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Autore: EleAB98    23/10/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XVIII – Come Un Diamante In Mezzo Al Cuore


 

«Certo è che il mio letto sarebbe stato di gran lunga più comodo.»

Benedetta si abbandonò a una risatina sommessa. «Ma quanto sei profondo!» commentò, sospirando felice.

Mi unii alla risata, la testa riversa all'indietro. Erano appena scoccate le sette del mattino e, dopo essermi stiracchiato per bene, avevo quasi urlato per il dolore. «Maledetti acciacchi», avevo biascicato sotto lo sguardo attonito di Benedetta, trasformatosi in divertito appena sentita quella frase.

«Allora? Piaciuta la sorpresa?» chiese poi, accoccolandosi di nuovo a me.

Ricambiai la stretta. «Più di quanto immagini. Non me l'aspettavo. Nessuno aveva mai fatto questo per me. Di solito, durante i servizi sono sempre solo soletto.»

«Mi mancavi troppo. Dovevo provarci. Ma ti prometto che oggi non ti disturberò, so che devi ancora fare qualche intervista.»

«Tranquilla, ho apprezzato davvero tanto», le dissi, dandole un dolce bacio. «Come apprezzo la tua mise in questo momento», ammiccai, studiando ancora una volta il suo corpo perfetto.

Benedetta sorrise appena, le guance imporporate dall'imbarazzo. «Ma non indosso nulla!» ribatté, scostando lo sguardo dal mio.

«Appunto», ridacchiai, rifilandole un sorrisetto sghembo.

«Dai, finiscila... lo sai che mi vergogno!»

Cercai di nuovo il suo sguardo, e stavolta lo trovai. Caldo, luminoso. Avvolgente. «Non dovresti. Sei bellissima. E poi... lasciati andare un po'. Mi piace tanto quando lo fai.»

«Davvero?» Quel commento la fece sorridere ancora, questa volta maliziosamente. Rimasi ipnotizzato da quello sguardo. Io e lei eravamo fondamentalmente diversi, sull'aspetto provocazioni. Lei non scherzava troppo spesso con me su certe questioni, ma quando capitava – bastava stimolarla un poco – mi piaceva da matti. Fece passare una mano lungo il mio petto e mi beai di quel tocco leggero e seducente. Mi mossi appena per andarle incontro, quando una fitta ben diversa mi colpì. «Ahia!» cacciai, il volto contratto in una smorfia di fastidio.

«Questa schiena non vuole proprio mollare, eh?» replicò lei, tra il divertito e il preoccupato.

Stranito e falsamente irritato dalla sua reazione, replicai: «Guarda, che tu ci creda o meno, mi è venuto un mal di schiena pazzesco. Stare insieme a un ultra-quarantenne ha i suoi notevoli svantaggi, e te ne accorgerai molto presto», l'avvertii, tornando a guardarla con serietà (e un pizzico di paura).

Benedetta posò i palmi proprio dietro la mia schiena e prese ad accarezzarla con dolcezza. Non mi rispose neppure né smise di sorridermi, ma il suo sguardo sembrava tradire l'ennesimo chissenefrega o un ben più allettante ci penserò io a fartela passare. Al suo tocco gentile, fui scosso da un brivido così piacevole che quasi mi stordì. Con Benedetta avevo riscoperto cosa significasse fare l'amore con tenerezza e non meno passione, ma, contrariamente a quanto mi aspettavo, non avevo chiuso occhio per tutta la notte. Dopo quell'unione così sublime, avevo continuato a tenerla stretta ed eravamo rimasti avvinghiati per ore in quell'abbraccio solido e silenzioso; un abbraccio che sapeva di un nuovo inizio. L'inizio di una nuova fase che, da quel momento in poi, avrebbe contemplato forti livelli di intimità. Senza più parole, avvinti dalla fatica, rilassati e più emozionati che mai, avevamo trascorso i minuti successivi ad accarezzarci e a baciarci di tanto in tanto, fino a quando Benedetta non si era arresa e, accoccolandosi a me, si era poi abbandonata tra le braccia di Morfeo. Non era stato necessario parlarci subito; i nostri gesti, come i sorrisi, avevano ciarlato per ore, se non per mesi, anche sin troppo chiaramente. Da quando ci eravamo conosciuti, erano state davvero tante le premure esercitate nei suoi confronti, come i gesti d'affetto; ma paradossalmente avevo cominciato a dargli un vero e proprio significato soltanto quando Benedetta aveva trovato il coraggio di confessarmi a cuore aperto i suoi sentimenti. Da quel momento, era come se avessi riaperto gli occhi da un lungo letargo. E adesso, durante tutta la nottata, non avevo fatto altro che ripercorrere le tappe che ci avevamo portato a condividere lo stesso letto.
Dal canto mio, per quanto adorassi le conversazioni post-sesso, non mi era uscita di bocca neanche una parola. Avevo semplicemente guardato Benedetta con adorazione, ne avevo squadrato il corpo slanciato, il seno in fiore, il suo viso accaldato e ancor più luminoso. E il suo sorriso... ah, il suo sorriso mi spediva sempre in orbita!
Le accarezzai le spalle. Stare con lei mi aveva cambiato profondamente. Mi aveva quasi reso fiero del nuovo me stesso. E mi aveva permesso di tornare a vedere, ad apprezzare la vita in tutte le sue forme.

