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Autore: Shadow writer    28/09/2022    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Perché io?
 

Alison giocherellava nervosamente con gli anelli che portava, mentre i suoi occhi sondavano l’area della partenza. La nuova auto di Nate era di un blu sobrio, quindi sarebbe stato difficile distinguerla dalle altre da quella distanza se non ci fosse stato il ragazzo appoggiato contro, in attesa del segnale di inizio. Se ne stava con la schiena contro la sua portiera e le braccia conserte al petto.

«Ti sembra preoccupato?» domandò Alison a Mike, che guardava la corsa insieme a lei, Richie e Ross. Teneva in una mano una birra e nell’altra una sigaretta e alternava le due con fare meticoloso.

Strizzò gli occhi nella direzione che lei gli aveva indicato e scosse il capo. 

«Nah, lo vedo pacifico».

La corsa si svolgeva ancora una volta in un’area isolata, questa volta a più di un’ora di distanza dalla città. Gli organizzatori avevano deciso di andare sul sicuro allontanandosi dal rischio di una nuova intercettazione. La partenza si svolgeva in un’ampia pianura chiusa sui due lati da un’area boschiva. Il pubblico si trovava in uno spazio leggermente sopraelevato rispetto ai corridori — disposti su una larga strada sterrata — e avevano una buona visuale di quello che era il punto di partenza e di arrivo della gara.

Un fischio attirò l’attenzione dei presenti e, come un sol uomo, i piloti presero posto all’interno delle loro vetture. Questa volta il semaforo era stato sistemato sulla cima di un albero alto e massiccio, così che tutti potessero vederlo.

Non appena la luce verde sostituì quella rossastra, le auto partirono rombando.

Alison si mise a camminare avanti e indietro, poi si aprì la giacca, improvvisamente accaldata. Tornò a giocherellare con gli anelli, mentre tendeva il collo per vedere meglio.

Le auto erano scomparse nell’oscurità della notte e solo di tanto in tanto si vedeva il brillio di qualche fanale tra gli alberi.

La ragazza raggiunse Ross, che stava scrutando l’area della gara attraverso un piccolo binocolo e riferiva quanto vedeva a Richie. L’omone era strizzato in una sedia da campeggio troppo piccola per la sua stazza.

«C’è un testa a testa, Nate è dietro all’auto di Wells» stava dicendo Ross. «La strada è troppo stretta per superare… li ho persi».

L’altro uomo imprecò a gran voce, cercando inutilmente di scorgerli a occhio nudo.

«Alison, passami una birra, che la tensione mi sta asciugando la bocca» chiese poi indicando la borsa frigo posizionata poco lontano.

Controvoglia, la ragazza si allontanò da loro per eseguire e quando ritornò sentì Ross esclamare con tono esaltato: «Nate è primo! Ora deve mantenere la posizione fino alla fine».

L’uomo scrutava il bosco nero attraverso il binocolo.

«Ora un’altra auto minaccia la sua posizione. Se lo supera nella curva ad est, Nate non potrà più recuperare».

«Quanto manca alla curva?» chiese Richie appallottolando nel pugno la lattina di birra che aveva trangugiato.

«Cinquecento metri» fu la risposta, seguita da un attimo di silenzio. Poi Ross emise un verso incomprensibile e Richie balzò in piedi — almeno tentò di farlo, dato che rimase incastrato nella sedia e decise di ritornare nella posizione iniziale, mentre esclamava: «Allora? Cosa significa?»

Ross si voltò a guardare lui e Alison, e sorrise. «Ha vinto».

 

 

 

Non appena entrarono in casa, le labbra di Nate cercarono le sue e la ragazza si ritrovò schiacciata contro la porta appena chiusa. Sentì le dita fredde di lui che le accarezzavano la pancia nuda dove la maglia si era sollevata e poi si spostavano sulla schiena per stringerla ancora di più a sé.

Le sfilò la maglietta e la lanciò sul tavolo, mentre si spostavano verso la camera da letto. Alison gli slacciò i pantaloni e li fece scendere fino a terra. Nate se li tolse, aiutandosi con i piedi, poi l’afferrò per una mano e si lanciò sul letto, tirandola con sé. Si stese sul materasso e la ragazza si mise a cavalcioni su di lui.

«Sei contento per la corsa?» gli chiese, piegandosi in avanti per baciarlo vicino all’orecchio.

Lo sentì ridacchiare. Prima di tornare a casa si era scolato qualche birra. «Sono più contento di essere qui con te ora».

«Non dire cazzate, Nate»

«Sono sincero» le rispose e con un colpo di reni invertì le posizioni, facendo precipitare la ragazza sul materasso e mettendosi sopra di lei. «Sono davvero contento di essere qui con te».

Si chinò per baciarla e Alison si lasciò avvolgere da quella sensazione.

 

Quando la ragazza si alzò per lavarsi, gli chiese se volesse fumare. Erano stati accoccolati nel letto negli ultimi venti minuti e si sarebbero addormentati di sicuro se non fosse stato per i residui di adrenalina dalla gara.

