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Autore: Milly_Sunshine    11/12/2022    3 recensioni
Novembre 2002: al termine di una serata con gli amici, Mark ha un appuntamento con la fidanzata Ellen, ma lei rimane ad attenderlo invano, senza ricevere sue notizie. Il giorno dopo, l'amara realtà: è stato brutalmente assassinato, mentre si trovava in un luogo in cui già fu consumato un atroce delitto. Il mistero legato alla sua morte non viene svelato, ma provoca la morte di altre persone. Novembre 2022: a vent'anni di distanza, Ellen e gli amici di Mark si ritrovano di nuovo nel loro paese natale per commemorarne la scomparsa, senza sapere che chi ha già ucciso vent'anni prima è ancora in agguato. Li aspetta un mistero fatto di lettere anonime, identità scambiate e intrighi di varia natura. // Scritta nel 2022/23, ma ispirata a un lavoro adolescenziale.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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[11 novembre]
«Siete voi?» chiese Janet, al citofono.
«Sì» rispose Danny, «Siamo noi.»
Il portone scattò e, solo infilandosi nell'atrio, Danny realizzò che, a meno che Janet non fosse così brava a riconoscere le voci, potenzialmente chiunque avrebbe potuto introdursi facilmente in casa sua.
Danny salì le scale, seguito da Jennifer. Era tornata a Goldtown proprio quella sera, ma non si sarebbe fermata a lungo. Aveva avvertito Danny che l'indomani mattina sarebbe ripartita per raggiungere la madre fuori città. Non le aveva fatto domande, anche perché c'era stato ben altro di cui parlare: l'incontro con Maryanne Sherman del giorno precedente. A distanza di ore da quel racconto, tuttavia, nessuno dei due vi stava dando molto peso, qualcosa di più importante li aspettava.
Janet li attendeva sulla porta.
«Prego, entrate. Che piacere rivedervi, soprattutto tu, Jennifer, sono passati secoli.»
Jennifer annuì.
«Già, un vero piacere. Ti abbraccerei, ma preferisco evitare i contatti troppo stretti. Sai, sono guarita da poco dal coronavirus.»
«Ma adesso stai bene?» si informò Janet.
«Sì, tutto a posto» rispose Jennifer. «L'ha avuto anche mia madre, che non sta ancora benissimo.»
«E tua sorella?» azzardò Danny.
«Oh, sì, anche mia sorella.»
«Potevi portare anche lei stasera.»
«Già» convenne Janet. «Avresti potuto chiamare anche Roberta.»
«Gliel'ho detto, ma non le sembrava il caso di venire» ammise Jennifer. «Penso si sentisse invadente. Dopotutto Roberta non era a Goldtown, vent'anni fa. Non ha mai conosciuto Cindy.»
Era una giusta osservazione, realizzò Danny, mentre entrava in casa insieme all'amica. Janet richiuse la porta alle loro spalle e li invitò a raggiungerla in soggiorno. La sala era piuttosto affollata: c'erano Lydia, Steve, Jack, Kevin e perfino Ellen, che in apparenza nessuno lasciava da parte.
«Prego, sedetevi» disse Janet. «Le sedie che sono rimaste forse fanno un po' schifo, ma sono tutte quelle che avevo.» Si avvicinò alla finestra e la accostò. «Fuori non fa molto freddo, magari facciamo cambiare un po' l'aria, siamo in troppi.»
A scopo precauzionale, Jennifer indossò una mascherina chirurgica, spiegando: «Ormai non dovrei più essere contagiosa, ma preferisco non esporvi al pericolo.»
Steve osservò: «È bello vederti comportarti come una persona normale, per una volta.»
Jennifer ribatté: «Proprio oggi Roberta mi diceva che scambia sempre qualche parola con te, quando vi incontrate davanti ai vostri negozi, quindi pensavo fossi in qualche modo migliorato, ultimamente. Mi ero illusa.»
