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Autore: Futeki    05/12/2022    3 recensioni
Dopo Hogwarts, Scorpius e Albus condividono un appartamento nel cuore di Londra mentre svolgono un tirocinio al Ministero. Sono entrambi cresciuti, Albus frequenta una nuova ragazza e Scorpius convive con la consapevolezza che lei non lo capisca – nessuno lo capisce quanto lui.
Però tace.
Dal testo: "Ci prova, Scorpius, a distogliere lo sguardo da lui. Fa fatica, ma ci prova comunque, ogni giorno. E punta gli occhi su un libro, un disegno, perfino su un cielo senza nuvole, pur di smetterla. Ce l’ha impresso sulla retina, perciò quando abbassa le palpebre lo vede ancora, come se fossero sempre un po’ schiuse, come se ci fosse sempre uno spiraglio – e lui fosse sempre dall’altra parte, pronto a farsi trovare."
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Nuova generazione
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A Mati,

per tutto ciò che abbiamo in comune,

al di là delle piccole differenze.

Per i cupcake e Taylor Swift,

per le paure, i pensieri e le emozioni,

e tutto ciò che riusciamo a condividere.

Buon compleanno!

 

 

 

 

E tutto ciò che ho visto nelle ultime diciotto ore

sono occhi verdi e lentiggini e il tuo sorriso. [1]

 

Ci prova, Scorpius, a distogliere lo sguardo da lui. Fa fatica, ma ci prova comunque, ogni giorno. E punta gli occhi su un libro, un disegno, perfino su un cielo senza nuvole, pur di smetterla. Ce l’ha impresso sulla retina, perciò quando abbassa le palpebre lo vede ancora, come se fossero sempre un po’ schiuse, come se ci fosse sempre uno spiraglio – e lui fosse sempre dall’altra parte, pronto a farsi trovare.

 

Spiragli

Tu sei al telefono con la tua ragazza, è infastidita,

si è arrabbiata per qualcosa che hai detto –

lei non capisce il tuo umore come faccio io.

Io sono nella mia stanza, è un tipico martedì notte,

sto ascoltando quel tipo di musica che a lei non piace –

lei non conoscerà mai la tua storia come la conosco io. [2]

 

Basta un colpo di bacchetta a ridurre il volume della musica e a permettergli di sentire attraverso la porta chiusa. Non che Scorpius ne abbia davvero bisogno: che il suo coinquilino e migliore amico urli attraverso una diavoleria Babbana chiamata telefono cellulare è prassi, e non c’è più niente delle discussioni tra Albus e la fidanzata che potrebbe sorprenderlo.

Rose ha provato a convincere anche lui a comprare uno smartphone, osannando la tecnologia e le sue potenzialità, ma Scorpius è riuscito a pensare solo al nervosismo di Albus che parla con lei, quindi ha rifiutato con cortesia. Tanto più che l’unica persona che avrebbe voglia di sentire vive sotto il suo stesso tetto.

Un altro colpo di bacchetta e il volume della musica torna a salire, ma la voce dell’amico è ormai una frequenza che ha agganciato e da cui non riesce a liberarsi. Non servono a niente gli acuti di Celestina Warback o la risata di Albus nella sua testa mentre gli dice che è musica arcaica – salvo poi ascoltarla con lui – perché quel tipo di rabbia, quello che traspare da parole intrise di frustrazione, lo cattura e lo soffoca.

Lo sente sotto la lingua, il sapore amaro di una situazione sbagliata, lo stesso che avverte ogni volta che vede l’espressione di Albus deformarsi in un impeto di irritazione, il suo sguardo spegnersi e caricarsi di astio, le sue labbra serrarsi e poi vomitare rancore. Lo detesta, perché lui lo conosce soltanto sereno – e irritazione, astio e rancore non sono mai stati per lui, ma solo per persone da evitare e di cui ridere insieme.

Scorpius non ha mai potuto ridere di Anya con lui. Non ha mai potuto dire niente di lei – perché se l’avesse fatto non si sarebbe mai liberato della sensazione di aver varcato un confine a lui precluso, e allora ha taciuto, ha taciuto sempre.

Albus l’ha scelta e l’ha tenuta per sé, e ha accettato l’irritazione e l’astio e il rancore – e forse sono il prezzo di una felicità che Scorpius non vede, perciò continua a tacere.

Lo sente riattaccare, è il momento in cui Celestina Warback riesce di nuovo a raggiungere le sue orecchie. La musica non gli va più, gli sembra soltanto fuori luogo, ma spegnerla ora potrebbe indurre Albus a pensare che lui l’abbia ascoltato – e Scorpius sa che lo metterebbe a disagio.

Resta seduto sul proprio letto, lo sguardo fisso sulla porta chiusa come se potesse guardarci attraverso, e aspetta.

Lo sente avvicinarsi – passi inconfondibili anche nascosti sotto una canzone – e lo vede, quando i suoi piedi oscurano in due punti la luce che attraversa lo spazio sotto la porta.

Si alza e si avvicina, può figurarselo dall’altra parte del legno con una mano sollevata, indeciso se bussare o meno. Potrebbe aprire e sorprenderlo lì, ma sceglie di non farlo.

