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Autore: EleAB98    10/11/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XX  L'Essenziale è Invisibile agli Occhi



Non avevo toccato neppure mezza sigaretta da quando eravamo tornati da Bristol. Ero stato troppo occupato a processare tutte le emozioni che mi avevano colto appena pronunciate le fatidiche parole "Rendiamo la cosa ufficiale". Quella stessa sera, una volta tornati a Los Angeles, io e Benedetta avevamo consumato l'ennesima cenetta a lume di candela per poi terminare in bellezza a casa mia.
Era stato così naturale rifare di nuovo l'amore, confessarle a cuore aperto che nessuna donna, prima di lei, aveva varcato la soglia della mia camera da letto.
Io e Melissa avevamo infatti acquistato quella casa a pochi giorni dalle nozze, e durante quel breve periodo pre-matrimoniale avevamo deciso di praticare almeno un minimo di castità, così da essere carichi per la luna di miele e testare quel letto soltanto una volta sposati.
Fin dal giorno della sua morte, era stato davvero difficile doverlo testare da solo. A dire il vero, era stato difficile fare tutto. Persino muovere le dita delle mani mi costava fatica.
Quando, dopo qualche anno, avevo cominciato a cedere alle avances – ovviamente ne facevo anche – delle bellissime donne che mi capitava di incontrare sul mio cammino, avevo sempre fatto modo e maniera che non varcassero la soglia di casa mia, men che meno della camera da letto. Ero io che mi intrufolavo nella loro.

Benedetta era stata la sola ad aver saggiato l'intimità di quel posto che per anni avevo considerato come fonte di un tormentato riposo.
«Che tu ci creda o meno, sei la prima a cui faccio vedere la mia stanza», le avevo detto infatti, tra un bacio e l'altro.
Benedetta non aveva perso tempo e, sciogliendomi il nodo della cravatta, si era lasciata guidare dal profondo affetto che le stavo riservando, dalle mie mani che, con sapienza e disinvoltura, stavano già percorrendo con ingordigia ogni angolo del suo corpo.
«Ma quale onore!» aveva commentato lei, sbarazzandosi con foga del suo vestito.
Aveva così tanta voglia di me, che era stato davvero difficile spingerla ad ascoltarmi.
Smisi di accarezzarla e le sorrisi, prendendole la testa con dolcezza. «Ehi. Dico davvero. Nessuna donna è mai stata qui prima di te. Nessuna ha mai dormito insieme a me, qui sono sempre stato un lupo solitario.»

«E io ti credo. Non stavo scherzando, prima. È solo che... ti desidero tantissimo, e... non riesco a ragionare troppo lucidamente in questo momento. Sono davvero onorata di essere qui con te. Di aver conosciuto ogni particolare del tuo passato. Ma adesso... tutto quello che voglio è stare con te. Ho passato notti intere a sognare questo e altri momenti.»
Senza aspettare un mio cenno, Benedetta mi aveva baciato ancora una volta; abbandonarci alla passione era stato il preludio di una nottata serena e altrettanto appagante.

Ancora una volta, mi persi ad ascoltare il suo respiro regolare, a farmi solleticare dalla corposa massa di ricci ribelli che avevo adorato fin dal momento in cui avevano fatto la sua comparsa. Tracciai sulla sua pelle un percorso che, dal fianco sinistro, terminava sulla spalla; quindi ricominciai a muovere la mano su e giù, in quella sorta di moto perpetuo che stava ipnotizzandomi; mi beai del calore del suo corpo.
Benedetta si mosse appena, il sorriso sulle labbra, le mani a stringermi la vita. Il suo respiro, adesso fattosi più pesante, s'infrangeva sul mio collo. Aprì gli occhi. Dalla finestra della camera penetrava un leggero barlume di luce; era giorno fatto.

«Buongiorno», biascicò lei, avvicinandosi alla mia guancia. Me la baciò e tornò ad accucciarsi sulla mia spalla.

«Buongiorno. Dormito bene?»

«E me lo chiedi?» Si scostò da me per guardarmi negli occhi. Nei suoi era impresso un sentimento travolgente. «Dio, sapessi quanto ti amo», se ne uscì; incapace di trattenersi, mi si avvicinò e stavolta mi diede un bacio con gli attributi.

