. Non c’è titolo, almeno all’esterno.

“Aprilo alla prima pagina.”

È come se Walburga mi avesse letto nel pensiero.

“Figli dei dannati2?” leggo ad alta voce e in un soffio. La fiamma della candela accesa sul comodino ondeggia e Walburga se ne accorge. 

 

“Ti hanno sentita.”

“Chi?” Inarco un sopracciglio. “Chi mi ha sentita?”

“I Rosier.” 

Improvvisamente vorrei lasciar andare quel libro. Vorrei buttarlo fuori dalla finestra. Pesa tra le mie mani, brucia nei punti in cui i miei polpastrelli lo stringono. 

“È una delle tre copie del libro sulla famiglia Rosier2,” spiega finalmente Walburga. “Damien le stava cercando, erano andate inspiegabilmente perdute. Una era in suo possesso, e qui c’è la seconda. Ne manca una terza. Damien è morto senza sapere dove fosse.”

 

“Sembra un libro oscuro,” convengo non senza un brivido.

“Lo è. Ed è potente. Per questo ti chiedo che venga seppellito con me.”

La mia testa scatta in alto, lascia andare il libro. I miei occhi puntano su Walburga.

“Cosa?”

“Hai sentito bene. Prima che la mia bara venga sigillata, questo libro dovrà essere all’interno.”

“Perché? Perché non nasconderlo altrove?”

 

“Perché è pericoloso. E già due persone sono morte cercando di unire tutte e tre le copie. Nessun altro dovrà morire nell’intento.”

“Chi stai proteggendo?” È così raro, sentire parole preoccupate uscire dalla sua bocca. 

“La sua discendenza.”

“C’è una discendenza? Evan Rosier è morto.”

“Oh, sì che c’è.”

“Me lo dirai?”

“Che cosa?”

“Chi sono queste persone, è ovvio3.”

 

“Oh, no, non penso. Questa persona è lontana da qui e non penso che tornerà in Inghilterra, per adesso.” 

Fedele a Damien fino alla fine, la vecchia pipistrella.

“Va bene.” Scrollo le spalle. “Non me lo dire. È okay.”

“Me lo devi promettere, Josephine. È l’unica promessa che voglio che tu mantenga, anzi, che devi mantenere.”

“Più di tutte le altre? Persino di quella di mandare questi scritti alle tue nipoti?”

Walburga esita, poi annuisce. “Anche più di quella, sì. Lo senti che peso ha, quel volume? Non sembra, a vederlo, non diresti che è così pesante, giusto?”

 

Scuoto la testa. “Effettivamente mi sono stupita quando l’ho tirato fuori, quindi non lo direi, no.”

“È il peso di tutte le vite che ha tolto, delle anime che vi sono imprigionate.”

Sento una corrente di aria fredda percorrermi la schiena, come se stesse soffiando un vento invernale. Rabbrividisco. Torna il desiderio - la necessità - di lasciar andare quel libro. Non lo voglio. Non lo voglio con me o vicino ai miei figli. 

“Non lo voglio,” esplicito ad alta voce. E così lo poso nuovamente sul grembo di Walburga, sopra la fodera di velluto. 

 

“Lo so, bambina. Lo so che peso ha. È per questo che deve morire con me.”

Annuisco, e penso che abbia ragione. 

“Nessuno lo cercherà, sotto terra. E nessuno sa che ce l’ho io.”

“Perché l’ha dato a te?” le chiedo quindi. Mi pulisco le mani nei pantaloni, è come se fossero sporche. “Perché Damien te l’ho lasciato qui?” 

“Non voleva tenere le due copie nello stesso posto fintanto che non avesse trovato la terza. Diceva che Belial4 e Vinda Rosier4 li stessero cercando e che volessero rivendicare chissà quali diritti sulla famiglia, non so tutto neanche io. Damien non mi hai mai parlato dei suoi parenti francesi così bene. Non ne voleva parlare. Penso che si odiassero platealmente. I due hanno unito le forze per battere Damien sul tempo.”

 

“Che fine hanno fatto? Vinda e Belial, intendo.” 

“Non lo so. Non so se Vinda sia ancora viva, mentre parliamo. In quanto a Belial, ha sposato una francese e hanno avuto dei figli, ma non so altro.”

Le credo. Mi sembra sincera. 

“Quindi? Prometti?”

Annuisco. “Prometto di seppellire questo libro con te.” 

“Brava bambina.”

 

“Vorrei qualcosa in cambio, però.”

Gli occhi di Walburga sono sottili. Grigi come non mai. Intravedo la bellezza che è stata un tempo, che era ancora quando l’ho conosciuta. 

