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Autore: Shadow writer    08/12/2022    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I finalisti
 

Sbuffando, Jay fece correre lo sguardo per il negozio, tra le videocamere e gli smartphone, fino a fermarlo sul grande orologio che occupava un’intera parete.

Erano le undici di mattina, nessun cliente in vista e l’unico impegno della giornata sarebbe stata una consegna nel pomeriggio.

Aprì la casella delle mail, ma per la sua abitudine a evitare ogni genere di procrastinazione, aveva già risposto a tutte ed eliminato la spam.

Si lasciò cadere sullo scomodo sgabello posizionato dietro alla cassa, ponderando le sue opzioni. Poteva spolverare? Abbassò il capo fino al livello del bancone e vide che solo pochi granelli di polvere lo inquinavano. No, si era già occupato anche di quello. 

Lanciò un’occhiata al suo cellulare, che aveva lasciato a fianco della cassa e pensò che fosse arrivato il momento di fare ciò che stava rimandando da quella mattina.

Lo prese, cercò il contatto di Mike e avviò la chiamata. L’amico gli rispose in tono amichevole e gli chiese come stava. Jay era uscito presto per andare al lavoro e non avevano avuto modo di incrociarsi.

«Bene, sai perché ti chiamo?»

Mike esitò. «Non lo so, Jay, è un indovinello?»

«No, era un tentativo di considerarti dotato di più intelletto rispetto alla realtà. Riguarda sabato sera. Sai cos’è successo».

Dall’altro capo gli rispose silenzio, così Jay proseguì. «Quando Mila si è messa a dichiarare il suo amore per Nate ero in camera mia e ho sentito tutto. Se ti conosco abbastanza — ed è così — immagino che tu abbia origliato tutto, vero?»

Mike gli rispose con un mugugno imbarazzato, che confermò le sue parole.

«Voglio solo assicurarmi che siamo entrambi sulla stessa lunghezza d’onda» riprese Jay. «Ovvero, Nate non deve sapere nulla di quello che è successo».

«Perché?» chiese l’altro timidamente.

Jay strabuzzò gli occhi, anche se non poteva essere visto. «Perché?» ripeté calcando bene la lettere. «Non dovrei neanche spiegartelo. Ti ricordi in che condizioni è stato fino a poco tempo fa?»

«Certo» bofonchiò l’altro, «ma non credi sia giusto dirgli la verità?»

«No» replicò categorico. «Le parole di Mila possono significare una promessa come anche un sentimento passeggero. Magari il suo rapporto è in crisi e crede che tornare con Nate sia la soluzione, magari era ubriaca, magari… che ne so, Mike, quello che so è che non possiamo affidare il benessere del nostro migliore amico ad una persona che potrebbe distruggerlo definitivamente».

Jay prese un respiro profondo. Non ce l’aveva con Mila, almeno non per la sua confessione di sabato sera. Ma aveva trascorso gli ultimi due anni della sua vita tenendo d’occhio Nate per evitargli di cadere in un baratro troppo profondo da cui sarebbe stato impossibile farlo uscire. All’inizio erano state le sbronze ogni sera che avevano tenuto compagnia a tutti loro per il primo periodo del trasferimento. Ben presto, però, Nate aveva avuto l’illuminazione: Mila non lo aveva voluto perché era troppo instabile per la sua vita perfetta, quindi anche lui doveva diventare una persona migliore. Niente alcol, niente sigarette, niente ragazze, niente feste, niente che potesse anche solo sembrare illegale. 

Aveva cominciato a lavorare otto, dieci, dodici ore al giorno, si era iscritto al college serale e passava i fine settimana chiuso in camera sua a studiare. Jay e Mike stentavano a riconoscere in lui il loro vecchio amico. La sua salute mentale aveva cominciato ad accusare i colpi dopo qualche mese, quando un ragazzo del suo corso gli aveva fatto provare alcune pillole medicinali miracolose. Con quella botta extra di energia Nate aveva continuato indisturbato la propria vita, fino a che Jay e Mike lo aveva convinto a vedere qualcuno e a smettere prima di sviluppare una dipendenza ben più grave. Nate era andato dallo psicologo per un paio di mesi, ma alla fine aveva abbandonato anche quello. Senza le pillole, senza una grande motivazione interiore, era tornato alla propria vita con un senso di tristezza sempre addosso.

E, nonostante il Devil Wheels e il licenziamento, Jay era convinto che insieme ad Alison il ragazzo avrebbe ricominciato a vivere la vita come una persona normale, felice e sana. Forse non avrebbe provato quell’amore bruciante che aveva vissuto in passato, ma così si sarebbe anche risparmiato le brutte scottature che ancora si portava dentro.

