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Autore: Striginae    31/10/2022    3 recensioni
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#1 Witch!AU - Het!FrUK: Francia/Fem!UK;
#2 Mermaid!AU - Fem!FrUK: Fem!Francia/Fem!UK;
#3 Ghost!AU - FrUK [Questa storia partecipa alla #Halloweek2022 indetta dal forum Siate Curiosi Sempre];
#4 ?
[Raccolta di one shot a tema soprannaturale]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nyotalia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Day 7; valore chiave: memento mori 
Sinossi: Londra, età vittoriana. Francis è un fotografo che spesso ha a che fare con clienti molto particolari. Quando scatta un’ultima foto ad Arthur si verifica un inspiegabile incidente il cui risultato è l’inquietante fotografia... di un fantasma.
     


 
Fotografia post mortem
 
 
In data 31 ottobre 1888, Arthur Kirkland viene dichiarato morto.

Francis Bonnefoy è avvezzo a fotografare corpi senza vita, sono i suoi clienti più fedeli oltre che i soggetti ideali. I cadaveri non si muovono all’improvviso e non sbattono le palpebre, non si corre il rischio di rovinare uno scatto e ricominciare tutto da capo a causa di uno spasmo involontario. La morte è ovunque a Londra: nelle strade, nelle case, nelle fabbriche e non fa distinzioni. Francis lo sa bene, ha perso il conto dei piccoli clienti che ha immortalato. Accettare la morte, accoglierla, fotografarla, non significa però abituarsi ad essa.

All’alba del primo novembre, Francis non si trova nel suo confortevole studio fotografico a Kensington. È con incedere cadenzato che si dirige verso l’abitazione del defunto.

Arthur..., si ripete Francis in mente e non perché tema di dimenticare quel nome.

Nella valigetta in pelle nera che tiene nella mano sinistra vi è la pesante macchina fotografica, nella mano destra ha il treppiede. Fa freddo, ma non ci fa caso mentre passo dopo passo si addentra nel quartiere di Marylebone. Lo sguardo di Francis è fisso davanti a sé ma non sta realmente guardando dove sta andando. Non ha bisogno di controllare che quella sia la strada giusta, ha solcato innumerevoli volte quello stesso percorso quando Arthur era ancora in vita.

Il marciapiede vibra sotto ai suoi piedi, la metropolitana deve essere già entrata in funzione. Il primo impulso è quello di fare dietrofront, addentrarsi nelle viscere della città e saltare su un vagone qualsiasi che lo porti il più lontano possibile da lì. Si arresta come se non avesse più il coraggio di proseguire.

Arthur è morto.

Gli si accartoccia lo stomaco. Ha una brutta sensazione ma ipotizza debba essere dovuta al lutto. Ricomincia a camminare finché non raggiunge la sua destinazione. Di fronte a lui si staglia un palazzo di tre piani, stretto, in mattoni una volta marroni che ora a causa dei fumi si sono annerriti. Le tende sono chiuse oltre i vetri delle finestre, appannati a causa dell’umidità notturna.

Francis picchia il battente, immediatamente la porta si schiude per lasciarlo passare. Ancora una volta non ha bisogno che qualcuno gli mostri la strada fino alla camera di Arthur, Francis sa bene dove andare. Il pavimento scricchiola in maniera familiare sotto il suo peso mentre sale su per le scale anguste che lo portano fino al secondo piano. Raggiunge la camera da letto. Vi è già qualcuno. Oltre ad Arthur, steso immobile sul letto, è presente un ragazzo biondo al suo capezzale, sicuramente uno dei fratelli. Francis lancia uno sguardo fuori dalla finestra, scorge la strada e, anche se a respirare sono soltanto in due, la cameretta gli risulta soffocante. Porge le sue condoglianze poi, in silenzio, inizia a montare il piedistallo su cui posizionare la macchina fotografica.

Con la coda dell’occhio si accorge che Arthur è già stato abbigliato con un elegante completo nero che sembra essere fatto su misura per lui. Francis non ha il tempo per ragionarvi, bisogna ancora allestire il macabro set. Colloca una sedia vicino alla parete, nel punto in cui pensa la luce sia migliore, e chiede aiuto all’altro Kirkland per sistemare Arthur sulla sedia, di fronte all’obiettivo della sua fotocamera.

