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Autore: niard    28/11/2022    1 recensioni
"Dal canto suo, Itachi odiava le attenzioni che il cugino aveva aizzato, tanto che si voltò rassegnato verso lui, il quale sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi - gli occhi canzonatori e le labbra morbide arricciate maliziosamente, perché Shisui sapeva che Itachi non poteva ribattere e che, sicuramente, era stizzito dalla battuta provocatoria, totalmente dettata dalla noia, che aveva lanciato. 
[...]"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Clan Uchiha, Sasuke Uchiha, Shisui/Itachi
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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  Un laghetto di carpe koi riempiva il cortile del dōjō della famiglia Uchiha creando un'atmosfera leggera in tutta  la proprietà.

Il dōjō era semi buio a quell’ora di sera, solo qualche raggio del tramonto si spegneva sui tatami, dove nel crepuscolo morbide ombre si creavano e allungavano lungo le pareti spoglie. Nel mezzo, Shisui si allenava come se la sua ombra potesse prendere vita e scagliarsi contro lui nel modo calcolato e veloce che lo caratterizzava. La katana fendeva l'aria tagliando in pezzi precisi i bambù allineati in pile verticali; il fischio secco della lama andava ad amalgamarsi con il saltuario schiocco dell'acqua provocato dalle pinne delle carpe.
L'ennesimo taglio diagonale e un nuovo rumore sordo si diffuse nella stanza.
Ancora con la katana stretta tra le mani, Shisui alzò il viso accaldato per godere dell'aria fresca che proveniva dagli shōji aperti - aprì appena la scollatura asfissiante degli indumenti, così da dar sollievo alla pelle mandita di sudore, poi ripose la propria spada nel fodero solo quando il respiro si regolarizzò, le spalle ora meno rigide, di cui una scricchiolò sommessamente. Poi, si lasciò cadere a terra, la schiena appoggiata alla parete di legno, che risultò quasi fresca - Shisui incrociò nervosamente le gambe, abbandonando il volto sul palmo della mano mentre ascoltava il pompare del sangue nelle orecchie; si stava allenando da ore, dato che era l’unica via di fuga dall’inferno che era nato attorno a sé. Si perse un attimo a tracciare la ormai ferita quasi guarita che si trovava sulla guancia - una sottile linea rosata che gli impediva di scordare cosa Sasuke aveva tentato di fare appena una settimana prima. 

Shisui riportò la postura rigida solo quando sentì la porta d’ingresso scorrere e, istanti dopo, affacciarsi un’ombra nella stanza in cui si stava allenando. Itachi fece la sua apparizione, vestito di nero, il viso serio e non aveva proferito parola - era tornato dopo quasi un mese di missione, ma Shisui non trovava il calore che gli scaldava il corpo ogniqualvolta si ricongiungevano. Non si erano incontrati alla solita locanda, non un messaggio o una notizia riguardo il ritorno di Itachi.

Shisui aveva mormorato, «cosa ci fai qui?». 

Itachi lo guardava, ma non diceva ancora nulla. Con la condizione di luce che poi vi era nel dōjō non era in grado di vedere l’ombra del taglio sul volto di Shisui.

«Te ne puoi anche andare se non hai niente da dire» disse ancora il maggiore, solitamente  calcolato nelle parole, ma fin troppo turbato negli ultimi giorni per mantenere la calma.

«So cosa è successo» le prime parole di Itachi, pensanti, invasero la stanza.

Shisui non sapeva di cosa parlasse realmente l’altro: se dell’incidente con Sasuke durante l’allenamento, l’odio che qualcuno stava aizzando nel minore, o il fatto che Shisui fosse diventato un fantasma nella loro famiglia. Itachi rispose poco dopo con tono fermo, dicendogli che tutti stavano parlando dello scontro con Sasuke; Shisui scosse la testa, conscio che Itachi fosse preoccupato dell’accaduto e Shisui non poteva non dargli torto dato che era capitato tutto così inaspettatamente. Il maggiore aveva davvero difficoltà a capire cosa fosse successo, cosa ci fosse realmente dietro allo scatto d’ira del cugino - sapeva che Sasuke non poteva più sopportarlo per aver tagliato i ponti con gli Uchiha, ma le parole che aveva detto, gli occhi deliranti che avevano guardato Shisui, non appartenevano a un ragazzo semplicemente ferito. 