Steve ignorò il suo commento e le chiese, piuttosto: «Roberta non c'è?»
«Sai benissimo perché siamo qui» gli ricordò Jennifer. «Non le sembrava giusto intromettersi.»
Era il ventesimo anniversario di morte di Cindy Spencer. Organizzare quella serata in suo ricordo era stata un'idea di Janet, che non aveva mai dimenticato l'amica e la triste fine che aveva fatto. Tutti i presenti, con la sola eccezione di Ellen che al massimo l'aveva vista qualche volta di sfuggita, avevano conosciuto Cindy. Danny sperò che Jennifer non rimarcasse quel particolare, ma quel desiderio venne bruscamente stroncato.
«Sai, Steve, Roberta non ha mai conosciuto Cindy. Qui, invece, mi pare che l'abbiamo conosciuta tutti, a parte una persona. Evidentemente Roberta ed Ellen la pensano in modo molto diverso. Sei stato tu a insistere perché venisse?»
Steve scosse la testa.
«Sei fuori strada, Jennifer.»
«Devo insinuare, allora, che ti somigli così tanto da non capire quando è inopportuna?»
Danny valutò se fosse il caso di intervenire, per pregare l'amica di non fare polemica, specie contro Ellen che poco aveva a che vedere con Steve, ultimamente, ma non fu necessario. Fu la stessa Ellen a precisare: «Non è stato Steve a chiedermi di venire qui e non capisco perché ti sia venuta una simile idea.»
«Eri la sua ragazza, no?»
«Appunto, lo ero, molto tempo fa.»
«Scusa, non avevo capito. Pensavo vi foste rimessi insieme.»
Ellen ridacchiò.
«Hai una strana idea di come funzioni la vita sentimentale. Del resto non c'è da stupirsi. Non hai molta esperienza in proposito, vero?»
Janet richiamò tutti all'ordine.
«Non vi ho chiamati qui per darvi la possibilità di litigare tra di voi o per dibattere delle vostre vite sentimentali. Cosa importa il numero di relazioni che abbiamo avuto? Tanto siamo più o meno tutti nella stessa barca, qui, mi pare. Nessuno di noi ha avuto una vita sentimentale felice e senza intoppi.»
Lydia azzardò: «Veramente io e Dylan stavamo bene insieme.»
«Sì, certo, parlavo di quelli che...» Janet si interruppe. «Hai capito.»
«Sì, ho capito» rispose Lydia. «Hai ragione, parlavi di chi ha ancora tutti gli ex partner in vita.» Il suo sguardo si incrociò con quello di Danny, che la vide subito abbassare gli occhi. «Voglio dire, di chi ha ancora in vita l'ex partner più importante.»
Danny la rassicurò: «Non preoccuparti, Lydia, ho capito cosa vuoi dire.»
L'atmosfera sembrava essersi fatta pesante e seguì un lungo silenzio. A sorpresa, fu Jack a interromperlo.
«Nessuno di noi ha avuto una vita particolarmente felice, un po' come se avessimo cercato di aggrapparci a tutti i costi a qualcosa, ma poi ci fosse sfuggito. Non è difficile capirne le ragioni. Spesso il nostro primo pensiero è stato quello di andare avanti e di dimenticare il passato a tutti i costi, rimpiazzandolo con qualcosa che riempisse il nostro vuoto. Quindi abbiamo fatto tante scelte sbagliate, anche in campo sentimentale.»
Era un discorso interessante, che Kevin, apparentemente, teneva ad approfondire: «Penso che quello che dici sia giusto. Alcuni di noi hanno cercato di andare via da Goldtown non appena ne è capitata l'occasione, altri si sono allontanati dalla loro vera strada perché si sentivano schiacciati dai brutti ricordi.»