Poi lui se ne va – ancora passi, ma sempre più lontani – e Scorpius sospira deluso.

La prossima volta lascerà la porta socchiusa – uno spiraglio, solo per lui.

 

***

 

Tu hai un sorriso che potrebbe illuminare l’intera città,

non lo vedo da un po’ – da quando lei ti ha buttato giù di morale.

Dici di stare bene, ma io ti conosco meglio di quanto pensi.

Cosa ci fai con una ragazza così? [2]

 

Quando il Ministro Shacklebolt chiede ad Albus di occuparsi della sua corrispondenza, Scorpius attende che esca dall’ufficio per interrompere la propria attività e avvicinarsi all’amico.

Finge di riporre un libro sullo scaffale dietro di lui e getta un’occhiata alle missive da sopra la sua spalla, giusto in tempo per vederlo scrivere gli indirizzi dei destinatari.

Albus apre la finestra per permettere al gufo bianco del Ministro di entrare e lui lo segue con lo sguardo, quindi si avvicina alla scrivania e scambia le buste, attribuendo a ciascuna lettera quella con l’indirizzo corretto. Albus lo vede e pare confuso, poi la fiducia ha la meglio sulla necessità di comprendere le sue intenzioni e lo lascia fare.

«Sei distratto», dice Scorpius in tono neutro, senza rimproverarlo.

L’amico lo guarda, e lui per un attimo pensa che gli urlerà contro, invece Albus gli rivolge solo un sorriso triste, che sa di scuse. «Per fortuna è solo un tirocinio.»

È quello che si sono detti a vicenda per i primi mesi, quando una disattenzione o un errore dovuto all’inesperienza bruciava nell’orgoglio e accendeva un senso di inadeguatezza che sarebbe sparito soltanto con il tempo – frattanto, avrebbero fatto in modo di ricordarsi che sbagliare era concesso, in quella fase iniziale della loro carriera.

Non è mai stata una scusante per la superficialità, solo una consolazione per attenuare la delusione verso loro stessi. Tuttavia adesso Albus si appiglia a quelle parole per chiedere indulgenza – e non serve a nulla, perché Scorpius gliel’avrebbe concessa comunque, mentre gli altri gliel’avrebbero negata in ogni caso.

«Dovresti dormire di più, hai delle occhiaie spaventose.»

Sorride di nuovo, Albus, perché ciò che proviene da lui non è mai biasimo, solo pura constatazione – velata di una presa in giro che è sempre dolce protezione.

«Sarebbe stato divertente, però», prosegue Scorpius, quando decide di volere un sorriso vero, che non sappia di stanchezza e dispiacere. «Te lo immagini il Primo Ministro Babbano che riceve la lettera destinata a Rolf Scamander

Si schiarisce la voce e torna ad aprire una delle buste pronte per essere spedite. «“Carissimo”», inizia con enfasi, «“la tua idea di insediare in Gran Bretagna una colonia di Occamy per combatterne il rischio di estinzione è lodevole.” Ce lo vedi il Primo Ministro Babbano a chiedersi che diavolo sia un Occamy

Albus scoppia a ridere e lui prosegue: «“Apprezzo molto il tuo impegno in tal senso, bla bla bla, passerò il caso all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche per le valutazioni necessarie. Grazie per la proposta, salutami tua moglie.” Il Primo Ministro Babbano ha una moglie?»

«Sì», conferma Albus, divertito.

«Suppongo sia il sogno di chiunque ricevere una lettera da un altro uomo, che tua moglie non dovrebbe neanche conoscerla, e leggere che si chiude con i saluti per lei

Albus sta ancora ridendo quando Scorpius ripiega il foglio di pergamena e lo inserisce nella busta. «E non voglio neanche pensare a cosa ci sia scritto nell’altra lettera. Riesci a figurarti Rolf Scamander che vuole salvare i cuccioli di Occamy e si ritrova tra le mani una serie di velate minacce finalizzate a una revisione dello Statuto di Segretezza? Gli verrebbe un colpo.»

«D’accordo, basta», implora l’amico, tenendosi le mani premute sullo stomaco scosso dalle risa. «Lo riconosco, stavo per farla grossa.»

Scorpius si limita a un sorriso concorde.

«Per fortuna ci sei tu», dice Albus, ma distoglie lo sguardo dal suo viso e torna a trafficare con la corrispondenza, mentre il gufo attende impaziente sul davanzale dell’Ufficio.

«Stai bene?»

Lui annuisce, ma non dice di sì – finge di non sapere che a Scorpius non serve sentire la sua voce per cogliere una bugia.

«A me non sembra.»

«Non posso farci niente.» La replica è brusca, ma Scorpius lo vede mordersi subito il labbro, pentito.

Non se lo chiede nemmeno, riguardo a che cosa non possa fare niente – se al fatto che lui lo smascheri così facilmente o a quel qualcosa che lo turba a cui non riesce a porre rimedio.

«Scusa.»

Scorpius gli sorride e pensa solo che a lei non lo dice mai: lo ha sentito urlarle contro o riservarle un silenzio ostinato, ma mai chiedere perdono, e allora quanto può valere per lui quella relazione? Non di più, si dice, di quanto valga il rapporto con lui – ancora troppo poco.