     «Armi pari. No protezioni o mosse vietate» disse Sasuke stringendo così forte l’impugnatura dello shinai, l’arma di bambù di allenamento, che sembrò in grado di scavargli i palmi.
«Niente regole» non era una domanda quella di Shisui, ma una semplice affermazione che venne interrotta da un improvviso scatto di Sasuke. La punta dello shinai sfiorò pericolosamente il volto di Shisui, il quale parò abilmente il colpo – il legno cozzò tra loro, il viso per niente sorpreso di Sasuke a poco centimetri dal suo. Shisui fece qualche passo indietro, sempre senza perdere i mutamenti del volto irato del cugino.
Shisui non accennò ad attaccare, anzi, rimase immobile come se per lui la sfida fosse già finita; Sasuke digrignò i denti, palesemente non concorde - gli avevano sempre detto di controllare i propri sentimenti, di non lasciarsi sopraffare dalla rabbia, che arrivava a logorargli lo stomaco. Sasuke però non ce la faceva e anche durante il suo apprendimento, dove l’autocontrollo era alla base, talvolta doveva allontanarsi dal dōjō per riordinare la confusione che aveva in testa; ma come poteva mantenere la calma dopo quello che Danzō gli detto riguardo Shisui e di come suo fratello Itachi fosse cieco di fronte alla questione. Come poteva non odiare l’uomo davanti a lui, che aveva raccolto la sfida, ma che ora lo guardava con compassione, come se biasimasse Sasuke per essere così stupido da pensare di poterlo sconfiggere. In aggiunta, come se non bastasse, vi erano degli spettatori, membri del clan che si erano addossati all’entrata della stanza tralasciando i loro compiti per assistere allo scontro.
Di nuovo Sasuke fece la prima mossa, in quel suo modo avventato che sicuramente non gli era stato insegnato da Itachi, e Shisui la parò nuovamente, con facilità - le stecche di legno scricchiolarono nuovamente sotto alla pressione imposta da Sasuke, il quale faceva leva sui tatami per smuovere Shisui dalla sua posizione, in modo da aprire una breccia nella sua difesa; ma lo sforzo sembrò inutile.
Poi, Shisui fece forza con le braccia con tutta l’energia che aveva, tanto da far capitolare Sasuke sui tatami - le voci dei presenti si alzarono in un’ovazione sorpresa.
A terra, Sasuke rise sguaiatamente mentre Shisui lo fissava con i suoi occhi scuri, solitamente limpidi, ora leggermente offuscati da una venatura di rabbia. Il maggiore degli Uchiha lasciò cadere lo shinai, stanco dello stupido gioco in cui si era lasciato invischiare – era stato un idiota a dar corda a Sasuke, visibilmente non in sé.
«Non mi sarei aspettato di meno» Sasuke farfugliò tra sé e sé, portando lentamente la mano a stringere la propria spada di bambù, che gli era sfuggita dalla presa. Il movimento che fece in seguito fu così veloce da prendere alla sprovvista Shisui, il quale si era distratto a osservare tutti quegli uomini che parlavano tra loro eccitati, come se non vedessero l’ora di annunciare al mondo ciò a cui stavano assistendo. Sasuke fece forza sulle gambe, caricando il colpo e la protezione abbozzata dalle mani del maggiore non poté nulla contro tanta violenza - la spada colpì il volto di Shisui, il rumore delle stecche di bambù scoppiò nell’aria, seguito da un mugolio di dolore. Gli occhi di Shisui saettarono attoniti in quelli davanti a sé che, tra le ciocche corvine, lo guardavano con aria di sfida – le sopracciglia leggermente corrugate, le palpebre socchiuse che pregustavano il sapore concreto della vittoria. Sasuke abbassò lo shinai arricciando le labbra in un sorriso soddisfatto alla vista del risultato: Shisui si portò le dita al volto, lì dove sentiva il colpo vivo scaldargli la pelle e proprio in prossimità dello zigomo, si era creato un alone rossastro, che fece sorridere Sasuke.
La mente di Shisui si scoprì confusa, un blackout insostenibile, dove da una parte trovava il desiderio di vendicarsi, ma al contempo vi era stupore, incomprensione riguardo i gesti irrazionali di Sasuke. Shisui rimase immobile a contemplare il dolore che gli irradiava il volto.
Poi, attimi disorientati nella memoria di Shisui gli impedivano di ripercorrere lucidamente gli eventi; quello che i suoi ricordi gli riproponevano era un misero discorso:

«Cosa stai facendo?» Shisui ricordava di aver afferrato per un polso Sasuke e questi si era istintivamente ritratto, comunque non riuscendo a districarsi dalla stretta del cugino.
«Quello che nessuno riesce a fare» un sibilò crudo lasciò la gola di Sasuke, nel momento in cui riuscì a liberare il polso. Poi se ne andò, come se avesse superato la sfida con se stesso, ovvero di aver rotto l’osannata difesa del cugino.
Sasuke capì di avere grandi probabilità di portare a termine il proprio compito.

 

Finito il ricordo, Shisui scosse la testa per non veder materializzare davanti agli occhi l’accaduto - voleva evitare di pensare alla frase con cui Sasuke l’aveva lasciato. Shisui non capiva l’obiettivo della sfida, non comprendeva chi dovesse portare a termine cosa - poteva pensare a tante cose, al fatto che ci fosse una taglia su di lui e non si sarebbe stupito.

«Mi devi lasciare solo o ti tratteranno come un traditore, proprio come me» e forse fu la centesima volta che quelle parole abbandonarono la bocca di Shisui parlando a Itachi. 

E per la centunesima volta Itachi gli si avvicinò, sedendosi al suo fianco, «anni fa ti ho promesso che avremmo combattuto insieme, non romperò il nostro patto». Poi mostrò il taglio gemello che avevano sul braccio, il loro giuramento di sangue.

«Ho perso tutto, Itachi. La mia famiglia e il mio onore, non sono più neanche una guardia» sorrise tristemente Shisui; ormai valeva zero e tutti gliene stavano dando prova, come, ad esempio, il fatto che alcuni suoi parenti avessero perso interesse nel salutarlo, che per lo stesso Fugaku era morto e che Mikoto, in presenza del marito, si trattenesse dal parlargli come era sempre stata solita fare.

Shisui aveva la mente piena di domande senza risposta, non sapeva neanche dove ricercare la verità.

«Gli anziani parleranno presto della mia situazione e posso solo sperare di essere esiliato» Shisui spiegò. «Non è bastato un mese per decidere di me, perché le attività per la rivolta si sono intensificate. Sono passato in secondo piano anche in questo, ironico non è vero?».

«Sei innocente Shisui».

«Chi può testimoniarlo, tu Itachi? Dirai tu a tuo padre che abbiamo passato la notte insieme durante l’incendio al tempio e in che modo ne parlerai? Fugaku non porta il tuo nome davanti agli anziani solo perché sei suo figlio e se in più uscisse tutta la nostra storia, anche il suo nome verrebbe infangato».

«Lo so, ma parlerò in tuo favore. Dirò tutto se necessario» Itachi rispose ricercando lo sguardo di Shisui. 

«Non farlo».

 

 


     Sotto i ciliegi da lungo sfioriti, nella notte mentre la pioggia scendeva fitta dal cielo, Sasuke camminava per le strade del Clan - suo fratello era tornato proprio quel giorno, ma non aveva avuto modo di incontrarlo, dato che si era preparato totalmente per il suo compito e, tuttavia, gli era stato riferito che Itachi aveva già degli impegni che l’avrebbero tenuto lontano da casa.
Sasuke non diede troppo peso, così com’era impegnato nella sua prima missione ufficiale per Danzō - infatti, cercò di mantenere la concentrazione, scacciando qualsiasi pensiero, allontanando il volto di Itachi nel momento in cui sarebbe venuto a conoscenza di quello che era riuscito a portare a termine; ma più realisticamente, il nome di Sasuke non sarebbe mai uscito come esecutore della missione.
In ogni caso, Sasuke inspirò, le palpebre vibrarono per la concentrazione - non era difficile raggiungere l’abitazione di Shisui, ormai poteva trovare la strada a occhi chiusi; ma in quella precisa notte avvertiva il nervosismo fargli tremare la mano in cui impugnava la katana, ben camuffata tra i suoi abiti, ma sempre in modo studiato, affinché non consumasse neanche un secondo di troppo per estrarla dal fodero. 