Janet, ancora vicina alla finestra, si affacciò per guardare fuori, osservando: «Avete ragione, concordo in pieno. Per un lungo periodo, diciamo per anni e anni, tutto ciò che desideravo era andare via e cercare di togliermi dalla testa le ultime parole che avevo scambiato con Cindy, quel...» Si interruppe per un attimo. «Quel giorno, uscendo da scuola. La salutai sorridendo e le dissi "ci vediamo domani". Cindy rispose "a domani" e poi se ne andò, mentre io rimanevo un attimo nel cortile a scambiare qualche parola con non ricordo nemmeno chi. Non potevo nemmeno immaginare che non l'avrei rivista mai più. Non...»
Con una mano si sistemò la fascia con cui teneva indietro i capelli.
«Hai una ciocca che è rimasta infilata dentro» la informò Lydia.
Janet cercò di sistemarsi i capelli a tentoni, replicando: «Non fa niente, tanto la fascia la tengo solo perché non appena prendo un colpo d'aria inizia a farmi male la nuca.»
Lydia scherzò: «È l'età che avanza!»
«No, affatto» ribatté Janet. «È da quando ero ragazzina che soffro di dolori cervicali. È la ragione per cui a un tempo portavo sempre quelle stupide cuffie dai colori sgargianti.»
«Non ti stavano male.»
«Se le avesse viste Cindy, sarebbe inorridita. Da parte sua, non si sarebbe mai messa in testa qualcosa che avesse colori così assurdi.»
«Già, i suoi gusti in fatto di abbigliamento sono sempre stati molto più sobri dei tuoi. È incredibile quanto foste diverse tu e Cindy.»
Janet si girò a guardarla.
«No, io e Cindy non eravamo diverse. Eravamo molto più simili di quanto tu possa immaginare... di quanto tutti possano immaginare. Non so se sia per questo, che ho sentito la sua mancanza ogni fottuto giorno. Non c'è mai un solo momento in cui riesco a dimenticarmi davvero di lei, né voglio dimenticarla. Mi disse "a domani" e per me quel domani non è mai arrivato.»
Danny stava per dire qualcosa, ma vide Janet abbassare lo sguardo, prima di voltarsi e di tornare alla finestra. C'era qualcosa di insolito in lei, un po' come se si stesse mettendo in bocca frasi fatte per non spingersi troppo oltre, come se ci fosse dell'altro, che preferiva tenere per sé, ma che temeva di lasciarsi sfuggire. Danny provò a chiedersi cosa la tormentasse, ma non riuscì a trovare risposta. Molto probabilmente Janet si ritrovava a dovere fare i conti con la sensazione che tutti loro avevano conosciuto, il senso di colpa che derivava dall'essere ancora in vita mentre alcuni loro amici avevano trovato la morte così giovani e così all'improvviso.

******

Janet si guardò intorno. Non c'era nessuno, si potevano fermare. Anche Cindy doveva essere arrivata alla stessa conclusione, dato che di colpo aveva smesso di camminare.
«Va bene qui?» le chiese.
«Sì, va bene qui» rispose Janet. «Non potevo dirtelo stamattina a scuola...»
«Anch'io non potevo dirtelo stamattina a scuola» la interruppe Cindy, «Ma voglio che tu lo sappia. Non dirlo a nessuno, nemmeno a Lydia o a Meredith, ma ieri sono uscita con Danny Silver.»
Janet alzò gli occhi al cielo.
«Cazzo, Cindy, dobbiamo parlare di una cosa importante e tu mi vieni a raccontare che sei uscita con Danny?»
«Anche quella è una cosa importante.»
«Sì, capisco quello che vuoi dire, ma quell'altra storia potrebbe essere una questione di vita o di morte. Mi fa piacere se ti sei presa una cotta per qualcuno. Certo, mi sembra un po' strano che quel qualcuno sia Danny Silver, ma...»
Cindy scosse la testa.
«No, Janet, non hai capito. È vero, sono uscita con Danny e l'ho pure baciato, ma non l'ho fatto perché mi piace. Voglio scoprire cos'è successo davvero a Linda, tutto qui.»