Eppure, Mila, in modo improvviso come la prima volta, era ripiombata nelle loro vite. Jay le aveva sempre riservato uno sguardo bieco perché non aveva mai capito quale fosse la vera priorità della ragazza: se stessa o Nate? Era convinto che i due si fossero incontrati per uno strano scherzo del caso, perché il destino non avrebbe potuto giocare loro un tiro così crudele. Il loro era stato un incontro fortuito e sarebbe dovuto rimanere solo un contatto di superficie, per il bene di entrambi. Ma Nate non era fatto così, nulla lo appassionava come le cose difficili. E così quel contatto di superficie era diventato un rapporto. Troppo fragile per poter sopravvivere. Troppo desiderato per avere fine. E, più si approfondiva con il tempo, più piantava le sue radici avvelenate nel cuore di entrambi.

Dall’altro capo della cornetta, Mike riprese a parlare. «E se Nate ha sentito qualcosa?»

«Ho parlato con lui ieri mattina. Mi ha detto di aver fatto un sogno strano, che Mila si fosse presentata a casa. Poi si è messo a ridere. Hai capito Mike? Ormai riesce a nominarla senza scoppiare in lacrime o cadere in uno stato depressivo».

L’altro non rispose subito. Ci fu un istante di silenzio, poi Jay udì un respiro. «Hai ragione» disse Mike, «come al solito, hai sempre ragione».

 

***

 

Non appena mise piede nel campus buio, Mila fu assalita dal desiderio di girare i tacchi e andarsene. Indugiò, sul limitare della strada che conduceva all’edificio principale dell’università. Lì si teneva l’evento quella sera e la ragazza riusciva a scorgerne la sagoma massiccia al di là degli alberi che decoravano il parco.

Erano passati alcuni giorni da quando si era precipitata davanti alla porta di Nate per supplicarlo di avere un’altra possibilità, ma tante cose erano cambiate. Il suo rapporto con James, prima di tutto. L’uomo le aveva detto che poteva rimanere nell’appartamento che condividevano — ma che di fatto lui pagava. Mila sapeva che la situazione si sarebbe fatta imbarazzante, così aveva preferito ringraziarlo e trovarsi un’altra sistemazione. Da qualche notte dormiva in un piccolo albergo che aveva trovato dopo una lunga e faticosa ricerca su internet. Non voleva usare il conto cointestato dei  suoi genitori, dato che non era pronta ad affrontare la loro reazione alla rottura con James, quindi si era dovuta accontentare di ciò che poteva permettersi con il suo stipendio: una stanza malamente arredata a quaranta minuti dall’ufficio. Quando era entrata per la prima volta e aveva posato lo sguardo sulla carta da parati a fiori non più di moda da parecchi decenni, si era sentita bene. Libera, finalmente.

«Posso aiutarla, signorina?» 

Un uomo, elegantemente vestito, era comparso al suo fianco e la scrutava con aria perplessa. Mila realizzò che era rimasta impalata sulla strada per più tempo del dovuto, così lo ringraziò, ma riprese a camminare per conto proprio.

Raggiunse l’edificio principale, le cui ampie finestre erano illuminate dalle dalla luce giallastra dell’interno. La ragazza alzò lo sguardo, fino a vedere dove le tegole della costruzione lasciavano spazio al nero del cielo. Prese un respiro profondo e si incamminò all’interno.

Il professor Thomson aveva chiamato i suoi genitori due giorni prima per invitarli a quella serata in cui avrebbero annunciato i dieci ragazzi che sarebbero passati alla fase finale per l’assegnazione della borsa di studio. 

Mila sapeva che i suoi sarebbero arrivati in anticipo. Non si sarebbero mai sottratti da uno sfoggio gratuito della loro attitudine ai gesti caritatevoli. Solo a pensare ai loro volti tronfi, mentre si fingevano modesti e declinavano ogni complimento, alla ragazza veniva la nausea. Capì come si sentiva Nate quando veniva guardato con pietà. 

Soprappensiero, si immerse nel corridoio che conduceva alla sala dell’evento. Lo attraversò rapidamente, con i tacchi che affondavano nel tappeto scarlatto. Non era una tipa da tacchi, ma qualcosa l’aveva spinta ad indossarli prima di uscire dall’albergo. Si era guardata allo specchio e, con quei centimetri aggiuntivi e la figura più slanciata, le era parso di essere più grande, più matura, più donna.

Forse, però, se non avesse indossato i tacchi sarebbe riuscita a muoversi con più agilità quando qualcuno si mosse all’improvviso staccandosi dal bordo del corridoio per portarsi al centro. Mila si scontrò con la sua schiena, ma quello fu rapido nel voltarsi e afferrarla al volo per le spalle per non farla cadere.

