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Autore: blackjessamine    09/12/2022    7 recensioni
[HarryPotter!AU]
La delegazione di Durmstrang salpa alla volta della Scozia: a bordo, giganti che non sono più in grado di obbedire ai propri insegnanti, ladri con piani precisi in mente, spettri in cerca di un obiettivo e contadini con un inspiegabile bisogno di assistere a delle esplosioni.
[Storia partecipante al "Torneo Tremaghi – Multifandom Edition" organizzato dal gruppo facebook "L'Angolo di Madama Rosmerta"]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inej Ghafa, Jesper Fahey, Kaz Brekker, Matthias Helvar
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un ragno e il Ragno




 

La folla è un vociare lontano, l’eco di una risacca che non può raggiungerla: Inej sente il brusio proveniente dagli spalti, ma non riesce ad afferrarlo davvero. Lei si trova altrove: è come se i suoi sensi avessero creato una bolla di percezioni sdoppiate, dove il mondo esterno la sfiora senza poterla investire davvero. Lei si è ritirata in una sacca fatta di respiri lenti e deliberati, di concentrazione, di estrema consapevolezza di ogni fibra del suo essere. La paura c’è, sorda e costante, ma si tratta di una compagna a cui Inej può camminare accanto, perché vicino alla paura c’è anche la certezza di poter mettere in fila un respiro dopo l’altro senza perdere l’equilibrio.

La tenda davanti a lei è una tela grezza, un velo sottile che la separa dal futuro – dalla lotta, forse dal dolore, di certo non dalla sconfitta. Inej la fissa, aspettando di sentire il colpo di cannone che annuncerà la sua discesa nell’arena, come ha già fatto per il campione di Beauxbatons e per quella di Hogwarts. Qualcuno, la voce amplificata dalla magia, ha raccontato l’impresa di chi l’ha preceduta, ma Inej ha deciso di non prestarvi attenzione: lei non è un campione vestito di seta e buone maniere, non è nemmeno una ragazzina di buona famiglia avvolta da lana e raccomandazioni di genitori ansiosi. Lei i mostri ha imparato a combatterli con la bacchetta e con i pugni, ed è così che ha intenzione di sconfiggere l’Acromantula che l’aspetta nell’arena.

Un’Acromantula.

Un ragno.
C’è un che di ironico del fatto che proprio lei, il ragno di Brekker, il suo silenzioso ladro di segreti debba affrontare proprio una bestia del genere. Giustizia poetica, direbbe Inej. Non sa che cosa direbbe Kaz, e in questo momento non lo vuole nemmeno sapere. 

Le regole del Torneo avrebbero voluto che i nove campioni delle tre scuole scoprissero la natura della creatura da affrontare solo mezz’ora prima dell’inizio della prova: siete una squadra, aveva detto Silente la sera in cui il Calice di Fuoco aveva depositato nella sua mano i nomi dei campioni, e come una squadra dovrete imparare a ragionare, scegliendo di comune accordo il campione più adatto ad affrontare ogni sfida. 

Una squadra.
La squadra più zoppicante del Torneo, secondo i compagni di Durmstrang. Del resto, se Inej e Jesper sono tanto diversi quanto capaci di conoscersi e misurare le abilità l’uno dell’altro, Helvar è un elemento del tutto inaspettato. Grande, grosso e pieno di ideali, Kaz ha deciso di non consultarlo quando, una settimana prima, Inej si è nascosta, Disillusa, nella Sala Professori, origliando così la conversazione che ha regalato loro un notevole vantaggio e la totale assenza di sorpresa quando è stato annunciato che la prima prova avrebbe richiesto di mettere fuori combattimento un’Acromantula. 

Le consultazioni sono state rapide: parole scambiate quando nessuno ascoltava, presto si è deciso che sarebbe stata Inej ad affrontare l’Acromantula: le qualità di Jesper sono troppo rumorose per un animale del genere. Helvar è stato informato della decisione solo a cose fatte: nella tenda dei campioni la sua sorpresa è stata genuina e ogni sua congettura sul modo migliore di affrontarla è stata dismessa con un rapido gesto della mano: Inej sa già cosa fare.

 

Un colpo di cannone. 

Inej scosta la tenda con un movimento deciso, mento alto e schiena drittissima: se lo Spettro deve mostrarsi alla luce del sole e agli occhi di tre scuole riunite sugli spalti, tanto vale che lei faccia il possibile perché nessuno si perda lo spettacolo. 