Ora è tutto pronto. Francis va dietro la fotocamera, si china, sbircia attraverso l’obiettivo. Da lì, attraverso una lente, Francis osserva finalmente Arthur. La malattia non ha lasciato traccia sul suo viso pallido, non vi è più sofferenza. La schiena è poggiata in modo naturale alla spalliera della sedia, le mani sono sulle gambe e gli occhi vacui sono aperti, per simulare una vitalità che non vi è più. Solo il capo, piegato lievemente all’indietro, è l’unica nota stonata in quella perfetta composizione.

Francis esita.

Vi è qualcosa di sinistro ed ironico in quella situazione. Non può fare a meno di ricordare tutte quelle volte che in vita ha preso in giro Arthur per il suo essere così poco fotogenico. Gli fa male il cuore nel pensare che quella che sta per scattare sarà la foto migliore che gli abbia mai fatto.

Infine, preme il pulsante. Parte il lampo del flash che si confonde con il fracasso di un botto inaspettato che fa sobbalzare tutti i pochi presenti nella stanza, tranne Arthur ovviamente, fatalmente inchiodato sulla seggiola di legno.

In pochi secondi la camera si riempie di fumo. Francis è il primo a reagire, spalanca la finestra in fretta e furia per far uscire il fumo e corre di nuovo alla sua postazione. Tossisce, la stanza è ancora piena di vapore e polvere, e non trattiene una mezza imprecazione quando prende in mano la fotocamera e si rende conto che qualcosa si è bruciato all’interno, destando in lui l’inquietante timore di aver perduto quell’importantissimo ultimo scatto.

Inutili sono le successive richieste di spiegazioni, Francis non è in grado di fornirle.
 

 
* * * 

 
A causa dell’incomprensibile incidente, Francis preferisce non trattenersi oltre nell’abitazione. È mosso dall’urgenza di scoprire cosa ne sarà della foto. Quasi si dimentica di salutare, concedendosi soltanto un breve istante per volgere lo sguardo verso Arthur ancora una volta, augurandogli un silenzioso arrivederci. L’ultimo omaggio glielo avrebbe porto al momento del funerale, già fissato per la giornata successiva. 

Il resto della mattinata e del pomeriggio lo passa in uno stato di agitazione angosciosa, chiuso nella camera oscura del suo studio nella disperata impresa di salvare il rullino e sviluppare la fotografia. Per qualche motivo la fotocamera sembra non volersi aprire, deve un po’ calcare la mano ma, alla fine, crede che riuscirà a recuperare l’immagine.
Nel frattempo, Francis ha preso un’importante decisione.

Non consegnerà la foto.

Dovrà mentire, ma non ha importanza. La vuole per sé, per conservare l’ultimo ricordo che può avere di lui, del suo amato Arthur. È un suo diritto anche se non lo può reclamare a voce alta, ma al quale non è risposto a rinunciare.

Con quella nuova risoluzione, Francis si prepara per dormire. È ancora presto, appena le sei, ma l’unica cosa che desidera è che quel giorno finisca quanto prima.

 
* * *

 
Francis sbarra gli occhi. È ancora notte fonda ma un rumore improvviso l’ha destato dal sonno. Proviene dal piano di sotto, dove si trova il suo studio fotografico.

Che si tratti di un ladro?
Un po’ allarmato si infila sbrigativamente la vestaglia e si affretta giù per le scale.

Arriva preoccupato nella sala principale dello studio. La luce del lume è accesa ma non vi è nessuno a parte lui e non sembra ci sia qualcosa fuori posto. Perlustra la stanza con lo sguardo e nota soltanto un piccolo dettaglio insolito. Sul tavolo scorge la foto di Arthur che aveva lasciato a sviluppare. Aggrotta le sopracciglia. È sicuro di non essere stato lui a metterla lì. Corre a controllare la porta ma è chiusa, esattamente come la aveva lasciata. Gli fischiano le orecchie, c’è qualcosa che non va. Si avvicina allora al tavolo e prende la foto in mano, intenzionato a rimetterla al suo posto. Abbassa lo sguardo su di essa e gli sfugge un urlo.