L'assecondai senza neanche pensarci, ma il mio cuore perse più di un battito. Ogni singola volta, sentire da lei quel ti amo mi sconvolgeva. Ma perché mai non riuscivo a ricambiarlo? Una parte di me credeva ancora che Benedetta lo stesse aspettando ormai da tempo, ma dall'altra... aveva forse mostrato risentimento nei miei riguardi? No, mi risposi, mentre continuavo a baciarla e milioni di farfalle svolazzavano felici nello stomaco.
Lei mi amava, e lo faceva incondizionatamente. Non pretendeva che la si imitasse nelle parole e nelle azioni; lei era diversa. Lei era una donna a tutti gli effetti e possedeva quella maturità che solitamente non appartiene a ragazze così giovani e sognatrici. Mi staccai da lei. Forse sarebbe stato il momento giusto per dirglielo, quel ti amo anch'io. Ma quelle poche volte che ci avevo provato, un fastidioso nodo in gola mi aveva rispedito al mittente.

«Ti ringrazio per non avermi sbattuto la porta in faccia», disse lei poco dopo, prendendo ancora la parola.

I pensieri di poco prima svanirono. «Sono io che ringrazio te. Per non esserti mai arresa.» Continuai ad accarezzarle i fianchi con tenerezza. Aveva una pelle morbidissima. Tutto, di lei, era stupendo. «E per averci portato fino a qui. Anche se... mi chiedo ancora cosa tu ci abbia visto, in quello scapestrato di nome Malcom Stone», le dissi, tra il serio e il faceto.

«Quel Malcom Stone è speciale. E l'ho capito dal primo momento che l'ho visto.» Mi si avvicinò e mi regalò un altro bacio. Ero ebbro dei suoi baci, non ne avevo mai abbastanza. «Tutte le sofferenze passate che abbiamo condiviso me ne hanno dato la piena conferma. E adesso... ti amo persino più di prima.»

Sentii inumidirmi gli occhi. I discorsi di Benedetta arrivavano sempre dritti al cuore. «Che dici, ci prepariamo per andare in ufficio?»

«Per la nostra prima apparizione ufficiale da... fidanzati?» chiese timidamente lei, lo sguardo sul mio torso, ancora oggetto delle sue dolci carezze.

«Proprio così.» Le strinsi la mano, gliela baciai e mi alzai dal letto. «Vado a farmi una doccia veloce», sentenziai, senza che i suoi occhi lasciassero il mio corpo. Con aria compiaciuta, lasciai la stanza e, nello stesso momento, sentii che Benedetta si lasciava ricadere sul letto emettendo un profondo sospiro.

 

*

 

Ritrovarsi mano nella mano per i corridoi dell'ufficio aveva un sapore diverso, questa volta. Perché questa volta ero pienamente convinto di quello che stavo facendo. Nessuna paura, nessun ripensamento. E nessuna sigaretta all'orizzonte. Non mi sentivo per nulla nervoso; forse non avevo neanche più bisogno di quel diversivo. Quello di cui avevo bisogno ce l'avevo accanto. Sulle prime, non incontrammo nessuno, ma quando svoltammo sulla sinistra per raggiungere i nostri uffici, un Ryan tutto sorridente ci salutò con vivo entusiasmo.

«E così questo testone si è deciso, eh?» disse a Benedetta, non senza che però mi guardasse con affetto.

«L'abbiamo deciso», replicò lei, tornando a sorridermi.

Ryan si tolse gli occhiali e annuì. Si vedeva lontano un miglio che si stava trattenendo dall'abbracciarci. «Tanti auguri a entrambi», disse infine, poco prima di assumere il cipiglio serio e professionale che milioni di volte gli avevo visto stampato in viso. «Adesso, però... al lavoro, forza! Abbiamo un sacco di cose da fare!» esclamò, inarcando un sopracciglio.

«Agli ordini, signor Vermut», replicammo all'unisono, mentre ci scambiavamo un'occhiata d'intesa.

Ryan ci lasciò soli, non prima di averci fatto l'occhiolino, pur senza sorridere di nuovo.

Mi voltai verso Benedetta. «Che dici, ci vediamo in pausa pranzo?»