Camminò per minuti in uno stato di quasi trance e, una volta entrato nel cortile dell’abitazione, Sasuke aveva percorso il perimetro della casa, camminando sulla ghiaia del cortile - le camere delle donne erano già tutte spente, neanche una fiammella di candela si rifletteva tra le pareti immacolate. Il silenzio era predominante e Sasuke controllò un’ultima volta che nessuno lo osservasse.
Poi, aveva identificato la camera da letto di Shisui, dalla quale a sua volta non traspariva un barlume; Sasuke era salito sulla veranda, la mano sempre a impugnare la katana, e neanche le assi di legno avevano scricchiolato sotto ai movimenti cauti del giovane - il passo successivo fu quello di far scorrere gli shōji e dal momento in cui varcò l’entrata, la mente di Sasuke gli ricordò che aveva pochi secondi per agire. Il giovane deglutì, ignorò il cuore che inevitabilmente prese a battere furiosamente nonostante esternamente sembrasse calmo - effettivamente, percepiva i sensi amplificati, quasi fosse uno spettatore in quella scena, ma non poteva permettersi di cedere alla pressione.
Davanti a lui, Shisui non si era mosso, steso nel futon con la schiena rivolta verso gli shōji che davano sulla veranda. Sasuke si chiese come fosse possibile che non si fosse accorto della sua presenza, ma invece di rimuginare sulla stranezza della situazione, agì sfoderando la spada.

L’uomo steso a terra riconobbe nell’immediato il rumore di una katana - si trattava solo di secondi prima che dal fodero la lama trovasse spazio nella carne. 

Quando d’improvviso Shisui fermò il braccio di Sasuke, la lama deviò dalla gola, al viso finendo a lacerare la pelle dallo zigomo fino all’occhio destro - la katana affilata aveva sfregiato la pelle del samurai, il quale era riuscito solo a scorgere il riflesso del metallo riflettere la debole luce della luna, come una scintilla. 

Shisui aveva urlato di dolore; gli occhi dell’uomo erano saettati attoniti verso la sagoma indistinta che riconobbe solo dopo secondi infiniti come Sasuke e, con tutte le sue forze, come durante lo scontro al dōjō, l’aveva gettato a terra, bloccandogli i polsi con le mani. Il più giovane imprecò a denti stretti, maledicendo la prontezza del cugino, ma non si diede per vinto, lottando con tutte le sue forze per ristabilire il suo vantaggio; infatti, Sasuke con un colpo di reni era riuscito a liberarsi dal corpo di Shisui, il quale era ricaduto sui tatami, disorientato dalla sua condizione fisica, che prepotentemente si fece più chiara una volta che l’adrenalina si stava diradando. Però, Sasuke non fece in tempo a recuperare la katana dalla quale aveva lasciato la presa, perché la stanza da letto si aprì, dal lato del corridoio interno della casa, e Itachi fece la sua comparsa.

Itachi si trovava lì da un po’ di tempo, ormai aveva perso anche il conto da quanto tempo, e come sempre la nutrice di Shisui l’aveva accolto - però, questa volta, invece di spingerlo quasi per la schiena in modo da raggiungere la stanza di Shisui nel minor tempo possibile, la donna gli aveva chiesto di fermarsi con lei per parlare riguardo il turbamento del suo quasi figlio. Avevano camminato nel cortile, per tutta la casa, e Itachi aveva ascoltato la preoccupazione della nutrice, la quale non capiva come Shisui potesse essersi rabbuiato così d’un tratto e perché non ne parlasse con lei. Dopo aver confessato le sue preoccupazioni, aveva chiesto a Itachi di sapere cosa scombussolasse la quiete di Shisui, perché era certa che Itachi lo sapesse. L’uomo, tuttavia, le mentì per non turbarla ulteriormente, rassicurandola che ora avrebbe confortato Shisui. Però, Itachi aveva perso minuti preziosi in quella conversazione.