Avanza piano, un passo alla volta, ma la sua è una lentezza carica di determinazione: è lentezza deliberata, fatta di movimenti precisi e perfettamente controllati. 

Il cronista sta continuando a parlare, parole sciocche e vuote a proposito della sua statura minuta e del fatto che forse questo potrebbe rivelarsi un vantaggio, perché l’Acromantula potrebbe essere disinteressata a una preda di così scarso valore proteico.

Inej, però, non presta nemmeno un briciolo di attenzione a quella voce. L’unica voce che vuole sentire è quella dei ricordi, la voce di suo zio sopra il mormorio della folla: ma chi mai potrà essere così coraggioso da sfidare la morte? E poi lei, braccia sui fianchi ed espressione spavalda a reclamare il proprio ruolo in quello spettacolo circense. È quella bambina che ora ha bisogno di essere: la bambina che non teme nulla, quella che si contorce davanti allo specchio per cercare tracce di ali fra le scapole, quella capace di entrare in un mondo tutto suo, dove le leggi fisiche sembrano piegarsi ad ogni suo passo. 

In quell’arena, Inej non deve essere lo Spettro. Non deve essere il Ragno di Kaz, non deve essere una ladra di segreti, non deve essere una strega strappata alla sua famiglia per imparare arti magiche di cui forse avrebbe anche fatto a meno. 

Lei è Inej Ghafa, è la figlia di suo padre, e la bacchetta che stringe tra le mani le serve solo per avere una minuscola spinta in più.

 

L’arena è un ampio spazio circolare: Inej cammina su un terreno irregolare che degrada dolcemente verso uno sparuto gruppo di alberi: troppo radi perché si possano considerare una foresta, abbastanza lontani gli uni dagli altri perché gli spettatori possano almeno intuire che cosa succede al centro della scena, sono comunque una piccola concezione all’Acromantula, alla sua inclinazione per il buio e al suo metodo di caccia preferito. Le lunghe sere di ricerca insieme a Kaz e a Jesper le hanno insegnato che l’Acromantula predilige i luoghi bui, e che, quando si trova nel suo habitat naturale, il suo metodo di caccia è preciso e infallibile: preferisce vivere sulla cima degli alberi più grandi, in paziente attesa di una preda che ingenuamente scelga di passare proprio sotto di lei. I fitti peli che ricoprono le sue zampe trasmettono le vibrazioni prodotte dal muoversi della preda al cervello del ragno, permettendogli così di piombare dall’alto sulla preda inerme. 

Il passo di Inej è leggero, i suoi piedi sembrano quasi non sfiorare il terreno mentre si avvicina al gruppo di alberi: se la prova consistesse solo nell’attraversare indenne un luogo abitato da un’Acromantula, Inej saprebbe di avere la vittoria in tasca. Da tempo sa vestirsi del silenzio più totale, e i suoi movimenti sanno essere così impercettibili da non attirare l’attenzione nemmeno del ragno più suscettibile.

Ma gli organizzatori del Torneo da lei vogliono qualcosa in più: vogliono che lei e la bestia si affrontino, perché quello che Inej deve fare è recuperare un cilindro di piombo legato al collo – ma hanno poi un collo, i ragni? – dell’Acromantula. E così, attirare il ragno lontano dal suo nascondiglio diventa una priorità. Così come una priorità resta fare in modo che il ragno non si getti all’istante su Inej. 

Jesper aveva proposto che Inej, silenziosa e leggera come sa essere, piazzasse degli esplosivi fra le radici di ogni tronco d’albero, per poi farli brillare solo dopo essersi rifugiata all’estremità dell’arena: l’esplosione e l’incendio che sarebbe seguito avrebbero fatto il lavoro sporco per Inej, mettendo fuori combattimento l’Acromantula senza richiedere uno sforzo eccessivo. L’amico sosteneva anche di sapere esattamente da chi procurarsi dei congegni del genere – Inej sospetta che centri qualcosa il ragazzino dai capelli rossi che Jesper si diverte a tormentare durante le lezioni più noiose.

Naturalmente, Kaz ha subito bocciato quel piano: il rischio di danneggiare il cilindro di piombo con il calore delle esplosioni è troppo alto. 

No, Inej dovrà  affrontare la bestia guardandola negli occhi.