Ricambiai il suo sorriso. Dovevo ammettere che la sola idea di alzarmi da quel letto non mi sfiorava neanche, per quanto l'avessi reputato scomodo fin dal principio.

«Quindi stiamo insieme?» mi chiese lei, simulando una falsa noncuranza.

«Avevi dubbi?» replicai, inarcando un sopracciglio.

«Giusto qualcuno», ribatté lei, ironica.

Mi sfiorò l'accenno di barba e io rimasi a guardarla come uno scemo. Il mio sguardo, però, doveva essersi fatto improvvisamente cupo, perché anche il suo sorriso si spense di colpo, come le sue timide carezze.

«Malcom? Che hai? Sei... sei forse pentito per la notte trascorsa insieme?»

Mi riscossi subito. «Certo che no!» esclamai. «Non mi sentivo così felice da non so quanto. Soltanto che... dovrei dirti una cosa.»

«Riguarda ancora quella Megan?» replicò lei, allarmata.

Scossi la testa. Ricordavo ancora la reazione di Benedetta al mio averle raccontato per filo e per segno cosa avessero architettato lei e Ryan per farci finire insieme. Non aveva reagito nel modo migliore, perché in fondo al cuore credeva che fossi stato io ad accorgermi del fatto che lei potesse rappresentare ben più di un'amica, per me. «Cerca di capire, non mi sono mai trovato in una situazione simile. Insomma, ho scaricato l'attrazione che nutrivo per te su Megan perché... perché avevo paura della tua luce. Avevo paura che il nostro rapporto potesse prendere la piega sbagliata e che alla fine ognuno sarebbe andato per la sua strada. Quindi ho preferito non rischiare, ma soprattutto non volevo ammettere a me stesso di provare per te un sentimento che andasse ben oltre il semplice affetto», le avevo detto, cercando di essere aperto e trasparente. Al che, lei non aveva resistito e, dopo avermi detto un bonario non ti azzardare mai più a respingermi, mi aveva baciato con tutto l'ardore e il trasporto del mondo.

«Ieri pomeriggio, nell'area ristoro, ho... ho incontrato una vecchia amica.» Sottolineai la parola amica con un tale disprezzo, che Benedetta non ci mise molto a capire il tipo di rapporto che vigeva tra noi. «Lei è stata la mia prima assistente. E lo è stata per ben quattro anni. Io e lei, vedi... il nostro rapporto non era dei più convenzionali. Tutti, in ufficio, lo sapevano. Eppure... non mi sono mai curato di tutti i pettegolezzi che giravano sul nostro conto, e se è per questo nemmeno lei. Non era che una delle tante, per me. Ieri, però...» Mi alzai di colpo dal letto e voltai le spalle a Benedetta. Continuare a parlare di Melanie mi stava uccidendo. Avevo lo stomaco sottosopra.

Le esili braccia di Benedetta non esitarono a stringersi sul mio petto. «Ehi», mi sussurrò. «Va tutto bene. Sta' tranquillo.»