«Oh, gr…» le parole le morirono in gola quando riconobbe il volto di Nate. Il ragazzo indossava un elegante dolcevita nero e dei pantaloni grigio scuro.

Le labbra di lui si aprirono in un ampio sorriso. «Ehi Mila» la salutò allegro, «scommetto che non mi avevi riconosciuto». I suoi occhi si abbassarono per farle notare il proprio abbigliamento.

Lei si sistemò nervosamente i capelli dietro alle orecchie. «Stai bene, sei elegante».

Nate tornò a guardarla, senza smettere di sorridere. «Grazie, li hai scelti Alison».

Solo in quel momento, Mila notò la figura bionda che se ne stava alle spalle del ragazzo. Gli occhi dell’altra la stavano trafiggendo, glaciali.

«Devo…» si ritrovò improvvisamente senza parole. Nate pareva tranquillo, spensierato. Mila esitò. Veramente non aveva sentito nulla sabato sera? Deglutì e sparò la prima scusa che le venne in testa per sottrarsi a quelle due paia di occhi: «Devo trovare i miei genitori».

Scivolò via, sul tappeto, questa volta cercando di fare attenzione a non scontrarsi con nessuno.

Entrò nella sala dell’evento, uno spazio ampio, occupato da una platea di poltroncine scarlatte che si rivolgevano ad un palcoscenico rialzato. La sala era piuttosto affollata, ma poche persone se ne stavano sedute, mentre la maggior parte chiacchierava nei corridoi o davanti al palco.

Come aveva previsto, i suoi genitori se ne stavano al centro della sala circondati da una comitiva di persone semisconosciute. Suo padre stava raccontando qualcosa di particolarmente appassionante, a giudicare dagli sguardi di chi ascoltava, e poco distante sua madre stava facendo ridere un campanello di persone. 

Mila si spostò in un angolo particolarmente affollato e prese posto su una delle poltroncine, cercando di scomparire. Come se qualcuno stesse agendo contro di lei, la folla si diradò in fretta, rendendola un bersaglio troppo facile per gli occhi rapaci di Philip Barnes. Suo padre la intercettò e la ragazza non poté fare altro che assumere un’espressione sorpresa, come se non lo avesse ancora notato.

«Dov’è James?» le chiese l’uomo dopo averla salutata.

La ragazza deglutì. «È impegnato… per il lavoro. Mi ha detto di salutarvi».

«Oh, peccato» commentò l’uomo. Scambiò due parole con lei, ma presto la sua piccola folla sentiva la mancanza dell’oratore e il signor Barnes si allontanò di nuovo, lasciandola sola.

Qualche minuto dopo, una voce femminile annunciò che l’evento stava per iniziare e chiedeva ai presenti di prendere posto. Mila vide Nate e Alison entrare dalla porta sul retro della sala, stringendosi la mano, e raggiungere le prime file, dove c’erano le poltrone riservate ai candidati.

La serata fu noiosa e istituzionale. Intervennero i precedenti vincitori della borsa Thomson, altri professori dell’università e, finalmente, quando gli occhi di quasi tutta la platea si stavano chiudendo, la presentatrice disse che avrebbe chiamato sul palco i cinque finalisti per la borsa di studio.

Per primo chiamò un nome dal sentore slavo, e una ragazza bionda e pallida si alzò dalla prima fila per raggiungere il professor Thomson che sedeva sul palcoscenico. Dopo di lei venne chiamato un ragazzo alto e sottile come uno stecco e poi un altro ragazzo dai tratti latini. Mila sporse in avanti, in tensione. Erano rimasti solo due posti disponibili e sette candidati.

La presentatrice fece scorrere gli occhi sul foglio che teneva in mano, poi li rialzò sulla platea e con un sorriso chiamò: «Nathaniel Winchester».

Mila si mise ad applaudire con forza insieme al resto del pubblico e vide i suoi genitori alzarsi in piedi per stringere la mano a Nate. Il ragazzo ricambiò la stretta, pronunciando qualche parola che lei non riuscì a cogliere da quella distanza. Con il cuore pieno di gioia, lo guardò salire sul palco, imbarazzato ma allo stesso tempo incapace di togliersi quel sorriso sfacciato dalla faccia.

Strinse la mano al professor Thomson e lo ringraziò, prima che la presentatrice passasse ad annunciare l’ultimo finalista.

Dopo aver chiamato i cinque nomi, le luci della sala si riaccesero e la gente cominciò ad alzarsi in piedi e a spostarsi all’esterno.

Anche Mila si alzò, per andare da Nate e congratularsi. Cercò con lo sguardo il ragazzo e lo vide scendere dal palco e raggiungere Alison. Lei lo attendeva con le braccia aperta e, quando l’ebbe raggiunta, lo attirò a sé stampandogli un bacio sulle labbra.