 

Inej giunge abbastanza vicina al gruppo di alberi, e si ferma. Scruta le chiome, grata di non trovarsi in una foresta, e nemmeno in una giungla tropicale: individuare l’orrido intrico di zampe e l’enorme corpo peloso sulla cima dell’albero più alto è fin troppo facile. 

La creatura se ne sta annidata al centro di una ragnatela fitta e vischiosa, un’enorme calotta che ricopre le foglie dell’albero, rendendole quasi irriconoscibili. 

A Inej pare di scorgere un bagliore metallico, ma non è sicura se si tratti del prezioso cilindro di piombo o di quelle pericolose tenaglie che contribuiscono a rendere l’Acromantula ancora più  pericolosa. 

Sa di avere poco tempo: è stata silenziosissima, ma ogni istante che passa potrebbe rivelarsi fatale per mostrare alla besta la sua posizione. Non può pensare di affrontare il ragno in una simile posizione di svantaggio: deve convincere l’Acromantula a scendere da quell’albero, e deve farlo senza attirarla verso di sé. 

Inej si guarda attorno, la bacchetta stretta saldamente tra le mani, fino a individuare un masso che fa il caso suo. È una roccia che le arriva alle ginocchia, una roccia grande abbastanza perché faccia molto rumore, se lasciata cadere da una considerevole altezza. Le basta un incantesimo di levitazione non verbale per condurre il masso in alto, sempre più in alto, e lontano, almeno un po’. Non troppo lontano dall’albero dove riposa il ragno gigante, ma abbastanza lontano da darle il tempo di portare a termine il suo piano. 

Inej sente gli occhi di tutta la folla su di sé, quando con un movimento netto interrompe l’incantesimo e lascia precipitare il masso. Lei, invece, gli occhi li tiene fissi sull’Acromantula, che freme e distende le orribili zampe, senza però lasciare il suo nido. 

Maledizione.

Inej sapeva che avrebbe potuto aver bisogno di tempo per convincere il ragno a muoversi, ma questo non rende più piacevole la situazione. Lancia solo uno sguardo rapido al masso, aggiustando la mira, e poi torna a concentrarsi sul ragno. Il masso si solleva in volo, e poi ricade. Ancora.

E ancora. 

E ancora. 

Inej cerca di imitare il suono cadenzato che potrebbe avere il passo di qualche mammifero abbastanza grosso da risultare appetibile, ma non così tanto grosso da intimidire la bestia annidata sull’albero. 

E intanto osserva, in attesa del segnale giusto. Kaz le ha spiegato che chiunque, mago o creatura magica, quando combatte ha un segno distintivo che permette di prevedere almeno in parte il momento dell’attacco. Un’esitazione, un movimento appena più ampio, la contrazione di un muscolo. 

Tu, Spettro, prima di scagliare una maledizione raddrizzi le spalle come se ti stessi esibendo, le aveva detto, e forse c’era una critica, dietro quelle parole. Ma a Inej non importa più. Inej è fatta anche dell’orgoglio con cui suo padre le ha insegnato ad accogliere gli applausi del pubblico, e quando vede le zampe del ragno fremere in un modo tutto nuovo, non ha neanche un secondo di esitazione.
Il ragno precipita dall’albero, pronto a gettarsi all’attacco di una preda di roccia, e Inej, la bacchetta stretta fra i denti, rapidissima scala il tronco più vicino. 

Qualcuno nella folla ride.
Certo, non è dignitoso che una strega faccia affidamento alla forza delle braccia per scappare.

Ma a Inej non importa nemmeno delle risate di chi non ha capito niente. Scalare quel tronco è facile come scoppiare a ridere: un albero è fatto di sporgenze e appigli, rami e biforcazioni, e arrampicarsi le dà la stessa gioia che provava quando da bambina il suolo si faceva lontano e lei entrava in un mondo tutto suo. 

Il ragno, nel frattempo, si è immobilizzato, le tenaglie che scattano rapide con un suono minaccioso. I suoi enormi occhi – troppi occhi per poterli fissare tutti – si rivolgono al tramestio proveniente dall’albero di Inej. La bestia sembra indecisa, quasi non sapesse se continuare a dare la caccia alla creatura che sembra averla ingannata un attimo prima oppure gettarsi all’inseguimento della creatura che proprio in quel momento si sta muovendo, che respira forte, che con soli quattro arti cerca di imitare la scalata di un ragno. 

Alla fine, il richiamo di quella preda sembra prendere il sopravvento: l’Acromantula, con il suo movimento pieno di scatti perturbanti, si avvicina con sorprendente rapidità alla base del tronco su cui si è rifugiata Inej. 

