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Autore: Glenda    10/10/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Noam si sentiva in colpa.

Uno che aveva rischiato di saltare in aria sotto una galleria per impedire un attentato. Uno che era sempre disposto a lasciarsi ferire per non ferire. Uno che rinunciava a dormire per inseguire il sogno di mettere tutti d’accordo. Uno che quando faceva a pugni sentiva dolore per quelli dati e non per quelli presi.

Quanto era distorta la mente umana, e quanto i sentimenti avevano un peso diverso per ciascuno!

Il senso di colpa di Noam gli faceva male, un male cane. Lo faceva sentire sporco.

E gli faceva anche rabbia, perché un uomo così non avrebbe dovuto avere il diritto di provarlo.

Noam non aveva idea di cosa significasse avere una colpa, ipotizzava soltanto di averla: anche quel sentimento in lui era dolce e stemperato. Che diritto aveva di lasciarsi divorare da un rimorso che aveva radici tanto pure e lievi? Uno come Noam non era in grado di comprendere, né tanto meno di provare, il senso di colpa nudo e crudo, quello che inquina ogni singolo pensiero buono, ogni singola azione fatta a fin di bene, perché Noam non aveva mai provato – e forse non ne era neppure capace – il desiderio feroce di fare del male a qualcuno. Adrian sì, lo conosceva bene: gli era bastato provarlo una volta per lasciarsene avvelenare, per assecondarlo fino alle estreme conseguenze, per segnare per sempre, con una singola, dannata scelta, l’intero corso della sua vita. Chi non aveva provato quella sensazione, chi non aveva mai visceralmente sperato e voluto il dolore di un altro, non aveva idea di cosa significasse essere colpevoli.

Credere di esserlo era solo un’altra faccia dell’insicurezza; la vera colpa era altro e non era compatibile con una sincera fiducia nel futuro, la vera colpa era un marchio a fuoco che contaminava il corso dei giorni e inchiodava al passato, la vera colpa non era gentile tristezza: era disprezzo di sé. Ma questo a Noam non avrebbe mai potuto spiegarlo: non avrebbe capito. Corruzione, sporcizia, oscurità non erano parole di Noam e Noam non era fatto per comprenderle. Se Adrian lo avesse capito da subito, forse, davvero, avrebbe scelto di non accettare quell’incarico, ma non aveva voluto crederci: nessuna forma di potere, pensava allora, era immune all’immoralità, non era possibile sedere in parlamento ed essere anche, realmente, una brava persona. Forse sarebbe stato meglio se avesse potuto continuare a crederlo, forse sarebbe stato meglio non trovarsi mai a camminare a fianco di qualcuno che riusciva a farlo sentire un uomo migliore.

 

***

 

Il rientro a Noravàl non fu un rientro nella normalità: fu il rientro in un tipo di vita emotiva che Adrian non pensava possibile per sé. Quel pomeriggio al parco ferroviario di Mòrask – di cui Noam non aveva più parlato, né in modo esplicito né per sottintesi - aveva stravolto completamente l’equilibrio su cui si era basata fino ad allora la loro relazione, ed il salotto di Noam era diventato la cosa più simile ad una casa che Adrian avesse mai avuto.

Ogni sera, a meno che lui non lo trascinasse con sé alla Casa Stellata o in qualche locale a tirare tardi, si trovavano seduti sul divano del suo appartamento – quello dove, un giorno, Noam si era disteso a piedi scalzi chiedendogli “dunque lei lavora senza relazionarsi mai?” – e restavano a parlare davanti ad una birra, si raccontavano cose, pianificavano. Adrian non aveva mai pensato di potersi interessare alla politica, ma Noam gli chiedeva aiuto esplicitamente, faceva affidamento sui suoi pareri, lo consultava prima di prendere iniziative, lo metteva a parte delle direttive di partito, delle conversazioni con Kàrkoviy, di ciò che pensava di fare e di come voleva farlo, quasi che lui non fosse la sua guardia del corpo quanto il suo più stretto collaboratore. Lo aveva trascinato di peso nel suo progetto, ed Adrian ci si era lasciato trascinare, senza opporre la resistenza che avrebbe pensato opportuna solo sei mesi prima.

Sei mesi appena: possibile? Gli pareva di conoscere quell’uomo da un’eternità. Offrendogli di guardare dentro il suo “armadio pieno di scheletri”, Noam aveva rovesciato tutto, aveva incasinato tutto e adesso era lui che si sentiva in difetto, che non era capace di ricambiare la fiducia che gli era stata concessa, che gli teneva dei segreti.

Segreti privati, che non lo riguardavano (ma forse un po’ si) e segreti che invece lo riguardavano troppo, e che non si sarebbe mai permesso di tenergli prima, quando quello era solo un lavoro.

Le sue indagini su Thièl Dolbruk, ad esempio.