«Tranquillo», replica piano, un po’ ferito, un po’ rassegnato, ma abbastanza stabile da non lasciar trasparire nessuna delle due cose dal tono di voce. Gli si avvicina e gli posa una mano sulla spalla – se lo concede, quel contatto, ne ha bisogno per curare una ferita in suppurazione – poi lo lascia andare – e fa male, ma meno che non averlo affatto.

Non glielo può dire, che la deve lasciare; non può giurare a se stesso di suggerirlo per il suo bene e non per dare voce a una gelosia a cui non ha diritto. Perciò fa la cosa più codarda e più giusta, la stessa di sempre – tace – e gli dice l’unica cosa che suoni come una consolazione accettabile – una speranza.

«Andrà meglio.»

 

***

 

Lei indossa gonne corte e io magliette,

lei è capitano delle cheerleader, io sto in tribuna,

sognando il giorno in cui ti sveglierai e capirai

che ciò che stai cercando è stato qui per tutto il tempo. [2]

 

È piccola, la casa che ha scelto di dividere con Albus. Ci sono due camere da letto, un bagno solo e una cucina che Scorpius ha dovuto imparare a usare quando ha accettato di andare a vivere in un appartamento nel cuore di Londra senza Elfi Domestici.

Adesso, però, sebbene la fame sia prepotente, la pigrizia lo è di più. Vuole mangiare per mettere a tacere lo stomaco e prevenire la nausea indotta dai pensieri incontrollati della solitudine, ma non ha alcuna voglia di cucinare. Pane e formaggio sembrano un accettabile compromesso, perciò siede a tavola con quella cena affrettata e si decide a fare i conti con il proprio turbamento.

Lo ha sentito uscire, poi lo ha guardato dalla finestra mentre saliva in auto. Avrebbe potuto Smaterializzarsi da lei, ma Scorpius conosce bene le ragioni che portano l’amico a preferire il mezzo Babbano che il padre gli ha regalato dopo avergli insegnato a utilizzarlo.

«Guidare mi rilassa», dice sempre Albus, e lui sa che lo intende davvero.

Comprende i suoi pensieri meglio di chiunque altro: sa che il tempo che impiegherà ad arrivare gli servirà a ritrovare il giusto stato d’animo e sa che l’azione meccanica di condurre l’automobile nel traffico londinese lo impegnerà abbastanza da scaricare la tensione, ma non così tanto da occupargli la mente. Scorpius sa quanto sia fiero di quell’abitudine che in famiglia soltanto lui condivide con il padre, perciò ogni volta che lo vede avanzare con le chiavi in una mano, non pensa al fatto che la Smaterializzazione sarebbe più comoda e più sicura – perché sa che per lui non è altrettanto soddisfacente.

Ad Anya quel suo vezzo non piace, perciò Albus parcheggerà a un paio di isolati di distanza e la raggiungerà a piedi, fingendo di essere arrivato grazie alla sola magia.

Scorpius si sente ipocrita quando tra sé e sé la critica – proprio lui, che dei Babbani non ha voluto adottare nemmeno il cellulare, che invece lei ha accettato di buon grado – ma poi si giustifica perché a lui l’automobile non piace, ma sa che piace ad Albus e perciò se la farebbe andare bene, mentre Anya, con la sua disapprovazione, lo spinge a nascondersi.

È uno strano istinto quello che gli ricorda tutte le cose che è disposto a farsi andare bene per lui – un istinto che ha il solo scopo di impedirgli di autoflagellarsi per non essere abbastanza. Ricorda il giorno in cui ha detto di sì a un appartamento minuscolo che avrebbe condiviso con lui – e non se n’è mai pentito. Ricorda il giorno in cui ha detto sì ad assistere a una partita di James – e di quella non si pente solo perché non andare non avrebbe impedito ad Albus di conoscere lei.

Mezza Veela e con una passione per il Quidditch che Scorpius non avrebbe avuto mai, Anya faceva parte delle mascotte dei Falmouth Falcons ed era troppo bella perché Albus non ne restasse affascinato. Scorpius ha visto la loro relazione nascere ed evolversi rapidamente – e al contempo ha iniziato a paragonarsi a lei senza mai uscirne vincitore, una penosa abitudine che non ha più perso.

Perciò, solo in un appartamento che non odia soltanto perché riesce a immaginare lui ad ogni angolo – semisdraiato sul divano troppo piccolo, appoggiato di spalle al piano della cucina – lo cerca con l’immaginazione e trova pace in un pensiero fantasma.

Quando andrà a dormire, sforzandosi di non attendere il suo ritorno, lascerà comunque la porta socchiusa – uno spiraglio, solo per lui.

 

***

 

Se solo potessi vedere che io sono il solo che ti capisce,

sono stato qui tutto il tempo – perché non lo vedi?

Tu mi appartieni.

Mi tengo pronto e aspetto dietro la tua porta,

come hai potuto non saperlo per tutto questo tempo? [2]

 

Si ripete che non lo sta aspettando, gli è soltanto venuta voglia di disegnare. Perciò Scorpius se ne sta seduto sul proprio letto, con il blocco da disegno sulle ginocchia, un carboncino nero a macchiargli le dita e la porta della camera spalancata.