È un istante: questa volta Inej riconosce benissimo lo scintillio metallico del cilindro di piombo legato attorno alla testa della bestia. 

“Diffindo!”
Il suo incantesimo ha la stessa precisione della lama di un pugnale: la fettuccia di pelle che teneva al suo posto il cilindro di piombo si spezza in due, facendo rotolare l’oggetto a qualche metro dal ragno.

L’incantesimo, però, ha anche il potere di far scattare con ritmo ancor più minaccioso le tenaglie della bestia. Inej sa di avere pochissimo tempo prima che il ragno la raggiunga, e sa anche che a quel punto lei si troverebbe in posizione di netto svantaggio, perché per quanto il suo corpo sembri fatto apposta per scalare qualsiasi muro, le otto zampe dell’Acromantula saranno sempre e comunque più rapide dei suoi quattro arti. 

C’è un solo modo per liberarsi dalla trappola che le si è richiusa attorno: Inej si sposta sul punto più estremo del ramo su cui è appollaiata, sentendolo oscillare sotto il suo peso e pregando che regga abbastanza a lungo. Non esiste un modo gentile per fare quello che ha intenzione di fare: non appena il ragno è sufficientemente impegnato nell’arrampicarsi sul tronco dell’albero, Inej si lancia nel vuoto. 

Non è come volare. L’impatto col terreno arriva troppo presto, un impatto duro, violento, che la lascia senza fiato. Poco importa che lei assecondi la caduta, che si protegga la testa con le braccia e si lasci rotolare per non opporre resistenza all’impatto violento, proprio come le ha insegnato suo padre quando lei era solo una bimba scalza che zampettava su una corda tesa a pochi centimetri da terra. 

Un dolore accecante le rende impossibile muovere il braccio destro: qualcosa decisamente non va nella sua spalla, ma non ha il tempo di preoccuparsene. Si rialza in piedi e corre rapida verso il luccichio metallico del cilindro di piombo, sentendosi per un istante come un qualsiasi Cercatore di Quidditch all’inseguimento di un sorprendentemente immobile Boccino d’Oro. 

Un tonfo fa vibrare il terreno dietro di lei. 

L’Acromantula dev’essersi gettata di nuovo all’inseguimento, e questa volta Inej sa di essere in netto svantaggio. La creatura è immensamente più veloce di un essere umano. Inej stringe la bacchetta nella mano sinistra –non la sua mano da bacchetta, ma poco importa la precisione – e prega qualsiasi santo all’ascolto che il cilindro, una volta lontano dalla bestia, non sia protetto da incantesimi che impediscano di Appellarlo. E prega anche che la prova venga considerata superata nel momento esatto in cui le sue dita si stringeranno attorno al metallo: non possono sottrarle dei punti se verrà divorata dall’Acromantula dopo aver raggiunto l’obiettivo della prova, no? È sicura che Kaz saprà convincere tutti che le cose stanno esattamente così. 

L’Accio che lascia la sua bocca è intriso di tutta la sua determinazione e di tutta la sua speranza: e incredibilmente, miracolosamente, il cilindro di piombo, freddo e liscio, schizza davanti ai suoi occhi. Prova a sollevare il braccio destro per afferrarlo senza smettere di correre, ma una fitta di dolore le acceca la vista e la fa vacillare. Il mondo è un luogo fatto di ombre che le danzano davanti agli occhi, mentre stringe di nuovo la bacchetta fra i denti e afferra saldamente il cilindro con la mano sinistra. 

Non ha nemmeno bisogno di vedere un’ombra più grande e minacciosa delle altre stagliarsi sopra di lei per capire che quell’esitazione le è stata fatale: mossa da puro istinto, Inej si lancia di lato. 

 

Il mondo si riduce al dolore lacerante che le squarcia la coscia, una linea di fuoco che parte dall’inguine e arriva al ginocchio. 

 

Restano solo le ombre.

 

***

 

Ombre dietro le sue palpebre. 

Movimenti confusi, vociare, e tutto il corpo percorso da una strana morbidezza. 

Inej non sente dolore, ma ha l’impressione che le sue ossa siano sciroppo di melassa, incapaci di sostenere anche il più piccolo movimento. 

Con un immane sforzo di volontà, apre gli occhi. 

Non sa cosa aspettarsi: forse spera nello sguardo di Kaz.