«Non dire cazzate» replicò Janet. «Danny non sa niente, non può dirti nulla. Non c'entra niente con il delitto e, se pensassi il contrario, sarebbe assurdo uscirci insieme, ti pare?»
«So benissimo che Danny non sa niente del delitto» replicò Cindy, «Ma magari sa qualcosa su Linda. A volte la sentivo, quando parlava, al corso di pattinaggio. Raccontava che le sarebbe tanto piaciuto conoscere suo padre. Mi viene il dubbio che qualcuno possa essersi messo in contatto con lei, essersi spacciato per suo padre, averle dato un appuntamento e averla uccisa.»
«Ma perché?»
«E che cazzo ne so?! Perché qualcuno ha ucciso Mark e poi Will?»
«Ecco, era proprio di Will che dovevamo parlare» le ricordò Janet. «Ci ho pensato e ripensato. La notte in cui è stato ucciso Mark, l'ho visto.»
«La notte in cui è stato ucciso Mark, non eri in casa?» obiettò Cindy.
«Era la notte di Halloween, in TV stavano dando un film horror. Me lo sono vista, anche se certe scene mi facevano abbastanza schifo, poi mi sono messa a letto. Non riuscivo a dormire, avevo ancora il voltastomaco per le immagini del film, allora ho aperto la tapparella e mi sono messa a guardare fuori. L'ho visto passare. Sono sicura che fosse Will, perché la strada sotto casa mia è piuttosto illuminata. Ho guardato l'orologio, doveva essere l'una meno un quarto. Non ne ho mai parlato perché, all'inizio, era stato sospettato di avere qualcosa a che vedere con l'omicidio di Mark. Adesso che è morto, però, te lo posso dire.»
«Quindi pensi che c'entrasse davvero qualcosa con il delitto?»
«Non lo so. Mi viene il dubbio che potesse davvero avere qualcosa a che fare con quella storia, ma non da solo, insieme a qualcuno che poi si è sbarazzato anche di lui.»
Cindy azzardò: «Magari stava semplicemente facendo una passeggiata per strada?»
«Da solo e a quell'ora? Mi sembra un po' strano.»
«Sarà anche strano, ma non è certo un reato, ti pare? La gente è ancora libera di andarsene in giro per strada, non credi?»
«Tu vuoi scoprire cos'è successo a Linda» mise in chiaro Janet, «Io voglio scoprire cos'è successo a Will.»
«Meredith cosa ne pensa?»
Janet sussultò.
«Meredith non lo sa.»
«Devi dirglielo» replicò Cindy. «Devi dirglielo, che sei convinta che Will avesse qualcosa a che vedere con l'omicidio di Mark e che sia stato ucciso da un complice.»
«Tu sei pazza!» sbottò Janet. «Non posso certo dire a Meredith come la penso. Darebbe di matto e troverebbe un modo per farmi perdere credibilità! Aveva proprio perso la testa per Mason.»
«Anche tu avevi perso la testa per Mason» le ricordò Cindy. «Sbaglio o ti eri fatta avanti con lui? Poi Will ti ha detto che ti considerava troppo giovane e si è messo insieme a Meredith. Ti rendi conto che, per vendicarti della sua decisione, lo vuoi far passare per un potenziale assassino, e proprio adesso che è morto e non può più difendersi?»

******

«Janet? Ehi, Janet, ci stai ascoltando?» chiese qualcuno, facendola sobbalzare.
Janet si girò di scatto verso i suoi amici. Richiuse la finestra, adducendo al fatto che si iniziasse a sentire troppo il freddo, dentro casa, poi cercò di comportarsi come se nulla fosse successo. In fondo non era accaduto nulla, si era solo messa a pensare a ciò che, in realtà, era avvenuto al posto di quel "ci vediamo domani". Non si erano mai date appuntamento all'indomani, quel giorno di vent'anni prima, aveva incontrato Cindy in un secondo momento. Le aveva confidato i suoi sospetti su Will, sospetti che a distanza di vent'anni le apparivano del tutto ridicoli, ma di cui ai tempi era davvero convinta.