“Attenta a cosa chiedi, la verità potrebbe non piacerti.”

“Ci starò attenta. E penso che saprò conviverci, con questa verità.”

“Cosa vuoi sapere?”

 

Faccio un sospiro. “Hai detto di non sapere di chi fosse figlio Regulus. Penso che tu abbia mentito.”

Walburga distoglie lo sguardo. Non risponde subito, e quando lo fa, lo fa con un’altra domanda. “Perché non mi chiedi di Sirius?”

“Oh, Sirius è così dannatamente figlio di Orion, Walburga. Non ci sono dubbi.”

“Orion era un debole.”

“Orion è stato forte, molto forte, perché è stato tuo marito, e lo è stato fino alla fine.” 

 

La donna non protesta. Non so se sia d’accordo con me, ma poco importa. 

“Lo amavi, vero?”

“Chi?”

“Sirius. Credi che sia sciocca? O cieca? Non sono come tua madre.”

“Non mettere in mezzo mia madre, ora.”

“E tu non tergiversare. Rispondi alla domanda.”

“No se tu non risponderai alla mia, prima.”

 

Si lascia scappare una risata, uno dei suoi soliti rantoli. 

“Che importanza ha, adesso? Regulus è morto.”

“Non ne ha, infatti. Ma i miei figli potrebbero avere sangue Rosier nelle vene, e ha tutta l’importanza del mondo.”

“No, Josephine. Non ne ha. Regulus era un Black. Di nome e di fatto. Non avrebbe potuto rivendicare nulla, anche se fosse stato suo figlio.”

“Non mi importa di rivendicare una casa polverosa e qualche manufatto oscuro, ma ti ricordo che Medea Greengrass è mia zia. Ho sopportato i tuoi racconti che includevano la sua sofferenza senza fiatare. Me lo devi. Merito di sapere se Regulus era figlio di Damien Rosier.” 

 

“Era suo figlio.” 

Cala il silenzio. Si sentono solo i nostri respiri, quello di Walburga molto più flebile, si sta quasi spegnendo. 

“Regulus era figlio di Damien. Sei contenta, ora?”

No, non lo sono. O meglio, Walburga aveva ragione: non cambia niente. Rimane solo il fatto che ero fidanzata con Regulus, avrei dovuto sposarlo, e Regulus non era riuscito a fare quell’ultima cosa per me, come aveva detto, perché voleva proteggermi, e perché voleva dare rispettabilità a mio figlio - ai miei figli, ancora non sapevo che avrei dato alla luce due gemelli. 

 

Scuoto la testa. “No. Non lo sono.” Mi asciugo una lacrima, però, che sento scorrere lungo la mia guancia. 

“Parti, Josephine. Va’ in Francia. Io non supererò la notte e ti basterà un giorno per seppellirmi, non ho più nessuno che venga a piangermi.” 

“Tu lo sapevi, vero?”

“Stai parlando di me o di te, adesso?”

“Lo sai di cosa sto parlando. Sapevi di me e Sirius. Lo hai sempre saputo.”

 

“Mi merito una tua risposta alla mia domanda, Josephine.” 

Vorrei urlarle di smetterla di chiamarmi Josephine. Mia madre mi chiamava così, e mia madre non c’è più. Io sono solo Jo. 

“Sì. Sì, lo amavo.”

 

✩ 

 

Dopo aver raccolto le mie cose, il libro sui Rosier debitamente riposto nella fodera di velluto, indugio sulla porta. Walburga ha gli occhi chiusi ora, sembra stia dormendo. 

 

“Josephine?” mi chiama invece. Un’ultima volta prima che il tempo scada. Mi volto a guardarla e attendo.

 

“Glielo dirai? Dirai a Sirius che ha due figli?” 

Scuoto la testa. “Non lo so. Non ha più importanza, ora. È ad Azkaban.”

Walburga annuisce. Non aggiunge altro, così le do le spalle e chiudo la porta. 

 

✩ 

 

59 anni dopo ;

“Artie5?”

Dalla stanza di fianco non arriva suono. Aggrotto le sopracciglia. 

“Artie?!” ripeto quindi, alzando il tono di voce. 

Il mio gemello spunta nel vano della porta aperta, uno sbuffo di polvere sulla guancia, i capelli castano-rossicci (eredità della parte Weasley) scompigliati.

 

“Meda5? Mi hai chiamato?”

Alzo gli occhi al cielo. “Tipo, sì, sei sordo?”

“Scusa, ero concentrato.”

È passato circa un anno da quando la bisnonna è morta, eppure non eravamo ancora riusciti a mettere mano alle sue cose, prima di oggi. Nessuno ci era riuscito.