Non può essere.

Si blocca.

Trattiene il respiro.

Il terrore lo assale, la fotografia gli sfugge di mano mentre indietreggia e sbatte il fianco contro il massiccio tavolo di legno, facendo rovesciare qualche boccetta di inchiostro.

Sconcertato si porta le mani tra i capelli.

Nella fotografia vi è il corpo di Arthur, proprio come l’ha fotografato, ma accanto ad esso si staglia una figura diafana che levita a qualche centimetro da terra, con una mano appoggiata sulla spalla del cadavere.

Francis sente il cuore martellargli nella cassa toracica, gli pulsano le tempie e lui stesso stenta a credere al pensiero che sta prendendo forma nella sua mente.

Quello è Arthur. Quello spettro è Arthur.

Francis non ha il tempo di interrogarsi ulteriormente, né di mettere in dubbio ciò che ha visto perché ecco che accade qualcos’altro.
Una corrente d’aria gelida, spettrale, lo investe facendogli venire la pelle d’oca e spegnendo la luce del lumino. Qualcosa di invisibile si muove nella stanza, frusciano i fogli di giornale, i vetri delle cornici si crepano e vanno in frantumi, trema il pavimento e l’oscurità è così spessa che sembra avvolgerlo in una stretta inesorabile e soffocarlo lentamente fino a quando nel buio non si leva una figura opalescente che Francis riconosce all’istante.

«Arthur!»
Esala con un fremito, senza distogliere lo sguardo dal fantasma di Arthur, muto e immobile a pochi centimetri da lui.

«Sei davvero tu? Parlami, ti prego...»
Il cuore di Francis batte ancora all’impazzata ma la paura è svanita. È pur sempre Arthur, per quale motivo dovrebbe temere lui o il suo fantasma? Francis ha gli occhi gonfi, non nota neppure che lo studio è piano piano tornato alla normalità: anche se è ancora immerso nel buio le luci della strada riescono a passare attraverso il tessuto sottile delle tende.

«Sì.»
È la semplice risposta di Arthur. La sua voce è immutata ma allo stesso tempo sembra provenire da lontano. Lo spettro non tradisce nessuna emozione. Piano, Arthur tende una mano verso di lui. Francis prova ad afferrarla ma inutilmente, le sue dita passano attraverso la candida ombra di Arthur, il cui sguardo si offusca.

«Perché mi fai questo, Francis?»
È l'unica domanda che gli rivolge Arthur e Francis non capisce e non riesce a rispondere in tempo ché in un battito di ciglia, Arthur non c’è più.

 
 * * *
 

Il funerale si celebra il giorno dopo in una delle tante chiese gotiche londinesi. Oltre ai parenti più stretti e agli amici, anche Francis è presente. Ha le palpebre pesanti e due profonde occhiaie nere gli solcano il viso. Parla poco. La fotografia di Arthur è ben nascosta nel taschino della giacca, sulla sinistra, vicino al cuore.

È in silenzio che Francis accompagna il feretro all’esterno, non lo perde di vista un solo momento, fino a quando la bara non viene calata in una polverosa fossa nel terreno, scavata dal becchino che in un angolo aspetta di spalare nuovamente la terra e seppellire quella modesta cassa di legno.

Francis è l’ultimo ad andarsene. Prega per Arthur e anche per se stesso affinché Dio salvi le loro anime tormentate.

 
 * * *
 

Quella sera Francis, nonostante gli sforzi per rimanere sveglio, crolla a letto in pochi minuti. Il suo corpo è incomprensibilmente spossato ma la sua mente è vigile, agitata dall’incertezza. Rivedrà Arthur? Il suo fantasma tornerà a fargli visita? Risponderà alle sue domande?

Nella stanza da letto e al piano di sotto il silenzio regna sovrano.