«Con piacere», disse lei. Ci scambiammo un bacio veloce e, una volta accompagnata Benedetta nel suo ufficio, tornai sui miei passi per entrare nel mio. Fu proprio in quel momento che Bianchi mi comparve davanti, sbarrandomi la strada. Aveva stampato in faccia il solito ghigno da attaccabrighe.

«E così ti sei arraffato la biondina, eh?»

«Io non l'ho arraffata. Stiamo semplicemente insieme.»

«Tu e lei, insieme? Dopo tutte le donne che ti sei scopato, pensi che con lei—»

«Non sono più quello di prima», gli risposi, cercando di mantenere la calma.

L'altro sbuffò in aria. «Ne riparleremo tra qualche tempo, quando probabilmente ti sarai stufato anche di lei. È questa la fine che ha fatto la tua vecchia assistente.»

In quel momento, avrei tanto voluto sbatterlo al muro, ma ripensai all'istante a Benedetta e alla felicità che mi aveva donato. Senza rispondere a quel buzzurro, passai oltre rifilandogli un'occhiata sprezzante e andai verso l'ufficio. Non appena vi entrai, una Michelle Pantano dal ghigno malizioso sedeva, a gambe accavallate, sulla mia scrivania.

Perfetto, ci mancava solo lei.

«Michelle», esalai, calmo. «Ti dispiacerebbe sgombrare il campo?»

«È così che si tratta una collega?» replicò lei, senza scomporsi.

«Che cosa vuoi?» le chiesi, dando un'occhiata sommaria al suo solito abbigliamento – minigonna e camicetta semiaperta – che non lasciava molto spazio all'immaginazione.

«Solo capire», disse lei, scendendo dalla scrivania.

Totalmente immune al suo charme, lasciai che si avvicinasse al sottoscritto quel tanto che bastava a intrattenere una conversazione.

«Davvero non ti sono mai piaciuta?» rincarò, accigliata.

Mi scappò un sospiro. «Se mi avessi conosciuto qualche anno prima, sta' sicura che non ti avrei mai detto di no. Ma se è per questo, non ti avrei nemmeno fatta entrare troppo nella mia vita. A oggi, una sola persona ci è riuscita.» Sorrisi, lo sguardo perso nel vuoto. «Da adesso, sono un uomo ufficialmente impegnato, Michelle. E mi aspetto che tu te ne faccia una ragione. Chiaro?» Tornai a guardarla con profonda serietà, la sua bocca piegata in una smorfia.

«E quella persona sarebbe La Carisi?» enunciò, sarcastica.

«Proprio così. La Carisi», rimarcai, deciso.

Michelle scrollò le spalle, incredula e dispiaciuta allo stesso tempo. «Non capisco proprio cosa tu ci abbia visto, in una tipa come lei. Con me ti divertiresti senz'altro molto di più. Lei non ha esperienza per certe cose.»

«Queste certe cose non sono tutto, nella vita. E lei me l'ha semplicemente ricordato. E poi, che dirti... l'esperienza si acquisisce con il tempo...» lasciai intendere, con il solo scopo di farla imbestialire di più.

E ci riuscii alla perfezione.

«Arriverà il giorno in cui ti stancherai di lei. E cercherai altrove nuovi stimoli», replicò stizzita, per poi lasciare spazio al consueto sorriso malizioso.

Serrai le nocche, infastidito e soddisfatto allo stesso tempo. Anche lei credeva che Benedetta sarebbe stato il mio pupazzo, un diversivo che potevo sfruttare per mio puro piacere quando volevo.

«Cos'è, tu e Bianchi vi siete messi d'accordo? A ben pensarci, sareste davvero una bella coppia.»

L'altra rabbrividì a quella constatazione. «Sciocchezze», sputò, disgustata. «Quel Bianchi è l'uomo più moscio che abbia mai conosciuto. Non mi stupisce che la moglie l'abbia lasciato. A letto è una vera frana», si lasciò scappare, quindi, con uno scatto improvviso, mi voltò le spalle. Che la cosa resti tra di noi», pigolò poi, la sua voce ridotta a un semplice sussurro.

Sorrisi, trionfante. «Non credo di aver capito, Michelle.»