Quelle che portava avanti in ogni momento libero, in ogni ritaglio di tempo in cui Noam non era con lui, e di cui Noam non avrebbe mai dovuto sapere, perché si sarebbe opposto e avrebbe detto che no, che le minacce non provenivano da lui, che ne era certo.

Ma se da un lato anche Adrian aveva valide ragioni per crederlo, dato che quel giorno al parco se Thièl avesse davvero voluto uccidere suo fratello ne avrebbe avute tutte le opportunità, dall’altro non aveva i dati necessari per comprendere cosa fosse realmente FDL: Thièl Dolbruk poteva ben esserne uno degli ideologi - un semplice blogger o un terrorista, vai a saperlo - ma, stando alle informazioni ottenute da Karima e alle proprie ricerche personali, il movimento non aveva un nucleo compatto, e nulla escludeva che al suo interno vi fossero elementi in cerca di vendetta, come quel Marùsz, per dirne uno, o teste calde desiderose di visibilità, o persone convinte che colpire un darbrandese “passato dall’altro lato della barricata” veicolasse un messaggio propagandistico non ignorabile.

Noam aveva esplicitato che il suo intento era quello di ottenere dal Fronte una qualche sorta di collaborazione, o, quantomeno, di tregua, e Adrian non intendeva certo ostacolarlo, al contrario, gli aveva promesso di sostenerlo: ma, nella sua aperta e ostentata incoscienza – omaggio ai valori di Mòrask o peggio – il suo imprudente e autolesivo amico non si sarebbe preoccupato di approfondire se e dove si celassero i rischi, dunque doveva farlo lui. Nella sua posizione era questo il maggiore aiuto che poteva offrirgli: se c’era una breccia nel Fronte, se c’era margine di contrattazione, se una mediazione era possibile e, soprattutto, se nel perseguirla c’era un pericolo, lui lo avrebbe scoperto.

La mossa più ovvia era proprio entrare in contatto con Thièl, ma rintracciarlo non si stava rivelando per niente semplice: del resto, non era uno sprovveduto, era riuscito a comunicare con Noam in segreto proprio sotto il suo naso, militava in un movimento clandestino da quando era piccolo, non sarebbe stato affatto facile trovarlo se lui non voleva farsi trovare. Gli articoli pubblicati on-line che Karìma gli attribuiva non permettevano, di fatto, di risalire ad un’identità: si era reso conto subito di avere a che fare con gente in gamba, il blog era completamente anonimo e gli autori si proteggevano bene, impossibile risalire a qualcosa o qualcuno.

Chissà quali erano le fonti di quella svitata che si divertiva a fare l’investigatrice! Probabilmente anche lei la sapeva più lunga di quanto volesse far credere e gli aveva gettato qualche briciola sulla strada per coinvolgerlo nel proprio giochetto. Ricordò come le erano brillati gli occhi nel momento in cui si era resa conto d’essere riuscita a fargli perdere la pazienza: dio, che donna irritante! Eppure, in quel mare di irritazione, affiorava, a tratti, un altro sentimento: la curiosità di sapere perché lo facesse, e perché avesse scelto proprio quella storia, e quell’uomo… se si trattasse solo di casualità, del fascino che Noam indiscutibilmente esercitava, o di un desiderio più perverso di scherzare col fuoco.

In ogni caso, le informazioni che gli aveva dato erano corrette, le aveva verificate: Thièl Dolbruk risultava ancora residente presso l’abitazione della madre, ma non viveva più lì da anni e nemmeno lui era riuscito, anche attingendo ai propri contatti nelle forze dell’ordine, a risalire all’attuale domicilio. Gli era stato confermato che quattro anni prima era stato fermato e trattenuto dalla polizia per aver preso parte ad una rissa durante una manifestazione contro i finanziamenti per la costruzione di un impianto estrattivo nella valle di Sad-Brask. Adrian conosceva il luogo: ci erano passati durante la discesa verso Mòrask ed era stato allora che Noam gli aveva parlato dei metalli rari e delle fabbriche che erano spuntate come funghi nell’altopiano del Dàrbrand.

Il caso si era chiuso lì, la parte lesa non aveva sporto denuncia, Thièl era stato rilasciato e in seguito non si era fatto più coinvolgere in vicende simili: non, almeno, che fossero note alle autorità.

Adrian aveva scoperto che aveva un diploma in telecomunicazioni, che era stato per molti anni commesso in un negozio di telefonia, che poi si era messo in proprio come tecnico informatico per varie piccole aziende di Mòrask, e che infine era stato per un periodo non ben definito a Mìmat, lavorando per lo studio di geometra di cui era socio Dzjorzj Dolbruk, il fratello minore: ma negli ultimi due anni nessuna notizia di lui, eccetto gli articoli che Karìma riteneva essere suoi.