La mente di Francis adesso è ottenebrata, sono passate ore ed ore e non sa quanto altro dovrà attendere. L’aria è pesante nella camera, immobile, asfissiante e ha quasi la sensazione di essere lui quello dentro ad una bara. In attesa che la Morte si ripresenti davanti a lui, Francis ripercorre i ricordi di tutti quegli anni a Londra trascorsi ad immortalare cadaveri. Ha sempre trattato con rispetto i suoi freddi modelli e le loro famiglie, cercando di render loro giustizia cosicché i loro cari trovassero conforto nelle sue fotografie.

Vi è qualcosa di lugubre e romantico nel fotografare un corpo senza vita. Gli uomini passano ma, indelebili, le sue fotografie sarebbero rimaste. Ed è così cara la memoria, così nostalgica, che si perde di vista il suo macabro risvolto: ricordati che devi morire.

Francis si gira su un fianco, a tentoni allunga una mano sul comodino su cui ha riposto con la massima cura la fotografia scattata ad Arthur. La afferra e la avvicina al viso, scrutandola nella penombra della stanza. La scena non è mutata: il corpo di Arthur è nella stessa posizione mentre il suo spirito osserva Francis con sguardo severo.

La morte è sempre stata la sua massima ispirazione, realizza allora Francis. Quella foto è la più bella che abbia mai fatto. C’è qualcosa di familiare e quasi intimo, attraverso l’obiettivo è il suo sguardo che si posa su Arthur e, a differenza di tutte le altre fotografie, vi è contenuto tutto il suo dolore.  

Continua a compiangerlo. Per Arthur, il momento è arrivato troppo presto ma Francis sa bene che presto o tardi sarà anche il suo turno. Si chiede soltanto se qualcuno gli scatterà una foto bella quanto quella.

In quel momento si accorge che l’aria nella stanza si è rarefatta.

Francis si sente più tranquillo, Arthur è finalmente arrivato.

Questa volta la sua apparizione non è stata spaventosa come quella della sera prima. L’inglese è immobile ai piedi del letto e Francis sorride amaramente, gli ricorda quando a parti invertite era lui che passava ore intere seduto sul bordo del letto di Arthur per tenergli compagnia durante la malattia. Lui gli diceva che si sarebbe ripreso e per un po’ Francis gli ha creduto. Che stupido.  

«Ti stavo aspettando, Arthur.»
Lo saluta, scendendo giù dal letto. Arthur non risponde, continua a fissarlo e Francis avanza verso di lui.

«Sei venuto qui in cerca di vendetta? O sei qui per consolarmi?»
Gli domanda malinconico mentre gli porta le mani sul viso senza toccarlo, perché non può. Vede Arthur imitare i suoi stessi movimenti e avvicinarsi a lui, quasi fino a poggiare la fronte alla sua.

«No.»
Risponde infine Arthur e vi è sofferenza nella sua voce.

«Sono qui per chiederti di permettermi di riposare.»
Francis fa un passo indietro, non capisce cosa intenda dire. Lo spirito di Arthur lo osserva afflitto prima di riprendere.

«Avrei tanto voluto che ci fosse stato concesso più tempo.»
Le sue parole suonano come un lamento, pregne di rimpianto e nostalgia.
«Ti ho amato in vita, anche se forse non l’ho dimostrato al meglio. Non è cambiato nulla da allora, ma tu Francis...»
Arthur prende un sospiro tremolante e lascia scorrere una mano fino all’altezza del cuore pulsante del suo amante. Incontra il suo sguardo per rivolgergli la sua ultima supplica.
«… devi lasciarmi andare. Fa male. Libera la mia anima, concedimi di trovare la pace.»

Francis avrebbe tanto altro da chiedergli ma ancora una volta il fantasma di Arthur svanisce, abbandonandolo in un abisso di disperazione. Si porta le mani sul petto, lì dove Arthur l’ha sfiorato, lasciando che calde lacrime gli scorrano giù dal viso.
Le parole di Arthur si avvicendano nella sua mente in maniera scombinata.

Fa male. Fa male. Fa male.

Con un movimento brusco, Francis si fionda giù per le scale, verso il piano di sotto.

Libera la mia anima.