Albus rientra quando ha quasi ultimato l’opera – gli manca soltanto il riflesso del castello di Hogwarts nelle acque scure del Lago Nero – ma la lascia incompiuta senza remore quando lo sente arrivare.

Disegna solo paesaggi, ormai, e sempre deserti – mai una persona, perché la tentazione di ritrarre il profilo che conosce meglio di tutti sarebbe troppo forte.

Abbandona il blocco sulle coperte e non si cura di sporcarle con il carboncino perché Albus passa davanti alla sua stanza senza neanche salutare.

Lo sente percorrere il piccolo corridoio in direzione del bagno e sbattersi la porta alle spalle. Lui si ferma sulla soglia della propria camera e lo aspetta, poggiato contro lo stipite. Dopo qualche minuto Albus esce e finalmente si accorge di lui.

Sussulta. «Ti ho svegliato?»

Scorpius scuote il capo. «Tutto bene?»

Un lampo d’ira gli attraversa lo sguardo – ma negli occhi verdi c’è anche un dispiacere che a lui non può nascondere.

«Dice che non mi curo di lei, che non le dimostro il mio interesse», risponde in tono sarcastico. «Ma se ormai passo tutto il tempo a pensare a cosa dire o fare per farla contenta!»

Scorpius tace. Una parte di lui vorrebbe fuggire da quella conversazione, ma un’altra, quella che tiene troppo ad Albus, lo costringe a restare esattamente dov’è.

«L’avrei capita se mi avesse accusato di non essere spontaneo, visto che ormai non faccio più nulla che non sia frutto di un calcolo», ammette con una smorfia. «E invece mi ha dato del superficiale!»

Allarga le braccia, esasperato. Sembra sul punto di inveire ancora, ma poi richiude la bocca. Lascia ricadere le mani lungo i fianchi e le serra a pugno.

«Lo sono?», domanda in un sussurro, guardandolo dritto negli occhi. «Superficiale, intendo.»

Scorpius si è chiesto tante volte come sia possibile che Albus non veda ciò che ha sotto gli occhi. Nei giorni peggiori gliene fa una colpa, si dice che è assurdo che non lo capisca, che dev’essere cieco o insensibile o entrambe le cose. Nei giorni migliori, invece, si complimenta con se stesso per il modo in cui si tiene tutto dentro.

Solo occasionalmente pensa che Albus in realtà abbia capito tutto e finga il contrario per non ferirlo.

«No, non lo sei.»

Lui sospira, esausto, e si avvicina di un passo. «Che devo fare con lei?»

Non ci pensa neanche a dirgli di lasciarla, non adesso che il suo unico pensiero è per se stesso – scegli me, scegli me, scegli me – ma per la prima volta si compiace di aver vinto un confronto con lei – io non ti ferirei mai in questo modo.

«Mi sembri stanco», replica soltanto.

Ma Albus non accetta commenti evasivi. «Devo chiuderla?»

Scorpius sussulta, e di nuovo vorrebbe scappare e non lo fa. È turbato dal dolore nei suoi occhi, spaventato dal proprio battito accelerato.

Non sa cosa rispondere, quindi fa la solita scelta – tace – e gli riserva un sorriso dolce. «Che ne diresti di un giro a Hyde Park, domani? Puoi dimenticare il cellulare a casa e prenderti un giorno di pausa da tutto.»

Albus sospira: con lui non ha mai dovuto nascondere l’insoddisfazione per una risposta a metà – e prima di lei ci sono state solo risposte intere.

Gli concede un sorriso debole – uno spiraglio. «Va bene.»

 

***

 

Camminiamo per la strada – tu indossi i tuoi jeans consumati –

e non posso fare a meno di credere che è così che dovrebbe essere.

Rido, su una panchina del parco, pensando tra me e me:

“Non è semplice, stare così?” [2]

 

Albus ha le braccia distese sullo schienale di una panchina e la testa sollevata contro il sole. È così rilassato che la ragione dei loro programmi di quel sabato mattina sembra irrilevante.

Scorpius ha consapevolmente deciso di farsi del male e ha tirato fuori il blocco da disegno con l’intenzione di ritrarre il paesaggio che vede dietro di lui – si è girato verso Albus e il suo sguardo corre tra lui e la fontana, per imprimere uno nella memoria e l’altra su carta.

Ha sempre trovato affascinante il modo in cui il carboncino si consuma lasciandosi dietro tracce di sé, come se svanire tra le sue dita significasse soltanto trasformarsi – da arido corpo geometrico destinato alla distruzione, a linee immortali intrise di significato.

È appena riuscito a distogliere lo sguardo da Albus per trenta secondi di fila quando torna ad alzare gli occhi e incontra i suoi.

«Dovresti disegnare me.»

Scorpius rimane interdetto per un istante, poi scoppia a ridere.

L’espressione di Albus si imbroncia in una finta offesa. «Sono un ottimo soggetto!»

«Non disegno le persone», si difende lui, sforzandosi di non mostrare quanto lo turbi l’idea.