Sasuke connesse nell’immediato il fatto per il quale il cugino non aveva, probabilmente, dato troppo peso ai leggeri rumori in casa sua: sapeva che Itachi era presente, ma comunque era troppo abbattuto per muoversi e raggiungerlo. Sasuke non avrebbe mai potuto calcolare la presenza di un “estraneo” nella proprietà di Shisui, perché dall’esterno era impossibile udire le voci di Itachi e la nutrice e tantomeno era possibile vedere la candela con cui la nutrice aveva illuminato il corridoio, che portava all’ala della camera da letto di Shisui. Forse a Shisui sembra tutto troppo abitudinario per essere strano e Sasuke ipotizzò anche questo. 

In quel momento, Sasuke fu accecato dalla rabbia di trovare suo fratello lì - Itachi aveva detto a casa di non aspettarlo, perché il suo lavoro si sarebbe protratto a ora a lui ignota. Invece, Sasuke l’aveva trovato a casa di Shisui e questa si rivelò l’ennesima menzogna, un nuovo tradimento da annoverare in quel caleidoscopio di tragedie in cui si stava tramutando il clan Uchiha. 

Sasuke decise di abbandonare il corpo di Shisui a terra e scappare verso il cortile, prima che Itachi potesse dire qualcosa o, ancor peggio, fermarlo. Il più giovane era uscito dalla scena tra urla e confusione, incredulità durante la quale Shisui aveva passato inorridito le dita sulla parte lesa, trovandole sporche di caldo liquido ematico - il sangue era iniziato a colare lungo il suo viso in alcuni rivoli, che si insinuavano tra le labbra socchiuse, vibranti per l'affanno, e il sapore ferroso si diffuse rapidamente in tutta la bocca mentre altre linee rosse erano colate lungo il collo, venendo assorbite nello yukata per la notte.
Le gambe di Shisui tremarono e non riuscì a mettersi in piedi per inseguire Sasuke, ma si rivelò talmente confuso da neanche saper cosa avrebbe dovuto fare - quindi rimase seduto a terra, ora pervaso da quell'odore forte e nauseante di sangue, tanto da prendere coscienza del dolore lancinante che lo paralizzava. Shisui avvertì l'impellente bisogno rigettare anche l’anima.
Poi, guardandosi confusionariamente attorno in cerca di aiuto, Shisui capì di non vedere realmente ciò che aveva davanti agli occhi - si era tirato indietro i capelli attaccati al viso nel vano tentativo di mettere ordine in quel caos e aveva tentato più volte di stringere le palpebre per delineare i contorni delle ombre, che continuavano ad apparire sfuocati e scossi da violenti tremiti. Non aveva mai provato un dolore simile, peggio di un osso rotto, che gli impediva di respirare e unito al grosso buco nero che si stagliava nella sua visuale, il tutto si rivelò insopportabile. Shisui era entrato in uno stato confusionario e l’ultimo pensiero coerente che fece fu quello di realizzare che se Sasuke non fosse già scappato, sarebbe sicuramente morto - vedeva già la katana trafiggergli il petto o infierire sulla pelle resa inerme a causa della profonda ferita.

Dopo quelle che sembrarono ore, Shisui a malapena percepì Itachi parlargli, chissà da quanto tempo, ma il samurai intravide solo la sua bocca muoversi, i suoni muti. Shisui non sentiva il pianto della nutrice, le sue urla per allontanare le dame, che erano corse in direzione della stanza del loro signore a causa del trambusto.
Shisui chiuse con la mano anche l’occhio sano quando Itachi avvicinò una lampada, la cui fiammella era tenue nella protezione di carta di riso - era come se fosse totalmente accecato da quel fuoco, simile a un incendio ai suoi sensi. Itachi prese un lenzuolo del futon e coprì l’occhio lacerato dell’uomo, impreparato a una tragedia simile. 