Lydia doveva essersi accorta che era turbata, dal momento che le chiese: «Tutto bene?»
Janet valutò fino a che punto potesse spingersi, poi confidò, a lei e a tutti gli altri: «Stavo pensando ai delitti di vent'anni fa. Non solo a Cindy nello specifico, ma anche a Will.» Molto tempo dopo il 2002 aveva riferito a Lydia di averlo visto quella notte, anche se si era dichiarata non certa al cento per cento che si trattasse proprio di lui. «Ricordi, vero, che diceva di essere stato in casa già da tempo, all'ora della morte di Mark, ma che io ero convinta che fosse fuori?»
«Sì, ma che importanza ha?» replicò Lydia. «È stato ucciso anche lui.»
«Lo so. Probabilmente era in giro per qualche altra ragione, ma preferiva evitare che si sapesse. Forse sapeva qualcosa.»
«Chi può dirlo.» A sorpresa, era stato Jack a intervenire. «Magari non ricordava nemmeno dove fosse, all'ora del delitto, se era stato fuori. Negli interrogatori chiedono l'ora esatta in cui hai visto qualcuno, come fosse vestito, da che parte stesse andando... ma in realtà non tutti badano a queste cose. Quanta gente avete incontrato oggi? Forse riuscite a ricordarvi ogni persona, ma sapreste descrivere, per tutti loro, come fossero vestiti? Oppure il minuto esatto in cui li avete incontrati? La verità è che gli orari che abbiamo in mente sono sempre imprecisi, a meno che non ci sia qualche motivo preciso per cui ce li ricordiamo. Ad esempio, se qualcuno mi chiedesse a che ora tornai a casa la sera in cui fu ucciso Mark, me lo ricorderei a distanza di vent'anni, ma per un motivo ben preciso: non avevo sonno e mi misi a guardare alla televisione la replica di una partita che c'era stata quella sera stessa. Iniziò a mezzanotte in punto e per i primi dieci minuti mi misi a parlare con i miei genitori, che poi andarono a letto. La mattina dopo mio padre si lamentò perché aveva notato la TV accesa fino a tardi e temeva che non fossi sveglio abbastanza per il lavoro che avremmo dovuto fare in officina.»
Ellen azzardò: «Non era un festivo, il giorno dopo?»
«Sì, era il primo novembre» confermò Jack, «Ma avevamo un lavoro urgente da finire, per un cliente importante che voleva assolutamente venirsi a prendere la macchina l'indomani, quindi andammo a lavorare anche se era festa. Per tutto il tragitto mio padre mi fece la predica, lamentandosi del fatto che ero andato a letto tardi per guardare una partita, nonostante di solito seguissi poco il calcio, quindi non sarei stato abbastanza concentrato.»
«Come mai avevi guardato quella partita, se non seguivi il calcio?» volle sapere Ellen.
«Per curiosità. Me ne avevano parlato Kevin e Danny, che l'avevano vista al bar.»
«Vista è una parola grossa» osservò Kevin. «Di solito andavamo a vedere le partite al bar solo per ascoltare i discorsi dei pensionati radunati davanti al televisore.»
«Infatti» concordò Danny, «Nessuno dei due era un grande appassionato di calcio, quella gente però faceva piegare in due dalle risate.»