A piedi nudi sul pavimento quasi scivola, ma riesce a riprendere l’equilibrio e come un ossesso si dirige verso il retro, per recuperare la sua fotocamera ormai inutilizzabile.

Concedimi di trovare la pace.

Torna in sala, fissando l’obiettivo bruciato della macchina fotografica.

I deboli raggi di un nuovo giorno gli illuminano il viso.

Francis sa cosa fare.

 
* * *

 
Nel cuore della notte un'ombra furtiva si muove tra le strade deserte di Londra.
Francis è guardingo, è in ansia al pensiero di ciò che sta per fare. Si guarda attorno mentre oltrepassa il cancello in ferro battuto che si affaccia sul cortile della chiesa, la stessa in cui è stato sepolto Arthur. Del guardiano non vi è traccia, Francis suppone che si possa trovare al pub nella strada di fronte alla chiesa, gli schiamazzi possono essere uditi fin da lì. Dubita che ritornerà a vegliare su quelle tombe.

Meglio così, considera Francis mentre muove qualche passo nel cortile, cercando a tentoni di farsi strada nel buio. Ha bisogno di una pala ed è abbastanza speranzoso nel riuscire a trovarla lì. Infatti, quasi vi inciampa mentre prova a raggiungere la tomba di Arthur.
Trovare la lapide non è difficile, Francis vi è stato di recente e ricorda la strada abbastanza bene. Si accerta comunque di essere nel luogo giusto, leggendo l’epitaffio illuminato dalla luce riflessa della luna.

 
Sacred to the memory of
Arthur Kirkland
May his soul rest in peace
April, 23rd 1865 - October, 31st 1888
 

La prima vangata è semplice. Il terreno è stato smosso da poco, è soffice, non fatica a rovesciare le zolle. Il lavoro però diventa più difficile man mano che prosegue, i muscoli delle braccia bruciano ma non si può fermare. Non ancora.

Scava.

Una parte di lui vorrebbe abbandonare la pala lì e tornarsene di corsa a casa.

Scava!

Ormai però è troppo tardi per fermarsi.

SCAVA!

Che Dio abbi pietà di loro.

Con un contraccolpo la lama della pala sbatte infine contro una superficie legnosa. Quasi come un indemoniato, Francis dà fondo alle ultime energie, fino a quando il coperchio della bara non è del tutto visibile.

Solo a questo punto si concede di riprendere fiato.
Si fruga in tasca, tira fuori l’orologio da taschino. Sono da poco passate le tre e mezza.
Deglutisce e ripone l’oggetto in tasca, afferra nuovamente la vanga.

Tentenna.

Poi si fa coraggio e facendo leva con la pala scoperchia la cassa, il tonfo rimbomba nel cimitero deserto come uno sparo nella notte.
Il corpo di Arthur è lì. Gli occhi sono chiusi, l’espressione è rilassata. Sembra quasi che stia dormendo. Francis sente gli occhi iniziare a pizzicargli, vedere Arthur in quella bara dismessa è miserevole.

Si strofina la manica della giacca sugli occhi arrossati, e si impone di continuare, di andare fino in fondo. Dalla valigetta che ha portato con se estrae la sua macchina fotografica, quella rotta, con la quale ha fotografato Arthur per l’ultima volta.

Se la rigira per le mani, la osserva. Ripensa a quel misterioso incidente che ha bruciato l’obiettivo quando ha fotografato Arthur. Forse era passato troppo poco tempo, forse Arthur gli ha lasciato involontariamente una parte di sé. O forse è stato Francis a non permettergli di sfuggirgli, intrappolando la sua anima con uno scatto egoista e disperato... non era preparato a dirgli addio.

Francis deve porre rimedio al suo errore, qualsiasi esso sia stato, anche se è stato solo per amore.

Si fa il segno della croce, si inginocchia e posiziona la fotocamera nella cassa. Francis non si muove, rimane in attesa e non sa neppure lui di cosa. Non accade nulla. I suoi occhi restano fissi sul corpo senza vita di Arthur. Lentamente distende una mano verso di lui, per carezzargli il volto per un'ultima volta.
«Perdonami amore mio.»

