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Autore: Glenda    10/01/2023    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adrian si era addormentato.

Noam pensò che quella era la seconda volta, in pochi giorni, che lo guardava dormire, e che questa era una sensazione strana: aveva vegliato più volte su ciascuno dei suoi fratelli, da bambino aveva ascoltato in segreto le conversazioni di suo padre e i suoi compagni mentre tutti lo credevano a letto, era abituato ad essere quello vigile, - “il piccolo Noam che non dorme”, diceva Vòrkne – ma con Adrian non era mai capitato: Adrian non aveva mai ceduto il controllo prima, era sempre stato lui quello che rimaneva con gli occhi aperti.

Si sentiva forte: era sconvolto, il mondo gli tremava sotto i piedi, non sapeva cosa gli sarebbe accaduto domani e dopodomani, cosa avrebbe fatto Lant, dove sarebbe andato a finire il suo progetto, come sarebbe cambiata la sua vita dopo essere stato ad un soffio dal perderla, eppure in quel momento gli sembrava che tutto andasse bene.

La fiducia di Adrian gli avrebbe permesso di fare qualsiasi cosa.

Non aveva più paura.

Si stava facendo sera, Noam sentì dei passi nel corridoio; il silenzio era così assoluto che ogni piccolo suono arrivava amplificato e al tempo stesso dilatato. Riconoscere delle voci, e poi delle parole, fu quasi disturbante, come un risveglio brusco da un sonno ovattato.

“Come sarebbe a dire che non ho l’autorizzazione? Ma lo sa chi sono io?”

Un attimo dopo, un poliziotto stava scortando Zjam Karkoviy fino alla stanza di Adrian.

Noam si alzò stancamente dalla sedia e gli andò incontro sulla porta, sfoderando il suo sorriso più rassicurante: si aspettava di dover sdrammatizzare, e si sentiva anche in grado di farlo, invece Zjam lo osservò per un attimo con sguardo incredulo e grato e poi lo abbracciò.

“Noam!” esclamò, incurante della presenza dei poliziotti e del giovane medico, che era rimasto qualche passo indietro “Dio, Noam, Noam, perdonami!”

“Sto bene, Zjam.”

Non sapeva cos’altro dire, gli pareva che gli fosse sfuggito un passaggio.

Zjam fece un passo indietro, gli tenne le mani sulle spalle, continuò a guardarlo come se la sua riposta avesse bisogno di una conferma.

“Sì, grazie a Dio. Se ti fosse accaduto qualcosa, io… ”

Adesso davvero non capiva.

Era fin troppo sensibile alle manifestazioni di affetto e si rendeva conto che questo offuscava la sua capacità di leggere tra le righe. Kàrkoviy però non aveva intenzione di tenergli nascosto qualcosa, al contrario, non appena riuscì a mettere da parte l’emozione e recuperare il suo abituale contegno placido e sicuro, chiese ed ottenne di parlargli in privato, a porte chiuse e con la sorveglianza a debita distanza.

“È colpa mia.” disse, tutto d’un fiato, con l’espressione rammaricata di un attimo prima “Non riesco a non pensare che sia solo colpa mia.”

Noam provò a scherzare.

“A meno che tu non sia un bombarolo a mia insaputa, immagino di no.”

“Non hai proprio capito.” fece lui, scuotendo la testa, mortificato “Sono stato io a far mettere in giro quelle minacce, Noam. Doveva essere una mossa pubblicitaria. Doveva servire solo ad attirare l’attenzione. E invece… Invece… ”

Zjam abbassò la testa e non aggiunse altro. Per la prima volta a Noam sembrò di vederlo in tutta la sua disperata piccolezza: un uomo arrivato al capolinea, che non vuole sparire nel nulla, che sogna di lasciare una grande eredità e che pure sa benissimo che quello che lascerà sarà solo il ricordo sbiadito di un pacifico e monotono politico, incapace di grandi slanci, incapace di grandi cambiamenti, incapace di grandezza.

Una mossa pubblicitaria.

Come in un film.

Come se la politica fosse un gioco.

E per lui lo era: lui giocava alla politica da dietro una scrivania, nelle interviste, nei talk show, in qualche inutile vertice fatto di vuote parole o in un programma lungo quaranta pagine che nessuno avrebbe letto mai. La politica era il suo mezzo per essere qualcuno, per non essere un anonimo tra gli anonimi, e i suoi progetti a lungo termine si fermavano al giorno successivo: che ne sapeva di vita e di morte? Di minacce vere, di attentati, di repressioni? Zjam Karkoviy incarnava tutto il bene e il male di Noravàl: l’ideale di una vita tranquilla, dove la violenza si leggeva solo nei libri, e la presunzione di essere migliori degli altri senza essersi mai sporcati le mani, senza coraggio.