«A Hogwarts lo facevi.»

«Vuoi dire prima di scoprire di non esserne capace?»

«Secondo me devi solo trovare la giusta ispirazione.» Con un gesto della mano indica la propria figura.

Scorpius alza gli occhi al cielo, ma non riesce a impedirsi di curvare le labbra.

Sceglie di ignorarlo e torna alla fontana, tratteggia linee sicure sul foglio bianco e di tanto in tanto le sfuma con l’indice. Quando solleva la testa per scrutare il paesaggio, i capelli gli ostruiscono la visuale. Poiché ha le dita sporche, d’istinto prova a liberarsene con un soffio.

Come se fosse il gesto più naturale del mondo, Albus allunga una mano e gli scosta una ciocca dalla fronte, sfiorandogli la pelle in un tocco leggerissimo.

Scorpius riporta l’attenzione sul disegno – ma è troppo tardi per negare a se stesso i pensieri innescati da quel contatto. Continua a muovere il carboncino mimando una linea sul foglio che non riesce a tracciare – perché è una linea che non ha senso, perché il disegno non lo vede più. Si chiede se Albus sia tanto delicato anche con Anya – certo che lo è – e come sia possibile che a lei non basti anche solo il modo che ha di toccarla, per essere felice.

Scorpius tiene gli occhi bassi sul foglio mentre realizza che a lui basta – se lo fa bastare – ma comunque quello che ha lei lo vorrebbe per sé al punto che la mancanza gli brucia nel petto.

Alza la testa e lo trova a fissarlo – forse Albus è un Legilimens e lui non lo sa, forse non lo è ma può leggerlo ugualmente. Scorpius ha paura e poi non ne ha più – in fondo che può farci se si sente in quel modo? – e poi ancora prova un imbarazzo che non riesce a scacciare. Ma Albus sorride – forse sa tutto, forse non ha capito niente – e lui non sa impedirsi di imitarlo.

«Sicuro di non voler ritrarre me? Quella fontana è inflazionata.»

«Secondo me ti piace l’idea di essere guardato.»

«Vero», ammette. «Ma se fosse per questo dovrei chiedere a qualcun altro. Tu potresti disegnarmi a occhi chiusi.»

Il cuore di Scorpius accelera – quella è una verità che è per metà un complimento e per metà il disvelarsi di un segreto custodito a stento.

Non replica, ma neanche riesce a smettere di fissarlo. Albus allunga un braccio sulla sua spalla, la mano gli sfiora i capelli sulla nuca. Lo attira a sé e Scorpius impiega un istante di troppo a capire che l’amico lo sta semplicemente abbracciando.

Cede – non può fare altrimenti – e Albus lo stringe. Scorpius nasconde il viso contro il suo collo, ne inspira il profumo e dal modo in cui sente il proprio battito accelerare capisce che quel segreto custodito a stento non può davvero essere tale – l’altro può sentirlo reagire fisicamente a quella vicinanza, non può ignorare, non può fraintendere.

Lo sente sospirare. «Vorrei che lei fosse come te.»

Qualcosa si spezza nell’autocontrollo di Scorpius, come una molla logorata dall’usura che scatta con violenza e rivela un lungo passato di sollecitazioni a fatica, un mutamento nell’equilibrio che fa crollare l’intera struttura. Si ritrae, come ferito dalla frustata di una metà dell’elastico che ha ceduto a una trazione troppo forte – il colpo di grazia che sconfigge una resistenza già provata.

Non vuole toccarlo, non vuole neanche guardarlo, ma si sente addosso i suoi occhi e la sua confusione.

«Scorpius

«No», riesce soltanto a dire. Lascia il blocco da disegno sulla panchina, poi si fissa le dita, quasi sorpreso di trovarle macchiate di nero. «È stupido», sbotta alla fine, incapace di trattenersi. «Non puoi cambiare le persone. È lei, che hai scelto! E adesso vorresti che fosse diversa, che fosse come me? Se quello che cerchi è altrove, abbi il coraggio di andarlo a prendere direttamente alla fonte!»

Albus è sbigottito, lo fissa a bocca aperta e la richiude solo per deglutire. «È questo che vuoi?»

«Sì», ammette Scorpius, che di forza per tenersi dentro ciò che prova non ne ha più. «E tu?»

Non si aspetta che Albus risponda davvero – e infatti non lo fa – quindi sorride amaro. «Ho bisogno di stare da solo», dichiara con tutta la dignità di cui è capace. Poi si allontana in direzione di un albero.

Albus si riscuote abbastanza da provare a trattenerlo, poi si alza e lo segue.

Ma Scorpius è stanco e ferito e, per la prima volta, è sordo al suo richiamo. Raggiunge un tronco abbastanza grosso da celarlo alla vista dei Babbani presenti, tira fuori la bacchetta e si Smaterializza senza voltarsi indietro.

 

***

 

Tutti i miei muri si ergono, dipinti di malinconia,

ma io li abbatterò e aprirò la porta per te.

E tutto ciò che sento nello stomaco sono le farfalle – quelle belle.