L'altra sospirò. «E va bene! Rispetterò il tuo rapporto con Benedetta, okay?» Si girò di nuovo e notai quanto fosse paonazza. «Ma, ti supplico, non dire a nessuno che sono stata a letto con Bianchi, o passerò per la sfigata di turno.»

Il mio sorrisetto non scomparì. «Affare fatto. Prego», le dissi, indicandole la porta. «Puoi andare.»

Con la coda tra le gambe, Michelle incrociò a malapena il mio sguardo e, questa volta, fu proprio lei a scappare da me.

Mi sedetti sulla scrivania, mani e gambe incrociate, un sorriso che sentivo autentico, il mio cuore pieno di speranza. Per un istante, tornai con la mente alla nottata appena trascorsa con la mia metà.
Avevo ancora tanta voglia di lei. Unirmi a Benedetta significava tornare alla vita, provare un piacere e una felicità sin troppo grandi da quantificare. Al solo ricordo, il desiderio non si fece nuovamente strada soltanto nel corpo, ma anche nell'animo. Ed era proprio questo che andavo da anni cercando. Un legame che non fosse di solo sesso ma che, in virtù della sua forza, potesse mostrare anche quella parte essenziale – ma comunque invisibile agli occhi di tutti – che non si basava nient'altro che sull'amore puro.

Dopo qualche istante, bussarono alla porta del mio studio e in automatico diedi il permesso di entrare... all'ennesimo rompiballe? mi chiesi, guardando incuriosito verso la porta.

Quando Christian comparì sulla soglia, stentai dal trattenere l'entusiasmo. Dopo i soliti convenevoli, lo pregai di sedersi e lui non se lo fece ripetere due volte.

«Novità?» gli chiesi, senza che lasciassi trapelare alcunché.

«Dammene qualcuna tu», piuttosto, rispose lui, cercando di fare il vago. «Il lavoro procede a gonfie vele, no?»

«Esattamente. Tutto a meraviglia. Spero anche tu. Come va con Cinthia?»

«È prossima al parto», rispose lui, i suoi occhi si fecero lucidi. «Non vediamo l'ora di conoscere Andrea.»

«Andrea, eh? E così alla fine hai vinto tu...» Gli diedi un'affettuosa pacca sulla spalla e ricambiò il sorriso.

«Incredibile, vero? Credevo davvero che Cinthia volesse chiamare nostro figlio Ernesto, invece la sua era tutta una burla.» Scosse la testa, ridendo sotto i baffi.

«Mi raccomando, chiamami quando è il momento.»

«Lo farò senz'altro. Ma tu? Mi chiamerai quando l'avrai finita con questa vita da prete?»

«E chi lo sa», gli dissi. «Potrei chiamarti prima di quanto immagini.»

Poco prima che lui potesse replicare, bussarono di nuovo alla porta. Senza aspettare un mio cenno, Benedetta entrò e mi riservò un'occhiata confusa. «Ops, scusatemi tanto... credevo fossi da solo, Malcom. Già che ci sono, vi posso portare un caffè?»

In quel preciso momento, mi venne un tuffo al cuore. Quella situazione mi ricordava tanto la prima volta che Christian aveva visto Benedetta, come la piccola discussione privata che ne era seguita.

«Decaffeinato per entrambi, ti ringrazio», dissi a Benedetta, sorridendole.

Lei ricambiò timidamente il sorriso. «D'accordo. Allora torno tra cinque minuti.»

Quando stava per richiudere la porta, richiamai all'istante la sua attenzione. «Benedetta? Vieni qui un momento, per favore.»

Lei si voltò, dubbiosa, quindi si avvicinò alla scrivania. «Ci vediamo a pranzo più tardi, okay?» Allungai la mano verso la sua, quindi l'afferrai e me la portai alle labbra, dandole un casto bacio. «E grazie ancora per il caffè», aggiunsi, mentre lei, felice e imbarazzata, ricambiava il mio sorriso.

«Torno subito», disse ancora, stringendomi per l'ultima volta la mano prima che fosse fuori dalla porta.

Christian, nel frattempo, aveva assistito a tutta la scena con aria attonita. «Ma... ma che cosa significa, eh?!»