Chiusi gli occhi e, del tutto inaspettatamente, qualche lacrima uscì. Se non ci fosse stata Benedetta, la mia nottata sarebbe stata a dir poco infernale. Lei, tra le altre cose, aveva l'impressionante potere di calmare tutte le mie ansie. Era stato grazie a lei se non avevo più avuto incubi inerenti alla morte di Melissa. Ed era stato grazie a lei se adesso stavo, a poco a poco, processando tutti gli errori del passato raccogliendone i cocci. Chiamai a raccolta tutta la mia forza interiore e continuai a raccontare. «Melanie ha gettato così tanto fango su di me... un fango che di certo meritavo, anche se...» Sospirai, arrendendomi. Mi voltai ancora verso Benedetta, la mano nella sua. «Ascolta, so benissimo di non meritarti. E se ho preferito non dire niente di noi a Bianchi e compagnia è stato perché non volevo che tu diventassi la donna di turno. Che fossi anche tu oggetto di critiche aspre e cattive. Volevo essere sicuro che... che non ti stancassi di me prima del tempo o, più probabilmente, che non fossi io a tirarmi indietro. E adesso che sono certo di non volermi più tirare fuori da questa storia» – a queste parole, lo sguardo di Benedetta riprese immediato colore – «possiamo, be'...» La sua espressione mi destabilizzò per un breve istante. Ormai bastava poco perché mi perdessi nel suo sguardo. «Rendiamo la cosa ufficiale», le dissi, d'un fiato. «Voglio che tutti sappiano di noi. Bianchi compreso.»

Benedetta sorrise, commossa. Si fiondò su di me e mi colse in un bacio dolce, che si trasformò in passionale non appena la mia lingua prese a giocare con la sua, insinuandosi con ingordigia nella sua bocca così morbida, invitante e sottile. Ricademmo sul cuscino, l'eccitazione e il desiderio tuttora scolpiti sui nostri corpi. Carezze delicate che diventavano via via più profonde, le mani di entrambi che scorrevano l'uno sul corpo dell'altra, senza posa, intente a donare e a donarsi piacere; l'imbarazzo iniziale che lasciava il posto alla semplice voglia di appartenersi, di mostrarsi all'altro senza veli, con il massimo rispetto e la più alta forma di sincerità e confidenza. La necessità di scoprirsi reciprocamente, di comprendere un linguaggio tutto nuovo, di toccarsi comunque e dovunque.
Di far esplodere quella passione a lungo covata, a lungo cercata e solo infine posseduta. Di procacciarsi infiniti modi per impazzire e far impazzire l'altro di piacere. E poi scambiarsi tenerezze, coccole e tanti altri abbracci.

«Ma non ti era venuto un terribile mal di schiena?» se ne uscì ironicamente Benedetta soffocando a malapena un gemito – e tutto nel bel mezzo della mia performance.

Continuai a spingermi contro il suo corpo – di cui avevo immensa sete – alternando a un ritmo lento ma profondo uno più concitato, e questo ogniqualvolta che lei ricambiava con fervore le mie spinte, e quasi mi scappò da ridere. Non mi sarei aspettato che il suo lato ironico e giocoso potesse emergere anche durante l'intimità. Le morsi il lobo dell'orecchio e le sfuggì un sospiro. «Se lo desideri, possiamo anche fermarci», soffiai divertito, allentando progressivamente la scansione delle spinte.

Davanti a quell'illusione tutt'altro che realizzabile, Benedetta strinse le sue gambe attorno ai miei fianchi con decisione. Mi scappò un gemito gutturale e profondo. «Non ci provare neanche», mi disse perentoria. Tornò sulle mie labbra e sorrisi contro le sue. Tempo qualche altro minuto e non sarei più riuscito a contenermi. La sua presa di posizione mi aveva fatto impazzire definitivamente.

«Devi sapere, mia cara», soffiai, tra un bacio languido e l'altro, «che, almeno per quanto mi riguarda... non si è mai troppo stanchi o malconci per fare l'amore.»

Benedetta smise di baciarmi, ma non di assecondare, sempre più entusiasta, i miei movimenti di bacino. Io e lei ci incastravamo perfettamente, anima e corpo.
«E tu devi sapere», mormorò debolmente, gli occhi annebbiati dal piacere e dal sentimento, «che non mi stancherò mai di te.»

Del tutto tramortito da quelle parole e dal piacere incombente, gemetti in risposta e tornai a baciarla.

Avrei tanto voluto che quel momento non finisse mai (a dispetto del colpo della strega che di certo mi avrebbe fatto visita l'indomani). Perché adesso, in mezzo al cuore – al mio cuore! – era come se vi fosse incastonato un prezioso diamante.

E quel diamante si chiamava Benedetta Carisi.

   
 
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