Un po' barcollante si rimette in piedi. Ha molto lavoro da fare, non ha ancora neanche richiuso la bara e deve sbrigarsi a rimettere tutto a posto prima dell’alba o saranno guai grossi per lui. Nel frattempo, si è alzata una sottile nebbiolina nel cimitero e la temperatura si è improvvisamente abbassata. Nel buio, quella fine foschia sembra scintillare e Francis la osserva rapito muoversi in maniera quasi... innaturale.

C’è qualcosa di strano, sembra quasi che essa si stia avvicinando a lui, che si stia raccogliendo ai suoi piedi.
Francis rimane immobile mentre si rende conto che davanti ai suoi occhi increduli dalla nebbia sta lentamente emergendo lo spettro di Arthur. Per la prima volta, il fantasma gli sorride.

«Ci vediamo dall'altro lato. Farewell, my dear.»
Pronuncia infine Arthur, prima di sfiorargli le labbra con le proprie ed è come ricevere un bacio dalla Morte stessa. Il fantasma gli passa attraverso, Francis fa in tempo a girarsi per vedere lo spirito riunirsi al corpo. Poi, una forza troppo potente per essere contrastata lo attira verso la cassa in cui giace Arthur.

In fondo, Francis non si vuole neppure opporre. Il suo corpo cade in avanti e si adagia su quello di Arthur, è come se qualcuno lo avesse sorretto e guidato in quella dolce caduta.

Francis non ha paura. Si sente in un piacevole stato di beatitudine.

Abbraccia Arthur.

Si sente in pace.

Poi, con un ultimo scricchiolino, il coperchio della bara si richiude.

 
* * *

 
A Kensington, in un vuoto studio fotografico, si trova un'immagine racchiusa in una cornice dorata.
Essa non ritrae più una figura solitaria ma due giovani uomini. Uno è su una sedia, l’altro gli è seduto sulle gambe, le loro dita sono intrecciate, si guardano teneramente.

Uniti oltre la morte per il resto dell’eternità.
 
Fine
 
 
Note finali
Buon Halloween! 
🖤 
Vi consiglio di accomodarvi, queste note sono lunghe.
Due paroline su questa shot. Sguazzo proprio nella mia comfort zone. OTP, Londra, epoca vittoriana, elementi sovrannaturali, Halloween, un filino di angst... tutte cose che amo tantissimo e di cui non mi stancherei mai di parlare. Inizialmente questa shot non era nei piani (infatti nella shot precedente dicevo di saper già quale altro prompt sviluppare ma non si trattava di questo!) infatti, è nata leggendo i bellissimi prompts della #Halloweek del forum Siate Curiosi Sempre. Per riuscire a scrivere questa shot non nascondo di aver dovuto fare i salti mortali, questo per me è un periodo pieno zeppo di impegni (che mi tengono lontana anche dall’aggiornare le altre long, sigh) ma per la mia festività preferita ho dato fondo a tutte le energie ed eccomi qua! 
Per una volta sono contenta di come mi è uscita, sento di aver fatto un buon lavoro e non è una cosa che accade spesso.
Comunque, questa shot è proprio diversa dalle due precedenti, sia nello stile che nelle tematiche direi. Ho voluto provare a scrivere qualcosa di un po’ più “gotico”, per così dire. Le fotografie post mortem erano una cosa parecchio diffusa nell’Inghilterra vittoriana, non erano considerate nemmeno una cosa strana e con il prompt “memento mori” vanno a braccetto. Se invece la posa descritta nelle ultimisse righe vi suona familiare, è perché mi sono ispirata (leggasi: l’ho descritta tale e quale) a questa foto qua. È parecchio famosa, sono sicura che la conosciate!
Comunque la butto lì, considerate la conclusione di questa storia un lieto fine?
Per farmelo sapere, dovete lasciare una recensione ;)
Scherzo! Ma se vi va, a me non dispiacerebbe affatto sapere cosa ne pensiate 
🥹
Vi ringrazio per aver letto fin quaggiù, 
al prossimo prompt, un abbraccio 
❤️ 
   
 
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