«Significa che avevi ragione tu. E che io, a oggi... sono profondamente innamorato di quella ragazza.»

L'altro sgranò gli occhi. E li sgranai anch'io.

«L'avevo detto. Avevo detto di essere innamorato di lei.

«Tu e lei siete... cavolo, fatti abbracciare!» scattò allora Christian, alzandosi in piedi. Mi strinse in una morsa che quasi mi stritolò.

«Okay, adesso però puoi anche lasciarmi andare!»

Ci lanciammo entrambi in una di quelle risate che avrebbe strappato un sorriso persino al più arido dei cuori.

«Benedetta ha lottato tanto per me», dissi poi, tornando serio. «Con Megan non è andata, avevamo entrambi proiettato nella figura dell'altro il nostro primo amore. Credo che Benedetta mi abbia rubato il cuore dal momento in cui mi ha baciato. Soltanto che ci ho messo parecchio tempo per ammetterlo.»

«Sono felice che tu abbia fatto chiarezza dentro di te. Ti meriti tutto il bene del mondo.»

«Lo sono anch'io. E non potrei desiderare di più dalla vita.»

 

*

 

Il cielo velato da nubi, una bottiglia di champagne. Una dolce musica di sottofondo a riempire quei silenzi ricchi di significato. Una bellissima ragazza davanti a me. Era tutto perfetto – o quasi.

«Qui la vista è davvero magnifica.»

«Sono d'accordo. Ma tu lo sei senz'altro di più.»

Benedetta sorrise, stringendo la sua mano nella mia.
Io e lei ci trovavamo sul terrazzo dell'ennesimo ristorante e, tra un sorriso complice e l'altro, ci stavamo gustando delle ottime portate. E stavamo ammirando i maestosi grattacieli illuminati che ci circondavano.

«Dai, non è andata poi così male oggi.»

«Forse a te», replicai, lasciandomi sfuggire una risata non troppo allegra ma comunque tinta di una sfumatura ironica. «Bianchi e Michelle mi hanno accerchiato, manco fossero due avvoltoi. Ma penso che ormai non ci daranno più fastidio.»

«E cosa gli avresti detto per farli desistere?»

La curiosità di Benedetta mi travolse. Adoravo quello sguardo, e per un momento rimasi imbambolato.

«We, Malcom?!» Benedetta fece schioccare le dita davanti ai miei occhi e io, come mio solito, mi risvegliai d'un colpo.

«Ho i miei metodi, ripresi», sorridendole con velata malizia.

«Allora poi me ne mostrerai qualcuno», fece eco lei, stando al gioco.

«Perché no. Le feci l'occhiolino e tornai a sorseggiare un po' di vino. «Che dici, brindiamo?»

Lei sollevò il calice e, assieme al mio, li facemmo tintinnare. «A noi», le sussurrai con intensità.

«A noi», ripeté lei, sfiorandomi appena le dita.

«Ah!» dissi poi, dopo il brindisi. «Avrei una cosa per te. Forse ti starai chiedendo per quale motivo non ho lasciato la ventiquattrore nel portabagagli... ecco, volevo darti questo.» Armeggiai con un paio di chiusure e le porsi un qualcosa che mai avrei pensato di far vedere a un'altra che non fosse Melissa.

Benedetta ne sfiorò con dolcezza e meraviglia la copertina. «Il tuo album di fotografie...» sussurrò, la voce le tremava.

«Vorrei tanto che tu lo vedessi. Voglio ricambiare mostrandoti la mia, di infanzia.»

Benedetta si lasciò sfuggire una lacrima. «Malcom, tutto questo è... io non me l'aspettavo, pensavo che—»

«Lo so. Nemmeno io pensavo che un giorno mi sarei ritrovato a condividere il mio passato con chicchessia. Ma tu non sei questo chicchessia. Tu sei di più. Molto di più.»

Benedetta mollò tutto e mi raggiunse dall'altro capo del tavolo. Mi strappò un bacio così passionale e pieno d'amore, che per qualche momento mi dimenticai persino del mio nome. Ricambiai quel gesto con fervore, quindi scostai la sedia e la sistemai sulle mie gambe, le sue mani a circondarmi il collo e ad accarezzarmi, di tanto in tanto, i capelli. La passione si fece presto strada anche nei nostri corpi e ci travolse, tant'è che interrompere il bacio ci sembrò un peccato mortale.