Mila sentì una morsa chiuderle lo stomaco e un improvviso senso di nausea l’assalì. Si impose di rimanere impassibile. Aspettò che Alison si allontanasse — forse per andare in bagno — prima di avvicinarsi a sua volta a Nate. Anche se si trovavano in una sala piena di persone, lo sguardo che la bionda le aveva rivolto prima pareva una promessa di omicidio, e lei voleva evitare di incrociarlo ancora. 

Quando lo raggiunse, Nate stava stringendo le mani ad alcune persone del pubblico che si erano avvicinate per congratularsi con lui. A chi non lo conoscesse, poteva apparire disinvolto mentre ringraziava e salutava la gente, ma Mila colse un un senso di disagio che traspariva dalla rigidità dei suoi movimenti o dal suo sorriso statico.

Finalmente riuscì ad avvicinarsi a lui e, non appena la vide, il volto di Nate di animò. La prese per un braccio, avvicinandola a sé, e mormorò: «Ti prego, portami via da qui».

Mila sorrise. «Ho visto un’uscita secondaria appena fuori dalla sala».

«Andiamo. Scrivo ad Alison che l’aspetterò fuori».

Scivolarono tra le persone e, non appena usciti dalla sala, raggiunsero in una scalinata scura che scendeva verso l’atrio. Le luci erano spente e Mila usò la torcia del cellulare per non inciampare.

«Non ti piace essere al centro della folla?» domandò al ragazzo, che camminava accanto a lei con lo sguardo rivolto verso il basso per non mancare i gradini.

«Non questa folla» replicò lui. «Mi sentivo come se potessero smascherarmi da un momento all’altro».

Mila si bloccò e gli puntò la torcia contro. Lui imprecò, socchiudendo gli occhi e cercando di schermarsi con le mani.

«Smascherarti in che senso?» gli chiese. «Come la persona brillante che sei? Perché è questo il motivo che ti ha fatto arrivare tra i finalisti per la borsa di studio».

Nate non rispose e, per evitare che il silenzio si fece imbarazzante, Mila riprese a camminare.

Raggiunsero l’atrio dell’edificio e poi si infilarono all’esterno, nell’aria fredda e scura della notte.

Altre persone uscivano come loro dal grande portone e si disperdevano per i viali del campus. 

Mila e Nate si fermarono in un angolo flebilmente illuminato dalle luci dei lampioni. La ragazza pensò che se voleva sfuggire allo sguardo assassino di Alison, forse rimanere da sola con il suo ragazzo non era stata la scelta migliore. 

“Ma ormai è troppo tardi” pensò, guardando Nate che respirava profondamente al suo fianco. La tensione che aveva manifestato nella sala pareva averlo abbandonato, lasciando il posto ad un’aria rilassata, tranquilla. Quella sera le pareva così bello da farle male. I capelli scuri erano ben pettinati, lasciando intatti i morbidi ricci naturali che gli contornavano il volto sereno.

All’improvviso si voltò verso di lei e la fissò negli occhi. «Stai bene?»

Lei si sentì avvampare, sotto quello sguardo così rapidamente posato su di lei. «Certo, perché?»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Mi sembravi strana prima». Si guardò attorno, controllò il cellulare, poi tornò con gli occhi su di lei. «James non c’è?»

La scusa che aveva rifilato ai suoi genitori era sulla punta della sua lingua, ma qualcosa la trattenne. Non era forse il caso di dire la verità a Nate? E se questo avesse risvegliato i ricordi di sabato sera? 

Esitò, sotto lo sguardo interrogativo di lui, ma prima che potesse decidersi sentì una voce chiamarla. Si voltò e vide sua madre che le andava incontro. 

«Che ne dici di tornare a casa con noi?» le chiese la donna.

Mila scosse il capo, ma con la coda dell’occhio notò Alison che usciva dal portone dell’edificio. 

«Vi accompagno, ma chiamo un altro taxi, così siamo più comodi» si affrettò ad aggiungere.

Si girò per salutare Nate. Lui la stava guardando con un’espressione indecifrabile. Mila lo salutò con la mano e lui ricambiò, prima che Alison si intromettesse nel loro campo visivo.

Mila si affrettò a raggiungere i genitori per allontanarsi con loro.

 


Ciao!
Mi dispiace aggiornare questa storia così sporadicamente, ma purtroppo il tempo per la scrittura non è mai abbastanza e ultimamente anche l'ispirazione sembra più scarsa del solito. Non so se ci sia ancora qualcuno a seguire questa storia, ma se sei arrivat* fin qui, grazie per essere passat*! Se hai voglia, fammi sapere cosa ne pensi :)
Alla prossima,
M. 

 

   
 
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