 

Andromeda Black aveva lasciato un vuoto difficile da colmare e andare in quella che era stata la sua casa per più di quarant’anni, a mettere in ordine e impacchettare pezzi di vita e ricordi e oggetti a lei cari, non sembrava non solo consono, ma neanche prudente, e per i nostri stessi sentimenti, per i sentimenti di noi che invece eravamo rimasti. La bisnonna aveva vissuto per novant’anni, ne avrebbe compiuti novantuno a gennaio, e se n’era andata un mese prima del suo compleanno, in un dicembre particolarmente nevoso, e ad un mese esatto di distanza da quando eravamo stati a Clivedon House insieme a Narcissa e Scorpius5

 

Sembra incredibile che abbia visto per l’ultima volta quella vecchia tenuta, dov’era nata e cresciuta, per poi andarsene via così, da un giorno all’altro. La sera prima ero andata a trovarla, io sola, Artie non aveva potuto perché impegnato al Ministero fino a tardi in non ricordo quale importante consegna per il prozio Percy, e le avevo portato un dolce che avevo comprato apposta per lei, e mi aveva ringraziato con un bacio sulla guancia, con quel suo profumo di talco e fiori, e mi aveva promesso che l'avrebbe mangiato per colazione. Non lo aveva mai mangiato, quel dolce. 

 

Il ricordo di quella visita a Clivedon House mi ha tenuto compagnia per mesi. Ancora oggi continuo ad addossare a quella casa - e a ciò che rappresentava per la bisnonna, e a tutto il carico di ricordi, anche e soprattutto dolorosi, che quei muri contenevano - la responsabilità della sua morte. Certo, era vecchia, e aveva vissuto a lungo, ed era stata felice nonostante tutto, ma nessuno di noi era preparato. Nessuno di noi avrebbe mai voluto lasciarla andare. 

 

Ora, Artie e io ci siamo ritrovati qui, a tirare le fila. Lui ha scelto di dedicarsi allo studio del bisnonno Ted, che è rimasto tale e quale a prima della sua morte, nel 1998. Suona un po’ come un’altra epoca - ed era davvero un altro mondo. Un mondo che nessuno di noi, fortunatamente, vedrà mai. Io sono invece nella stanza della donna dalla quale ho preso il nome, un paio di vecchi pantaloncini e una canotta, e i miei fedelissimi anfibi. Proprio il mese scorso ho cambiato i miei capelli da biondi a lilla. Essere una Metamorfomagus6 ha i suoi vantaggi, risparmi sulle tinte. 

 

“Ho trovato una cosa,” dico quindi, facendo cenno a mio fratello di raggiungermi sul pavimento. 

Lui obbedisce e si siede accanto a me a gambe incrociate, sistemandosi gli occhiali sul naso. “Che cosa?”

“Un plico di pergamene piuttosto consistente. È datato 1985.”

“Per Godric!”

“Già. Ben prima che mamma e papà nascessero.”

“Poco dopo la fine della Prima Guerra Magica.” Artie ha sempre avuto una passione per Storia della Magia. Sono gusti. 

Annuisco, sfogliando i fogli che appaiono ovviamente ingialliti e fragili. Essere però rimasti chiusi tutti quegli anni in un cassetto dello scrittoio della bisnonna li ha preservati da qualsiasi altra interferenza del tempo.

 

“Cosa c’è scritto alla fine?” esclama Artie afferrandomi un polso e impedendomi di girare pagina. 

Faccio come dice, vado alla fine della collezione di fogli fittamente scritti con una grafia piccola e minuta ma estremamente ordinata. Ho come la sensazione che siano stati ricopiati. In effetti, Artie ha visto giusto: al fondo ci sono alcune parole trascritte alla fine del foglio, e in due grafie diverse. Le prime frasi sono state scritte con la stessa grafia del resto.

 

‘Quelle che, forse, se siete arrivati fin qui, avete letto, sono le memorie che Walburga Black mi ha affidato prima di morire. Non so quale scopo fosse celato dietro la sua intenzione; da parte mia, ho solo acconsentito a realizzare l’ultimo desiderio di una donna sola e vicina alla morte. Narcissa, una copia è andata a te, e Andromeda, la seconda copia è per te. Una terza è rimasta a me, e ai miei figli Rodney ed Emily. Non so ancora se li metterò a parte di alcuni dei peggiori segreti riguardanti la loro famiglia. Il mio lavoro qui è finito. Dopo il funerale partirò per la Francia. Ho imparato che anche dentro la più nera oscurità si può celare un barlume di luce. In quanto a voi, spero possiate trovare la pace che anelate. Josephine Greengrass.’