Nate si mise seduto sul letto, a torso nudo. «No, non voglio fumare. Ti va di mangiare qualcosa? Posso cucinare io intanto che ti prepari».

Alison fu colta alla sprovvista da quella gentilezza improvvisa. Scrutò il ragazzo e lo trovò diverso. Il suo volto era disteso, il suo sguardo presente. Per la prima volta le sembrava di avere di fronte una persona che aveva fatto pace con i propri demoni e che non sarebbe scomparsa all’improvviso.

«Certo, dovresti trovare qualcosa nel frigo» gli rispose. «E avrei voglia di guardare un film dopo, magari una commedia. Cosa ne dici?»

Nate si alzò in piedi e si infilò la propria felpa, poi si voltò verso di lei e le sorrise. «Tutto quello che vuoi».

Le lasciò un bacio delicato sulle labbra e sparì in cucina per preparare da mangiare.  


 

***


 

Mila sapeva che Nate non sarebbe mai riuscito ad arrivare da solo allo studio del professor Thomson, così gli diede appuntamento di fronte all’edificio in cui si trovava lo studio.

La seconda fase della competizione per la borsa di studio consisteva in un colloquio con il benefattore in persona. Si trattava di un uomo benevolo e gentile, che aveva trascorso la vita tra gli studenti e quindi sapeva capirli con uno sguardo. A preoccupare Mila era soprattutto la straordinaria capacità di Nate di mandare tutto a puttane.

La ragazza arrivò in anticipo, così si sistemò su una panchina libera e prese dalla borsa alcuni documenti che doveva finire di leggere per il lavoro. Pensò che Clelia aveva ragione, in quello era proprio uguale a James: due maniaci del lavoro perfezionisti.

Il sole del mattino filtrava tra le foglie dell’albero al suo fianco, scaldandola tiepidamente. Tutt’intorno il campus era animato dall’andirivieni degli studenti. Le ritornò alla mente la sua esperienza accademica, ma si sentì stranamente tranquilla. Inspirò ancora l’aria fresca e frizzante, tornando a concentrarsi sulle sue carte. Fu talmente assorbita dalla lettura, che sobbalzò quando si sentì chiamare: «Signorina Barnes?»

Raddrizzò la schiena e abbassò i fogli di scatto. Nate se ne stava di fronte a lei, con le mani affondate nelle tasche dei jeans e un sorriso sfrontato stampato sul volto. Sotto ad una giacca di pelle portava un semplice maglione, che gli dava un’aria ordinata senza farlo apparire troppo formale.

«Potrei cominciare ad abituarmi a questa vista» commentò lei mentre riponeva i fogli nella borsa e si alzava in piedi.

«Quale?»

«Tu vestito in modo decoroso» rispose lei facendolo ridere. Si guardarono negli occhi, lei con le guance arrossate, lui con la sua espressione sardonica. Mila distolse lo sguardo, sistemandosi nervosamente i capelli dietro alle orecchie.

«Vieni» disse, «ti accompagno allo studio».

Lo guidò all’interno dell’edificio e poi su fino al secondo piano attraverso un’elegante e ampia scalinata di marmo. I corridoi erano affollato da studenti e professori, la maggior parte dei quali parevano troppo di fretta per rimanere fermi a lungo. Lo studio del professor Thomson si trovava al di là di una porta di legno scuro in un corridoio poco trafficato. Una donna sedeva dietro ad una scrivania poco distante e avvertì che il professore li avrebbe ricevuti a breve. I due presero posto l’uno accanto all’altra sulle sedie sistemate lungo il corridoio. Erano così vicini che Mila riusciva a sentire il leggero odore di fumo sulla giacca di lui — che ormai andava scomparendo — e anche il profumo con cui aveva cercato di nasconderlo. Notò che il ragazzo si stava asciugando i palmi sudati sui jeans, dondolando lievemente avanti e indietro con la schiena.

Lui si accorse che lo stava guardando e le sorrise nervosamente.

«Qualche consiglio?» domandò.

Mila pensò che avrebbe potuto allungare la mano e accarezzargli la guancia. Era quasi tentata di farlo, per tranquillizzarlo. Riusciva ad immaginare la sensazione pelle appena ruvida sotto ai suoi polpastrelli e il calore che il suo corpo emanava. Da lì avrebbe potuto scorrere verso i suoi capelli, così scuri e soffici, e far scivolare le dita tra quelle onde scompigliate.

«È una situazione così disperata?» rise Nate di fronte al suo silenzio, riscuotendola.

Lei deglutì e scosse il capo, poi si stampò sul volto un sorriso. «No, sii te stesso» gli rispose. «Basterà per conquistarlo».

Il ragazzo non parve convinto da quelle parole, ma non disse nulla. 