L’ennesimo conato di dolore paralizzò i sensi del maggiore - non riusciva più a pensare e sentì le forze venire meno. 

«Mandate a chiamare qualcuno» ordinò Itachi, con il briciolo di fermezza che gli era rimasto. 

La nutrice ordinò alla donne della casa di trovare il medico più vicino. 

 

 

 

     Sasuke si stava recando all’abitazione di Danzō, doveva parlargli del fatto che aveva fallito e non aveva portato a termine la missione, come invece auspicava il funzionario.
Per colpa di Sasuke, la vita di suo padre e di sua madre poteva essere a rischio - il giovane non conosceva così profondamente l’animo di Shisui, soprattutto dato che nell’ultimo periodo aveva creato un muro invalicabile con quest’ultimo, ma era preoccupato che il maggiore potesse davvero creare una vendetta concreta visto gli ultimi crimini di cui si era macchiato. Di suo fratello non gli interessava, era un traditore d’accordo con Shisui e sarebbe stato sempre dalla sua parte. Suo padre aveva sempre avuto ragione in quella faccenda.
Sasuke corse a perdifiato quella notte, senza mai fermarsi - l’adrenalina gli scorreva nelle vene e non tentennò neanche alla pioggia che gli sferzava il volto, gli abiti ora macchiati di acqua e sangue.

     Danzō aveva dato a Sasuke delle indicazioni precise e quindi si era recato sicuro nel varco che gli era stato detto - un pezzo di muro della recinzione della casa era in fase di ricostruzione e Sasuke, scavalcando gli attrezzi lì lasciati, si era infiltrato facilmente, raggiungendo la stanza descritta da Danzō come il suo studio; era un locale di pochi tatami, forse troppo piccolo per uno studio, che sicuramente, nel suo immaginario, doveva essere ricolmo di libri e documenti. Quando Sasuke fece scorrere i pannelli, vi trovò un ambiente vuoto: un tavolino sul quale vi erano dei sacchetti di monete, un abaco e una lampada a olio spenta, gli shōji rattoppati.
Sasuke tese le orecchie allo scricchiolare del pavimento sotto a dei passi pesanti. Poi, un uomo irruppe nell’ufficio e diede l’allarme, apostrofando Sasuke come un intruso - le grida possenti della guardia sicuramente svegliarono tutti e nullo fu il tentativo del giovane di metterlo a tacere, perché la guardia l’aveva assalito e Sasuke si era limitato a difendersi, seppur barcollando per la sorpresa dato che non sapeva come reagire. Dopotutto, si trattava di una guardia di Danzō come poteva non sapere del loro accordo?
Comunque, per la fretta, la guardia aveva lasciato cadere il fuoco che portava con sé e Sasuke aveva cozzato contro la lampada a olio, la quale era rovinata sui tatami - tutto il fragile insieme della struttura prese fuoco in un attimo, alimentato dall’olio che creò una coltre nera. Invano fu il tentativo di diradare il fuoco e gli abitanti della casa erano scappati in strada urlando aiuto, mentre gli uomini di servizio tentavano in ogni modo di togliere ossigeno all’incendio.
In quell’apocalisse, Sasuke era stato messo in ginocchio con un colpo alla tempia - non seppe dire da chi o da dove arrivò l’attacco, i suoi occhi bruciavano a causa delle fiamme ardenti. Poi, quando aveva rialzato le palpebre, si era trovato all’esterno dell’edificio, accerchiato da persone.

«Si è infiltrato dall’area ovest, ed è armato» disse affannato un uomo, il proprio haori bruciato nel tentativo di domare le fiamme. 

«Deve essere stato lui ad appiccare il fuoco!» Fu la volta di una dama da compagnia di parlare, le lacrime agli occhi le facevano tremare la voce, mentre gli altri domestici rimasero impietriti di fronte alla residenza che veniva man mano consumata dall’incendio.



 

   
 
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