(Recuperiamo il tempo perduto, prendiamo il volo.) [1]

 

Si rannicchia sul proprio letto in posizione fetale e sente quasi il bisogno di abbracciare se stesso – non lo fa perché gli sembra ridicolo, anche se è solo nella stanza e la porta è chiusa.

Non ha lasciato nessuno spiraglio, non adesso che significherebbe solo alimentare una venefica speranza che non ha ragione di esistere. La porta è chiusa, ma non a chiave, e se Albus volesse entrare potrebbe farlo – per scelta, senza alcun invito.

Lo sente arrivare e bussare, il nome Scorpius sulle sue labbra ha un suono strozzato che è certo di non aver mai udito prima.

Non risponde, e Albus attende e insiste e poi attende ancora. Ma resta fuori, gli lascia spazio e non posa mai la mano sulla maniglia – non trova nessuno spiraglio, anche se c’è – e Scorpius comprende che il silenzio è necessario, che soffocare la speranza lo è ancora di più, perciò fa quello che gli riesce meglio, ricomincia e giura di non smettere più. Tace.

 

***

 

Ricordo che guidavi verso casa mia, nel bel mezzo della notte,

sono l’unico che ti ha fatto ridere quando eri sul punto di piangere.

E conosco le tue canzoni preferite, e tu mi parli dei tuoi sogni,

penso di sapere a chi appartieni – penso di sapere che appartieni a me. [1]

 

Si sveglia infreddolito e dolorante. Fuori dalla finestra è buio e Scorpius pensa che avrebbe fatto meglio a mettere il pigiama e infilarsi sotto le coperte, per uscirne solo il giorno dopo – forse.

Ha gli occhi gonfi e dà la colpa all’umidità della notte – non accetta l’idea di aver pianto, nemmeno nel sonno – quindi si arrischia a uscire per dirigersi verso il bagno.

La lentezza con cui apre la porta per non fare rumore è superflua: le luci sono spente, la casa è silenziosa. Albus non c’è.

Guarda l’orologio e scopre che è sera, non notte, e deduce che l’amico deve essere uscito con la fidanzata. Decide di andare in bagno, mangiare qualcosa e tornare a dormire prima del suo rientro.

Il piano va a segno e Scorpius è di nuovo a letto nel giro di un’ora, intenzionato a riaddormentarsi prima di sentire i passi di Albus dentro casa. Ma la sua volontà è debole e incapace di restare sorda a un richiamo, perciò, quando il suono di un clacson rompe il silenzio, Scorpius si alza e va ad affacciarsi alla finestra.

Albus si è sporto dal finestrino per guardare in su, perciò lo vede subito e gli sorride. «Scendi», dice soltanto.

Lui esita e il suo sorriso si spegne.

«Per favore.»

Scorpius torna dentro e si riveste, mentre realizza di non aver detto una parola – e forse Albus neanche sa che ha deciso di raggiungerlo, potrebbe aver pensato che lui sia ritornato alla propria solitudine.

Ma quando scende l’auto è lì, e le labbra dell’amico si curvano in un altro sorriso. «Sali?»

La prima volta che è entrato in macchina ha avuto la sensazione di trovarsi in una grossa scatola di latta instabile e rumorosa, pronta a schiantarsi contro il primo ostacolo. Con il tempo, Scorpius si è abituato alla bizzarra passione di Albus e ha iniziato a fargli compagnia quando lui lo chiedeva, in sere in cui guidava senza meta e ascoltava musica Babbana finché Scorpius non incantava la radio per farle riprodurre Celestina Warback, strappandogli una risata.

Prende posto sul sedile accanto a lui e non appena chiude la porta Albus parte.

«L’ho lasciata», dice all’improvviso, mentre si allontanano dal centro della città. Scorpius si sforza di non sussultare e si limita a guardarlo. «Anya. Stasera. Come hai detto tu.»

«Io non ho detto niente.»

Albus sorride, soddisfatto di averlo strappato al suo mutismo. «Già.»

Scorpius guarda fuori dal finestrino, cercando di intuire la loro meta – ma in cuor proprio sa che non c’è alcun posto da raggiungere, che il viaggio è tutto e la destinazione solo un punto su una mappa che serve a dare una direzione.

«Mi dispiace per quello che ho detto. Non ho pensato prima di parlare.»

Scorpius chiude gli occhi e tenta di cancellare dalla mente il pensiero della conversazione di quella mattina. «Non ti preoccupare.»

«Dico sul serio.»

«Lo so. Va tutto bene.» Si volta a guardarlo: Albus ha le mani serrate sul volante, le nocche bianche. Allenta la presa solo per cambiare marcia e attivare i tergicristalli, quando una pioggia leggera inizia a colpire il parabrezza. Una volta ha provato a spiegargli lo scopo di ogni leva e pulsante dell’automobile e Scorpius lo ha lasciato parlare assorbendo ogni informazione – stroncando il suo entusiasmo solo quando ha dovuto dirgli che no, non avrebbe mai voluto imparare a guidare.

Si fermano sul ciglio della strada in un quartiere residenziale, Scorpius si guarda intorno per cercare di capire dove sono – salvo poi rendersi conto che non lo sa nemmeno Albus, che ha spento il motore e si è voltato verso di lui per averlo di fronte.