Forse è più facile pensare di incontrare quello preoccupato di Jesper.
Di certo non si aspetta due grandi occhi verdi troppo vicini a lei

Gli occhi sbattono un paio di volte, sventagliando un paio di lunghe ciglia scure, e poi i contorni di quel viso prendono la forma di una ragazza dalle guance arrossate.

“Oh, Morgana, sei viva! Avevo paura di aver sbagliato pozione, non mi è mai capitato di curare qualcuno che avesse perso così tanto sangue, e Madama Chips ora è scomparsa, e… come ti senti?”
Inej non sa cosa rispondere.
È certa di non avere mai visto questa ragazza a Durmstrang, eppure non sta parlando in inglese. 

“Io sono Nina Zenik, comunque, e in realtà non sono affatto certa di voler fare la Guaritrice, ma sai, quando qualcuno ha talento…”
Lo sguardo verde ammicca in un occhiolino malizioso, poi Nina torna seria.

“Dico davvero, come ti senti?”
“Io… bene?”
Inej si solleva a sedere, accorgendosi di essere sdraiata su una barella dentro quello che sembra un ospedale da campo. Le sue ossa a quanto pare sono ancora abbastanza solide da permetterle di stare seduta sul sottile materasso senza alcun sostegno. Con cautela, muove il braccio destro, facendo piccole rotazioni della spalla. 

Non sente niente. Non dolore, e nemmeno la più piccola resistenza di tendini e muscoli. 

“Oh, la spalla te l’ha sistemata Madama Chips, lei è un asso con queste cose. Potresti darti alla scalata della Torre di Astronomia anche adesso, se volessi. Lo sapresti fare? Scommetto di sì!”
Inej non risponde. Scosta la coperta di lana grezza che le copre le gambe: sulla stoffa dei pantaloni c’è una lunghissima lacerazione, ma la pelle al di sotto è intatta. Arrossata, ma intatta. 

“Anche a quella ha pensato Madama Chips. Io invece ho passato l’ultima ora a darti dieci gocce di antidoto ogni cinque minuti esatti, e visto che ti sei svegliata e non sei morta, direi che non ho sbagliato pozione, giusto?”
Antidoto.

Inej si sente lo stomaco rivoltare al pensiero di quello che avrebbe potuto succedere: il veleno di Acromantula è rapidissimo. Qualcuno dev’essere intervenuto rapidamente per recuperarla da quell’arena, evidentemente.

“Mi hai salvato la vita, Nina Zenik. Ti ringrazio”.

Nina arrossisce e scuote le spalle.

“Non è niente, non è niente. Sai, dovrei tifare per i campioni di Hogwarts e tutto quanto, ma credo che tu sia stata davvero fantastica. Non ho mai visto nessuno muoversi in modo così silenzioso, io…”
“Inej! Stai bene?”
Jesper attraversa a lunghi passi la tenda, raggiungendo in un istante il fianco di Inej.

“Sto bene, credo. E il merito è di Nina”.

Jesper annuisce, scambiando una rapida occhiata con Nina, che nel frattempo, soddisfatta della salute della sua paziente, è sprofondata su una sedia e sta divorando con entusiasmo un biscotto che ha estratto da una tasca della veste.

“Dov’è Kaz?”
Il sorriso di Jesper si incrina appena. 

“Oh, è… fuori. Hanno appena dato i punteggi, sai”. 

Inej alza la testa di scatto. 

“Hanno dato i punteggi, e…?”
“E siamo secondi. La tizia di Hogwarts è finita in ospedale dopo dieci secondi che è entrata nell’arena, e il cilindro non l’ha nemmeno recuperato. Tu sei stata molto più rapida del francese, invece, ma avresti dovuto mettere fuori combattimento l’Acromantula, e invece secondo i Giudici non l’hai propriamente affrontata, quindi hai preso quaranta punti contro i settanta di Beauxbatons”.

Jesper non  lo dice, ma sul suo viso Inej riesce a leggere la delusione di Kaz. Del resto, niente la convincerà mai che cercare direttamente uno scontro quando c’è la possibilità di evitarlo sia una scelta intelligente e meritevole di maggiori lodi. E poi, le pozioni che Nina Zenik è stata costretta a rifilarle sono pronte a testimoniare che uno scontro diretto fra Inej e il ragno c'è stato.

"Sei stata bravissima, comunque. Ti ha applaudita anche Helvar!", aggiunge Jesper, come se l'ammirazione di Helvar sistemasse ogni cosa.