 

Proprio sotto, c’è un breve appunto vergato dalla bisnonna, posso riconoscere la sua calligrafia elegante.

 

‘Ho trovato la pace che ho anelato per tanto tempo. Tutto è guarito. Grazie. Andromeda Black.’

 

Alzo gli occhi su Artie, che mi sta già guardando.

 

“Che facciamo?” mi chiede.

“Be’, mi sembra ovvio. Lo leggiamo.”

 

✩ 

 

The end ;

 

“but I can see us lost in the memory / august slipped away into a moment in time / ‘cause it was never mine / and I can see us twisted in bedsheets / august slipped away like a bottle of wine / ‘cause you were never mine”.

 

“Non voglio che questo agosto finisca.”

Damien mi sfiora i capelli, sciolti sulla coperta stesa al sole. Sta quasi tramontando dietro la linea del mare. È mite sulle nostre pelli. Piacevole come una carezza.

“Non voglio sposarmi, e andare via di qui con una donna che non sei tu, e lasciarmi alle spalle quest’estate.” 

 

“Non essere sciocco,” mormoro. Il mio cuore duole. Duole già anche se io cerco di non ascoltarne il lamento. “Devi sposare Medea. Come io sposerò Orion. Sarà più facile così. Sposarci potrebbe rovinarci, e sai benissimo che le nostre famiglie non hanno mai avuto alcun interesse a vederci insieme.”

“Mi chiedo perché.”

“Non ha molta importanza, ora. Tu sposerai Medea.”

“E tu Orion.” Damien sospira. “Non voglio che ti tocchi. Se ci penso mi va il sangue al cervello. Ci sono giorni in cui lo vorrei morto.”

“Non cambierebbe niente. Morto Orion ne arriverebbe un altro.”

 

Ora Damien giocherella con il neo che ho sotto il seno destro. “Sei mia, Walburga. Ogni parte di te, ogni cosa.” 

Annuisco. Gli sorrido. “Certo che sono tua. Da sempre. Per sempre.” 

Ci baciamo, la mia lingua cerca la sua e per un attimo, un attimo ancora, in quel momento fuori dal tempo, siamo una cosa sola. 

“Anche quando il tempo passerà, e saremo entrambi grigi e stanchi, ricorderò questo agosto. Lo ricorderò.”

 

Gli scosto un ciuffo di capelli scurissimi - color nero corvo - da davanti alla fronte. Il mio dito scende sulle sue labbra piene e lui me ne bacia la punta, la trattiene tra le sue labbra ancora un po’. Penso a tutto ciò che sarei disposta a fare per lui. 

“Non lo dimenticherò mai,” dico. “Fino al mio ultimo respiro.”

 

✩ ✩ ✩

 

 

NOTE

1. 
Tutte le (anche se poche) informazioni sul demone Rosier le ho reperite qui.

2. “Figli dei dannati” è tratto dal titolo di una canzone degli Iron Maiden, “Children of the Damned”, ed è, come ha detto Walburga stessa, un libro sulla famiglia Rosier; chi ha letto “The Haunting of Heydon Hall” lo ha sentito nominare nel capitolo dodici.

3. Se siete interessati ad approfondire e a conoscere la discendenza dei (miei) Rosier, vi consiglio di leggere la mia long “The Haunting of Heydon Hall”.

4. Belial Rosier è un personaggio inventato da me; Vinda Rosier è un personaggio introdotto in “Animali Fantastici”.

5. Artie e Meda (abbreviazioni di Arthur e Andromeda) sono i gemelli figli di Teddy Lupin e Victoire Weasley, che se volete potete ritrovare qui, insieme al riferimento alla visita a Clivedon House di cui parla Meda; questo fa ovviamente parte del mio headcanon; a tal proposito, vi consiglio la mia “Death in the Night”, se ancora non l’avete letta. 

6. Ho pensato che Meda potesse essere una Metamorfomagus come suo padre Teddy e sua nonna Tonks. 

 

Eccoci qui arrivati all’ultimo atto di questa mini long. I nodi sono venuti al pettine, quindi mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate di questo finale. Cosa farò con tutta questa carne che ho impunemente messo sul fuoco? Chi lo sa 😂 Stavo pensando di partecipare al Writober con una raccolta sulla famiglia Rosier, ma è tutto in forse. Intanto, ringrazio chiunque abbia seguito/letto questa piccola storia ♡

 

A presto,
Marti

 

Ps se volete rimanere aggiornati sulle mie “pazzie”, seguitemi su instagram

   
 
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