«Io ho capito quello che mi hai detto oggi.»

«Non dobbiamo parlarne per forza.»

«Sì, invece.»

Che cosa ci sia da dire Scorpius non lo sa, perciò si limita ad aspettare che sia lui a proseguire.

«Non ero felice con Anya, quindi ho chiuso la nostra relazione», dichiara in uno sfoggio improvviso di lucidità. «E credo che potrei essere felice con te, ma non ci avevo mai pensato prima, e adesso mi sembra che non solo lo credi anche tu, ma che hai anche le idee molto più chiare di me. Capisci?»

Scorpius lo guarda perplesso e poi, incapace di trattenersi, scoppia in una risata isterica. «È un discorso così contorto che dubito che qualcuno possa capirlo.»

Albus gli dà un pugno sulla spalla, fingendosi offeso. «Dico sul serio.»

«Be’, io davvero non ho afferrato quello che hai detto.»

Lui sospira. «Se ho capito bene quello che vuoi tu, penso che potrei volere la stessa cosa. Solo che mi serve un po’ di tempo per abituarmi all’idea.»

Scorpius sgrana gli occhi. Il tono serio con cui l’amico ha parlato non lascia spazio a dubbi – è uno spiraglio impossibile da ignorare.

«A te sta bene?»

Non sa cosa replicare, non ha mai pensato di avere una scelta. Di certo non ha scelto di innamorarsi del suo migliore amico, né di stare a guardarlo frequentare un’altra. Non ha mai preso in considerazione l’idea di andarsene o di scacciare quel sentimento molesto dandosi la possibilità di provarlo per qualcun altro o rimpiazzandolo con incontri occasionali. Albus gli chiede di aspettare e lui si rende conto di non aver mai fatto altro, nemmeno quando era convinto di non avere alcuna possibilità – e adesso che gli ha aperto uno spiraglio e gli domanda ancora un po’ di pazienza, come può negargliela?

«Suppongo di sì.»

Albus sorride con dolcezza, il dubbio lascia spazio al sollievo e alza una mano per ricercare un contatto, ma senza essere il primo a sfiorarlo.

Scorpius gli va incontro e lo abbraccia nello spazio ristretto dell’auto.

«Mi perdoni?», mormora Albus contro la sua spalla.

Vorrebbe dirgli che non c’è niente da perdonare, ma non è vero, non se gli rimprovera il mancato amore che avrebbe voluto, allora sospira e sceglie di non tacere: «Sì, ti perdono. Lo faccio sempre.»

 

***

 

Torna indietro

e dimmi perché mi sento come se mi fossi mancato

per tutto questo tempo.

Raggiungimi qui, stasera, e dimmi che non è tutto nella mia testa. [2]

 

Casa è un posto diverso da quando Albus lo vive con più spensieratezza. E Scorpius se lo gode, dimentica il silenzio che ha scelto e torna a lasciare la porta aperta – spiragli.

Albus ride di nuovo tanto e lui realizza quanto gli sia mancato solo in quei momenti – se pure non lo avrà mai, saperlo felice sarà sufficiente.

Scorpius dimentica perfino il rifiuto, perché a volte pensa che non ci sia, e altre, quando si convince che non avrà mai di più di così, gli sembra che gli possa bastare comunque.

Torna a lasciare la porta aperta e qualche volta Albus fa capolino all’interno e prende in giro la sua musica arcaica – poi in corridoio canta a squarciagola le canzoni di Celestina Warback, facendolo ridere.

Una notte, quando si sveglia per andare in bagno, Scorpius scopre che ha preso a lasciare la porta socchiusa a sua volta – e fa capolino all’interno per guardarlo dormire per qualche secondo.

Ricominciano a cenare insieme e Albus lo rimprovera perché non si cucina mai un pasto decente. A ogni “Spostati, faccio io”, Scorpius sorride e si appoggia al ripiano per guardarlo armeggiare con le pentole.

Ritrovano il piacere delle serate sul divano – giocano a scacchi, a Sparaschiocco, ma alla fine mollano sempre a metà perché cominciano a divagare e a ridere e a chiamarsi scemi a vicenda. Ed è Albus che una sera dice, proprio mentre Scorpius lo sta pensando, che gli era mancato. Lui non gli recrimina niente – è troppo sereno per portargli rancore – e si limita a sorridere.

Mi sei mancato anche tu.

 

***

 

Perché tutto ciò che so è che ci siamo detti “Ciao”

e i tuoi occhi sembravano un ritorno a casa.

Tutto ciò che so è un semplice nome – e tutto è cambiato.

 

Che il tempo che Albus ha chiesto sia finito, Scorpius lo capisce una sera in cui infila la testa nello spiraglio lasciato dalla porta aperta dell’amico.

È steso sul proprio letto con le braccia allargate e lo sguardo al soffitto. Volta la testa e gli rivolge un’espressione pensierosa. «Ciao.»

C’è una dolcezza insolita in quel saluto, quindi Scorpius non può fare a meno di sorridere. Qualcosa si agita dentro di lui. «Ciao.»