«Scusami», farfugliò lei, guardandomi a malapena. «Mi sono lasciata un po' trasportare.»

«Te l'ho detto. Mi piace tanto quando lo fai.»

«Ma forse questo non è il luogo più adatto, non trovi?»

Ridacchiammo, all'unisono. «Forse hai ragione. Però mi piace tanto lo stesso.» Le strappai un bacio casto e ci alzammo dal tavolo. Lei tornò a prendere l'album di fotografie, ma quando fece per aprirlo, la fermai.

«Ti prego, guardalo pure quando sarai sola. Ora come ora... non sopporterei di versare altre lacrime.» Sorrisi come uno sciocco. Mi stava venendo il magone, e tutto perché mi sembrava tutto troppo bello.

«Altre lacrime?»

Lei tornò su di me e mi cinse le braccia al collo.

«Quando si è troppo felici potrebbe capitare, no?»

«Quindi sei felice?»

«Tu che ne dici?» Le sfiorai la guancia e la strinsi più forte. «Ti prometto che un giorno lo guarderemo insieme. Ma non oggi. Perché adesso voglio guardare soltanto quella stella laggiù.» La feci voltare e gliela indicai.

«Malcom, io... veramente non riesco a vedere niente», replicò Benedetta, completamente smarrita.

Continuai a sorridere. «Hai ragione. Non si vede proprio nulla, in effetti. Non questa sera, almeno.» Il cielo era pieno di nubi e non si vedeva nemmeno una stella.

Benedetta mi rifilò un'occhiata di assoluta confusione. «Sei così strano... sicuro di non aver bevuto troppo?»

Mi sfuggì una risatina, quindi tornai più serio che mai. «Nulla di tutto questo. Volevo soltanto farti capire che tu sei stata il mio effetto farfalla. Sembrava che il tuo carisma e la tua forza fossero invisibili, invece... hai stravolto tutta la mia vita con un semplice battito di ali. E se adesso, in questo cielo così scuro, non vediamo assolutamente niente, è soltanto perché l'essenziale è invisibile agli occhi. Il Piccolo Principe aveva ragione. L'essenziale è invisibile agli occhi», ripetei, dando maggior forza a quelle parole. «E questo l'ho potuto constatare non appena le mie labbra hanno sfiorato le tue. L'essenziale era già vicino a me, eppure io non lo vedevo. Quando alzavo la cornetta per rispondere alla donna misteriosa, io potevo soltanto sentirne la voce. Non potevo sfiorarla, non potevo sapere com'era fatta. Eppure, tutto questo mi bastava. Era questo l'essenziale, quella cosa a cui mai avrei voluto rinunciare. E adesso, quell'essenziale che, nella sua costante presenza, era così invisibile, è proprio davanti a me. Tu sei davanti a me. E non potrei desiderare compagnia – né compagna – migliore.»

Benedetta non riuscì a proferire parola. Aveva ascoltato con aria incantata tutto quel discorso, e soltanto dopo qualche istante, tra nuove lacrime di gioia, tornò ad assaporare con ingordigia e dolcezza le mie labbra. Il suo ennesimo "ti amo anch'io" risuonò tra i sospiri, gli innumerevoli baci e le labbra che l'una all'altra si rincorrevano. Fu in quell'istante, che il mio cuore cominciò a galoppare fortissimo. Me ne ero appena reso conto. Le avevo (finalmente) detto ti amo senza dirglielo.
Le avevo confessato tutto quello che mi tenevo dentro da mesi, e tutto d'un fiato. E da lì quell'anchio, che continuava a risuonarmi nella testa come la parola più bella del mondo. Continuai a stringere quella piccola donna con tutta la forza che avevo. E avrei continuato a farlo, fino all'ultimo respiro.

Perché anche per lei l'essenziale era invisibile agli occhi, proprio come quel ti amo non pronunciato in modo diretto ma comunque sentito, e forse – me lo auguravo, almeno – trasmesso con quelle parole; con un semplice, appassionato sguardo.

E con un semplice sospiro di pura, immensa e stupenda felicità.

   
 
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