"A proposito", mugugna Nina con la bocca ancora piena "me lo sono sempre chiesta: ma è normale che il vostro amico Helvar non sorrida mai, o è solo che è troppo grosso per essere anche bello e simpatico?"

Solo allora Jesper concede una lunga occhiata a Nina, quasi studiandola. Alla fine sembra decidere che quella strana studentessa di Hogwarts che per qualche strana ragione parla fjerdano con tanta scioltezza gli è simpatica, perché le regala uno dei suoi sorrisi enormi.

"Helvar non è nostro amico, e credo che abbia un cubo di ghiaccio al dove dovrebbe esserci la simpatia. Ma non ti preoccupare, ci sono già io di bello e simpatico, non serve che lo sia anche lui".

Nina sorride a sua volta, spazzolando via le briciole dalla divisa  e lasciandosi andare a un sospiro teatrale.

"Oh, be', non mi dispiacerebbe scaldarlo, quel pezzo di ghiaccio. Però davvero deve imparare a sorridere un po' di più, quando è venuto a trovarti mi ha quasi spaventata. Be', insomma, non che io mi faccia spaventare solo da una fronte corrucciata, ma…"

"È stato l'unico a venirmi a trovare?"

Inej non vorrebbe chiederlo. 

Quella domanda è una concezione sciocca a una vana speranza, una debolezza che porterà solo sofferenze. Eppure, non può trattenersi dal domandare, ignorando lo sguardo al tempo stesso ammonitore e pieno di compassione di Jesper. 

"Inej, sono sicuro che…"

"No, non è venuto solo il vostro megafusto biondo", interviene allegra Nina. 

"È venuto anche  un tizio che per davvero mi ha dato i brividi. Un tizio con un bastone e la delicatezza di un Troll. Ha minacciato di sfondarmi il cranio col suo bastone e di dare il mio cervello in pasto alla Piovra Gigante, se non avessi fatto attenzione alle tue pozioni. E credo dicesse sul serio".

Il viso di Nina è rosso d'indignazione mentre promette di azzoppare anche l'altra gamba di quel maleducato, se ne avrà l'occasione. 

Ma Inej nemmeno l'ascolta più.

E, quando incontra le sopracciglia sollevate con fare eloquente di Jesper, non può fare a meno di sorridere.






 

 


Note:

Premessa un po’ paraculo, ma necessaria: io non so scrivere scene d’azione. E per me una scena d’azione è anche una scena in cui i personaggi semplicemente parlano, visto che di solito mi limito a introspezioni prive di trama. Quindi, ecco, questo torneo per me è un incubo, oltre che una grande sfida. So che la prova vera e propria lascia moltissimo a desiderare, le descrizioni della scena in sé sono così infantili che rileggendomi mi sono messa a disagio da sola, ma insomma, forse dopo così tanti anni è anche arrivato il momento di provare davvero a mettermi alla prova. 

Ora, le varie wiki mi informano che potrebbe essere vero che le acromantule prediligono i luoghi alti, ma ammetto che non sono certa sia verissimo. Per quanto riguarda invece il loro metodo di caccia, mi sono basata su un articolo (di Focus, quindi chissà quanto attendibile, ma i ragni mi fanno schifo e mi sono fermata dal fare ricerche ed essere invasa da immagini poco piacevoli appena ho trovato qualche informazione utilizzabile) che descrive il comportamento del ragno “faccia d’orco” (e, fun fact, per giorni sono rimasta convinta che il suo nome fosse “faccia d’oro”, e mi è stato decisamente più simpatico) che a quanto pare davvero se ne sta sugli alberi e “sente” tramite i peli sulle zampe il rumore di potenziali prede. Ora, a me tutto ciò fa pensare solo a una zecca, però ok, c’è la magia, possiamo fare finta che tutto funzioni anche così?

 

Infine, Nina: non so quanto senso abbia che lei faccia da aiutante per Madama Chips, ma volevo cominciare a chiamarla in causa, e spero di essermela giocata in modo passabile facendole dire che di fatto non vuole diventare una Guaritrice. Ho parlato di lingua fjerdana perché non sapevo decidermi su quale lingua europea far parlare agli studenti di Durmstrang, e allora ho tagliato la testa all’acromantula così (viva la pigrizia). 

Bene, direi che ho scritto note anche fin troppo lunghe, quindi taccio e ringrazio chiunque abbia avuto la forza di arrivare fino a qui. 


 

   
 
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