Il telefono della segretaria suonò, così la donna rispose e, mentre riabbassava la cornetta, disse a Nate che poteva andare. D’impulso, Mila lo prese per un braccio, trattenendolo. Lui si voltò a guardarla, un poco sorpreso. Dove lo aveva toccato, lei sentiva le dita incandescenti.

«Buona fortuna» gli disse soltanto, lasciandolo andare.

Nate le rivolse un sorrisetto storto e si diresse all’interno. Rimasta sola, la ragazza espirò lentamente. Avrebbe potuto riprendere la lettura dei documenti per ingannare l’attesa, ma improvvisamente si sentì troppo tesa e preoccupata per concentrarsi. Scrutò la massiccia porta lignea come se potesse assistere a ciò che avveniva all’interno.

 

 

Mezz’ora più tardi erano già seduti al tavolo di un café poco distante dal campus. Nate stava mangiando una grossa ciambella ricoperta di cioccolato e pareva di così buon umore da far supporre che il colloquio fosse andato bene.

Non appena uscito dallo studio, ogni traccia di nervosismo era scomparsa. Aveva sorriso a Mila e, prendendola a braccetto, le aveva chiesto: «Ti va di andare a bere qualcosa?»

«Hai intenzione di parlarmi del colloquio?» gli chiese la ragazza, distogliendolo dalla contemplazione della sua ciambella.

Nate si strinse nelle spalle. «È un tipo simpatico, il professor Thomson. Abbiamo chiacchierato un po’ di tante cose. Lo sapevi che ha una Cadillac Deville del ‘70?»

Mila scosse il capo.

«Certo, non è poi di così grande interesse per l’ambiente accademico» acconsentì lui.

«Ti avevo detto che lo avresti conquistato» ribatté la ragazza, ma lui parve poco convinto. Tornò alla sua ciambella, ma questa volta con aria corrucciata. Sembrava pensieroso. «Parliamo d’altro».

«Va bene» acconsentì lei e per qualche secondo nessuno parlò. Fu Mila a riprendere. «Posso chiederti una cosa?»

«Una risposta negativa ti ha mai fermata?» 

Lei si sentì arrossire e cercò di celarlo parlando in fretta. «Perché me?»

Nate la guardò con le sopracciglia corrugate, interrogativo.

Si affrettò ad articolare meglio la domanda: «Quando ci siamo conosciuti, avresti potuto avere qualsiasi ragazza. Perché hai scelto me?»

Lui sorrise, scuotendo il capo. «Non potevi farmi una domanda più semplice?»
«Non sei obbligato a rispondere».

Si fissarono per qualche istante, in silenzio. Mila si sentiva sciogliere sotto gli occhi scuri di lui.

Una cameriera si intromise tra i loro sguardi, raccogliendo i piatti vuoti e chiedendo se desiderassero altro. I due declinarono e quella si allontanò con il vassoio tra le mani.

Mila sentì il suo cellulare vibrare nella borsa e lo estrasse per controllare. 

«Brutte notizie?» le chiese Nate e la ragazza si accorse di aver assunto un’espressione accigliata.

Scosse il capo e fece scivolare il cellulare nuovamente nella borsa. «No, è James. Mi chiede di tornare al lavoro, hanno bisogno di me».

«Non ti tratterò, anzi, l’ho già fatto abbastanza» replicò il ragazzo alzandosi in piedi. Lasciò una banconota sul tavolo - anticipandola - e uscirono dal locale.

Camminarono verso la strada principale e Nate si offrì di fermare un taxi per lei.

«E tu?» chiese la ragazza.

«Prenderò l’autobus, non preoccuparti».

Un’auto si fermò davanti a loro e Mila si avvicinò per aprire la portiera, ma, prima che potesse entrare nel taxi, si sentì afferrare per il braccio.

Si voltò, trovando Nate a un passo da lei. Un formicolio si propagò sulla sua pelle dove le dita del ragazzo erano chiuse intorno al suo braccio. 

«Mi piaceva la persona che potevo essere insieme a te» le disse. «Come entrambi potessimo essere persone migliori insieme».

Lei lo fissò in silenzio, sospesa tra il taxi e lui, che ancora la stava trattenendo. Il ragazzo aveva un’espressione seria, tremendamente seria, e la guardava senza aspettarsi risposta, ma come se fosse finalmente riuscito a togliersi un peso dal petto.

«Grazie» gli sussurrò.

Lui la lasciò andare e arretrò. Mila si infilò nel taxi, ma non fece in tempo a voltarsi per salutarlo perché l’auto partì di scatto.





 



Angolo autrice

Ciao!
Finalmente dopo tanto tempo posso tornare ad aggiornare! Lo scorso anno è stato molto impegnativo e mi dispiace aver trascurato la scrittura così come la pubblicazione.
Se c'è ancora qualcuno dei "vecchi" lettori, vi ringrazio per essere arrivati fin qui e mi scuso per il ritardo <3
Spero di poter riprendere ad aggiornare più regolarmente in modo da concludere questa storia nei prossimi mesi.
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui a leggere! :)
Alla prossima,
M.


 
   
 
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