Albus non dice niente e continua a fissarlo in quel modo incomprensibile – sta riflettendo, può leggerglielo negli occhi – perciò pensa di lasciarlo solo e fa per andarsene.

«Scorpius

Non ha mai sentito il proprio nome pronunciato in quel modo – né da lui, né da nessun altro. Si blocca sulla soglia, poi risponde a un comando muto e va a stendersi sul letto accanto all’amico.

Lo sente muoversi e quando volta la testa scopre che si è girato su un fianco e continua a scrutarlo. Sembra sul punto di parlare, ma esita.

Anche Scorpius ha perso le parole – vorrebbe pensare che gliele abbia rubate la sorpresa, invece la colpa è solo dell’aspettativa. Lo studia e impiega tutta la propria forza di volontà per non rispondere a ciò che gli legge nello sguardo.

Albus schiude le labbra, poi le morde. Non dice, non fa, ma Scorpius non ha bisogno di altro per comprendere ciò che vuole. D’altronde, ricorda a se stesso, nessuno lo capisce quanto lui.

Cede, perché alla fine è ciò che si è reso conto di saper fare meglio – è più naturale cedere che tacere. Cede e accosta la bocca alla sua, e quando attende un istante per dargli modo di ritrarsi non è perché considera di potersi sbagliare, ma solo perché vuole concedergli la possibilità di cambiare idea.

Quando Albus non lo fa, Scorpius lo bacia.

Il modo in cui le labbra dell’amico si schiudono sotto le sue – uno spiraglio – gli provoca una fitta allo stomaco. Scorpius si agita mentre realizza di sentire sulla lingua il suo respiro – ed è tutto nuovo, e strano, e bellissimo, e giusto.

La frenesia li porta a scontrare i denti e Albus sorride della tenera goffaggine di entrambi. Scorpius si separa da lui e allo stesso tempo lo cinge con un braccio per non lasciarlo andare. «Sicuro?», domanda, guardandolo dritto negli occhi.

Lo conosce, saprebbe cogliere la minima esitazione nel suo sguardo – e la teme, ma non può nascondersi, non più.

Albus annuisce e si assicura di mantenere il contatto visivo.

Lo conosce, sa che ha bisogno di leggergli in faccia quella conferma più che di sentirla dalla sua voce – e gliela dona, perché non può nascondersi, non più.

«Sicuro.»

 

Tutto ciò che so è che hai tenuto la porta aperta (tu sarai mio e io sarò tuo).

Tutto ciò che so da ieri è che tutto è cambiato. [1]

 

Si separano dopo pochi minuti – o forse dopo ore – e invero non lo fanno mai più.

Scorpius ha fame, Albus vuole preparare la cena. In cucina, mentre Scorpius lo guarda armeggiare ai fornelli, Albus si volta e gli rivolge una battuta maliziosa. Lui non resiste e raccoglie la provocazione.

Può figurarsela con chiarezza, la notte che li attende – nessuna porta aperta, entrambi già nella stessa stanza. Se chiude gli occhi, riesce a scorgere tutto ciò che fino a quel momento gli ha tolto il fiato e il sonno. Sono immagini nitide – a un soffio dall’essere vere.

Albus lo vede pensieroso e inarca le sopracciglia in una muta domanda. Poi, in realtà, la risposta gliela legge sul viso e curva le labbra all’insù.

In quel gesto, Scorpius ritrova tutto ciò che desidera. Sorride a sua volta.

Uno spiraglio – nuovo – tutto per loro.

 

 

 

 

Note: I paragrafi allineati al centro sono libere traduzioni dei versi di due canzoni di Taylor Swift, rispettivamente Everything has changed [1] e You belong with me [2].

Questa song-fic nasce dalla challenge “Everything has CHALLENGED (Taylor’s Version)” indetta da PinguinaMati, alias VigilanzaCostante, alias Mati, e a lei è dedicata, in occasione del suo compleanno e come regalo anticipato di Natale. I pacchetti scelti sono, appunto:

You belong with me

Prompt: “If you could see that I’m the one | Who understands you | Been here all along | So, why can’t you see? | You belong with me”

Trope: Best friends to lovers

Situazione: i personaggi sono coinquilini o vicini di casa.

di cui ho adottato tutti gli elementi, e anche:

Everything Has Changed

Prompt: “Your eyes look like coming home”

Trope: Childhood friends to lovers

Indicazione: Personaggio A ha i capelli rossi.

per il quale non ho inserito l’indicazione e ho rispettato il trope solo in parte (perché Albus e Scorpius sono amici dal primo anno a Hogwarts, ma non c’è una vera e propria infanzia condivisa).

 

A livello stilistico questa storia è stata un vero e proprio esperimento. Non sono abituata a scrivere al presente, ma il richiamo delle canzoni di Taylor era troppo potente per essere ignorato, quindi ci ho voluto provare. Spero di essere riuscita a trasmettere almeno in parte il senso di quotidianità e di affetto che ho associato a questi due personaggi per tutto il tempo in cui ho pensato a questa one-shot.

In ogni caso, grazie a chiunque sia arrivato a leggere fin qui.

 

Un abbraccio virtuale!

Futeki

 

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