Adrian li aveva letti tutti con cura: distaccati, taglienti, nessuna retorica, solo una sfilza di dati e di commenti ai dati. Non sembravano testi di propaganda, quanto analisi economiche molto precise riguardanti una serie di questioni che dovevano stargli a cuore: la destinazione dei fondi per lo sviluppo delle industrie locali che “locali” non erano affatto, l’apertura nel Dàrbrand delle sedi dislocate di molte grosse aziende col solo scopo di abbassare il costo della manodopera, l’annosa questione del traforo che, con il pretesto di strappare Mòrask all’isolamento, l’aveva resa di fatto una succursale di Noravàl.

Ma, in fondo, ad Adrian questo non interessava: la sola cosa che aveva bisogno di capire era quanto Thièl avesse influenza, o quanto almeno fosse in grado di sapere o prevedere, sul movimento e fino a che punto potesse garantire che la vita di Noam fosse al sicuro.

 

***

 

Dedicare tempo a quelle ricerche era tutt’altro che facile.

In verità, sarebbe stato difficile dedicare tempo a qualsiasi cosa.

Da quando erano tornati da Mòrask, lavorare per Noam era diventata un’esperienza immersiva e totalizzante: l’energia e l’entusiasmo coi quali si era reso famoso si erano, se possibile, ulteriormente amplificati, fino a diventare incontenibili. Adrian a volte finiva per domandarsi se il merito o la colpa non fossero anche suoi, e per sorprendersi all’idea che quel sospetto gli facesse piacere.

Ogni giorno che dio metteva in terra, Noam faceva cento progetti e poi ne avviava duecento: ogni giorno aveva qualcuno con cui era importante parlare (e spesso non si trattava di impegni istituzionali, ma di contatti privati con persone o gruppi che volevano semplicemente sapere di più sui di lui e sulle sue intenzioni), aveva interviste da rilasciare a blogger sconosciuti, inviti a assemblee universitarie, interventi presso feste o eventi culturali locali (perché l’estate si faceva sempre più vicina, e Noravàl si riempiva di iniziative, più o meno visibili, ma tra le quali Noam tendeva a non fare distinzione) e soprattutto una corrispondenza infinita da smaltire. Aveva avuto l’idea suicida di rendere pubblico un indirizzo mail, che, neanche a dirlo, si riempiva molto più velocemente di quanto potesse essere svuotato: sembrava impossibile che un uomo solo riuscisse a evadere tutta quella corrispondenza e non lo avrebbe mai creduto neppure Adrian, se non lo avesse visto coi propri occhi. Noam aveva il potere di spremere il tempo di ciascun giorno come un’arancia, senza preoccuparsi (e forse era quello il suo trucco) di conservare un respiro per alzarsi il giorno dopo, e tuttavia ogni sera, ogni sacrosanta sera, aveva ancora voglia di sedersi su quel divano e parlare con lui.

Lo voleva al suo fianco sempre, pretendeva di averlo accanto anche quando la presenza di un non addetto ai lavori sarebbe risultata inopportuna, e non gli aveva mai più chiesto di fingersi qualcun altro. Dove c’era Noam Dolbruk ci si doveva aspettare di trovare Adrian Vesna, con buona pace di chiunque osasse mettere in dubbio la necessità che fosse così: tutti ormai lo sapevano e figuriamoci se poteva non saperlo Karìma Mirèl.

Erano gli ultimi giorni di un luminoso maggio quando si rifece viva, con tanto di cappello di paglia ma senza cane (perché una donna come quella – pensò Adrian – non avrebbe mai potuto averlo, un cane. I cani erano creature fatte per persone domestiche, che cercano radici, mentre lei era mutevole e randagia).

“Signor Vesna, che fortuna incontrarla!” (sorriso sfacciato da frase fatta) “Come sta?”

“Se sta cercando Dolbruk, al momento è in diretta radio su Nòraval Notizie… ” (sorriso che faceva il verso al suo) “a rispondere a domande sulle amministrative di ottobre. A questo tipo di interviste credo risponderebbe di cuore anche a lei!”

“E come mai se ne sta qua tutto solo ad aspettarlo come ai vecchi tempi? Credevo che il suo adorabile amico ormai non prendesse nemmeno il caffè senza di lei!”

Adrian desiderò liquidarla con una risposta al vetriolo, poi però si fermò a pensare – gli capitava spesso, ultimamente – a quale mossa sarebbe stata più utile a Noam, e stemperò la stizza in una pacata scrollata del capo.

“Vede, Karìma? Lei purtroppo non fa che confermare i miei pregiudizi. Dei progetti del signor Dolbruk non le importa un fico secco. Le importa di come vive la sua vita, di quando o con chi prende il caffè, o di cosa abbia fatto o non fatto prima di essere l’unico uomo politico che da centodiciotto anni ad oggi – Cento. Diciotto. Anni. – tenta di trovare una soluzione che non sia puramente repressiva alla questione del separatismo del Dàrbrand. Che lei ignori del tutto questo, che per lei sia solo il mio adorabile amico, me lo lasci dire, è offensivo.”