Gli faceva pena: gli dispiaceva vederlo così colpevole e spaventato di fronte a quella realtà che aveva sempre guardato come a qualcosa di innocuo e distante, così incapace di prendere atto della situazione, così palesemente impotente. Ma sapeva anche che quell’abbraccio era vero, che la sua angoscia era stata vera, che il suo sollievo era vero: l’affetto per lui era vero.

Si può amare chi non si stima? Sì. Adrian aveva ragione di nuovo.

Noam scoppiò in una risata clamorosa, che riempì la stanza e alleggerì ogni cosa, anche il suo cuore.

“Mi hai fatto minacciare per fare audience?!? Oh dio, ma sei veramente un idiota da premio oscar!”

Kàrkoviy spalancò gli occhi in un’espressione di sollievo sbigottito.

“Cazzo, me lo potevi almeno dire: magari stavo al gioco! Sono bravo sul palcoscenico, lo dite sempre tutti: se era questo che volevate da me, potevate fare in modo che mi divertissi anche io!” si fece più serio “Ma pazienza, sai? Tutto sommato io ed Adrian ci siamo riusciti, a divertirci lo stesso.”

Adesso il volto di Zjam era una maschera di confusione: non sapeva se quello che stava ricevendo era un perdono o un franco e meritato vaffanculo.

“Noam, ti prego… hai rischiato la vita a causa mia. Puoi almeno mandarmi al diavolo come si deve?”

“Mm… se è questo che ti aspettavi di sentirti dire, ok: vai al diavolo, Zjam. Va meglio?”

La sua voce era calma e gentile, solo un po’ turbata.

“Sono un coglione.”

“Un po’ sì. Ma seriamente, pensi che senza la storia delle minacce tutto questo non sarebbe accaduto? Ma va’!” Noam scrollò la testa, mantenendo però un quieto sorriso sulle labbra, malinconico residuo della risata di poco prima “Zjam: io sapevo fin dall’inizio che quelle minacce non provenivano dai separatisti del Dàrbrand. Lo sapevo perché li conosco bene, più e meglio di quanto tu sai. Tu pensi di aver manipolato me, io ho pensato e sperato di servirmi di te. Non hai nessuna colpa. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, ne hai una: quella di non aver mai desiderato fare assolutamente niente. Perché propaganda, comizi, salire nei sondaggi, essere eletti, e rieletti e ancora rieletti sono proprio niente. Niente finché non sono strumenti per cambiare le cose, e non è importante se il cambiamento è impercettibile o clamoroso perché quella differenza tra il prima e il dopo, a prescindere dalla misura, è tutto. Tu vuoi rimanere fermo, Zjam, e finché la tua aspirazione è rimanere fermo, non sei tu ad essere un pericolo per me: sono io ad esserlo per te.” lo guardò con occhi sicuri “Qualcuno ha pensato che io fossi pericoloso. Al punto da volermi uccidere. Splendido. Lo sarò. Farò di questo attentato il mio strumento. Tirati indietro finché sei in tempo.”

Kàrkoviy si tormentava le dita delle mani, assediato dai suoi pensieri.

“Ho paura, Noam.”

“Anche io. Sarebbe preoccupante il contrario. Ma la fortuna è che posso percorrere la mia strada con o senza l’appoggio di Liberi Insieme, e non smetterò di essere tuo amico per questo.”

 

***

 

Noam uscì dall’ospedale solo quando anche Adrian venne dimesso.

Era una fredda mattina di luce polverosa.

La polizia che li scortava, la macchina scura che era venuta a prelevarli, i curiosi a decine e decine, la stampa nazionale in massa, gli davano un senso complessivo di soffocamento, come se la sua intera vita fosse appena stata messa al tempo stesso sotto migliaia di riflettori e sotto una campana di vetro.

Non poteva biasimare nessuno: del resto, la sua intera vita era davvero appena cambiata e – da sotto quei riflettori, da sotto quella campana di vetro – adesso quella piccola vita aveva l’attenzione del mondo intero. Non ne avrebbe mai più avuta altrettanta.

Passò tra i cordoni di giornalisti che sventolavano microfoni, urlavano il suo nome, chiedevano dichiarazioni, mentre i poliziotti li tenevano a distanza.

“Ho qualcosa da dire.” esclamò, fermandosi di colpo ed ottenendo l’attenzione generale.

Col permesso degli uomini della scorta, si avvicinò al primo microfono allungato verso di lui.

“Fronte per il Dar-breuk Libero: voglio trattare con voi.”

Ci fu un attimo di silenzio completo: respiro ed orizzonte.

Dopodiché una valanga di domande gli piovve addosso.

Noam sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.

“Fronte per il Dar-breuk Libero.” ripeté, soavemente “Io desidero con tutto il cuore trattare con voi.

 

  
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