Jack proseguì il suo racconto, dando le spiegazioni che Ellen aveva chiesto: «Non avevo sonno e, dato che di solito il calcio mi annoiava, speravo che la partita avesse un effetto soporifero. Invece fu l'esatto contrario. Era una delle fasi a eliminazione della Coppa d'Autunno, anche se non ricordo con esattezza quale fase. Era considerato un trofeo importante, ai tempi. Il risultato rimase sullo zero a zero per tutta la durata dei tempi regolamentari. Pensavo che mi sarebbero cadute le palpebre, invece no, vedere l'azione in campo, che non mancava, finì per svegliarmi più del dovuto. Ricordo alla perfezione il goal di Harvey Lee e ricordo perfettamente che fu al novantanovesimo. Fu una bellissima azione. A quel punto, ovviamente, non potevo più andare a letto. L'altra squadra diede tutto il possibile, per cercare di pareggiare, ma fu del tutto inutile.»
«Capisco perfettamente il tuo discorso: qualcosa di entra nella memoria per il motivo più disparato, ogni tanto, e magari ci torna utile per ricostruire altri eventi» rispose Danny. «Personalmente non ricordo più nulla di quella partita. Anzi, mi sembrava che il goal che ha deciso il risultato fosse arrivato molto vicino alla fine, ma potrei ricordare male.» Ridacchiò. «In effetti non era molto facile seguire con attenzione, con tutto il caos che facevano al bar... e magari parlando di tutto, tranne che della partita!»
«È sempre stato così, seguire qualsiasi cosa al bar a Goldtown» convenne Kevin, «E probabilmente succede la stessa cosa in ogni bar, in ogni luogo del mondo. Per quanto riguarda Cindy, invece...»
Disse qualcosa e altri risposero, ma l'attenzione di Janet venne attirata da Ellen, che le fece un cenno, come a indicarle di avvicinarsi. Janet fece qualche passo verso di lei.
«Dovrei andare in bagno» la informò Ellen, a bassa voce. «Da che parte è?»
Janet colse al volo l'opportunità per abbandonare almeno per qualche istante il soggiorno.
«Vieni, ti accompagno.»
Ellen si alzò in piedi e si lasciò condurre verso la toilette.
«Va tutto bene?» volle sapere Janet. «Mi sembri un po' pallida.»
Ellen alzò le spalle, con aria indifferente.
«No, è tutto a posto, penso sia solo un piccolo capogiro.»
Janet cercò di sdrammatizzare.
«Dì la verità, ti sei annoiata a morte sentendo Jack raccontare di quella partita, di quel Lee-come-si-chiama che faceva goal e dell'altra squadra che cercava a tutti i costi di ribaltare il risultato. Senza offesa per gli appassionati di sport, non capisco come si possano ricordare in modo così maniacale le azioni di una partita della Coppa d'Autunno a distanza di vent'anni.»
«No, Jack non c'entra niente» rispose Ellen. «Poi, ti dirò, c'è stato un breve periodo della mia vita in cui ho scritto di sport e in particolare di calcio.»
«Ah, già, Kevin mi diceva che sei una giornalista. Pensavo ti occupassi di cronaca.»
«Adesso sì, ma agli inizi della mia carriera mi mettevano a tappare buchi. Me ne sono fatta una ragione, pensando che un giorno tutto potesse essermi utile.»
«E ti è stato utile?»
«Non saprei. Le tue cuffie e le tue fasce sono utili per la cervicale?»
Janet aggrottò la fronte.
«In che senso?»
«Nel senso, tenere la testa coperta ti aiuta a evitare i dolori di cui hai parlato?»
«Dipende. Un po' sì, o almeno, voglio convincermi che conti qualcosa. Magari è questo che mi fa sentire meno il male.»
«Ecco, mi sembra un esempio calzante» disse Ellen, piuttosto criptica. «Allo stesso tempo io voglio convincermi che avere, in passato, sprecato ore a scrivere di cartellini gialli, cartellini rossi, sostituzioni, arbitri, golden goal e partite decise ai calci di rigore possa essermi stato in qualche modo d'aiuto. Non hai idea di quante lacrime ci ho buttato, su quei pezzi, e tuttavia non le rimpiango. Anche la cronaca non mi ha riservato di meglio: solo lacrime macchiate di sangue.»

   
 
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