Karìma sollevò le sopracciglia come se quelle parole avessero colpito una specie di bersaglio invisibile, ma superò subito la défaillance esplodendo in un riso impetuoso.

“Nah! Il soave Dolbruk che si offende? Sarebbe fuori dal personaggio!”

“Lui no. Io.”

Lei lo squadrò in un misto di perplessità e interesse.

“Veramente? Per interposta persona?”

Adrian fece spallucce.

“Se lui non si offende quando dovrebbe farlo, è giusto che qualcuno dispensi un po’ di vaffanculo al suo posto, no?”

Karìma scoppiò di nuovo a ridere, frustando l’aria con la mano.

“Ma sì, ma sì! Gli amici servono a questo! E voi due siete diventati proprio amici. Siete troppo carini, giuro!”

E che diamine, ma perché doveva essere sempre così zuccherosa? Colpa della rivista per cui scriveva o del cappello?

Adrian non fece in tempo a risponderle per le rime (o a decidere definitivamente di mandarla a farsi fottere), che lei proseguì al trotto.

“Scommetto che le ha svelato un bel po’ di segreti. Fiducia e diffidenza sono sentimenti che si vedono ad occhio nudo. Si vedono sulle facce e persino sulla schiena, sa? Sono pochi i sentimenti che si vedono pure sulla schiena!”

Ma che cazzo diceva?

“Però ora mi risponderà che non sono affari miei” (appunto) “ed invece lo sono, creda a me: perché io e lei ci possiamo dare una mano a vicenda, caro Adrian!”

Chiamami un altra volta “caro” “adorabile” o “carino” e ti tiro il collo, pensò.

“Non mi pare proprio. Io sto proteggendo un uomo, e lei gli vuole rovinare la carriera.”

Karìma aggrottò la fronte.

“Non è vero.” (quasi risentita)

“No?”

“Io non rovino le persone, semmai le rendo più simpatiche. Lei dovrebbe riuscire a capirmi, visto che, come me, fa un lavoro che la costringe ad avere sempre a che fare con i ricchi idioti. La vita di quella gente lì è una melma, e lo scandalo da telefilm è il meglio, non il peggio, che si possa mettere in risalto di loro.”

“Ma Noam non ha bisogno di lei per essere reso più simpatico, e questo la infastidisce a morte.”

“Non è…”

La interruppe.

“Noam la infastidisce perché ha conquistato una posizione di spicco, ma non è né ricco né idiota: dunque, per trovarsi lì dove si trova, deve aver commesso per forza qualcosa di orribile. Perché se così non fosse, non dovrebbe esserci: in alto arrivano solo i ricchi ed idioti oppure i corrotti e i malvagi, giusto? In alto stanno le brutte persone, gli approfittatori, i raccomandati, quelli che ‘sotto la maschera niente’... altrimenti, se il successo fosse davvero riservato alle persone dotate di qualità, agli intelligenti e ai meritevoli, tra loro ci dovrebbe stare anche lei. È questo che pensa, no? Lei si sente privata di un riconoscimento che le spetterebbe: si sente svalutata ed è piena di risentimento verso un mondo che non valorizza le sue doti.” Si fermò, compiaciuto di fronte all’espressione contrita di lei. “Anche io sono bravo a leggere i sentimenti: non importa se in faccia o sulla schiena.”

“Vada al diavolo!” sbottò.

“Dunque anche lei ha qualcosa che la innervosisce. Evviva, quest’espressione le dona!”

Una vampata di rossore esplose sul suo viso.

“Razza di stronzo! Ma chi ti credi di essere? Sarai anche un buon osservatore, ma non sai niente di me!”

Chi ti credi di essere. Che buffo senso di deja-vu.

“Ma guarda un po’. Anche io sono passato a dare del tu a Noam perché mi sono incazzato… ”

Lei sbatté le ciglia, stordita. Il rosso le donava.

“Una volta Noam mi ha fatto incazzare moltissimo, e in quel momento siamo diventati amici. Già. I segreti che supponi io sappia, e che non smentirò di sapere, non c’entrano niente. Ho saputo che eravamo amici perché mi sono incazzato con lui, e ci si incazza davvero solo per i nervi scoperti, per quello che ci fa male, per ciò a cui si tiene.”

Karìma si morse un labbro. Sembrava turbata. Autentica.

“Vai centomila volte al diavolo, Adrian Vesna.” sentenziò, scandendo le parole.

Poi girò i tacchi e se ne andò a spalle dritte, ondeggiando i fianchi lungo la strada.

 

  
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